Asta 277 Arte Antica e del XIX secolo

Asta 277 Arte Antica e del XIX secolo

mercoledì 11 dicembre 2019 ore 11:00 (UTC +01:00)
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  • GIACOMO RECCO Attribuito a. Natura morta di fiori. .
    Lotto 129

    RECCO GIACOMO (1603 - 1653) Attribuito a. Natura morta di fiori. . Olio su tela . Cm 66,00 x 66,00. Giacomo Recco, come si sa, è considerato tra i padri della natura morta napoletana in genere e certamente il più antico tra gli specialisti di quadri di fiori. Le sue opere estremamente rare e ricercatissime sono eseguite con grande perizia tecnica e raffinata espressione artistica, tanto da essere ritenute tra le massime espressioni europee del suo tempo. Il quadro va ascritto alla fase migliore della sua produzione, cioè della maturità. Infatti se lo confrontiamo con le opere del primo periodo (per esempio il dipinto in collezione Rivet datato 1626) notiamo già una evoluzione del suo stile che consiste nell'abbandono di un certo schematismo e di una secchezza di forme, indubbiamente di derivazione fiamminga, con la conseguente affermazione della sua personalità decisamente mediterranea. A voler sottolineare e tentare una collocazione cronologica di questo quadro, si potrebbe pensare che venisse realizzato immediatamente dopo i due dipinti della collezione Lorenzelli di Bergamo esposti alla Mostra "Civiltà del '600 a Napoli". Questa affermazione trova conferma nella maggiore libertà espressiva raggiunta nella parte del quadro rappresentata dai fiori, mentre nel vaso che conserva uno schema antico, dobbiamo notare un alto lirismo che si fa sentire attraverso il verde cangiante delle sfaccettature del corpo del vaso stesso. . Cornice presente

  • ARTISTA NORDEUROPEO DEL XVII SECOLO  Riposo durante la fuga in Egitto.
    Lotto 130

    ARTISTA NORDEUROPEO DEL XVII SECOLO Riposo durante la fuga in Egitto. Olio tela/tavola. Cm 110,00 x 60,00.

  • PHILIP JAMES DE LOUTHERBOURG Naufragio.
    Lotto 131

    DE LOUTHERBOURG PHILIP JAMES (1740 - 1812) Naufragio. Olio su tela . Cm 62,50 x 51,50. Provenienza: Collezione privata.Bibliografia di riferimento: Rudiger Mathias Joppien, Die Szenenbilder Philippe-Jacques de Loutherbourgs: eine Untersuchung zu ihrer Stellung zwischen Malerei und Theater, Druck Fixdruck am Steintor, Koln 1972; Philippe-Jacques de Loutherbourg, RA, 1740-1812, Catalogue of an exhibition held at Kenwood, The Iveagh Bequest, Greater London Council, London 1973; Olivier Lefeuvre, preface par David Bindman, Philippe-Jacques de Loutherbourg, 1740-1812, Arthena, Paris 2012; Loutherbourg (Strasbourg 1740-Londres 1812): tourments et chimeres, Strasburgo, Musee des Beaux-Arts, 17 novembre 2012-18 febbraio 2013, mostra a cura di Dominique Jacquot e Olivier Lefeuvre. Allievo del padre, il miniaturista e incisore Philip-Jacob I (Il vecchio), Philippe-Jacques de Loutherbourg, dopo una formazione presso l'Università di Strasburgo per diventare Ministro luterano, nel 1755 accompagna il padre a Parigi. Nella capitale francese frequenta gli ateliers di Charles-Andrè van Loo, dei Tischbein e, dal 1757, di Francois-Joseph Casanova (fratello del famoso avventuriero), divenendo rapidamente celebre come pittore di paesaggi, marine, scene di tempesta, battaglie e animali, tematiche nelle quali supera la maggior parte dei pittori in esse specialisti, attivi a Parigi. In Francia ha modo, infatti, di apprendere e di far evolvere la celebre tradizione della pittura di paesaggio che aveva in Claude Lorrain (1600-1682) e in Claude-Joseph Vernet (1714-1789) i suoi più alti esponenti. L'artista franco-inglese espone opere ai Salons parigini dal 1763 al 1771 ricevendo gli encomi di Denis Diderot che lo considerava di grande talento. Oggi la sua produzione pittorica è oggetto di una rivalutazione storiografica: il Musee des Beaux-Arts di Strasburgo (che possiede un'ampia raccolta delle sue opere, tra cui numerosi paesaggi in tempesta) gli ha recentemente (2012-2013) dedicato una personale, la prima in Francia e la seconda in assoluto dopo quella londinese del 1973, in occasione del bicentenario della sua morte, ed Olivier Lefeuvre (2012) ha pubblicato una monografia che include il catalogo ragionato dei suoi dipinti. . Cornice presente

  • CIRO FERRI Bottega di. Cristo e la samaritana al pozzo.
    Lotto 132

    FERRI CIRO (1634 - 1689) Bottega di. Cristo e la samaritana al pozzo. Olio su tela . Cm 58,00 x 76,00. L'opera è accompagnata dalla scheda di G. Chiono, 1967. Ciro Ferri fu allievo e collaboratore di Pietro Berettini da Cortona di cui adottò la maniera. La composizione della tela rappresenta il racconto evangelico, secondo cui la samaritana giunta al pozzo per attingere l'acqua si lascia condurre da Gesù sulla via della fede. La rappresentazione del dipinto è intensa, ricca di vitalità e forse tipica della sua produzione squisitamente barocca. I dipinti di Ciro Ferri erano molto apprezzati all'epoca e spesso venivano richieste riproduzioni, non stupisce quindi le varianti autografe di dipinti antichi diffusi in gallerie, musei, collezioni private. . Cornice presente

  • ARTISTA GENOVESE DEL XVII SECOLO  Sansone e Dalila.
    Lotto 133

    ARTISTA GENOVESE DEL XVII SECOLO Sansone e Dalila. Olio su tela . Cm 120,00 x 152,00. . Cornice presente

  • GORTZIUS GELDORP Ritratto di anziana.
    Lotto 134

    GELDORP GORTZIUS (1553 - 1618) Ritratto di anziana. 1597. Olio su tavola. Cm 68,50 x 92,50. Firmato e datato 1597 in alto a destra. Provenienza: Collezione privata. Gortius Geldorp è nato a Lovanio nel 1553. Lo storico Karel van Mander (1604) ricorda che il pittore è chiamato "Geldorp" dal nome di un villaggio vicino ad Eindhoven, nel Brabante del nord, da cui proveniva la famiglia. Il maestro firma spesso le sue opere con il monogramma "GG". Si forma ad Anversa prima presso l'atelier di Frans I Francken e poi di Frans I Poubus, entrambi allievi del noto pittore fiammingo Frans Floris. Verso il 1579 è a Colonia al seguito di Carlo V d'Aragona, duca della corte di Terranova, per il quale è pittore di corte e dove si stabilisce definitivamente. In Germania, grazie alla sua forte personalità e alle sue composizioni libere, surclassa i maestri locali legati ad un modo di dipingere più schematico e meno colorato. Geldorp è noto soprattutto come pittore di ritratti, suoi soggetti prediletti: ne esegue circa una settantina, generalmente dipinti su legno e dall'elegante manierismo influenzato da Hans von Aachen. Dipinge i ritratti dei più importanti borgomastri di Colonia, di donne, bambini e intere famiglie, molti dei quali sono conservati presso il Rijksmuseum di Amsterdam. Raffigura anche santi e figure mitologiche rappresentati, tuttavia, sempre alla maniera dei ritratti. Molti dei suoi dipinti sono stati incisi da Crispin de Passe e da Peter Isselburg.L'opera è dipinta alla maniera di Geldorp su legno ed è passata in una prestigiosa collezione, come dimostra il sigillo di ceralacca rossa al verso. Il pittore dipinge il ritratto di una donna elegantemente vestita con cuffia e gorgiera, secondo la moda d'importazione spagnola del tempo. Sulla tavola è riportata la data del dipinto, il 1597, unitamente al monogramma del Maestro (le due G intrecciate) e all'età della signora, definita con l'iscrizione latina: "Aetatis 57". I gioielli, che ornano l'abito e le mani, connotano socialmente la donna come appartenente alla borghesia mercantile.Notevole è la qualità pittorica nella resa dei gioielli, del tessuto dell'abito, delle mani e dei tratti fisionomici della donna, caratteristici di quell'attenzione al dettaglio che connota la tradizione della pittura fiamminga. Il pittore mostra predilezione anche per la resa della psicologia del soggetto rappresentato. Colpiscono, infatti, il portamento fiero e l'espressione dolce e pia, tipici della produzione ritrattistica di Geldorp: si confrontino i numerosi ritratti conservati al Rijksmuseum di Amsterdam, in particolare quello che raffigura Lucretia del Prado, per le analogie stilistiche e iconografiche.

  • TOMMASO BONA Madonna coi Santi Girolamo e Rocco.
    Lotto 135

    BONA TOMMASO (1548 - 1614) