Dipinti Antichi
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Lotto 98 Scuola emiliana, sec. XVII
CRISTO SORRETTO DA UN ANGELO
olio su tela, cm 53x72,5
probabile trasporto da tavola con vaste ridipinture di epoca posteriore sul fondo
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Lotto 99 Giovanni Domenico Ferretti
(Firenze 1692-1768)
CRISTO E LA CANANEA
olio su tela, grisaille cm 63x50
Provenienza: già collezione Lancelotti, Bologna
Bibliografia: F. Baldassari, Giovanni Domenico Ferretti, Milano 2002, p.151 n.64 ill. (con bibliografia precedente Thiem 1990, pp. 14-15, fig. 3; Benati 2001, p. 27, nota 15)
L’opera, come indicato da Francesca Baldassari, deriva da un bozzetto di analogo soggetto di Giovan Gioseffo Dal Sole, Metropolitan Museum, New York e resa nota, su segnalazione di Angelo Mazza da Christel Thiem (1990) che la riferiva a Felice Torelli. L’attribuzione al giovane Ferretti espressa dalla Baldassari è condivisa da Daniele Benati in un suo contributo del 2001.
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Lotto 100 Cerchia di Francesco Solimena, sec. XVIII
SANT’ANTONIO
olio su tela ovale, cm 100,5x75,5 senza cornice
alcuni danni e margini ridotti
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Lotto 101 Camillo Ciai
(attivo a Lucca nella seconda metà del Seicento)
SANT’ANTONIO CON BAMBINO
olio su tela, cm 53x39
Corredato da parere scritto di Paola Betti, 28 gennaio 2011, Lucca
Il pittore, di origini fiorentine si trasferì attorno alla metà del Seicento a Lucca dove fu in contatto con altri artisti anch’essi fiorentini come Gaspare Mannucci e Giovan Domenico Ferrucci. Per il dipinto, accostabile al Riposo durante la Fuga in Egitto, chiesa di San Romano, Lucca (1664) la studiosa propone una datazione agli anni sessanta del Seicento.
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Lotto 102 Scuola bolognese, secc. XVII-XVIII
MADDALENA
olio su tela cm 57x44
sul retro nella tela di rintelo varie iscrizioni e numero d’inventario
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Lotto 103 Scuola veneta, sec. XVII
VERGINE CON BAMBINO TRA I SANTI FRANCESCO E ANTONIO DA PADOVA
olio su tela, cm 79,5x70 senza cornice
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Lotto 104 Elisabetta Sirani
(Bologna 1638-1665)
SACRA FAMIGLIA
olio su tela, cm 62x49 entro cornice coeva riccamente intagliata e dorata
firmato e datato “ELISA.TA SIRANI F. 166[..]”
Il soggetto altre volte ripetuto e la data imperfettamente leggibile di questo inedito dipinto, prezioso oggetto di devozione privata, non consentono un riscontro certo con le opere elencate nella Nota delle pitture fatte… dal 1655 compilata da Elisabetta Sirani e pubblicata da Carlo Cesare Malvasia in appendice alla biografia della celebre pittrice bolognese (Felsina Pittrice, II, Bologna 1678, pp.467-476).
Numerosi confronti di ordine stilistico e compositivo suggeriscono tuttavia di collocare la tela nella prima metà degli anni Sessanta quando l’artista, ormai così celebre da essere riconosciuta tra le principali attrazioni della vita culturale bolognese, registrava le opere eseguite per i committenti più importanti ma non quelle donate per amicizia o vendute al di fuori dell’attività organizzata dello studio. Numerose tra queste ultime le opere di devozione privata, talvolta rielaborazioni in piccolo di composizioni documentate. Il nostro dipinto propone ad esempio, con l’aggiunta della figura di San Giuseppe, il tema della Madonna della colomba, noto in un esemplare del 1663 (Isola Bella, collezione Borromeo) di documentata provenienza bolognese, registrato nella Nota come eseguito “per M. Agostino merciaio alle Scuole” e probabilmente replicato in un esemplare diverso oggi non rintracciato che nel 1713 è documentato a Roma nella collezione di Giovan Battista Rospigliosi.
Altri motivi di confronto, ancor più stringenti sotto il profilo stilistico, sono invece da istituirsi con la cosiddetta Madonna della pera, del 1664 (Faenza, Pinacoteca Comunale) e con la tela compagna raffigurante San Giuseppe col Bambino, ove il santo ripete in controparte il modello del nostro (entrambi riprodotti da Adelina Modestini, Elisabetta Sirani. Una virtuosa del Seicento bolognese, Bologna 2004, pp. 58-59, figg. 24-25).
