IL CULTO DELL'ARREDO
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Lotto 1 Europa (XX secolo)
Morione tondo a cresta alta
Metallo brunito con parti applicate, cuoio
30 x 23,5 x 38,2 cm
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 90%
Morione tondo a cresta alta di gusto cinquecentesco decorato con elementi di riporto, falsi rivetti con testa zigrinata e incisioni ondulate.
Bordi della parte inferiore e della cresta realizzati a imitazione di cordonatura pizzicando il metallo. -
Lotto 2 Persia nord occidentale (Azerbaijan) (II quarto del XX secolo)
Tappeto Tabriz
Vello in lana su armatura in cotone, con nodo simmetrico
344 x 248 cm
Elementi distintivi: etichetta della Galleria d’arte Martinazzo, Montebelluna (con indicazione “antico Khoy”)
Provenienza: Galleria d’arte Martinazzo, Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 70%
Stato di conservazione. Superficie: 70% (usura)
Il tappeto, già attribuito a Khoy, condivide parte dell’impianto decorativo con i tappeti dell’Azerbaijan caucasico, in particolare il cosiddetto motivo Harshang, con palmette inclinate e foglie biforcute su campo di color rosso rosato. Tuttavia la struttura generale lo avvicina ai tappeti di Tabriz. -
Lotto 3 Italia (Fine del XIX secolo - Inizi del XX secolo)
Colonnetta composita
Alabastro, metallo
97,3 x 28 cm
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 85% (elettrificazione e scheggiature, con una frattura, integrata, al principio del fusto)
Stato di conservazione. Superficie: 90% -
Lotto 4 Persia sud orientale (III quarto del XX secolo)
Tappeto Kirman
Vello in lana su armatura di cotone, con nodo asimmetrico
392 x 301 cm
Elementi distintivi: etichetta Galleria Martinazzo, Montebelluna
Provenienza: Galleria Martinazzo, Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 70% (usura leggera, macchie)
Tipico tappeto Kirman cosiddetto imperiale, con grande medaglione su campo rosso vuoto e ricca bordura con i cantonali che entrano nel campo centrale. -
Lotto 5 Antonio Begarelli (1499 - 1565), ambito di
Testa di Cristo
Terracotta
15,5 x 12,1 x 11,6 cm 2,1 kg (chilogrammi) (Scultura)
12,2 x 11 x 10,8 cm 2,1 kg (chilogrammi) (perno fuori innesto + base)
Elementi distintivi: etichetta con riferimento di inventario «222303»
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 80% (danno da urto, carenze e integrazioni, per esempio sul naso)
Stato di conservazione. Superficie: 90% (depositi)
Frammento da una composizione probabilmente a più personaggi. -
Lotto 6 Pietro Fragiacomo (1856 - 1922)
Pescatori sulla riva, 1890 circa
Olio su tela
106,1 x 246 cm
Firma: “P. Fragiacomo” al recto
Altre iscrizioni: Altre iscrizioni: “proprieta Vigo Enrica anno 1971” sul verso
Provenienza: collezione privata, Montecatini Terme; Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: Giuseppe Luigi Marini, a cura di, "Il valore dei dipinti dell'Ottocento italiano", V edizione, Torino, 1987, pp. 142-143 (ill.) ("Partenza per la pesca”)
Certificati: Fotocertificato di Paolo Campiano
Stato di conservazione. Supporto: 70% (rintelo)
Stato di conservazione. Superficie: 80% (cadute di colore e integrazioni)
Trasferitosi nel 1864 a Venezia dalla natia Trieste, dopo aver lavorato per un periodo a Treviso come fabbro e tornitore, a ventidue anni Pietro Fragiacomo si iscrive all'Accademia di Belle Arti seguendo i corsi di prospettiva con Tommaso Viola e di paesaggio con Domenico Bresolin, che lo introduce alla pittura dal vero. Insofferente alle regole accademiche, dopo un anno abbandona gli studi, continuando tuttavia a dipingere grazie all'incoraggiamento degli amici Giacomo Favretto ed Ettore Tito. Se il suo esordio, nel 1880 alla IV Esposizione di Belle Arti di Torino, avviene sotto il segno della pittura di genere di impronta favrettiana, ben presto Fragiacomo inizia a dedicarsi in maniera esclusiva al paesaggio, privilegiando i vasti orizzonti della laguna e la vita dei pescatori e affermandosi in breve tempo come uno dei maggiori paesisti italiani. Da una prima produzione che, per schemi compositivi e tavolozza tersa e luminosa, si mostra vicina ai modi di Giuseppe Ciardi, Fragiacomo approderà alla fine degli anni Ottanta a un suo personale linguaggio in cui i temi lagunari sono interpretati con accenti lirici e crepuscolari attraverso una pennellata sciolta e sintetica, memore della lezione del naturalismo lombardo, capace di distillare con grande maestria la mutevolezza e il trascolorare delle luci nonché le impalpabili variazioni atmosferiche. A questo momento che, nel malinconico imbrunirsi della tavolozza, rivela la chiara influenza dei marinisti olandesi e scandinavi, va ricondotta l'opera in oggetto, non presente nel catalogo generale dell'artista a cura di Andrea Baboni (Andrea Baboni, Pietro Fragiacomo, Trieste, 2016) ma la cui autenticità è stata confermata dallo studioso (comunicazione scritta del 21 maggio 2021). Si tratta certamente di un quadro da esposizione, come si evince dalle dimensioni impegnative, presentato a una delle numerose rassegne a cui l'artista prese parte con successo in Italia e all'estero. Raffigura due pescatori che spingono una barca nelle prime luci dell'alba, mentre una donna in primo piano è chinata su un cesto e altri popolani sono indaffarati sullo sfondo. L'impianto compositivo, con la barca a destra lungo la diagonale della costa e il fondersi del mare e del cielo sulla sinistra, è il medesimo di opere datate al 1890 circa (Baboni 2016, p. 340 nn. 175 e 176), sebbene in questo caso l'artista adotti quel registro orizzontale che era stato tipico della pittura di Ciardi e che sarà da lui sfruttato in moltissimi altri dipinti. Le figure appaiono sinteticamente definite, i volti appena abbozzati. Vera protagonista della tela non è infatti la vicenda umana, bensì la luce perlacea dell'alba, che dal cielo si riflette sull'acqua del mare e sulla riva bagnata in un'infinita e raffinata quantità di modulazioni tonali, mentre sulla destra le figure si confondono con il paesaggio, reso in una ricca gamma di tonalità brune. Un'interpretazione lirica e intimista che, come osserva Ugo Ojetti, non è lontana dagli esiti raggiunti a suo tempo dalla grande tradizione del paesaggio romantico inglese: «Ormai la figura era diventata per lui solo un commento al paesaggio, ormai egli si riuniva deliberatamente ai grandi paesisti moderni che da Constable a Turner avevano riconosciuto un solo “personaggio” espressivo delle loro passioni, la luce, e con una loro istintiva e grandiosa filosofia avevano ricondotto l’uomo ad essere con le piante, con le bestie, con le acque e con le pietre, un semplice oggetto di colore e di riflesso, simile alle cose, cosa minima e passeggera egli stesso, avvolto con le pietre e con le piante dal medesimo sole» (U. Ojetti, "Pietro Fragiacomo, in Ritratti d’artisti italiani", Milano, 1911, p. 154). Una maniera che sempre più, con l'entrare nel nuovo secolo, Fragiacomo andrà caricando di umori simbolisti, con una sintesi di linguaggio aperta ad accogliere stilizzazioni e stilemi propri dell'Art Nouveau.
Il dipinto ha avuto due accurati interventi di restauro, nel 2009 (Lareco) e nel 2011 (Paolo Fabris).
Sabrina Spinazzè
Ringraziamo Andrea Baboni per il supporto dato alla catalogazione dell'opera. -
Lotto 7 Vicenza (II metà del XVIII secolo)
Cassettone lievemente sagomato
Radica di tuia e legno di frutto con filetti in acero su struttura in abete
93,2 x 147 x 63 cm
Provenienza: Matheus, Vicenza, 2013; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 80% (rifacimenti, per esempio ai correnti dei cassetti; maniglieria sostituita e in parte stilisticamente incongrua)
Stato di conservazione. Superficie: 85% (integrazioni minori sul piano; danni minori da urti; spatinatura)
Fabio Ferraccioli, nel 2013, ha ritenuto il mobile di produzione veneziana, con datazione pressoché analoga a quella adottata in asta. -
Lotto 8 Archimede Seguso (1909 - 1999), Vetreria
Coppia di vasi con decoro floreale
Vetro lattimo animato in foglia d’oro
35,5 x 26,7 x 26,7 cm (il primo)
34,9 x 26,7 x 26,5 cm (il secondo)
Firma: «Archimede Seguso, Murano», inciso sotto la base
Elementi distintivi: marchio «Archimede Seguso Murano Made in Italy» sulla spalla
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 98%
Stato di conservazione. Superficie: 98%
Rilevanti differenze nella coppia, di dimensioni e forma, dovute alla pregevole lavorazione artigianale. -
Lotto 9 Persia meridionale (III quarto del XX secolo)
Tappeto Yalameh
Vello in lana su armatura di lana, con nodo asimmetrico
307 x 201 cm
Elementi distintivi: etichetta della Galleria Martinazzo, Montebelluna
Provenienza: Galleria Martinazzo, Montebelluna, 2006; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 90%
Stato di conservazione. Superficie: 90% (depositi)
Buon esemplare della regione del Fars, con cinque losanghe dal profilo uncinato incolonnate sull’asse centrale e numerosi ornamenti minori tra cui piccoli uccelli stilizzati. -
Lotto 10 Jean Pénicaud II (1531 - 1549), ambito di
Cleopatra
Smalto su rame
17,1 x 15,6 x ,9 cm
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 80% (deformazione all’angolo sinistro)
Stato di conservazione. Superficie: 85% (incrinature) -
Lotto 11 Lodovico Gallina (1752 - 1787), attribuito a
Ritratto femminile
Olio su tela
64,8 x 53,7 x 1,5 cm
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 70% (rintelo e rintelaiatura con telaio probabilmente di riuso; fessurazioni della cornice)
Stato di conservazione. Superficie: 60% (ampie cadute di colore e integrazioni soprattutto sopra e a destra del viso)
L'opera, che mescola elementi veneziani con tratti bresciani, si presta ad uno stretto confronto, per il trattamento del volto (occhi, sopracciglia, naso, mento ed in particolare la imponente capigliatura verticale), con due ritratti femminili di Lodovico Gallina: "Giustina Donà delle Rose" incastonata in un ovale di gesso in Ca' Rezzonico e il "Ritratto della contessa Paolina Gambara Pisani", già in collezione Bianchi-Michiel in Venezia, che lo ripete quasi specularmente, anche nell'idea di arricchire il collo con un elemento di moda (un nastro nel nostro ritratto, un filo di perle nell'altro). Notevole anche l'introspezione psicologica che si legge in entrambi i ritratti, con un accentuato spirito di bonomia in quello in asta. -
Lotto 12 Francia. Manifattura Reale di Aubusson (1730 - 1750)
Flora e Zefiro o la Primavera, 1730 circa
Arazzo in lana e seta
294 x 469 cm
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Certificati: Scheda di Raffaele Verolino, non datata; expertise di Nello Forti Grazzini, in copia
Stato di conservazione. Supporto: 70%
Stato di conservazione. Superficie: 70% (cornice esterna in gran parte rifatta, integrazioni, colori sbiaditi e ripresi in particolare nel registro superiore)
Come segnala Nello Forti Grazzini, in una approfondita scheda critica del 2004 che viene di seguito ampiamente citata, il soggetto dell'arazzo in asta è liberamente ispirato a Ovidio, Fasti, V, 193-214, dove è descritto Zefiro che insegue la ninfa Clori e la ghermisce; ed ella si trasforma in Flora, divenendo sposa del dio e signora dei fiori e della primavera.
La scena intessuta rappresenta il tempo successivo di Clori, quando è ormai insediata nel suo regno naturale. Flora, infatti, compare al centro dell'arazzo, in atto di confezionare una lunga ghirlanda di fiori, mentre lo sposo Zefiro, con ali di farfalla, le porge un cesto. Intorno alla coppia, molti amorini, a rafforzare il tratto galante della composizione. Tra essi, forse Cupido, con arco e frecce, si allontana verso destra, dopo aver «felicemente svolto la "missione" di suscitare l'amore». L'ambientazione è ricca di piani, «segnati dagli obliqui profili delle balze che si succedono in profondità e dalle quali si sviluppano cespugli e alberi di diversa specie, con un ruscello sul proscenio e, nello sfondo a destra, con un edificio». La composizione è serrata da un bordura, che simula una cornice lungo la quale «si avvolge a spirale una ghirlanda di fiori; in ciascun angolo un tondo a intaglio con una piccola margherita». La cimosa, blu, «pur autentica», non presenta alcuna marca o firma di arazziere, né l'arazzo risulta menzionato nella bibliografia specialistica sulle antiche tappezzerie.
Secondo Forti Grazzini, il panno è stato tessuto a Aubusson, probabilmente non lontano dal 1730: «Oltre alla fine tessitura, un'inequivocabile "spia" della provenienza e della datazione del panno è costituita anzitutto dalla gamma cromatica, poi dal modo in cui sono raffigurate le piante sul proscenio, ciascuna isolata e con le foglie e i fiori sbiancati da intesi colpi di luce. Allo stesso modo sono definiti e illuminati gli elementi vegetali dei prosceni e, sui secondi piani, i riempitivi vegetali delle serie dette delle 'Verdure esotiche' (o 'Panorami cinesi'), eseguite e frequentemente replicate a Aubusson nel secondo quarto del XVIII secolo (cfr. gli arazzi riprodotti da D. Chevalier, P. Chevalier, P.F. Bertrand in "Les tapisseries d'Aubusson et de Felletin 1457-1791, Parigi, 1988, pp. 128-131). Anche nelle 'Verdure esotiche' si ritrovano poi uccelli fissati in volo con le ali aperte, inclinati verso l'alto, col muso e con becco girato all'insù, come quello che, nel nostro arazzo, attraversa il cielo sopra la testa di Cupido. La bordura a modanatura tubolare a cui si attorciglia a spirale una ghirlanda è un altro elemento tipico, data la frequenza con cui ricorre negli Arazzi di Aubusson; e particolarmente significativo appare il confronto con due tappezzerie raffiguranti 'Giochi di bimbi' (la 'Cavallina' e la 'Danza') nel Musée du Petit Palais a Parigi, nn. AO 14-15 (cfr. "Jeux et divertissements. Tapisseries du XVIe au XVIIIe siècle", cat. mostra, Arras-Aubusson 1988, nn. 24-25), datate verso il 1720-1730, con iscrizioni relative a Aubusson e firme degli arazzieri (Michel Vallenet e Mangonat), nelle quali non soltanto compaiono bordure uguali, ma anche rifinite con identici "intagli" decorativi angolari».
La composizione è messa in relazione da Forti Grazzini con i nuovi modelli figurativi introdotti a Aubusson da Jean-Joseph Dumons (1687-1779), nominato il 20 marzo 1731 alla Tapisserie «pour y former des dessinateurs, y corriger les anciens dessins, et enseigner aux ouvriers les secrets de la composition et du coloris». Tra il 1731 e il 1755, Dumons dipinse venti cartoni per la manifattura di Aubusson e due per quella di Felletin. Questa nuova fioritura, ulteriormente rafforzata dai fondi di cartoni giunti a Aubusson dopo la dismissione da parte dei Gobelins e da Beauvais, coinvolge molti pittori rimasti anonimi. Lo specialista data la produzione dell'arazzo intorno al 1730, collegandola ad un anonimo cartonista minore, che doveva però conoscere una serie di arazzi prodotti dalla manifattura parigina dei Gobelins, tra il 1700 e il 1730, oggi conservati presso il Cleveland Museum of Art e il Musée des Arts Décoratifs di Lione, appartenenti a serie dedicate al tema degli 'Amori degli dei' o delle 'Metamorfosi di Ovidio' (cfr. E.A. Standen, "Ovid's 'Metamorphoses': A. Gobelins Tapestry Series", in "Metropolitan Museum Journal", 23, 1988, pp. 149-191, in particolare p. 171, figg. 30, 31, 33). Tra gli arazzi dei Gobelins di tema analogo, in uno conservato al Mobilier National: cfr. Standen 1988, fig. 34), Zefiro, anziché incoronare Flora seduta, le porge un fiore da una cesta, simile a quella che lo stesso personaggio reca nell'arazzo qui esaminato. Ad altri arazzi della stessa serie si ispirano, infine, sia l'amorino inginocchiato a sinistra che coglie rose (cfr. "Vertumno e Pomona" in Standen 1988, fig. 40) sia la figura di «Flora con il volto sollevato e con una gamba che, sotto l'ampia gonna, copre l'altra, appoggia un tallone sull'altro piede (da "Bacco e Arianna" disegnato da Louis de Boullogne, cfr. Standen 1988, figg. 43, 44)».
Forti Grazzini ritiene l'arazzo «originariamente inserito in una più ampia serie di panni accomunati dal soggetto, dallo stile, dalle uguali bordure», anche se oggi appare «come un pezzo isolato». «È difficile dire se la serie originaria rappresentasse, come quelle tessute ai Gobelins, gli 'Amori degli dei' ispirati alla poesia ovidiana, o un ciclo delle stagioni, dove Flora avrebbe rappresentato la Primavera. A Aubusson, all'inizio del XVIII secolo, le serie raffiguranti 'antologie' mitologiche furono molto rare; esiste comunque un arazzo di Aubusson del primo Settecento, ma con diversa bordura, raffigurante il 'Ratto di Europa', che potrebbe essere stato disegnato dallo stesso cartonista e che dunque potrebbe essere stato parte del medesimo ciclo in una serie replicata. Quanto ad arazzi delle 'Stagioni' tessuti ad Aubusson all'inizio del XVIII secolo, ne sopravvivono vari, appartenenti a più cicli figurativi di ispirazione mitologica, nei quali significativamente la Primavera è illustrata da scene di cui sono protagonisti Flora e Zefiro, o Flora da sola: le due figure compaiono in un arazzo della Primavera che è parte di un ciclo delle 'Stagioni' che sopravvive completo presso il Museo dell'Ermitage a San Pietroburgo (cfr. Birioukova, "Les tapisseries francaises de la fin du XVe siècle dans les collections de l'Ermitage", Leningrado, 1976, nn. 76-79). In un differente ma coevo ciclo delle 'Stagioni' nel quale le personificazioni stagionali sono rappresentate da figure in piedi entro paesaggi, più volte replicato e i cui soggetti sono transitati più volte sul mercato antiquario, la Primavera mostra Flora in una ambientazione verdeggiante, con putti e fanciulle che le recano fiori. Perciò, sul piano "statistico" se non altro, è più probabile che l'arazzo qui esaminato fosse originariamente parte di un ciclo delle 'Stagioni', i cui altri soggetti potrebbero prima o poi tornare alla luce».
A dimostrazione della diffusione dell'invenzione con Flora corteggiata da Zefiro, si può citare una composizione di Louis de Boullogne II (1654-1733), con "Zefiro che incorona Flora", commissione della corte francese per la decorazione della galleria di Francesco I a Fontainebleau, e un dipinto con "Zefiro e Flora", di Antoine Coypel (1661-1722), conservato a Versailles.
Per un excursus sulla ampia iconografia di Flora, si veda J. Held, "Flora Goddess and Courtesan", in "De Artibus. Opuscola XL. Essays in honor of Erwin Panofsky, a cura di M. Meiss, I, New York, 1961, pp. 201-2018).
L'arazzo è stato fotografato in condizioni di luce diversa, con i risultati cromatici leggermente diversi che si vedono nelle foto di corredo. -
Lotto 13 Area veneta (II quarto del XVIII secolo), (?)
Bureau trumeau con specchio superiore inciso e acidato con Diana cacciatrice
Noce, radica di noce su struttura in legno di abete; specchi; metalli
272,5 x 148,5 x 69,5 cm
Provenienza: Iole Poggi, Gubbio, 2010; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 50% (cassetti con segni di scorrimento incongrui; interno della ribalta con rifacimenti; vetri delle ante superiori antichi ma non settecenteschi; interno della parte superiore con ampi rifacimenti segnalati da usura e macchie incongrue; cornici superiori in parte sostituite; gambe sostituite; maniglieria incongrua; rottura del vetro inciso; uso di legno di recupero per rinforzi visibili tra le due parti; serrature antiche con segni di adattamento nello scasso)
Stato di conservazione. Superficie: 80% (spatinatura; rigature da restauro perpendicolari alla vena del legno; segni di differenti serrature senza corrispondenti segni di serramenti con riguardo alla bocchetta; schiene coperte a pittura e apparentemente di diversa lavorazione e con condizioni conservative diverse)
Il mobile è stato oggetto di un importante restauro da parte di Vittorio Donà nel 2012. -
Lotto 14 India (metà del XIX secolo)
Passatoia Agra
Lana su armatura di cotone, con nodo asimmetrico
673 x 164 cm
Provenienza: collezione Cingi, Modena, 2005; Veneto Banca SpA in LCA
Certificati: Scheda di Raffaele Verolino, non datata
Stato di conservazione. Supporto: 30% (frammento ricomposto, con ampie zone ritessute e frange posticce)
Stato di conservazione. Superficie: 50% (usura, ampie ritessiture del vello)
Uno di una coppia di tappeti da corsia, presentati in asta quali frammenti di uno stesso grande tappeto, ricomposti in modo da fungere da passatoie. Il disegno del campo è caratterizzato dal fondo rosso lacca tipico degli Agra più antichi, con motivi a larghe fasce, di colore azzurro. Anche la bordura a palmette afferisce alla prima produzione Agra. Interessante notare che la base del tappeto originario si sviluppa sul lato maggiore. La discontinuità tra le parti ricomposte lascia apprezzare un notevole lavoro creativo nel restauro, talvolta anche con accostamenti in violazione del verso di tessitura.
