ASTA 110 - DIPINTI E DISEGNI DAL XV AL XIX SECOLO
-
Lot 217 GIOVANNI GHISOLFI (Milano, 1609 ca. - 1661), ATTRIBUITO
Capriccio architettonico con figure, ruderi classici e arco di Tito sullo sfondo
Olio su tela, cm. 100,8x137,5. Con cornice -
Lot 218 PITTORE CARAVAGGESCO OLANDESE O FIAMMINGO, PRIMO QUARTO DEL XVII SECOLO
San Matteo e l'Angelo
Olio su tela, cm. 86,5x73,3. Con cornice
Il dipinto presenta una chiara dipendenza dall’esempio del San Matteo e l’angelo di Caravaggio in San Luigi dei Francesi, tanto della sua prima versione, nella testa del santo, quanto della seconda, nelle mani e nel libro. Il dipinto sembra avvicinabile sotto il profilo dello stile e della materia pittorica alla corrente neerlandese del caravaggismo romano, da Honthorst a Baburen. Confronti interessanti possono essere istituiti con opere di David de Haen, pittore olandese attivo a Roma per committenti del calibro di Pietro Cussida e Vincenzo Giustiniani (presso il cui palazzo, ove si era trasferito l’anno prima, morì il giorno 8 agosto 1622), quali il San Matteo di Saragozza, l’Eraclito piangente in collezione privata maltese e il Buon Samaritano nel Museo Nazionale di Kaunas in Lituania.
La figura dell’Angelo è emersa solo a seguito di una radiografia effettuata nel corso di una recente pulitura. Poiché la tela non risulta tagliata, si potrebbe intendere l’angelo come l’esito di un ripensamento relativo al soggetto del dipinto, nato come raffigurazione dell’evangelista Matteo accompagnato dall’angelo che lo supporta nella redazione del testo sacro, e poi virato per mano dell’autore, oppure successivamente per volontà di un proprietario, verso una più generica rappresentazione di un filosofo o pensatore antico. -
Lot 219 SCUOLA LOMBARDA, PRIMA METÀ DEL XVII SECOLO
La Carità Romana (Cimone e Pero)
Olio su tela, cm. 128x95. Con cornice
Il tema di Pero che si reca segretamente nel carcere dove era rinchiuso e condannato a morire di stenti il padre Cimone, nutrendo quest'ultimo col latte del suo seno (episodio narrato da Valerio Massimo nel primo secolo d.C.), conobbe una notevole fortuna nella pittura italiana del Seicento. Il tema, in effetti, meglio noto come Carità romana, si prestava a a una molteplicità di declinazioni simboliche (da allegoria dell'amor filiale a esempio di carità cristiana), non disgiunte da una certa sotterranea carica erotica: ma dava anche l'occasione agli artisti di sfoggiare le proprie virtù in termini di realismo della rappresentazione e di intensità espressiva. Il soggetto risultò di conseguenza particolarmente attrattivo per i pittori di area caravaggesca e più in genere di orientamento natuaralista. Se in area lombarda i principali artisti ebbero sparute occasione di cimentarsi con il soggetto, la notevole versione che qui si presenta sembra da avvicinarsi proprio a quel contesto verso il quarto / quinto decennio del Seicento e in modo più specifico al milanese Carlo Francesco Nuvolone. -
Lot 220 ARTISTA CARAVAGGESCO (FRANCESE?), SECONDO - TERZO DECENNIO DEL XVII SECOLO
San Matteo e l'Angelo
Olio su tela, cm. 116,5x87. Con cornice
Questa bella raffigurazione di San Matteo, impegnato nella scrittura del suo vangelo grazie all’ausilio amorevolmente partecipe dell’angelo, si mostra intrisa di umori caravaggeschi, a partire dall’inaggirabile esempio delle due versioni approntate da Caravaggio per la Cappella Contarelli in S. Luigi dei Francesi. Non siamo qui nell’ambito di un caravaggismo ortodosso e nemmeno prossimo agli artisti della cosiddetta “manfrediana methodus”, ma piuttosto nell’area di una ricezione personale e riformata della lezione del grande maestro, alla Saraceni per intenderci, che sembra di poter indirizzare nella direzione di alcuni degli artisti francesi attivi a Roma tra secondo e terzo decennio del Seicento. Senza l’intenzione di sciogliere il rebus attributivo, ma solo per offrire una possibile traccia di lavoro, segnaliamo in questa sede le tangenze stilistiche che avvicinano la nostra tela alla lettura elegante e astratta della pittura di Caravaggio offerta da artisti come Guy François, il Pensionante del Saraceni o il primo Nicolas Régnier. -
Lot 221 SEGUACE DI ANTON VAN DYCK, PRIMA META’ DEL XVII SECOLO
Cavaliere inginocchiato in preghiera (Sant'Eustachio?)
Olio su tela, cm. 165x114. Con cornice -
Lot 222 SCUOLA FERRARESE, XVII SECOLO
Corteo di Bacco, con satiri putti e ninfe
Olio su lastra di pasta vitrea azzurra, cm. 12,50x19,50. Con cornice. -
Lot 223 AMBITO DI JUSEPE DE RIBERA (Sativa, 1591 - Napoli, 1652)
San Francesco di Paola
Olio su tela, cm. 103x76. Con cornice
Il dipinto è in prima tela e reca al retro iscrizione antica a pennello: "C. RIBERA 16…".
Il dipinto è accompagnato dalla relazione diagnostica di M.I.D.A. di Claudio Falcucci.
Questa raffigurazione intensamente naturalista di San Francesco di Paola si pone in stretta connessione con una composizione di Jusepe de Ribera di cui non è attualmente individuato il prototipo autografo, ma che ci è nota grazie ad alcune repliche dovute ad aiuti e seguaci del maestro. La presente redazione, di alta qualità e riferita a Ribera già in antico, rappresenta un notevole documento della fervida attività dei pittori operosi a Napoli nel secondo quarto del Seicento intorno al grande maestro spagnolo e strettamente dipendenti delle sue invenzioni. La tela costituisce anche una trasparente testimonianza dell’elevatissima richiesta di dipinti di Ribera, o strettamente legati ad essi sotto il profilo dello stile e della composizione, presso i committenti napoletani, come pure dell’alto standard qualitativo dei pittori riconducibili più o meno direttamente alla sua cerchia, tra i quali, è bene rammentarlo, artisti del livello di Hendrick van Somer, Juan Do, Bartolomeo Passante, Giuseppe di Guido (già Maestro di Fontanarosa) e il Maestro dell’Annuncio ai pastori. Ribera dovette sviluppare due redazioni del soggetto: una con il santo a mezzo busto che reca nella mano destra il cartiglio con l’iscrizione “CHARITAS” (di cui una versione autografa, firmata e datata 1640, è oggi in collezione privata a Ginevra); ed una seconda, con una maggiore estensione del corpo del santo, di cui il nostro esemplare costituisce una delle versioni di più alta qualità. -
Lot 224 BARTOLOMEO BETTERA (Bergamo, 1639 - Milano, 1688), ATTRIBUITO
Coppia di dipinti:a) Natura morta con strumenti a corde, virginale, spartiti e pomo; b) natura morta con strumenti musicali, spartito e clessidra
a) Olio su tela, cm. 36,5x50. Con cornice;
b) olio su tela, cm. 36x50. Con cornice
La presente coppia di dipinti è accompagnata dall'Attestato di Libera Circolazione. Questa bellissima coppia di natura morte di tema musicale si pone chiaramente sotto il raggio di influenza di Evaristo Baschenis, che condusse il genere ai suoi livelli più alti e metafisici nella pittura italiana del Seicento. Ritroviamo qui gran parte dei motivi che proprio le opere di Baschenis resero canoniche, combinando maestria prospettica, virtuosismo luministico, rigorosa monumentalità compositiva, lenticolare aderenza alle forme raffigurate, precisione organologica nella resa degli strumenti musicali. Gli stessi strumenti ci rimandano alle opere della cerchia di Baschenis: liuto, mandola, chitarra, violino, viola, spinetta, bombarda, accompagnati dall’inevitabile corredi di spartiti aperti, posti su leggio o brillantemente scorciati con sapienti effetti di trompe-l’oeil. Un’elegante e originale clessidra e un pomo sottolineano la presenza del tempo e il sottotesto di vanitas chiaramente impliciti in queste composizioni, per realizzare le quali Baschenis e i suoi più stretti seguaci - in primo luogo Bartolomeo Bettera, a cui le tele possono essere riferite - attingevano ad un repertorio di oggetti stabilmente disponibili presso l’atelier. -
Lot 225 GIACOMO FARDELLA (Attivo in Sicilia nella seconda METÀ del XVII secolo)
Adorazione dei pastori
Olio su tela, cm. 127x145
Il dipinto reca, sul cartiglio in basso a destra, firma e data: "D. JOSEPH FARDELLA INVENTOR PICTOR 1682".
Ancora oggi sono ben poche le notizie certe sul pittore messinese Giacomo Fardella, in passato al centro di una lunga e complicata querelle critica che lo vide confuso con l’autore delle nature morte che fu dapprima ribattezzato Pseudo-Fardella, poi Pittore di Carlo Torre, per trovare infine la sua corretta identità in Angelo Maria Rossi. La firma estesa e la data del 1682 fanno del grande dipinto inedito che qui si presenta un caposaldo fondamentale nella ricostruzione di questa notevole e misteriosa personalità, affiancandosi alla Scena di mercato del Musée des Beaux-Arts di Mulhouse che reca la stessa firma, "JOSEPH FARDELLA". Il nostro dipinto ci restituisce, in effetti, un eminente pittore di storia, oltreché abile naturamortista, in grado di concepire virtuosistiche invenzioni compositive. La scena è affollata e i personaggi sono compressi e schiacciati nel primo piano in un vortice dinamico che ha il suo fulcro nella figura di Gesù Bambino adagiato su uno stropicciatissimo e abbacinante lenzuolino bianco. Nonostante le problematiche conservative si apprezza qui un artista di rifinita abilità tecnica e assai aggiornato, consapevole dei coevi sviluppi della pittura napoletana, veneta, genovese e anche fiamminga, capace di posture tanto ardite quanto ben calibrate, come pure di mirabili brani naturalistici, quali i frutti in primo piano, il turibolo agitato da un angelo, la mano e il volto di Giuseppe e la testa del bue che irrompe da sinistra sulla scena. -
Lot 226 PIETRO BELLOTTI (Volciano, 1625 - Gargnano, 1700)
Capriccio con rovine classiche, fontana e obelisco
Olio su tela, cm. 72,5x88. Con cornice
Il dipinto è accompagnato dall'expertise della Prof.ssa Anna Bojena Kowalczyk.
Questo sontuoso capriccio di gusto archeologico si può considerare una sorta di veduta immaginaria chiaramente ispirata al Foro Romano. Come ha riconosciuto Anna Bojena Kowalczyk questa grande tela va ad arricchire l'esigua porzione del catalogo di Pietro Bellotti riservata ai capricci con rovine classiche. Fratello di Bernardo Bellotto e nipote di Canaletto, di Pietro Bellotti sono note almeno tre coppie di composizioni dall'impostazione analoga alla tela qui in oggetto, una delle quali fortunatamente firmata e datata 1771. Possiamo così collocare durante il suo soggiorno francese la stagione in cui egli si dedicò al capriccio rovinistico nei modi di Gian Paolo Panini, aggiornati alla luce della pittura di Hubert Robert. Forte del breve alunnato con lo zio Canaletto e della collaborazione col fratello Bernardo, Pietro offre qui un saggio brillante della sua sensibilità luministica, che si esprime pienamente nei forti contrasti chiaroscurali, della sua tecnica accuratissima, della sua piena padronanza prospettica e del suo vivace gusto scenografico. -
Lot 227 ARTISTA NAPOLETANO DELLA CERCHIA DI JUSEPE DE RIBERA, SECONDO QUARTO XVII SECOLO
San Francesco penitente
Olio su tela, cm. 124,5x99
Questa grande tela, di rara intensità emotiva, si colloca nel cuore delle vicende della pittura napoletana del Seicento di orientamento naturalista, la cui figura centrale, successivamente alla scioccante propulsione conseguente al soggiorno partenopeo di Caravaggio, è Jusepe de Ribera. Intorno alla produzione del grande artista spagnolo ruotano con vari gradi di intensità, fino alla metà del Seicento, personalità di spicco come il Maestro dell’Annuncio ai pastori, Juan Do, Francesco Fracanzano, Bartolomeo Passante, Hendrick Van Somer, Giovanni Ricca e il giovane Luca Giordano. Nel nostro dipinto si rinvengono tutti gli elementi principali dell’arsenale tecnico ed espressivo della pittura naturalista: unghie sudicie, rughe, lacrime e tratti di carattere particolarmente marcati, mani sottili e nodose, accurata matericità nella resa delle superfici, insistenza dei riflessi luministici nei punti focali sotto il profilo espressivo. Il tutto combinato ad una propensione pauperista, dovuta nel caso di San Francesco, ma comunque ricorrente all’interno dei pittori che si muovono all’interno di questa area culturale, e che qui si appunta nell’insistita descrizione della consunzione della veste del santo. A dispetto della enorme mole di studi che si è addensata su questa cruciale congiuntura della pittura napoletana, le varie personalità che si muovono al suo interno devono ancora raggiungere la necessaria certezza e stabilità, sia sotto il profilo del catalogo delle opere, sia da quello biografico. In questo caso ci limitiamo a segnalare le affinità che avvicinano il nostro dipinto ad alcune opere che della galassia che si estende tra Ribera e il Maestro dell’Annuncio ai pastori, quali ad esempio, il San Simone del Museo de San Carlos di Città del Messico, il San Domenico penitente, in collezione privata a Bolzano (pubblicato da Nicola Spinosa in Pittura del Seicento a Napoli. Da Caravaggio a Massimo Stanzione, Napoli 2010, p 331, n. 292) o il Filosofo che medita con il teschio in mano, del Keresztény Museum di Esztergom (Ungheria). -
Lot 228 ARTISTA FIAMMINGO DELLA CERCHIA DI PETER PAUL RUBENS, ATTIVO AD ANVERSA NEL SECONDO - TERZO QUARTO DEL XVII SECOLO
Davide con la testa di Golia
Olio su rame, cm. 88x105. Con cornice
Questo dipinto di qualità superba presenta un primo elemento di eccezionalità costituito alle sue dimensioni monumentali, che l’artista sfrutta appieno per conferire alla scena raffigurata un respiro compositivo, una concitata epicità, uno sviluppo drammaturgico (al di là della ricchezza di dettagli e dell’abbondanza delle figure) davvero inusuali in un’opera su rame. Il pittore adotta colori brillanti e crea virtuosistici effetti luministici, giocati sia sull’accordo sia sul contrasto tra la luce serotina e le accensioni brillanti del primo piano, occupato da Davide e dal corpo decapitato di Golia, avvolto in un’armatura che con i suoi riflessi argentei e cangianti si trasforma in un mirabile pezzo di bravura tecnica. Particolare attenzione è riservata alla minuziosa descrizione delle lance e degli arcieri israeliti in primo piano, mentre l’esercito filisteo batte in ritirata. Il corpo di Golia è raffigurato con uno scorcio ardito e crea l’asse obliquo intorno al quale è scandita tutta la composizione, separando le due fazioni contrapposte, che incarnano ovviamente il bene e il male, accompagnando progressivamente l'occhio dello spettatore verso lo sfondo della scena, dove i colori si fanno più scuri ed omogenei.
L’autore di questo mirabile dipinto, databile intorno alla metà del Seicento, esibisce una formazione fiamminga intrisa di suggestioni rubensiane, senza dubbio frutto di uno studio attento in prima persona, combinate e arricchite, però, da una profonda conoscenza dell’arte italiana, in cui si fondono echi della pittura veneta del Cinquecento, della coeva pittura romana e, non ultimo, di Caravaggio. -
Lot 229 ARTISTA SPAGNOLO, PRIMA METÀ DEL XVI SECOLO
L'Arcangelo Gabriele combatte il demonio
Olio su tavola, cm. 135X127
Il dipinto reca traccia di iscrizione a pennello sulla lama della spada dell'Arcangelo.
L'opera è stata riferita dal Prof. Pierluigi Leone De Castris a una artista della cerchia di Alonso Berruguete.
Già avvicinata al siciliano Riccardo Quartararo sulla base delle affinità, in verità flebili, con opere del pittore come la Santa Rosalia ai piedi della Vergine della Galleria Regionale della Sicilia a Palermo, questo notevole dipinto su tavola sembra piuttosto da ricondurre ad un artista di area iberica operoso nella prima metà del Cinquecento, caratterizzato da una maniera piuttosto riconoscibile nella sua minuziosità descrittiva, nel fantasioso paesaggio, nel panneggio esageratamente vorticoso, nell’ingenuità prospettica e nel registro popolaresco della narrazione. Questa grande tavola, la cui forma quasi quadrata farebbe supporre che abbia fatto parte di un retablo di imponenti dimensioni, costituisce un esempio di particolare interesse di una congiuntura che si sviluppa a cavallo tra XV e XVI secolo tra Spagna, Fiandre e Italia Meridionale, combinando aspetti più arcaici, ancora connessi con atmosfere fiabesche in senso lato tardo-gotiche, e originali aggiornamenti in senso rinascimentale. Se può essere rilevata qualche analogia con le atmosfere delle opere spagnole di Paolo da San Leocadio, soprattutto nel paesaggio, il dipinto è stato convincentemente ricondotto da Pierluigi De Castris a un pittore attivo nell’orbita di Alonso Berruguete dopo il rientro in Spagna di quest’ultimo nel 1518, successivamente al suo soggiorno italiano. -
Lot 230 ORAZIO DE FERRARI (Voltri, 1606 – Genova, 1657)
Cristo deriso
Olio su tela, cm. 124,5x97. Con cornice
Il dipinto è stato riconosciuto come opera autografa dalla Prof.ssa Mary Newcome Schleier e pubblicato dalla Prof. Anna Orlando.
Questo dipinto impressionante, sicuro autografo di Orazio De Ferrari, fornisce una rappresentazione potente del tema dell’Ecce Homo, originale già nell’impostazione della scena: Cristo, infatti, è qui raffigurato seduto e ripiegato verso il basso, con espressione dolorosamente consapevole e rassegnata, gli occhi rivolti in alto, come a rivolgersi mestamente a Dio padre. Alle sue spalle, un personaggio maschile a torso nudo sembra prendersi provocatoriamente gioco di lui. Il pugno serrato, i muscoli gonfi e le vene rilevate dell’avambraccio danno l’impressione che sia sul punto di battere con violenza il corpo rilasciato di Cristo. Ma l’invenzione più sconcertante e personale è certamente il fanciullo col berretto e i capelli dorati, inabissato nel primo piano, che tiene nelle sue mani la corona di spine e altri arnesi della passione e con sguardo al contempo stupito, incosciente e distaccato, catalizza e guida l’attenzione del riguardante sulla tragicità e crudeltà di quanto sta accadendo.
La qualità della pittura è superba. Gli impasti densi e materici esaltano gli energici e profondi contrasti chiaroscurali. A differenza di Assereto, che pure De Ferrari osservò attentamente, traendovi non pochi elementi di riflessione, prevale qui una narrazione chiara e serrata, priva di concitazione, con osservazioni naturalistiche che, oltre a Caravaggio e alla pittura caravaggesca, restano fermamente memori dell’esempio di Rubens e Van Dyck. Come sottolinea Anna Orlando proprio a proposito del nostro dipinto: “E’ nel modo di trattare il nudo e di ritagliare le sagome dei corpi nello spazio, grazie a sapienti effetti di luce e ombra, che Orazio dà il suo più significativo contributo al caravaggismo genovese”.
BIBLIOGRAFIA:
A. Orlando in Caravaggio e i Genovesi. Committenti, collezionisti e pittori, cat. della mostra, a cura di A. Orlando, Genova 2019, pp.246-247, n. 63. -
Lot 231 JANS FRANS VAN BLOEMEN DETTO L'ORIZZONTE (Anversa, 1662 - Roma, 1749)
Paesaggio laziale di fantasia con pastori e gregge e il Belvedere Vaticano sullo sfondo
Olio su tela, cm. 116,5x174. Con cornice
Il dipinto reca, in basso a sinistra, sigla: “VB”.
Questa monumentale veduta “ideata” ci offre un saggio mirabile dell’arte paesistica di Jan Frans Bloemen, spiegando nei termini più eloquenti le ragioni del suo grande e ininterrotto successo presso le principali famiglie aristocratiche romane. Ritroviamo qui, infatti, tutte le migliori qualità tipiche dell’Orizzonte, a partire dalla luce intensa e abbagliante che avvolge l’incontaminato paesaggio boschivo della campagna laziale, con i suoi dolci rilievi, la sua folta vegetazione, i suoi corsi d’acqua e i suoi immancabili pastorelli che recano le greggi al pascolo. Nelle sue opere più felici Van Bloemen segna davvero l’equilibrato punto di fusione di un secolo di pittura di paesaggio, combinando la tradizione post-carraccesca, Dughet e Lorrain, la più lenticolare visione nordica e il nuovo gusto arcadico, improntato a una serenità e leggiadria squisitamente decorative. Spicca nella nostra tela la presenza sullo sfondo, su un fantasioso colle densamente alberato, del Palazzo del Belvedere Vaticano, che pone il dipinto in serie con un gruppo di opere di grandi e medie dimensioni eseguite dal Van Bloemen nella sua piena maturità, tra la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta del Settecento. Il dipinto presenta un eccellente stato di conservazione.
PROVENIENZA:
Collezione Blumensthil, Roma; collezione Malvezzi, Roma; collezione privata, Roma.
BIBLIOGRAFIA:
A. Busiri Vici, Jan Frans van Bloemen: "Orizzonte" e l’origine del paesaggio romano settecentesco, Roma 1974, n. 257. -
Lot 232 PIETRO PAOLINI (Lucca, 1603 - 1681)
Suonatore di chitarra
Olio su tela, cm. 84,5x60. Con cornice
La tela è accompagnata dall'Expertise della Prof.ssa Patrizia Giusti Maccari e sarà pubblicata dall'editore Pacini Fazzi di Lucca, in un un volume in corso di stampa, dedicato a Pietro Paolini sempre a cura della Prof.ssa Patrizia Giusti Maccari.
L'opera è pubblicata come autografa di Pietro Paolini nella fototeca della Fondazione Federico Zeri (n. 55820).
Il dipinto è accompagnato dall'Attestato di Libera Circolazione.
Dall’attribuzione a Caravaggio, dichiarata nel 1928 da Adolfo Venturi, il dipinto è passato ad opera di Federico Zeri a quella in favore di Pietro Paolini, attribuzione da allora unanimemente accolta dagli studiosi. Lo strumento che il giovane protagonista del dipinto è intento a suonare è una chitarra alla spagnola, detta anche chitarriglia, già in uso alla fine del Cinquecento e che aveva incontrato particolare fortuna presso gli ambienti più raffinati e colti in diversi paesi: in Italia, ad esempio presso la corte granducale fiorentina. Vale la pena di ricordare che Pietro Paolini, anche prima della trasferta romana, dove sarà accolto nella bottega di Angelo Caroselli, aveva avuto una raffinata formazione musicale attraverso alcuni componenti della famiglia della madre, Ginevra Raffaelli. Del resto, la propensione de Paolini verso i temi nei quali la musica funge da protagonista è ampiamente documentata nel corpus della sua produzione. Secondo uno schema compositivo utilizzato altre volte dal pittore, un giovane suonatore si protende verso l’esterno, al di là di un semplice parapetto in pietra, superandone i limiti con il braccio con cui tiene lo parte superiore dello strumento, da cui pendono tre nastri rossi. Il giovane non esita a richiamare l’attenzione dello spettatore fissando su di lui il suo sguardo indagatore, con la precisa volontà di stabilire un contatto diretto. Le caratteristiche fisionomiche del volto, specie nella forma del naso leggermente aquilino, suggeriscono la possibilità che si tratti di un ritratto dal vero. Di sicuro si tratta di un giovane di ceto altolocato, come bene rivela il suo abbigliamento, con la giacca aderente e le maniche rigonfie, eseguita con un raffinato tessuto nero percorso da righe bianche. Tutto il dipinto, sfondo compreso, è costruito secondo tonalità brunite che bene sottolineano il tono di pacata signorilità che caratterizza la scena. L’esecuzione del dipinto è da porsi tra gli anni 1625-1630, nella fase iniziale dell'attività di Paolini. -
Lot 233 AMBITO DI FRANCESCO TIRONI (Venezia, 1745 - 1797)
Coppia di Vedute di Venezia: a) Veduta di piazza San Marco; b) Veduta dell'isola di San Giorgio Maggiore
Olio su tela, cm. 69x96,8. Con cornice
Questa coppia di grandi vedute, che riproduce due fra gli scorci più canonici e richiesti nella grande stagione del vedutismo veneziano, va accostata alla mano di uno specialista attivo negli ultimi decenni del Settecento nella cerchia di Francesco Tironi. Appare in effetti analoga l'impostazione delle scene, la cura nella resa delle architetture, gli accentuati contrasti luministici e le numerose figurette di canalettiana memoria.
Il riferimento attributivo qui proposto per le due vedute trova conforto nelle Veduta di Piazza San Marco e con la Veduta dell'Isola di San Giorgio Maggiore, entrambe opere di Tironi pubblicata in Succi 2004 (pp. 35-38).
BIBLIOGRAFIA DI CONFRONTO:
D. Succi, Francesco Tironi ultimo vedutista del Settecento Veneziano, Edizioni della Laguna, 2004. -
Lot 234 CARLO ARIENTI (Arcore di Brianza, 1801 – Bologna, 1873)
Ritratto di condottiero in armatura
Olio su tela, cm. 124x89. Con cornice intgliata
Il dipinto è stato confermato a Carlo Arienti dal Prof. Francesco Leone e dal Prof. Ferdando Mazzocca (comunicazione orale alla proprietà). -
Lot 235 FRANZ WERNER VON TAMM (Amburgo, 1658 - Vienna, 1724)
Grande natura morta di fiori e frutta in un paesaggio
Olio su tela, cm. 130x93. Con cornice -
Lot 236 CARLO MARATTI (Camerano, 1625 - Roma, 1713), ATTRIBUITO
Ritratto di Sir Thomas Isham
Olio su tela, cm. 140x120. Con cornice
Il dipinto reca in alto a destra iscrizione a pennello: "SIR THOMAS ISHAM".
Nel 1667 sir. Thomas Isham, nell'ambito del Grand Tour Italiano, viaggio canonico per la nobità inglese dell'epoca, trascorse dieci mesi a Roma. Oltre ad acquistare dipinti dei princièali artisti attivi in quegli anni nell'Urbe, lord Isham si fece ritrarre da Carlo Maratti, all'epoca sovrano della pittura romana, nella tela oggi conservata presso Lamport Hall. Di questo ritratto esiste più di una versione licenziata dallo stesso artista con l'ausilio del suo atelier. -
Lot 237 SCUOLA ROMANA PRIMA METÀ DEL XVIII SECOLO
Coppia di dipinti:a) "Il Salterello"; b) vita quotidiana nel villaggio
Olio su tavola, cm. 65,5x91. Con cornice
La coppia di tele è accompagnata da un'Expertise del Prof. Giancarlo Sestieri che attribuisce i dipinti ad Andrea Locatelli.
Nel suo studio Sestieri considera i due dipinti una rara ma significativa testimonianza della produzione di genere agreste del pittore, di qualità particolarmente alta. E' evidente in queste smaglianti, gustose e divertite rappresentazioni di gusto popolare l'incrocio fra il più antico modello dei bamboccianti e il repertorio tipico di Paolo Monaldi, felicemente combinate in un'idilliaca e teatrale messa in scena della vita della campagna romana. -
Lot 238 MARCO BENEFIAL (Roma, 1684 - 1764)
Ritratto di Dama
Olio su tela, cm. 70x59. Con cornice
Il dipinto reca in basso a destra firma e data: "M. BENEFIAL FECIT ROMA 1763".
Questo notevole ritratto anche al di là della presenza della firma, evidenzia le migliori qualità del Benefial ritrattista. La tecnica esecutiva risulta qui particolarmente raffinata e in grado di restituire i particolari più minuti del suntuoso abbigliamento della protagonista: la rosa, i gioielli, il ventaglio e tutti gli ornamenti del vestito sono restituiti con superbo virtuosismo. Stringenti termini di confronto sotto il profilo stilistico e qualitativo sono il Ritratto di Angela Mignanelli della Galleria Spada di Roma e il Ritratto di Giacinta Ruspoli Marescotti Orsini della Fondazione Cini di Venezia.
PROVENIENZA: collezione privata, Roma -
Lot 239 ARTISTA FIAMMINGO, FINE XVII - INIZIO XVIII SECOLO
Battaglia navale con mare in burrasca
Olio su tela, cm. 74,3x135,5. Con cornice. -
Lot 240 ARTISTA VENETO (O FIAMMINGO ATTIVO IN VENETO), SECONDA METÀ XVII SECOLO
Busto di anziano in tunica rossa
Olio su tela, cm. 73x65,5. Con cornice
Questa notevole figura a mezzo busto di vecchio privo di attributi specifici rappresenta un intrigante quesito attributivo oltreché iconografico (potrebbe trattarsi, infatti, tanto di un profeta, quanto di un eremita, un filosofo o un apostolo). Risulta qui evidente una cultura figurativa in cui si fondono un approccio fondamentalmente naturalista, una pennellata rapida e sciolta, una resa coloristica brillantemente pittorica, arricchita di sapienti lumeggiature, ma anche l’aggiornamento sui principali coevi modelli fiamminghi. Una simile miscela di elementi può essere rilevata in artisti diversi attivi in area veneta dopo la metà del Seicento, quali Francesco Maffei, Antonio Zanchi e Antonio Carneo.