Entrambe le tele citate offrono infatti, oltre a precisi confronti tipologici e compositivi, l’accentuazione delle ombre e la saturazione dei colori che ritroviamo nel nostro dipinto e che nei primi anni Sessanta caratterizza lo stile della Sirani, poi indotta dal padre a recuperare la gamma chiara e smaltata della sua prima attività.
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Lotto 105 Scuola francese, sec. XVIII
MINERVA E L’INVIDIA
olio su tela, cm 35x27
sul retro etichette relative al soggetto e ad un vecchio riferimento di attribuzione a Pierre Mignard (Troyes 1612-Parigi 1695)
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Lotto 106 Scuola veneto-emiliana, fine sec. XVII
MADONNA CON BAMBINO TRA SAN FRANCESCO, SAN GIOVANNI BATTISTA E DUE ANGELI
olio su tela, cm 107x130
restauri
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Lotto 107 Scuola emiliana, sec. XVII
LA MADONNA APPARE A SAN GAETANO
olio su tela, cm 131,5x99,5
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Lotto 108 Elisabetta Sirani
(Bologna 1638-1665)
CRISTO BENEDICENTE
olio su tela, cm 98x77
firmato e datato “ELISABETA/ SIRANI. F. 1658" a sinistra
sul retro del telaio vecchia etichetta relativa alla provenienza
Provenienza: collezione privata, Roma
“Una mezza figura d’un Salvatore per donare al mio maestro da Sonare”. Così Elisabetta registra il soggetto tra i quadri compiuti nel 1658 (Nota dei quadri…, in C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, Bologna 1678, p.468). Inedito e non replicato, unico per soggetto e composizione, il nostro dipinto potrebbe essere senz’altro l’opera qui menzionata, donata da Elisabetta al suo maestro, forse in cambio di quelle lezioni che la resero musicista provetta oltre che splendida pittrice. Sotto la stessa dicitura compaiono, negli anni successivi, la Musica (1659; collezione privata) e la Poesia (1660), entrambe replicate a differenza della nostra composizione, fin qui considerata perduta. Si veda, per le opere citate, Elisabetta Sirani “pittrice eroina” 1638-1665. Catalogo della mostra a cura di Jadranka Bentini e Vera Fortunati, Bologna 2004, pp. 229-30, n. 83.
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Lotto 109 Stefano Maria Legnani detto il Legnanino
(Milano 1661-1713)
CRISTO NELL’ORTO DEL GETSEMANI
olio su tela, cm 172x93,5
Il dipinto è corredato da parere scritto di Alessandro Agresti, Roma 14 novembre 2012
Come indicato nel contributo dello studioso il dipinto qui presentato viene collocato cronologicamente nell'ultima parte della carriera del Legnanino (tra il 1703 e il 1713), ovvero subito dopo gli affreschi torinesi. L'artista, di formazione lombarda e considerato protagonista del tardo-barocco milanese, effettuò un soggiorno a Bologna (1683-1685) durante il quale entrò a far parte della bottega di Marcantonio Franceschini, sviluppando un interesse per il classicismo emiliano e mostrando altresì influssi della cultura artistica romana. La parte più importante della sua carriera si svolse a Torino dove eseguì le opere di maggiore impegno e respiro come gli affreschi a soggetto mitologico di Palazzo Carignano (1697-1703) ritenuti il suo capolavoro.
Questo Cristo nell'orto del Getsemani "nella calcolata impaginazione per diagonali delle figure, nell'atmosfera quieta e raccolta che le circonda […] chiama lo spettatore al raccoglimento, al silenzio. Puntuali confronti, non che la qualità elevatissima di alcuni brani, accertano l'autografia del dipinto. Il volto dell'angelo dal contorno curvilineo, dalle proporzioni leggermente allungate, idealizzato al limite dell'astrazione, con le labbra affusolate e le palpebre socchiuse, è un leitmotiv della produzione del nostro artista, anche nella tipologia adottata per le figure femminili". Lo studioso mette in evidenza affinità stilistiche e fisionomiche con numerose opere dell'artista tra le quali citiamo una Maddalena di collezione privata, similare sia nell'uso della luce sia nel modo di eseguire le chiome, soffici e vaporose, e le Tre Marie al sepolcro di collezione privata (entrambe eseguite attorno al 1700) confrontabile per l'esecuzione delle ali cangianti e del panneggio dell'angelo.
Bibliografia di riferimento: M. Dell'Omo, Il Legnanino, Bologna 1998
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Lotto 110 Pittore olandese, sec. XVII
RE DAVID SUONA L’ARPA A SAUL
olio su rame, cm 38,5x24 montato su base in plexiglas
al recto iscrizione in basso a sinistra in parte perduta; sul retro lettere a pennello “C. J. W.”