La seconda immagine mostra il tappeto al verso. -
Lotto 15 Francia (XX secolo)
Coppia di candelabri a due luci
Bronzo dorato, radica di noce, cera
27,6 x 21,2 x 10,9 cm (ogni candelabro)
14 x 2 cm (la candela media)
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lotto 16 Luigi Serena (1855 - 1911)
Signora con ventaglio, 1895-1900
Olio su tela
56,2 x 46,3 cm
Firma: “LSerena” al recto
Altre iscrizioni: a tergo della cornice, riferimenti ad un passaggio d'asta in gessetto bianco, scarsamente leggibili
Elementi distintivi: al verso etichetta "I A library", con riguardo ad una precedente collocazione, ed etichetta con riferimento all’inventario della banca
Provenienza: Galleria d'Arte Martinazzo, Montebelluna; Banca Popolare di Asolo e Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: O. Stefani, "Luigi Serena 1855-1911", Ponzano Veneto, 2006, p. 119, 147, tav. 111
Certificati: Fotocertificato di Ottorino Stefani del 2 aprile 1999
Stato di conservazione. Supporto: 85% (reintelo)
Stato di conservazione. Superficie: 85% (cadute di colore e ritocchi, sparsi)
Luigi Serena, pittore d'elezione della borghesia trevigiana a cavallo tra '800 e '900, non ebbe allievi diretti, ma fu ammirato dagli artisti più giovani per il suo spirito bohémien e antiborghese, anche quale riferimento morale, diventando una pietra miliare nell'orizzonte artistico della Marca. Saranno proprio gli artisti dell'avanguardia, in testa Arturo Martini, a promuovere la mostra postuma di Serena poco dopo la sua morte nel 1911. Pur operando prevalentemente in provincia, l'artista partecipò con successo alle più importanti esposizioni del tempo: a Venezia (1881), Milano (1883), Torino (1884), Firenze (1886), Parigi (1888) e Monaco (1890). Fu tra gli invitati alla Biennale veneziana del 1897 (Eugenio Manzato, "Treviso", in "La Pittura in Italia. L'Ottocento", Milano, 1990, p. 213).
Come osserva Ottorino Stefani nella nota di certificazione, «il Ritratto di signora appartiene al periodo della piena maturità artistica di Luigi Serena (1895-1900), interprete acuto dei tratti psicologici e della personalità del soggetto che rivela un carattere deciso e volitivo. Sul piano strettamente pittorico l'opera si impone per la forza straordinaria dei colori: il rosa dell'incarnato, il bianco argentato ed il nero, esaltati dal ventaglio e dallo sfondo rosso che ricorda antichi dipinti pompeiani", in consonanza con le scelte cromatiche di Serena al termine del secolo, in particolare il rapporto tra bianco, grigio e nero (crf. "Donna che prega", 1897-1898, in Ottorino Stefani, a cura di, "Luigi Serena. 1855-1911", Ponzano Veneto, 2006, p. 99, tav. 70).
A giudizio dello specialista, il dipinto - così vicino alla lezione di Pompeo Molmenti, esemplata nel "Ritratto di giovane signora" di Ca' Pesaro - è «uno dei punti più alti dell'intero percorso artistico del pittore montebellunese». E difatti, tra «i ritratti femminili, Signora con ventaglio appare come un omaggio alla grande ritrattistica della pittura veneta a partire dalle origini, soprattutto per l'audace impostazione compositiva e cromatica, che trova una sottile corrispondenza nell'espressione volitiva e narcisistica del volto. Qui veramente l'artista montebellunese si è dimostrato particolarmente attratto dal motivo ispiratore soprattutto come "sistema" di segni e colori che contengono un suggestivo messaggio estetico: siamo cioè nell'ambito di un'arte per cui la "forma" diventa "autosignificante" in quanto esalta i "valori decorativi" capaci di resistere nel tempo anche di fronte alle inevitabili svolte del gusto e delle mode predominanti di una determinata civiltà" (ibidem, p. 119). -
Lotto 17 Cultura ebraica (XVII secolo)
Pagina della Torah
Pergamena manoscritta
58,3 x 53,8 cm
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 75% (lacerazioni e abrasioni)
Stato di conservazione. Superficie: 75% -
Lotto 18 Pittore veneziano (Giuseppe Moretti?) (II metà del XVIII secolo)
Il Canal Grande con la Chiesa della Salute, Venezia
Affresco trasferito su tela
138,5 x 296 cm
Provenienza: Conti Revedin, Palazzo Colonna Preti, Castelfranco Veneto: Conte Rinaldi (fino al 1928-1935); Banca Popolare di Montebelluna (dal 1966 Banca Popolare di Asolo e Montebelluna e dal 2000 Veneto Banca); Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: D. Gasparini e L. De Bortoli, "Storia di una banca di territorio. Dalla Popolare di Montebelluna a Veneto Banca. 1877-2007", Treviso, 2008, p. 196 (in cui l'acquisto è datato al 1936)
Stato di conservazione. Supporto: 60% (affresco strappato, riportato su foderatura a doppia tela)
Stato di conservazione. Superficie: 60% (lacerazioni, suture, integrazioni)
Il presente lotto e il successivo costituivano il pendant decorativo del salone del settecentesco palazzo Colonna Preti a Castelfranco Veneto - che ancora conserva gli originari apparati di stucco che incorniciavano le vedute - da cui furono asportati prima del 1935, data in cui è annotato un primo intervento di restauro nei registri della Banca Popolare di Asolo e Montebelluna «dei due quadri acquistati dal Co. Rinaldi, ed attribuiti a scolari del Canaletto». Per primo Giuseppe Pavanello ha confermato sul piano stilistico la afferenza degli affreschi al '700 veneziano (comunicazione del 28 maggio 2021), già indicata conseguentemente all'esame materiale dei manufatti dall'esperto restauratore Giuseppe M. Dinetto (nota del 27 aprile 1994). Charles Beddington, su base fotografica, ha segnalato il rapporto tra le due opere e due vedute di Canaletto databili intorno al 1722, delle quali la prima, rimasta a Venezia almeno fino agli anni quaranta del Settecento, è oggi conservata nella Alfred Taubmann Collection, New York, e la seconda presso il National Museum of Wales, Cardiff. Data la adesione anche cromatica ai modelli canalettiani, Charles Beddington ritiene possibile che si tratti di un autore vicino a Canaletto forse attivo già negli anni venti del Settecento (comunicazione dell'11 giugno 2021).
Bozena Anna Kowalczyk, dopo un accurato esame dal vero, ha dedicato alle opere una complessa scheda critica (riprodotta qui a seguire), che ne ricostruisce il rapporto con i modelli di Canaletto e ne ipotizza l'autore in un raro vedutista suo allievo, Giuseppe Moretti.
Siamo grati a Charles Beddington, Bozena Anna Kowalczyk e Giuseppe Pavanello per il supporto dato alla catalogazione delle opere.
Scheda critica
Queste due ampie vedute di Venezia [n.d.r. lotti 18-19], eseguite ad affresco, sono un unicum nella storia del vedutismo veneziano del Settecento. Le composizioni seguono le tele giovanili di Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto (1697-1768), eseguite nel 1722-1723, raffigurando le architetture riprese dagli stessi punti di vista, riportando le stesse imbarcazioni e le figure, ma adottando la tecnica del Canaletto maturo, dei decenni successivi. La conoscenza diretta degli originali e nello stesso tempo delle opere più tarde di Canaletto induce a credere l’autore appartenente alla sua stretta cerchia, forse collaboratore nello studio. La Torre dell’Orologio nel Bacino di San Marco dalla Giudecca, Venezia, si presenta completa di secondo piano, indicando una data posteriore ai lavori di sistemazione e rimodernamento intrapresi secondo il progetto dell’architetto Giorgio Massari nel 1755. Il termine ante quem è il 1787, quando inizia la dispersione delle opere di Canaletto.
"Il Canal Grande con la Chiesa della Salute, Venezia" riprende il dipinto di Canaletto, ora nella collezione Alfred Taubmann, New York, documentato dal 1765 al 1783 nella casa di Giovanni Berzi a Padova, dove era pervenuto da Venezia probabilmente poco prima del 1760, assieme ad altre tele della stessa serie eseguita nel 1722-1723 per il pittore veneziano Antonio Pellegrini e ereditata dalla moglie, Angela Carriera (m. 1760), sorella della celebre pittrice pastellista Rosalba (nota 1); attorno al 1787 viene acquistato da John Strange (1732-1799), residente britannico a Venezia che lo mette in vendita all’incanto il 10 dicembre 1789 a 125 Pall Mall a Londra (lotto 71).
È una delle vedute giovanili di Canaletto più copiate da altri vedutisti veneziani: è nota la replica in dimensioni molto vicine eseguita nel 1745 circa dal nipote di Canaletto, Pietro Bellotti (1725-1800 circa), pittore vedutista che dal 1748 è attivo in Francia (nota 2). Un’altra copia, considerata a lungo di Canaletto, appartiene alle collezioni reali britanniche (nota 3), anch’essa, come il dipinto di Bellotti, ha come pendant la replica di un’altra tela della collezione Pellegrini, "San Cristoforo, San Michele e Murano dalle Fondamenta Nuove", ora al Museum of Art di Dallas (nota 4).
In un formato decisamente orizzontale, nelle dimensioni doppie in larghezza rispetto all’originale (che misura 110,5 x 137,8 cm), l’autore delle opere qui in esame gestisce con padronanza
l’impostazione prospettica, apportando lievi modifiche all’angolazione degli edifici sul Canal Grande, in particolare dei palazzi Gritti e Flangini Fini sulla curva del canale a sinistra; allarga anche la visuale, a sinistra solo leggermente, a destra inserisce una ampia porzione di un palazzo gotico, non presente in Canaletto. L’accurata descrizione dei dettagli architettonici non rilevati da Canaletto, della facciata del palazzo Corner della Ca’ Grande che inquadra la veduta a sinistra, della Basilica stessa, con le sculture che coronano il timpano e le volute, indica uno studio sul luogo, ma la Basilica rimane raffigurata, come in Canaletto, senza la cupola laterale e le torrette.
La storia del dipinto di Canaletto, "Il Bacino di San Marco dalla Giudecca, Venezia", ora al National Museum & Galleries of Walles, Cardiff (nota 5) non è documentata fino alla sua apparizione da Agnew a Londra nel 1956 e l’acquisto di poco successivo dal museo britannico. Chi scrive ha ipotizzato che anche questo dipinto fosse appartenuto alla collezione del pittore rococò Pellegrini; la presente coppia di repliche è una forte conferma della conservazione dei modelli di Canaletto nello stesso luogo. Come nel pendant, anche in questa veduta del Bacino di San Marco, l’autore apporta modifiche alla composizione, estendendo la visuale a destra e a sinistra, eliminando lo spigolo del palazzo al margine destro, conferendo una maggiore importanza al profilo delle montagne all’orizzonte. I colori delle vesti delle figure e le fogge delle barche con le loro vele bianche seguono il dipinto di Canaletto ma la conoscenza diretta a una data abbastanza precoce della tela presa a modello è indicata soprattutto dalla presenza del sandalo con il barcaiolo vicino alla gondola all’attracco e di un'altra figura, più a sinistra: gli stessi dettagli facevano parte del dipinto di Cardiff ma solo i recenti restauri e le indagini a raggi X e ad infrarosso li evidenziano sotto le ridipinture (nota 6), conferendo alla presente opera un’ulteriore interesse come documentazione.
Tra i pittori veneziani che nella seconda metà del Settecento copiavano o imitavano le opere di Canaletto si distingue Giuseppe Moretti, uno dei pochi pittori veneziani dell’epoca di cui non si hanno precisi dati anagrafici e un’immagine complessiva del suo operare. L’unico periodo documentato sono gli anni Settanta, quando, tra il 1776 e il 1780, in una nota a un suo dipinto, "Capriccio con il Castel Sant’Angelo", parte della collezione di Francesco Algarotti (oggi nella Galleria Nazionale di Parma) (nota 7), Giovanni Antonio Selva (1851-1819) lo definisce «Veneziano vivente» e aggiunge che «ha perfettamente imitata la maniera di Canaletto» (nota 8).
Nonostante l’attribuzione di Selva, il capriccio di Algarotti verrà considerato di Canaletto fino ai tempi più recenti, come anche le copie dei quattro dipinti eseguiti secondo Canaletto per il mercante berlinese Sigismund Streit, oggi alla Gemäldegalerie, di Berlino (nota 9) e la replica della celebre Prospettiva con portico delle Gallerie dell’Accademia, conservata a Ca’ Rezzonico (nota 10). «Moretti is nearer to Canaletto in his drawing than any other painter…» (nota 11) . L’8 dicembre 1776 viene eletto accademico e professore dell’Accademia di pittura e scultura di Venezia, con l’approvazione del suo saggio di bravura, "Capriccio architettonico" che verrà esposto in Piazza San Marco alla fiera della Sensa del 1777 (nota 12).
Un suo dipinto figura nell’inventario di Girolamo Manfrin (1742-1802), steso da Pietro Edwards (1744-1821), ispettore generale delle collezioni pubbliche veneziane (nota 13); lo ricorda Antonio Canova in una lettera al padre Tonioli del 21 gennaio 1804, ricercando le sue vedute di Venezia alla pari di quelle di Canaletto e Guardi (nota 14).
W. G. Constable, il primo grande studioso di Canaletto, considerando la sua conoscenza dei procedimenti di Canaletto, riconosciuta già dai contemporanei, lo crede allievo e forse collaboratore del Maestro. Giuseppe Moretti è anche unico vedutista-prospettico a sperimentare la tecnica dell’affresco - nel 1780 lo vediamo nel ruolo di quadraturista della volta della navata nella chiesa di San Tomà a Venezia, in fianco a Jacopo Guarana (nota 15) - potrebbe essere lui l’autore delle due opere qui in esame, come sembrano confermare anche le sagome squadrate delle figure.
L’ultima notizia su Giuseppe Moretti risale al 24 maggio 1784, quando l’artista partecipa all’adunanza della congregazione dell’Accademia di pittura e scultura di Venezia.
Bozena Anna Kowalczyk
Note
1 G. B. Rossetti, "Descrizione delle Pitture, Sculture ed Architetture di Padova. Con alcune osservazioni intorno ad esse, ed altre curiose notizie. Edizione seconda, accresciuta, e migliorata", Padova 1776; B. A. Kowalczyk, "La collezione Pellegrini", in "Canaletto prima maniera", catalogo della mostra a cura di B. A. Kowalczyk (Venezia, Fondazione Giorgio Cini), Milano 2001, pp. 101-103 e 110-111, n. 41.
2 F. B. Watson, "Venetian Paintings at the Royal Academy 1954-55", in "Arte Veneta, IX", 1955, p. 261; C. Beddington, in "Pietro Bellotti: un altro Canaletto", catalogo della mostra a cura di C. Beddington, D. Crivellari (Venezia, Ca’ Rezzonico), Verona 2014, pp. 61-62, ill. p. 73.
3 W. G. Constable, Canaletto. "Giovanni Antonio Canal 1697-1768", seconda edizione rivista e ampliata da J. G. Links, Oxford 1989, I, tav. 38; II, pp. 271-272; M. Levey, "The Later Italian Pictures in the Collection of Her Majesty the Queen", seconda edizione, Cambridge 1991, p. 50, n. 420, fig. 67 (“after Canaletto”).
4 W. G. Constable, "Canaletto…" cit., II, p. 176, n. 365 (b); B. A. Kowalczyk, in "Canaletto prima maniera…" cit., pp. 108-109, n. 40 (originale del Museum of Art, Dallas); M. Levey, "The Later Italian Pictures…" cit., pp. 49-50, n. 419, fig. 66 (copia).
5 W. G. Constable, "Canaletto…" cit., I, tav. 33; II, p. 255, n. 143; B. A. Kowalczyk, in "Canaletto prima maniera…" cit., pp. 112-115, n. 42; B. A. Kowalczyk, in "Canaletto et Guardi: les deux maîtres de Venise", catalogo della mostra a cura di B. A. Kowalczyk (Parigi, Musée Jacquemart-André), Bruxelles 2012, pp. 70-71, n. 5.
6 B. A. Kowalczyk, in "Canaletto et Guardi…" cit., foto a raggi X a p. 70.
7 Parma, Galleria Nazionale, inv. 283.
8 "Catalogo dei quadri, dei disegni e dei libri che trattano dell’arte del disegno della Galleria del fu Sig. Conte Algarotti in Venezia" [s.n., s.l., s.d., ma G. A. Selva, "Venezia, tra 1776-1780"], pp. XV-XVI.
9 Berlino, "Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie, Leihgabe der Streitschen Stiftung"; W. G. Constable, "Canaletto…" cit., I, tavv. 50, 55, 66; II, pp. 306-308, 328-329, 371-373, nn. 242, 282, 359 e 360 (Canaletto); le opere di Moretti si trovano in varie collezioni private.
10 T. Pignatti, "Il Museo Correr di Venezia. Dipinti del XVII e XVIII Secolo", Venezia 1960, p. 35 (inv. 1903), foto
a p. 34.
11 W. G. Constable, "Canaletto…" cit., II, p. 165.
12 S. Moschini Marconi, "Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte dei secoli XVII, XVIII, XIX", Roma, 1970, pp. 60- 61, inv. 486.
13 G. Pavanello, "Gli inventari di Pietro Edwards nella Biblioteca del Seminario Patriarcale di Venezia", Verona, 2006, p. 80.
14 G. Pavanello, "Canova collezionista di Tiepolo", [Mariano del Friuli], 1996, p. 17 e 67, nota 13.
15 S. Guerriero, "Jacopo e Vincenzo Guarana nella chiesa di San Tomà", in "Arte Veneta", 53, 1998, pp. 157 e 159. -
Lotto 19 Pittore veneziano (Giuseppe Moretti?) (II metà del XVIII secolo)
Il Bacino di San Marco dalla Giudecca, Venezia
Affresco trasferito su tela
138,7 x 273,2 cm
Provenienza: Conti Revedin, Palazzo Colonna Preti, Castelfranco Veneto: Conte Rinaldi (fino al 1928-1935); Banca Popolare di Montebelluna (dal 1966 Banca Popolare di Asolo e Montebelluna e dal 2000 Veneto Banca); Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: D. Gasparini e L. De Bortoli, "Storia di una banca di territorio. Dalla Popolare di Montebelluna a Veneto Banca. 1877-2007", Treviso, 2008, p. 196 (in cui l'acquisto è datato al 1936)
Stato di conservazione. Supporto: 60% (affresco strappato, riportato su foderatura a doppia tela)
Stato di conservazione. Superficie: 60% (lacerazioni, suture, integrazioni)
Il presente lotto e il precedente costituivano il pendant decorativo del salone del settecentesco palazzo Colonna Preti a Castelfranco Veneto - che ancora conserva gli originari apparati di stucco che incorniciavano le vedute - da cui furono asportati prima del 1935, data in cui è annotato un primo intervento di restauro nei registri della Banca Popolare di Asolo e Montebelluna «dei due quadri acquistati dal Co. Rinaldi, ed attribuiti a scolari del Canaletto». Per primo Giuseppe Pavanello ha confermato sul piano stilistico la afferenza degli affreschi al '700 veneziano (comunicazione del 28 maggio 2021), già indicata conseguentemente all'esame materiale dei manufatti dall'esperto restauratore Giuseppe M. Dinetto (nota del 27 aprile 1994). Charles Beddington, su base fotografica, ha segnalato il rapporto tra le due opere e due vedute di Canaletto databili intorno al 1722, delle quali la prima, rimasta a Venezia almeno fino agli anni quaranta del Settecento, è oggi conservata nella Alfred Taubmann Collection, New York, e la seconda presso il National Museum of Wales, Cardiff. Data la adesione anche cromatica ai modelli canalettiani, Charles Beddington ritiene possibile che si tratti di un autore vicino a Canaletto forse attivo già negli anni venti del Settecento (comunicazione dell'11 giugno 2021).
Bozena Anna Kowalczyk, dopo un accurato esame dal vero, ha dedicato alle opere una complessa scheda critica (riprodotta qui a seguire), che ne ricostruisce il rapporto con i modelli di Canaletto e ne ipotizza l'autore in un raro vedutista suo allievo, Giuseppe Moretti.
Siamo grati a Charles Beddington, Bozena Anna Kowalczyk e Giuseppe Pavanello per il supporto dato alla catalogazione delle opere.
Scheda critica
Queste due ampie vedute di Venezia [n.d.r. lotti 18-19], eseguite ad affresco, sono un unicum nella storia del vedutismo veneziano del Settecento. Le composizioni seguono le tele giovanili di Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto (1697-1768), eseguite nel 1722-1723, raffigurando le architetture riprese dagli stessi punti di vista, riportando le stesse imbarcazioni e le figure, ma adottando la tecnica del Canaletto maturo, dei decenni successivi. La conoscenza diretta degli originali e nello stesso tempo delle opere più tarde di Canaletto induce a credere l’autore appartenente alla sua stretta cerchia, forse collaboratore nello studio. La Torre dell’Orologio nel Bacino di San Marco dalla Giudecca, Venezia, si presenta completa di secondo piano, indicando una data posteriore ai lavori di sistemazione e rimodernamento intrapresi secondo il progetto dell’architetto Giorgio Massari nel 1755. Il termine ante quem è il 1787, quando inizia la dispersione delle opere di Canaletto.
"Il Canal Grande con la Chiesa della Salute, Venezia" riprende il dipinto di Canaletto, ora nella collezione Alfred Taubmann, New York, documentato dal 1765 al 1783 nella casa di Giovanni Berzi a Padova, dove era pervenuto da Venezia probabilmente poco prima del 1760, assieme ad altre tele della stessa serie eseguita nel 1722-1723 per il pittore veneziano Antonio Pellegrini e ereditata dalla moglie, Angela Carriera (m. 1760), sorella della celebre pittrice pastellista Rosalba (nota 1); attorno al 1787 viene acquistato da John Strange (1732-1799), residente britannico a Venezia che lo mette in vendita all’incanto il 10 dicembre 1789 a 125 Pall Mall a Londra (lotto 71).
È una delle vedute giovanili di Canaletto più copiate da altri vedutisti veneziani: è nota la replica in dimensioni molto vicine eseguita nel 1745 circa dal nipote di Canaletto, Pietro Bellotti (1725-1800 circa), pittore vedutista che dal 1748 è attivo in Francia (nota 2). Un’altra copia, considerata a lungo di Canaletto, appartiene alle collezioni reali britanniche (nota 3), anch’essa, come il dipinto di Bellotti, ha come pendant la replica di un’altra tela della collezione Pellegrini, "San Cristoforo, San Michele e Murano dalle Fondamenta Nuove", ora al Museum of Art di Dallas (nota 4).
In un formato decisamente orizzontale, nelle dimensioni doppie in larghezza rispetto all’originale (che misura 110,5 x 137,8 cm), l’autore delle opere qui in esame gestisce con padronanza
l’impostazione prospettica, apportando lievi modifiche all’angolazione degli edifici sul Canal Grande, in particolare dei palazzi Gritti e Flangini Fini sulla curva del canale a sinistra; allarga anche la visuale, a sinistra solo leggermente, a destra inserisce una ampia porzione di un palazzo gotico, non presente in Canaletto. L’accurata descrizione dei dettagli architettonici non rilevati da Canaletto, della facciata del palazzo Corner della Ca’ Grande che inquadra la veduta a sinistra, della Basilica stessa, con le sculture che coronano il timpano e le volute, indica uno studio sul luogo, ma la Basilica rimane raffigurata, come in Canaletto, senza la cupola laterale e le torrette.
La storia del dipinto di Canaletto, "Il Bacino di San Marco dalla Giudecca, Venezia", ora al National Museum & Galleries of Walles, Cardiff (nota 5) non è documentata fino alla sua apparizione da Agnew a Londra nel 1956 e l’acquisto di poco successivo dal museo britannico. Chi scrive ha ipotizzato che anche questo dipinto fosse appartenuto alla collezione del pittore rococò Pellegrini; la presente coppia di repliche è una forte conferma della conservazione dei modelli di Canaletto nello stesso luogo. Come nel pendant, anche in questa veduta del Bacino di San Marco, l’autore apporta modifiche alla composizione, estendendo la visuale a destra e a sinistra, eliminando lo spigolo del palazzo al margine destro, conferendo una maggiore importanza al profilo delle montagne all’orizzonte. I colori delle vesti delle figure e le fogge delle barche con le loro vele bianche seguono il dipinto di Canaletto ma la conoscenza diretta a una data abbastanza precoce della tela presa a modello è indicata soprattutto dalla presenza del sandalo con il barcaiolo vicino alla gondola all’attracco e di un'altra figura, più a sinistra: gli stessi dettagli facevano parte del dipinto di Cardiff ma solo i recenti restauri e le indagini a raggi X e ad infrarosso li evidenziano sotto le ridipinture (nota 6), conferendo alla presente opera un’ulteriore interesse come documentazione.
Tra i pittori veneziani che nella seconda metà del Settecento copiavano o imitavano le opere di Canaletto si distingue Giuseppe Moretti, uno dei pochi pittori veneziani dell’epoca di cui non si hanno precisi dati anagrafici e un’immagine complessiva del suo operare. L’unico periodo documentato sono gli anni Settanta, quando, tra il 1776 e il 1780, in una nota a un suo dipinto, "Capriccio con il Castel Sant’Angelo", parte della collezione di Francesco Algarotti (oggi nella Galleria Nazionale di Parma) (nota 7), Giovanni Antonio Selva (1851-1819) lo definisce «Veneziano vivente» e aggiunge che «ha perfettamente imitata la maniera di Canaletto» (nota 8).
Nonostante l’attribuzione di Selva, il capriccio di Algarotti verrà considerato di Canaletto fino ai tempi più recenti, come anche le copie dei quattro dipinti eseguiti secondo Canaletto per il mercante berlinese Sigismund Streit, oggi alla Gemäldegalerie, di Berlino (nota 9) e la replica della celebre Prospettiva con portico delle Gallerie dell’Accademia, conservata a Ca’ Rezzonico (nota 10). «Moretti is nearer to Canaletto in his drawing than any other painter…» (nota 11) . L’8 dicembre 1776 viene eletto accademico e professore dell’Accademia di pittura e scultura di Venezia, con l’approvazione del suo saggio di bravura, "Capriccio architettonico" che verrà esposto in Piazza San Marco alla fiera della Sensa del 1777 (nota 12).
Un suo dipinto figura nell’inventario di Girolamo Manfrin (1742-1802), steso da Pietro Edwards (1744-1821), ispettore generale delle collezioni pubbliche veneziane (nota 13); lo ricorda Antonio Canova in una lettera al padre Tonioli del 21 gennaio 1804, ricercando le sue vedute di Venezia alla pari di quelle di Canaletto e Guardi (nota 14).
W. G. Constable, il primo grande studioso di Canaletto, considerando la sua conoscenza dei procedimenti di Canaletto, riconosciuta già dai contemporanei, lo crede allievo e forse collaboratore del Maestro. Giuseppe Moretti è anche unico vedutista-prospettico a sperimentare la tecnica dell’affresco - nel 1780 lo vediamo nel ruolo di quadraturista della volta della navata nella chiesa di San Tomà a Venezia, in fianco a Jacopo Guarana (nota 15) - potrebbe essere lui l’autore delle due opere qui in esame, come sembrano confermare anche le sagome squadrate delle figure.
L’ultima notizia su Giuseppe Moretti risale al 24 maggio 1784, quando l’artista partecipa all’adunanza della congregazione dell’Accademia di pittura e scultura di Venezia.
Bozena Anna Kowalczyk
Note
1 G. B. Rossetti, "Descrizione delle Pitture, Sculture ed Architetture di Padova. Con alcune osservazioni intorno ad esse, ed altre curiose notizie. Edizione seconda, accresciuta, e migliorata", Padova 1776; B. A. Kowalczyk, "La collezione Pellegrini", in "Canaletto prima maniera", catalogo della mostra a cura di B. A. Kowalczyk (Venezia, Fondazione Giorgio Cini), Milano 2001, pp. 101-103 e 110-111, n. 41.
2 F. B. Watson, "Venetian Paintings at the Royal Academy 1954-55", in "Arte Veneta, IX", 1955, p. 261; C. Beddington, in "Pietro Bellotti: un altro Canaletto", catalogo della mostra a cura di C. Beddington, D. Crivellari (Venezia, Ca’ Rezzonico), Verona 2014, pp. 61-62, ill. p. 73.
3 W. G. Constable, Canaletto. "Giovanni Antonio Canal 1697-1768", seconda edizione rivista e ampliata da J. G. Links, Oxford 1989, I, tav. 38; II, pp. 271-272; M. Levey, "The Later Italian Pictures in the Collection of Her Majesty the Queen", seconda edizione, Cambridge 1991, p. 50, n. 420, fig. 67 (“after Canaletto”).
4 W. G. Constable, "Canaletto…" cit., II, p. 176, n. 365 (b); B. A. Kowalczyk, in "Canaletto prima maniera…" cit., pp. 108-109, n. 40 (originale del Museum of Art, Dallas); M. Levey, "The Later Italian Pictures…" cit., pp. 49-50, n. 419, fig. 66 (copia).
5 W. G. Constable, "Canaletto…" cit., I, tav. 33; II, p. 255, n. 143; B. A. Kowalczyk, in "Canaletto prima maniera…" cit., pp. 112-115, n. 42; B. A. Kowalczyk, in "Canaletto et Guardi: les deux maîtres de Venise", catalogo della mostra a cura di B. A. Kowalczyk (Parigi, Musée Jacquemart-André), Bruxelles 2012, pp. 70-71, n. 5.
6 B. A. Kowalczyk, in "Canaletto et Guardi…" cit., foto a raggi X a p. 70.
7 Parma, Galleria Nazionale, inv. 283.
8 "Catalogo dei quadri, dei disegni e dei libri che trattano dell’arte del disegno della Galleria del fu Sig. Conte Algarotti in Venezia" [s.n., s.l., s.d., ma G. A. Selva, "Venezia, tra 1776-1780"], pp. XV-XVI.
9 Berlino, "Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie, Leihgabe der Streitschen Stiftung"; W. G. Constable, "Canaletto…" cit., I, tavv. 50, 55, 66; II, pp. 306-308, 328-329, 371-373, nn. 242, 282, 359 e 360 (Canaletto); le opere di Moretti si trovano in varie collezioni private.
10 T. Pignatti, "Il Museo Correr di Venezia. Dipinti del XVII e XVIII Secolo", Venezia 1960, p. 35 (inv. 1903), foto
a p. 34.
11 W. G. Constable, "Canaletto…" cit., II, p. 165.
12 S. Moschini Marconi, "Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte dei secoli XVII, XVIII, XIX", Roma, 1970, pp. 60- 61, inv. 486.
13 G. Pavanello, "Gli inventari di Pietro Edwards nella Biblioteca del Seminario Patriarcale di Venezia", Verona, 2006, p. 80.
14 G. Pavanello, "Canova collezionista di Tiepolo", [Mariano del Friuli], 1996, p. 17 e 67, nota 13.
15 S. Guerriero, "Jacopo e Vincenzo Guarana nella chiesa di San Tomà", in "Arte Veneta", 53, 1998, pp. 157 e 159. -
Lotto 20 Italia (II metà del XX secolo)
Gruppo di quattro poltrone
Legno intagliato e antichizzato; cuoio per seduta e schienale fissati con borchie in metallo
98 x 69,3 x 71 cm
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lotto 21 Archimede Seguso (1909 - 1999), Vetreria
Applique
Vetro soffiato di Murano, metallo, parti elettriche
49 x 37,5 x 18,4 cm
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95%
«Nasce alla fine degli anni Trenta, questo tipo di illuminazione moderna molto sostanzioso, scultoreo, sferometrico. Ebbe molto favore negli anni '40 e '50. La minore dimensione rende questa applique più sobria» (Rosa Barovier Mentasti, comunicazione orale del 24 novembre 2020).
Nota bene: l'oggetto va ritirato a cura e spese dell'acquirente, incluso smontaggio dalla rete elettrica, presso Villa Spineda Gasparini Loredan, Venegazzù (Volpago del Montello). -
Lotto 22 Giuseppe Latini, detto il Maestro del Ricciolo (1903 - 1972)
Veduta di piazza San Marco
Inchiostro a penna e a lavis su carta
18,4 x 27,1 cm
Firma: al recto, iscrizione a guisa di firma non identificata
Altre iscrizioni: al recto, in alto a sinistra, iscrizione "LRS"
Elementi distintivi: Siglato «LRS»; firmato
Provenienza: Felix Semyonov, New York - Roma
Stato di conservazione. Supporto: 80% (due punti in adesione al supporto)
Stato di conservazione. Superficie: 90% -
Lotto 23 Persia nord occidentale (II metà del XX secolo)
Tappeto Tabriz
Vello in lana su armatura in cotone con noto simmetrico
402 x 310 cm
Elementi distintivi: Etichetta della Galleria Martinazzo, Montebelluna
Provenienza: Galleria Martinazzo, Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 80%
Stato di conservazione. Superficie: 60% (usura, soprattutto nella parte centrale)
Impianto con medaglione centrale lobato, in rosso su fondo blu riccamente decorato con motivi di palmette, nastri di nuvole e elementi floreali di grandi dimensioni. -
Lotto 24 Friuli (II quarto del XVIII secolo)
Tavolo a muro
Legno di ciliegio italiano; piano con supporto in abete e impiallacciatura in noce e radica di noce
83,6 x 203,5 x 73,3 cm
Elementi distintivi: principalmente sotto il piano, incisi battuti a secco e in colore "C" e "R" intorno ad una corona, "5107" "Z045" (?) "F" "F 3050 75" (con il "4" ribattuto in "5"), "A25650" "A25650"; etichetta "9906 26"
Provenienza: Galleria d'arte Cesaro, Padova, 2012; Veneto Banca SpA in LCA
Certificati: certificato emesso dalla Galleria Arte Cesaro, Padova, il 9 marzo 2012
Stato di conservazione. Supporto: 60% (fratture e integrazioni in particolare alle assi trasversali del piano)
Stato di conservazione. Superficie: 60% (asporto della laccatura nella parte ad intaglio; fratture della impiallacciatura dovute alla tecnica di realizzazione del supporto; macchia circolare sul piano)