Fine Paintings
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Lotto 49 Nicolas Bertin (Parigi 1667 – 1736), Mosè difende le figlie di Jetro Dopo un primo apprendistato in Francia, il Bertin vinse il Prix de Rome nel 1685. In Italia studiò in particolare le opere di Raffaello, dei Carracci e di Correggio. Docente dell'Accademia di Francia dal 1715 e co-direttore dal 1733, non abbandonerà mai l'impronta stilistica della formazione francese, in particolare quella di uno dei suoi maestri, Bon Boullogne; in questa tela raffigurante Mosè che difende le figlie di Jetro dai pastori che le aggrediscono. Bertin dipinse questo soggetto in almeno altre due versioni, oltre quella in oggetto: una conservata al Museée de l'Hotel Sandelin a Saint-Omer e una al Musée Lambinet a Versailles. Olio su tela, dimensioni 95x132 cm
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Lotto 50 Victor-Honoré Janssens (Bruxelles 1658 – 1736), Abramo ripudia la serva Agar 1736 E' lo storico dell'arte francese Didier Bodart che attribuisce, in uno studio del 9 maggio 1987, questa tela al pittore francese Victor-Honoré Janssens. Noto principalmente come pittore di soggetti mitologici e storici, appresi durante il suo soggiorno romano, lega la sua attività principalmente alla città di Bruxelles e Vienna, in cui risiede dal 1719 al 1722. Il soggetto sacro, datato 1736, ha nella produzione dell'artista dei precedenti come ne 'L'apparizione della Vergine a San Bruno' e la 'Lavinia all'altare' del Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique. Il dipinto è corredato da una perizia di Didier Bodart. Olio su tela, dimensioni ext. 157x207, int. 130x178,5 cm.
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Lotto 51 Lorenzo Lippi (Firenze, 1606 - Firenze, 1664), Coppia di ritratti È al Baldinucci che dobbiamo gran parte delle informazioni che abbiamo oggi sulla vita dell’artista: formatosi dapprima in lettere e poi condotto un apprendistato sotto Matteo Rosselli, questo pittore è autonomo e indipendente dal 1626 circa. Grande sostenitore della Controriforma, aderì con grande convinzione alla vita religiosa fiorentina, tutta rivolta alla testimonianza dei grandi esempi della santità raggiunta attraverso la carità e l’ascetismo. Dal 1630 è parte dell’Accademia del disegno fiorentino: in questi anni si dedica in particolare alle opere di soggetto biblico e letterario; lo stile dell’artista risente nella composizione e nella narrativa dal maestro Rosselli, mentre nella dolcezza degli incarnati si percepisce l’influenza del contemporaneo Furini, del quale però non condivideva l’espressività dei volti. Un soggiorno a Roma, avvenuto tra il 1642 e il 1644, il Lippi lo intraprese con Salvator Rosa, con cui condivise l’amore per la scrittura di versi comici e satirici; non è da escludere però una sua influenza anche in ambito pittorico; gli anni tra il 1639 e il 1640 furono ricchi di committenze, in particolare ecclesiastiche, che gli fecero ottenere una grossa fama. Questi due ritratti, racchiusi in due pregevoli cornici ottagonali, sono da fissarsi in una fase tarda dell’attività del pittore: nella maturità tende volutamente a semplificare disegni e composizioni; qui il fondo nero dà un’aria di compostezza e serietà, che si affianca ad un’attenzione scrupolosa nella descrizione dei dettagli degli abiti e dei tessuti. Il genere del ritratto è strettamente legato al successo che il Lippi ebbe a Firenze come committente, e le sue doti da ritrattista vennero ampiamente apprezzare anche durante il suo soggiorno ad Innsbruck, avvenuto tra il 1643 e il 1644, in cui eseguì ritratti di diversi membri della famiglia Medici. Olio su tela, cm est. 115x93, int. 93x71