Il dipinto riprende da esempi pittorici di Rembrandt
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Lotto 111 Scuola Italia settentrionale, sec. XVII
ADORAZIONE DEI MAGI
olio su tela, cm 114x93,5 senza cornice
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Lotto 112 Pittore lombardo, sec. XVII
ESTASI DI SAN CARLO BORROMEO
olio su tela, cm 77x59
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Lotto 113 Scuola emiliana, sec. XVII
ADORAZIONE DEI PASTORI
olio su tela, cm 109,5x82,5
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Lotto 114 Scuola romana, sec. XVII
INCREDULITÀ DI SAN TOMMASO
olio su tela, cm 185x118
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Lotto 115 Mattia Bolognini
(Montevarchi, Arezzo 1605-Siena 1667)
GIUSEPPE VENDUTO DAI FRATELLI
olio su tela, cm 109x130
Provenienza: collezione privata, Trequanda (Siena)
Bibliografia: M. Ciampolini, Pittori senesi del Seicento, vol. 1, pp. 32-33, 37 tav. 31
L’opera qui proposta, proveniente da una collezione storica senese e pubblicata nel recente repertorio dei pittori senesi del Seicento di Marco Ciampolini, è da riferirsi a Mattia Bolognini, pittore originario di Montevarchi probabilmente formatosi a Firenze presso Giovanni Mannozzi detto Giovanni da San Giovanni. Documentato a Siena dal 1636, Bolognini dimostra nella sua produzione un continuo confronto con le opere di Bernardino Mei, dal quale riprende la fluidità formale e talune citazioni di cruda realtà, senza dimenticare gli insegnamenti ricevuti durante la sua formazione. Tale cultura si ritrova nel nostro dipinto raffigurante Giuseppe venduto dai fratelli “dello stesso gusto tra Giovanni da San Giovanni, Tornioli e Mei con figure che rammentano il giovane Livio Mehus”. Si tratta di un'opera stilisticamente affine al Sant’Antonio da Padova attacca la gamba tagliata di San Clemente a Pelago, firmata e datata 1647. In tale capacità di riuscire a dialogare con la scuola fiorentina e nel perpetuare gli insegnamenti di Bernardino Mei va quindi rintracciata l’importanza del pittore.
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Lotto 116 Pittore caravaggesco, sec. XVII
IL TEMPO TAGLIA LE ALI AD AMORE
olio su tela, cm 97x131,5
in prima tela entro cornice coeva a foglia d’oro
Provenienza: già collezione Adriano Sani, Siena;
collezione privata, Trequanda (Siena)
Il dipinto, proveniente dalla collezione Sani, risulta citato nell’inventario settecentesco come “Un quadro col Tempo che leva le penne dalle ali d’Amore di Raffael Vanni” (ASS, Curia del Placito 313, inv. per l’eredità di Adriano Sani, 24 marzo 1729, c.66, n.18; l’inventario è inoltre pubblicato online sul Getty Provenance Index, Archivial document, I-1818). La collezione Sani era una delle più cospicue nella Siena settecentesca, come si può ricavare dal sopracitato inventario. Si ricorda l’offerta nel 1778 di settanta quadri della collezione al granduca Pietro Leopoldo (ASS, Governatore 867, ins. 57), la cui notizia fu pubblicata da Narciso Mengozzi, Il Monte dei Paschi di Siena e le aziende in esso riunite, VI. I due Monti durante il Granducato di Piero Leopoldo, Siena 1900, p. 441). Alcuni dipinti provenienti dalla collezione senese sono attualmente conservati presso i musei fiorentini, come la Natività della Vergine di Giovan Battista Ramacciotti, Galleria degli Uffizi (cfr: M. Ciampolini, Pittori Senesi del Seicento, Siena 2010, p. 644).
Sebbene il dipinto nell'inventario settecentesco sia stato riferito a Raffaello Vanni è da escludere un'attribuzione al pittore senese. L'opera, non di facile attribuzione, mostra elementi caravaggeschi in particolare nell'uso della luce e nella resa di dettagli dal vero e per taluni aspetti stilistici e formali sembra riconducibile all'ambiente artistico tra Roma e Napoli. Il particolare soggetto raffigurato, non particolarmente frequente, è denso di significati relativi alla caducità della vita e alla precarietà dell'amore. Tale rappresentazione si ispira al motto virgiliano "Omnia vincit Amor, vincit mox tempus Amorem", riportato a margine di una incisione di François Perrier raffigurante Il Tempo taglia le ali a Cupido (di cui è nota una stampa conservata presso il British Museum di Londra). Del medesimo soggetto sono inoltre noti i dipinti di Antoon van Dyck (Museo Jacquemart-Andrè, Parigi), di Pierre Mignard e di Angelica Kauffmann (Sotheby's Londra, 10 luglio 1996, lotto 93) che tuttavia seguono piuttosto la diversa composizione dell'incisione che si sviluppa in verticale e in cui il Tempo, raffigurato seduto come un uomo barbuto e muscoloso, trattiene Amore sulle ginocchia nel momento in cui si appresta a tagliargli le ali. Diversamente il nostro dipinto ha uno sviluppo orizzontale e il giovane Amore viene sovrastato dal Tempo.
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Lotto 117 Pittore veneto, sec. XVII
SALOMÈ CON LA TESTA DEL BATTISTA
olio su tela, cm 132x98, senza cornice
sul retro del telaio reca iscrizione “Da Paolo Veronese”
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Lotto 118 Attribuito a Giandomenico Cignaroli
(Verona 1722-1793)
MADDALENA PENITENTE
olio su tela, cm 56,5x92
firmato “CIGNAROLI. F.”
Provenienza: collezione privata, Cremona
Bibliografia: A. Puerari, Mostra di antiche pitture dal XIV al XIX secolo, catalogo della mostra di Cremona, Museo Civico, Cremona 1948, p. 80, fig. 51; F. R. Pesenti, Giambettino Cignaroli, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXV, Roma 1981, p. 496; S. J. Warma, The paintings of Giambettino Cignaroli (1706-1770), Athens, University of Georgia 1988, p. 244
L'attribuzione è stata espressa con parere orale da Andrea Tomezzoli.
Il dipinto fu esposto nella mostra di Cremona curata da Alfredo Puerari nel 1948 con un riferimento di attribuzione a Giambettino Cignaroli, insieme al pendant raffigurante San Gerolamo entrambi provenienti da una collezione privata cremonese. Tale attribuzione non viene tuttavia accolta nella più recente monografia del pittore a cura di Susanne J. Warma, in cui viene citata tra i dipinti espunti dal catalogo dell'artista. La proposta attributiva di Tomezzoli a favore del fratello Giandomenico trova significative conferme nei confronti stilistici tra il presente dipinto e le opere documentate del pittore.
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Lotto 119 Pittore caravaggesco, sec. XVII
SANT’ANDREA
olio su tela, cm 67,5x50,5
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Lotto 120 Attribuito a Girolamo Forabosco
(Venezia 1605-Padova 1679)
IL SACRIFICIO D'ISACCO
olio su tela, cm 173x122
Provenienza: probabilmente già collezione Orsetti, Lucca;
collezione privata Cittadella, Lucca
L’opera compare nell’inventario per successione ereditaria della famiglia Cittadella, insieme ad opere d’importanti artisti fra le quali alcune tele di Pietro Paolini, redatto ai primi dell’Ottocento dai pittori lucchesi Pietro Nocchi, Raffaele Giovanetti e Michele Ridolfi con la seguente descrizione: “Il Sacrificio di Abramo Del Palma vecchio 25/ 50 zecchini”
Il dipinto è corredato da parere scritto di Patrizia Giusti Maccari, Lucca, 3 giugno 2007
“L'attribuzione a Girolamo Forabosco di questo Sacrificio di Isacco, formulata nella prima metà dell'Ottocento da Pietro Nocchi, Raffaele Giovannetti e Michele Ridolfi, per quanto poi rivelatasi imprecisa in riferimento all'identità del suo autore e alla cronologia d'esecuzione, non risulta del tutto fuorviante, costituendo, anzi, un punto di riferimento importante per la definizione della sua corretta paternità. […]
Il dipinto è da intendersi come significativa e qualificante espressione di quella corrente pittorica che a Venezia, nella prima metà del Seicento, riscopre e ripropone formule, cifre compositive e tonalità cromatiche cinquecentesche, ponendosi in alternativa a quella cosiddetta ‘tenebrosa’, frutto dell’ondata naturalistica, postcaravaggesca irradiatasi da Roma. Uno dei più qualificati interpreti di tale corrente, volutamente arcaizzante, risulta essere Girolamo Forabosco (Venezia 1605-Padova 1679), cui deve essere assegnato il dipinto qui in esame. […] -
Lotto 121 Scuola bolognese, sec. XVII
GIAELE E SISARA
olio su tela, cm 119x100
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Lotto 122 Bottega di Francesco Ruschi, sec. XVII
CORNELIA PRESENTA I SUOI FIGLI TIBERIO E GAIO SEMPRONIO GRACCO A UNA MATRONA CHE LE AVEVA MOSTRATO I SUOI GIOIELLI
olio su tela, cm 155x131,5
Dall’esemplare di Ruschi, già collezione Scarpa, Venezia
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Lotto 123 Pittore alla corte di Rodolfo II di Praga, primo decennio sec. XVII
PSICHE SCOPRE L'IDENTITÀ DI AMORE
olio su tela, cm 201x257
Corredato da attestato di libera circolazione
Il dipinto narra la storia di Psiche e Amore, come tramandata da Apuleio nelle sue Metamorfosi. In particolare viene raffigurato il momento in cui Psiche, verificando la vera identità del suo amante, fa cadere una goccia di olio caldo dalla sua lucerna sul viso di Amore, il quale svegliandosi "si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa".
L'affascinante tela qui proposta, di grande effetto scenografico denota aspetti riconducibili alla cultura artistica italiana (veneto-emiliana) particolarmente ravvisabili nel sensuale nudo di Psiche, al contempo reso con forte plasticismo, e nella figura di Amore, memore degli esempi del manierismo fiorentino. Il brano poetico, in secondo piano, con figure danzanti dinanzi ad una finestra aperta su uno scorcio di cielo notturno con uno spicchio di luna, ricorda altresì alcuni esempi della cultura emiliana.
A questi elementi si aggiungono evidenti richiami stilistici con l'ambiente artistico rudolfino che a seguito del trasferimento a Praga nel 1583, divenne un fervente centro culturale grazie agli interessi di Rodolfo II che aveva dato vita alla Camera delle meraviglie più grande del suo tempo ricca di curiosità, opere d'arte e oggetti tra i più disparati.
Si riscontrano infatti affinità tra il nostro dipinto e le composizioni e figure femminili dei tre maggiori protagonisti della corte quali Barthlomeus Spranger (Anversa 1546-Praga 1611), Joseph Heintz il Vecchio (Basilea, 1564-Praga, 1609) e Hans von Aachen (Colonia 1552-Praga 1615) .
Le eleganti contorsioni tardomanieriste delle figure femminili ritornano spesso nei dipinti di Spranger, si ricorda a questo proposito Ercole e Onfale del Kunsthistorisches Museum di Vienna, Venere e Bacco della Niedersächsische Landesgalerie di Hannover e la Diana del Museo di belle arti di Budapest: tutti i quadri illustrati nel catalogo della mostra Prag um 1600:. Kunst und Kultur am Hofe Rudolfs II., Essen 1988, cat. 154, 157, 160).
Ulteriori affinità sono ravvisabili con il dipinto del medesimo soggetto di Joseph Heintz il Vecchio, conservato presso la Deutsche Barockgalerie di Augsburgo databile al primo decennio del Seicento e con il Pan e Selene di Hans von Aachen di collezione privata (datata 1605) sia per la composizione sia per il gioco di luci e ombre che disvelano i nudi e conferiscono anche al nostro dipinto un aspetto teatrale e allusivo.
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Lotto 124 Attribuiti ad Alessandro Magnasco e Clemente Spera, secc. XVII-XVIII
PAESAGGI CON ROVINE CLASSICHE E FIGURE
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 123x207 ciascuno
(2)
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Lotto 125 Pieter Mulier detto il Cavalier Tempesta
(Haarlem 1637-Milano 1701)
PAESAGGIO CON PASTORELLA IN RIPOSO E ARMENTI
PAESAGGIO CON PASTORE E PASTORELLA CON ARMENTI
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 72,5x97 ciascuno
firma solo in parte leggibile sulle rocce a destra
(2)
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Lotto 126 Bartolomeo Bettera
(Bergamo 1639-documentato fino al 1688)
GLOBO TERRESTRE, STRUMENTI MUSICALI E SPARTITI SU UN PIANO COPERTO DA TAPPETO ORIENTALE
olio su tela, cm 118,5x156
Provenienza: già collezione Wertheimer, Parigi;
Mortimer Brandt, New York
Bibliografia: “The Art Journal” XXVI, 1966-67, 2 (riprodotto); M. Rosci, Baschenis, Bettera & Co. Produzione e mercato della natura morta del Seicento in Italia, Milano 1971, pp. 61, 63 nota 15, e 152, fig. 148; M. Rosci, Bartolomeo e Bonavenura Bettera. In I Pittori Bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Seicento, III, Bergamo 1985, p. 164, n. 19; p. 178, fig.1.
Pubblicato per la prima volta come opera di Evaristo Baschenis, il dipinto qui presentato è stato restituito a Bartolomeo Bettera da Marco Rosci, che per primo ha affrontato in maniera sistematica la distinzione tra i due maggiori protagonisti della natura morta bergamasca, esaminando la fortuna collezionistica delle loro invenzioni e la loro ripetizione nelle rispettive botteghe.
Oltre a tracciare un catalogo sostanzialmente attendibile dei due maestri, lo studioso ha distinto altresì le personalità minori del cosiddetto “Monogrammista BB” e di Bonaventura Bettera che ne divulgano temi e invenzioni volgarizzandole nella cosiddetta “maniera bergamasca”, non priva di tangenze con la scuola romana e in particolare con l’opera del Maltese e dei suoi seguaci.
Interessato a una descrizione quasi inventariale degli oggetti preziosi che compongono la “natura silente” (tra gli strumenti musicali del nostro dipinto si intravede uno scrigno) inquadrata da un ricco tendaggio a motivi dorati, Bartolomeo Bettera è ormai lontano dalle astratte geometrie spaziali di Evaristo Baschenis, rigorose e ardite nella loro essenzialità. Tipica di Bettera è poi la resa estremamente realistica della trama del tappeto orientale su cui posano gli strumenti; nella tela qui presentata i suoi riflessi rosati scaldano appena la dominante tra il grigio e il bruno della composizione, su cui si accende la raffinatissima cromia del globo terrestre in primo piano a sinistra.
Presumibilmente collocabile nella tarda attività del pittore bergamasco in considerazione dell’ascendente esercitato sulla produzione del figlio Bonaventura (in particolare sulla natura morta firmata per esteso a Mosca, Museo Pushkin e su quelle nei musei di Vienna e Lubiana che ad essa si legano), il nostro dipinto è accostato dal Rosci alle tele già nella raccolta Venino a Bosto di Varese, tra le migliori della sua maturità (M. Rosci, 1971, figg. 146 e 147). A queste si può aggiungere la coppia illustrata dallo studioso in collezione Festa a Vicenza (ibidem, figg. 151 e 152), confrontabile sotto il profilo iconografico e compositivo.
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Lotto 127 Carlo Manieri
(Taranto? documentato a Roma dal 1662 al 1700)
NATURA MORTA CON TAPPETO, CUSCINO, CHITARRA E SPADA
olio su tela, cm 82,5x110,5
Provenienza: già Galleria Giorgio Caretto, Torino
Bibliografia: M. Natale, La natura morta in Lombardia, in F. Porzio (a cura di), La natura morta in Italia, Milano 1989, I, pp. 210-211, fig. 236 p. 208 (come Anonimo pittore lombardo)
E’ piuttosto recente la riscoperta di Carlo Manieri, pittore di natura morta specializzato nella raffigurazione di sontuosi interni popolati da oggetti preziosi, tappeti e strumenti musicali, ma anche di fiori e frutta sullo sfondo di elaborate prospettive architettoniche. Attivo per le principali famiglie della Roma barocca dopo aver lavorato per un rivenditore di quadri, l’artista fu certo a capo di una bottega prolifica e ben organizzata, tale da soddisfare le richieste di una clientela sempre più propensa all’ostentazione del lusso, almeno dipinto.
La ricostruzione del suo imponente catalogo, come dei rapporti con altre personalità minori della scena romana attive nella stessa specialità, si deve alle ricerche di Ulisse e Gianluca Bocchi (Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Casalmaggiore 2005, pp. 525-576) che hanno accolto e sviluppato una proposta di Eduard Safarik. Già nel 1991 quest’ultimo aveva suggerito di riconoscere in una coppia di tele siglate “C.M.” e “C.M.F.” l’opera di Carlo Manieri, noto fino a quel momento quale autore di opere di tale soggetto descritte negli inventari di Filippo II Colonna (1714) e di Benedetto Pamphilj (1725) ma non rintracciate; altri dipinti di uguali caratteristiche recanti la medesima sigla si sono poi aggiunti al nucleo iniziale confermando questa ipotesi identificativa. Altre ricerche dei Bocchi su vari artisti minori documentati sulla scena romana quali Gian Domenico Valentino, ovvero il “Monogrammista G.D.V.” e Antonio Tibaldi, hanno suggerito di riportare a Roma, quale centro di produzione e non solo di scambio, una serie di opere che ricerche precedenti avevano invece collocato in area lombarda, alcune sotto l’etichetta della “bottega bergamasca” coniata per indicare una produzione vastissima e discontinua, in qualche modo legata agli esempi di Baschenis e dei Bettera ma aperta, per l’appunto, al gusto romano e in particolare alla produzione dell’allora misterioso Francesco Maltese.
E’ appunto il caso del nostro dipinto, pubblicato nel 1989 come opera di anonimo artista lombardo e ritenuto tra i gli esemplari più alti di questa tendenza. Sembra oggi opportuno restituirlo invece al catalogo di Carlo Manieri, di cui rappresenta a nostro avviso uno dei numeri più interessanti e più alti per qualità: straordinario è infatti il rigore compositivo con cui gli oggetti sono presentati, per una volta in numero ridotto ma non per questo meno opulenti; raffinatissimi gli accordi cromatici dei tessuti preziosi, restituiti con eccezionale maestria nei loro ricami e nelle pieghe pesanti. Un quadro, dunque, paragonabile ad analoghi dettagli presenti nelle opere migliori dell’artista romano tra quelle contraddistinte con la sua sigla.
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Lotto 128 Scuola olandese, fine sec. XVII-inizi XVIII
NATURE MORTE DI FRUTTA E CRISTALLI
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 53x40,5 ciascuno
(2)
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Lotto 129 Scuola emiliana, fine sec. XVII
NATURA MORTA CON VASSOIO DI FRUTTA E PIATTAIA SULLO SFONDO DI UN’ARCHITETTURA
olio su tela, cm 86x104,5
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Lotto 130 Scuola francese, fine sec. XVIII-inizi XIX
PIATTO IN CERAMICA CON CILIEGIE
olio su tela, cm 24x34,5 senza cornice
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Lotto 131 Scuola francese, sec. XIX
VASO DI FIORI CON INSETTO
VASO DI FIORI CON GRAPPOLO D'UVA
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 41x32,5 ciascuno, senza cornici
margini ridotti
(2)
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Lotto 132 Pittore fiammingo, fine sec. XVII-inizi XVIII
COMPOSIZIONE FLOREALE IN UN PAESAGGIO
olio su tela, cm 77x57,5
Il dipinto presenta affinità stilistiche con le opere di Karol van Vogelaer, detto Carlo de’ Fiori, pittore olandese attivo a Roma nella seconda metà del Seicento.
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Lotto 133 Baldassarre de Caro
(Napoli 1689-1750)
COMPOSIZIONI FLOREALI ENTRO VASI IN METALLO SBALZATO
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 65x44 ciascuno
monogrammati sul basamento “BDC”
(2)
Tra gli allievi di Andrea Belvedere Bernardo De Dominici ricorda anche Baldassarre De Caro che, prima di dedicarsi ai soggetti di cacciagione con cui incontrò il favore del pubblico napoletano, si distinse anche nella pittura di fiori emulando la freschezza e la maestria di Andrea. Quest’aspetto della sua attività, poco rilevante numericamente ma non certo minore, era illustrato finora dalla serie di quattro tele firmate e datate del 1715 conservate a Napoli, Villa Pignatelli, dalla raccolta del Banco di Napoli, e nella Pinacoteca Provinciale di Bari (cfr. D. Pagano, in Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli. Catalogo della mostra, Napoli 2009, pp. 438-49, con bibliografia precedente). A queste, da tempo note, si aggiungono oggi le tele qui offerte che ne ripropongono, simili anche nel formato e nella gamma cromatica, le raffinate caratteristiche e un medesimo repertorio floreale.
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Lotto 134 Seguace di David Teniers, fine sec. XVII-inizi XVIII
INTERNO D’OSTERIA CON BEVITORI
olio su tavola, cm 43x64,5
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Lotto 135 Cerchia di Antonio Tempesta, sec. XVII
LA CONVERSIONE DI PAOLO
olio su rame ovale, cm 23x30,5
al recto in basso numero 362 dipinto dell’inventario Barberini
alcune cadute di colore
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Lotto 136 Attribuito ad Orazio Farinati
(Verona 1559 circa-1616 circa)
MATILDE DI CANOSSA A CAVALLO
olio su tela, cm 108,5x91,5
al recto iscrizione in latino e numero 305 dell’inventario Barberini
Del dipinto è nota la versione eseguita nel 1587 circa da Paolo Farinati (Verona 1524-1606), padre di Orazio, conservata presso il Museo di Castelvecchio, Verona, modello per il dipinto di Orazio dell’Abbazia di Polirone, San Benedetto Po che costituisce pertanto un’altra versione del dipinto qui presentato.
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Lotto 137 Scuola italiana, seconda metà sec. XVIII
RITRATTO DEL PRINCIPE FRANCESCO BARBERINI E DELLE DUE SUE SORELLE
olio su tela, cm 50x62
sul retro della tela originale antica iscrizione a bistro “Ritratto del P.pe Francesco Barberini e delle due sue sorelle”
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Lotto 138 Pittore romano, sec. XVII
RITRATTO DI MAFFEO BARBERINI PRINCIPE DI PALESTRINA IN ARMATURA CON IL COLLARE DEL TOSON D’ORO
olio su tela, cm 221x150
al recto numero d’inventario 545 dipinto della collezione Barberini
Nell’importante dipinto qui presentato viene ritratto Maffeo Barberini (1631-1685), figlio di Taddeo Barberini ed Anna Colonna, nato a Roma il 19 agosto 1631 ed ivi morto l’11 novembre 1685. Quarto principe di Palestrina, duca di Montelibretti e di Monterotondo, marchese di Corese, signore di Capranica, sposò il 15 giugno 1653 Olimpia Giustiniani, da cui ebbe cinque figli: Costanza sposata Caetani, Camilla sposata Borromeo, Francesco divenuto cardinale, Urbano destinato a continuare la casata e Taddeo sposato Muti.
Maffeo Barberini, effigiato secondo i dettami del ritratto ufficiale a figura intera con una ricca armatura, sullo sfondo di un’architettura e di un paesaggio in lontananza, indossa il Toson d’oro, onorificenza ricevuta nel 1668. Tale elemento costituisce un utile termine post quem per la datazione della nostra opera, pertanto successiva al Ritratto del principe Maffeo Barberini eseguito da Carlo Maratta, conservato in collezione privata, in cui non viene rappresentata l’onorificenza. L’attenzione per la resa aulica dei dettagli e di una puntuale descrizione fisionomica ravvisabile nel nostro dipinto, come in quello eseguito da Maratta, dimostra lo sviluppo di una ritrattistica derivata da Ferdinand Voet (1639-1700 circa) divenuto specialista in tale genere molto in voga presso l’aristocrazia romana.
Il principe Barberini fu inoltre un importante mecenate: commissionò la costruzione della Chiesa di Santa Rosalia a Palestrina (inaugurata nel 1677) e nel 1653 riaprì il Teatro delle Quattro Fontane, dopo che era rimasto chiuso per più di dieci anni. Fu inoltre collezionista di opere d’arte, come molti membri della sua famiglia, e proprietario della raccolta di suo zio Antonio Barberini che comprendeva almeno tre dipinti di Caravaggio.
Bibliografia di riferimento: F. Petrucci, Il principe romano. Ritratti dell’aristocrazia pontificia nell’età barocca, catalogo della mostra, Museo nazionale di Castel Sant’Angelo, Roma 2007, n. XXVI p. 80
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Lotto 139 Scuola di Andrea de Lione, fine sec. XVII-inizi XVIII
SCENA DI BATTAGLIA
olio su tavola ovale, cm 34x53,5
sul retro della tavola assottigliata sigle “RU” incise
probabile trasporto da altro supporto
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Lotto 140 Scuola genovese, inizi sec. XVIII
QUATTRO FIGURE FEMMINILI ALLEGORICHE
olio su tela, cm 44,5x124
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Lotto 141 Scuola romana, fine sec. XVII
BATTAGLIA DI PONTE MILVIO
olio su tela, cm 170x270 senza cornice
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Lotto 142 Seguace di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, sec. XVII
L’INCREDULITÀ DI SAN TOMMASO
olio su tela, cm 95x140
Dall’esemplare di Caravaggio, Bildergalerie, Potsdam
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Lotto 143 Angelo Solimena
(Canale di Serino 1629-Nocera de’ Pagani 1716)
PIETÀ
olio su tela, cm 205x144
monogrammato “AS” e datato 16[..]6
Bibliografia: Angelo e Francesco Solimena, due culture a confronto, atti del convegno, a cura di Vega De Martini e Antonio Braca, Napoli 1994, p. 25 (il dipinto viene qui illustrato prima del restauro); S. Carotenuto, Pittori napoletani del Sei e Settecento nel territorio di Serino, Arte e territorio, a cura di Mario Alberto Pavone, Napoli 2008, tav. 8
Il dipinto qui presentato, riprodotto ma non citato nel volume di Simona Carotenuto (tav. 8), presenta strette affinità stilistiche con la Pietà della chiesa di San Bartolomeo a Nocera Superiore (1678), simile anche per impostazione compositiva, per l’uso di un cromatismo acceso e per il ricorrere di alcuni tipi fisionomici come ad esempio la figura della Maddalena.
Purtroppo non è possibile leggere chiaramente la data del nostro dipinto poiché l’iscrizione appare leggermente ripresa a seguito di antiche puliture eseguite sul dipinto.
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Lotto 144 Luca Giordano e bottega
(Napoli 1634-1705)
ERMINIA RITROVA TANCREDI FERITO
olio su tela, cm 151x185,5
Corredato da parere scritto di Stefano Causa
"Il dipinto raffigura un episodio tratto dall’ultima parte della Gerusalemme Liberata (Canto XIX, 103-114). -
Lotto 145 Scuola napoletana, sec. XVII
RIPOSO DALLA FUGA IN EGITTO
olio su tela, cm 58,5x72,5, senza cornice