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Lotto 52 Pier Francesco Cittadini (Milano, 1616 - Bologna, 1680), Ritratto di nobildonna parmense Lo studio della pittura del Cittadini inizia nell’ambiente lombardo nella bottega di Daniele Crespi e dal 1634 al 1637 circa è documentato a Bologna, come apprendista di Guido Reni; dal 1645 compie un viaggio a Roma fino a tornare stabilmente a Bologna nel 1650. La sua produzione è ampia e variegata: in Emilia si dedica alle decorazioni ad olio e ad affresco di interni, così come ai soggetti sacri; a Roma si avvicina alla più viva cultura contemporanea testimoniata dalla presenza in città di artisti nordici, francesi e napoletani. Si avvicina ai bamboccianti e ai vedutisti romani, che gli dimostrano l’importanza di raffigurare una realtà più viva, naturalisticamente intesa. Quest’opera è ascrivibile al periodo della sua maturità: nel dettaglio degli abiti e dello spazio raffigurato scorgiamo gli effetti della lezione fiamminga, così come nella profondità psicologica del personaggio vi è un eco della ricca esperienza romana. Il ritratto di nobildonna parmense è quindi riconducibile al periodo di ritorno dell’artista a Bologna, quindi dopo il 1650, dove rimarrà fino alla morte. Olio su tela, cm est. 202x153, int. 178x130
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Lotto 53 Maria Giovanna Battista Clementi (Torino, 1692 – Torino, 1761) detta La Clementina, Coppia di ritratti dei Marchesi Ciambrini Questa coppia di eccezionali ritratti sono opera della pittrice torinese Maria Giovanna Battista Clementi, nota come La Clementina. Artista molto apprezzata presso la corte sabauda, fu abile ritrattista e interprete di pregevoli nature morte, secondo l'alunnato svolto presso Giovanni Battista Curlando. Gli effigiati, i coniugi Marchesi Ciambrini, sono resi con una straordinaria vividezza cromatica e un'eleganza nella composizione e nella fisionomia dei volti difficilmente reperibile in altre opere presenti sul mercato odierno. Olio su tela, dimensioni ext. 127,5x110,5, int. 112x94 cm.
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Lotto 54 Gruppo di sei stampe vestite, Francia fine XVII inizio XVIII secolo Con cornici dorate, presenti mancanze e difetti; ognuna delle sei stampe è dotata di iscrizione in calce. Dimensioni 34x27x3 cm. cad.
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Lotto 55 Michelangelo Pace, detto Michelangelo di Campidoglio (Roma, 1610 - Roma, 1670), Natura morta con frutti e uccelli Luigi Lanzi ha definito il Pace come un eccellente pittore di frutta, quasi un “Raffaello nel suo genere”. Poco sappiamo della sua vita, ma le fonti ci parlano di una collaborazione con Borgognone, ai cui quadri aggiungeva degli elementi; evidente però è, osservando questo dipinto, la derivazione del suo stile dall’opera di Michelangelo Cerquozzi. Una particolarità di quest’opera risiede però nella disposizione degli oggetti “in scena”: rispetto alla costruzione compositiva di artisti celebri suoi contemporanei - dallo stesso Cerquozzi finanche ad Abraham Breughel, a cui pure si ispira- gli elementi qui sono come sparsi disordinatamente sul tavolo. Un accento è posto dall’artista sulla presenza dei volatili morti esposti sullo stesso ripiano; di rado il Pace inserisce degli animali nelle sue composizioni, il che rimanda quasi alle nature morte del Seicento fiammingo. Da questa bella prova si evince quasi una volontà da parte dell’artista di riempire la superficie del dipinto quasi in altezza, prestando poca attenzione alla sovrapposizione dei piani delle ricche composizioni di nature morte coeve. Olio su tela, cm est. 97x123.5, int. 76.5x103
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Lotto 56 Paul de Vos (Hulst, 1592 – Anversa, 1678) Natura morta con cacciagione L’opera di Paul de Vos è contraddistinta da una straordinaria vena interpretativa di un soggetto tanto apprezzato quale quello della caccia e della natura morta con animali.Questa grande tela, dominata dal brillante rosso della tavola su cui poggia la cacciagione appena catturata, è interrotta solo da un ricco cesto di frutta posto sul fondo della composizione.Grande attenzione è riservata dall’artista al dettaglio del piumaggio dei volatili adagiati sul tavolo, all’intrecciarsi dei loro corpi affastellati gli uni sugli altri; c’è una forte volontà di descrivere la realtà che non è puramente decorativa, semmai quasi narrativa. Il de Vos era stato allievo di Denis van Hove e di David Remeeus ad Anversa, ma è a Frans Snyders – che divenne suo cognato nel 1611 – che dobbiamo una vera svolta nel suo stile. È grazie a lui che adotta questo genere come il suo distintivo ed è grazie alla sua dedizione a queste rappresentazioni che entrerà nella Gilda dei pittori di San Luca di Anversa nel 1620. Come molti altri naturamortisti della sua generazione, ebbe la possibilità di collaborare con i più grandi artisti del suo tempo, come pittore di animali: la sua collaborazione più nota è quella con Rubens e lo stesso Snyder alla decorazione del Buen Retiro in Spagna tra il 1636-37, paese in cui viaggerà e lavorerà per molto tempo.Possiamo infine legare il nome di Paul de Vos a quello di altri grandi nomi, come quelli di Erasmus Quellinus, Antoon van Dyck, e Jan Wildens. Bibl.: B. Arnout, Paul de Vos, in Grove Art Online, Oxford University Press, 2007. Olio su tela, cm est. 139x179, int. 123X165
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Lotto 57 Pittore fiammingo del XVII secolo Natura morta con ostriche Questo piccolo olio su tela di un ignoto pittore fiammingo è una gradevole rappresentazione della grande tradizione seicentesca olandese della natura morta.Il gusto della committenza borghese che commissionava e acquistava questo genere di dipinti era tutto rivolto a soggetti che si adattavano bene al loro sobrio stile di vita, ma che non volevano al contempo essere puramente decorativi. Le ostriche, le olive, la frutta secca e il raffinato calice sono tutti indici di una ricercata raffinatezza, i prodotti sono prelibati; talvolta locali, talvolta esotici, sono utilizzati per autocelebrare la committenza e il loro status, nonché il loro gusto artistico. La scelta di tali temi è decisamente consona ad una classe mercantile agiata che faceva della limpidezza della propria vita – sia pubblica che privata – una vera e propria missione. Il pittore realizza un quadro di dimensioni non eccessive di modo da renderla perfetta per una vasta cerchia di committenti; la nitidezza della rappresentazione e il dettaglio del tavolo in legno reso con incredibile maestria, la rendono un’opera semplice ma al contempo molto preziosa. Olio su tela, cm est. 57x65, int. 40.5x49
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Lotto 58 Scuola romana del XVII secolo, Marina con figure Osservando quest’olio su tela è chiaro come ci si trovi davanti ad un’opera di ampio respiro, dove la profondità del paesaggio è resa con uno sfumato impeccabile, che lascia intravedere una cittadina di mare e i monti in lontananza. I personaggi rappresentati sono divisi in tre gruppi, e svolgono attività diverse: il gruppo centrale è il più nutrito, ed è intento ad oziare, a discorrere e a fumare. Alla nostra destra due marinai spingono una piccola imbarcazione in mare, mentre all’estremo opposto due uomini accendono un fuoco all’ombra dell’alta torre. È delicata la resa delle onde del mare e acuta la descrizione dei vascelli in lontananza; i colori, ben bilanciati tra caldi e freddi tra la parte alta e bassa della composizione, sono tuttavia tenui, non accesi e sgargianti. L’ampia spazialità e la serenità della composizione sembrano anticipare i vasti scorci naturalistici della campagna laziale proposti a Roma all’inizio del secolo successivo da Paolo Anesi. Olio su tela, cm est. 118x158, int. 100x139
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Lotto 59 Andrea Locatelli (Roma, 1695 - Roma, 1741), Mercurio e Argo Dagli anni ’20 del Settecento Andrea Locatelli, il cui stile era già considerato internazionale, amplia e rende più nitide le sue tele; la lezione di Dughet e van Bloemen è ormai già assorbita, e si arricchisce della sua capacità di rendere l’ambiente naturale più terso, equilibrato, quasi come studiato dal vivo. La tavolozza si alleggerisce, i toni risultano più leggeri, gli elementi più limpidi. Il pittore trascorrerà quasi tutta la sua vita a Roma, fatta eccezione per il significativo periodo trascorso a Rivoli per i Savoia, e la sua lealtà al paesaggio romano si mostra qui in tutta la sua evidenza. L’inserimento di figure mitologiche all’interno dei vasti spazi naturali è tipica di gran parte della produzione dell’artista: qui viene illustrato il momento in cui Mercurio suona il flauto per far addormentare il vigile pastore Argo. Alle loro spalle è presente anche Io, la ninfa tramutata da Giove in una giovenca, che Argo aveva il compito di vegliare su ordine della gelosa dea Giunone. Il tema è affrontato dal pittore anche in un celebre quadro ora all’ Hermitage di San Pietroburgo e dimostrano la volontà, da parte del vedutista settecentesco, di utilizzare l’episodio mitologico per raccontare una favola intima, discreta. Olio su tela, cm est. 81x94.5, int. 63.5x75
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Lotto 60 Alessandro Magnasco (Genova, 1667 – Genova, 1749), Paesaggio fluviale con figure Alessandro Magnasco è descritto dalle fonti come un pittore genovese trasferitosi a Milano nel 1672 e messo a bottega dopo la morte del padre, presso uno dei più autorevoli produttori di scenografiche e drammatiche pale d’altare del Seicento lombardo: Filippo Abbiati. Sebbene l’artista resterà sempre legato alla sua città natale – dove la sua famiglia risiedeva ancora – l’esperienza lombarda in generale e quella presso il suo maestro in particolare, ebbero un grande influsso sul suo stile. Una rigorosa adesione al dato reale e la scarsa attenzione alla narrazione dei fatti si evince sin dalla sua prima produzione pittorica, saldamente legata ai soggetti religiosi, come da tradizione dell’Abbiati. Una svolta nella sua produzione è databile all’ultimo decennio del XVII secolo, quando il pittore inizia a dedicarsi alle scene di genere, senza rinunciare però alla caratteristica vena realistica e scenografica che caratterizza il suo stile. In questa tela, ad esempio, i colori mantengono la drammaticità attraverso cui è possibile riconoscere la mano del Magnasco e l’atmosfera è nervosa, drammaticamente resa attraverso una pennellata veloce e sferzante, seppur attenta. Da notare è l’utilizzo che questo artista fa del bianco e delle terre chiare con cui costruisce i corpi: esso è utilizzato per far emergere i singoli elementi delle nubi, delle membra degli uomini e della neve sui monti in lontananza, a rendere la raffigurazione sì drammatica, ma mai cupa. Olio su tela, cm est. 120x159, int. 99,5x139
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Lotto 61 Scuola Romana della seconda metà del XVII secolo, Veduta di Tivoli con figure Non è possibile risalire al nome dell’autore di questo paesaggio, ma questa veduta di Tivoli è stata realizzata a Roma probabilmente intorno al 1675 circa. Impossibile non notare la somiglianza -nell’impianto compositivo- tra quest’opera e una stessa veduta eseguita da Gaspard Dughet, ora nella collezione Molinari Pradelli ed esposta agli Uffizi nel 2012. Questo lascia presumere che l’autore possa essere stato anch’egli un fiammingo a Roma in quegli anni. Lo sfondo nuvoloso e l’atmosfera sono molto densi, ma di contro la pennellata che definisce gli alberi è veloce e libera; dallo spesso manto degli alberi sorgono alcune architetture che rendono agevole l’identificazione di ciò che vediamo con la cittadina di Tivoli, come ad esempio il Ponte Gregoriano all’estrema sinistra e il Tempio di Vesta, alla parte opposta. Olio su tela, cm est. 195x144, int. 171x120
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Lotto 62 Alessio De Marchis (Napoli, 1710 ca – Perugia, 1752), Paesaggio fluviale con figure L’artista napoletano Alessio Puciollo De Marchis intraprese la sua prima formazione pittorica a Roma, presso la bottega di Pieter Philip Roos, meglio conosciuto come Rosa da Tivoli, che lo indirizzò al tema del paesaggio, di gran voga nel Settecento. Anche se dalle fonti non si evince nessun rapporto diretto, è auspicabile presumere che durante la sua formazione subì anche l’influsso di alcuni tra i paesisti più noti del secolo, Gaspard Dughet e Salvator Rosa. Questo debito è ben evidente anche osservando questa tela: al Rosa dobbiamo la profondità della composizione paesistica, del Dughet è certamente la ricercatezza degli elementi naturali, quali le chiome degli alberi. Ma è nella pennellata che riconosciamo l’originalità del pittore, che è resa quasi romanticamente, a macchie; è una pennellata espressiva, vivace e breve. I colori sono tenui, l’azzurro spicca per luminosità e chiarezza, si contrappone ai toni più “composti” e discreti dei verdi e delle terre. Le figure sono rese con una pennellata vibrante, che restituisce cura ed attenzione ai personaggi, discreti e perfettamente immersi all’interno del paesaggio, quasi decorativi. Olio su tela, cm est. 156x208, int. 129x181.5
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Lotto 63 Adam Frans van der Meulen (Bruxelles 1632 - Parigi 1690), Scena bellica Il pittore è passato alla storia come il "Pittore delle conquiste del Re", grazie alla sua prestigiosa collaborazione con Charles Le Brun alla corte di Luigi XIV, per la realizzazione degli arazzi rappresentanti la Storia di re Luigi XIV. La fama procuratagli da questa commissione gli permise di affermarsi anche come pittore di battaglie, un genere iconografico molto apprezzato in Europa, in particolare nei Paesi Bassi. Questo dipinto dal particolare formato quasi quadrato rispecchia proprio questa fase produttiva dell'artista, tutta destinata a finalità commerciali: di fatto la scena rappresentata non è riconducibile ad un particolare evento storico. La paternità trova conferma in un'etichetta posta sul retro della tavola, che se non autografa, è di epoca coeva all'esecuzione del dipinto. Questa scena bellica è dotata di autentica del Prof. Giancarlo Sestrieri del 2021. Olio su tavola, dimensioni int. 30x31, ext. 37x37 cm.
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Lotto 64 Leonardo Coccorante (Napoli, 1680-1750), Paesaggio con rovine La biografia dell’artista è quasi completamente un mistero: di lui sappiamo che è nato a Napoli e lì ha trascorso tutta – o quasi – la sua esistenza; sappiamo che lavorò forse al carcere della Vicaria e lì ebbe modo di conoscere il pittore Angelo Maria Costa, pittore vedutista e rovinista che ebbe la possibilità, in virtù del suo grande talento, di affrescare le pareti del tribunale di Castel Capuano. Tanto basta a spiegare la predisposizione del Coccorante al genere delle rovine: egli dedica la sua attività a rielaborare questo genere tradizionale, creando delle variatio sul tema molto originali: tipico di quest’artista è, come in questo caso, la commistione tra rovine e paesaggio marittimo. In questa grande tela il paesaggista napoletano ci presenta un’opera ampia, di grande respiro, e ricca di riferimenti sia classici che innovativi. Vediamo qui l’influsso dello stile calligrafico di Ascanio Luciani, il cui linguaggio vira verso il classicismo, arricchendo la tradizione di genere napoletana con ampie architetture, in parte reali, in parte di fantasia. La presenza di un folto numero di personaggi indica senz’altro la collaborazione, a quest’opera, di almeno uno dei tradizionali collaboratori del Coccorante: Giovanni Marziale, Giuseppe Tomajoli e Giacomo del Po, specializzati nel ritrarre scene notturne, gruppi di figure borghesi, bassorilievi, episodi di cronache mondane e riproduzioni di antichi sotterranei. Olio su tela, cm est. 137.5x153.5
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Lotto 65 Francesco Ruschi (Roma 1610 - Treviso 1661), Cornelia presenta i suoi figli Tiberio e Gaio Sempronio Gracco a una matrona che le aveva mostrato i suoi gioielli Il pittore si forma alla 'Torretta' del Cavalier d'Arpino a Roma, e fondamentale durante il soggiorno romano è l'incontro con la pittura caravaggesca. Questo dipinto è però ascrivibile ad una fase successiva della sua produzione, quella legata all'esperienza veneziana, a partire dal 1620. La città lagunare era in quel periodo in una sorta di 'torpore creativo' causato dal declino della Repubblica. In questo clima di incertezza importanti pittori come il Ruschi, volgono lo sguardo alle cromie e alle atmosfere del XVI secolo e alle tematiche moraleggianti della pittura di storia - come in questo caso - o a composizioni leggere e di intrattenimento. Olio su tela, dimensioni ext. 160,5x124,5, int. 149x112 cm.
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Lotto 66 Nicola Malinconico (Napoli, 1663 – Napoli, 1726), San Guglielmo d’Aquitania In questa tela vediamo il santo Guglielmo d’Orange, più noto come San Guglielmo d’Aquitania, in meditazione davanti al crocifisso; il protagonista è accompagnato da putti che sorreggono le armi che in santo indossava con cui combatteva Baschi e Mori, poi deposte per ritirarsi ad una vita in preghiera, al servizio di Dio. L’atmosfera del quadro ci rimanda alle suggestioni atmosferiche e all’impianto compositivo del Solimena, di cui il nostro artista è senz’altro debitore. Come spesso accade per i pittori napoletani, è a Di Dominici che dobbiamo quasi tutto ciò che sappiamo sul Malinconico, figlio d’arte cresciuto nella bottega di Andrea Belvedere e all’ombra delle innovazioni di Luca Giordano e di Massimo Stanzione; inizialmente la sua produzione era dedita alle composizioni di nature morte con vasi di fiori, nella maturità invece si apre a soggetti più vari, perlopiù devoti. Nel 1693 è a Bergamo, per una delle sue più importanti commissioni: la decorazione della chiesa di Santa Maria Maggiore; resterà in città fino all’anno seguente, quando farà ritorno a Napoli. Nell’ultima fase della sua produzione guarderà molto all’esperienza napoletana dei grandi protagonisti del barocco emiliano quali Domenichino, Reni e Lanfranco, ma presterà attenzione anche alle sperimentazioni cortonesche e agli studi dei suoi colleghi Maratti e De Matteis. Olio su tela, cm est. 148.5x118, int. 131x100
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Lotto 67 Mattia Preti (Taverna 1613 – La Valletta 1699), Al capezzale del malato Questo drammatico dipinto può essere ascritto alla produzione dell'attività del Cavalier Calabrese più legata all'epidemia di peste che colpì la città di Napoli nel 1656. L'esperienza pittorica partenopea e i gravi eventi di quegli anni scurirono la tavolozza del pittore e resero più austere e gravi tanto le sue composizioni, quanto nelle tematiche scelte. Olio su tela, dimensioni ext. 86x103 int. 62x80 cm.
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Lotto 68 Paolo Piazza (Castelfranco Veneto, 1560 – Venezia, 1620), Salomè con la testa del Battista Originario del trevigiano, il pittore Cosimo di Castelfranco a noi noto come Paolo Piazza, studiò la pittura veneta alla scuola di Palma il Giovane, Veronese e i Bassano; dopo un breve soggiorno nella città natale, dove pure lascia delle sue opere, lo troviamo stabilmente a Venezia dal 1593. Con il nome di Cosimo di Castelfranco prese i voti come cappuccino nel 1598: egli fu sempre legato alle raffigurazioni sacre, la sua specialità, e per seguire tale propensione venne invitato a Monaco dal Duca Guglielmo V di Baviera, che gli commissionò un Martirio dei santi Pietro e Paolo. Viaggiò molto in Europa e in Italia: la sua presenza è testimoniata a Innsbruck, a Reggio Emilia, a Parma per Ranuccio Farnese e a Roma per Paolo V e Scipione Borghese. Questa raffinata composizione risente dei diversi stimoli e delle suggestioni stilistiche che il pittore ebbe occasione di raccogliere e sintetizzare durante i suoi numerosi viaggi: le morbide sovrapposizioni di colore sono indice di un legame profondo con la pittura veneta, ma nei dettagli degli abiti di Salomè si evince un interesse per la minuzia nordica; nella terribile espressione del boia, che stringe ancora la spada con cui è ha decapitato il santo, è evidente che il Piazza abbia avuto modo di conoscere la lezione caravaggesca a Roma. Olio su tela, cm est. 127x193, int. 108x173
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Lotto 69 Francesco Francia, ambito di (Bologna, 1460 ca. - Bologna, 1517), Pietà con Vergine e San Giovanni La serenità che trasmette una tavola di questa qualità, allontana dal sentire dello spettatore la sensazione di stare osservando una scena drammatica o, perlomeno, dolorosa. La raffigurazione del corpo di Cristo sorretto dalla Vergine e da San Giovanni è quieta e affabile; è frutto di una cultura che della grazia, della compostezza e della dignitosa raffigurazione degli affetti ne ha fatto una ricerca costante. Facciamo riferire questo dipinto all’ambito del maestro emiliano Francesco Raibolini, detto Francesco Francia, che da Vasari fu sempre considerato come un pittore di indole mansueta che ha trascorso parte della propria produzione alla mercè di un’insostenibile competizione col il genio del primo Cinquecento italiano: Raffaello. Ma sebbene non ci troviamo davanti ad un autografo del Raibolini, una tavola di questa qualità pittorica dimostra una diffusione del linguaggio del pittore che va oltre la semplice “ricerca sull’Urbinate”, ma anzi assume dei tratti abbastanza riconoscibili della tradizione ferrarese e padana: nel dipinto scorgiamo una struttura compositiva, una pennellata levigata e dei colori luminosi ma non accesi come quelli del Sanzio, che fanno più riferimento all’eredità peruginesca. Il Francia, secondo il Vasari, fu un artista molto prolifico ed ebbe numerosi aiuti ed apprendisti, fatto che rende molto difficile ai contemporanei l’individuazione di una mano riconoscibile tra le opere che stilisticamente risultano affini alla sua bottega. Olio su tavola, cm 111.5x75
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Lotto 70 Gregorio Preti (Taverna 1603 – Roma 1672), attr. a, Adorazione dei Magi Questa tela è attribuibile all'ambito del maturo barocco napoletano, probabilmente opera di Gregorio Preti. Di certo il taglio della composizione è più ravvicinato rispetto alle grandi macchine sceniche del Cavalier Calabrese, ma l'attenzione dedicata da Gregorio Preti alle composizioni intime e classiciste lo rendono - se non celebre al pari del fratello - di certo molto apprezzato anche in ambito romano; ciò è dimostrato dalle diverse committenze Aldobrandini e alle collaborazioni a più ampi cantieri. Olio su tela, dimensioni ext. 145,5x115, int. 129x97 cm.
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Lotto 71 Mario Nuzzi detto Mario de’ fiori (Roma, 1603 – Roma 1673), Coppia di paesaggi con corona di fiori La fortunata produzione di Mario de’ fiori è legata sia alla sua biografia che al gusto per la pittura contemporanea di natura morte con fiori. Nipote del celebre caravaggista Tommaso Salini, si forma a Roma nella bottega dello zio e alla sua morte ne eredita il folto numero di clienti, che si affidano a lui per la sua straordinaria perizia di fiorante, maturata anche alla luce dell’attività di floricoltore di suo padre Sisto. Eredità dello zio risulta essere anche il legame che il pittore stringe con Cassiano dal Pozzo, che fu per lui un tramite importante per la conoscenza di artisti internazionali suoi contemporanei, ma soprattutto per i mecenati della corte barberiniana; nel 1634 risulta nei registri dell’Accademia di San Luca e dal 1646 è tra i virtuosi del Pantheon. Questa coppia di ghirlande con paesaggio rurale e figure è probabilmente appartenente alla prima fase della produzione dell’artista, una fase di ricerca e sperimentazione. La pennellata è decisa, poco analitica, quasi espressionistica; questo pendant è caratterizzato da un raro fondo scuro, non appartenente alla maturità dell’artista, ancora poco sensibile al gusto vivace e luministico del pieno barocco. Olio su tela, cm est. 157x130, int. 142x105
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Lotto 72 Marco Ricci (Belluno, 1676- Venezia, 1730), Coppia di paesaggi con viaggiatori Bellunese di nascita e veneziano di formazione, poco sappiamo dell’apprendistato di questo paesaggista, nipote del più famoso Sebastiano Ricci. L’artista risente molto, nella sua produzione, dell’influenza di Salvator Rosa nella resa delle luci e dell’austriaco Eisemann nella costruzione compositiva; uno dei rapporti più proficui per la sua formazione fu senz’altro però quello con l’irrequieto pittore genovese Alessandro Magnasco. La collaborazione con lo zio e l’incontro con Gian Antonio Pellegrini a Venezia lo portano ad apprendere le lezioni dei suoi contemporanei ma gli permettono anche di sviluppare al meglio una propria cifra stilistica, che gli permetterà di ottenere prestigiosi incarichi al di là della Manica. Il nostro pittore è a Londra dal 1707 al 1715, anno in cui fa ritorno a Venezia insieme allo zio Sebastiano: questo è un periodo di sperimentazione, in cui l’artista si dedica all’arte incisoria, che coltiverà fino alla fine della sua vita, e alla scenografia. La sua maturità è stata costellata di commissioni di rilievo, come ad esempio le tele accordategli da Filippo Juvarra per la decorazione della Reggia di Venaria. Olio su tela, cm 148x197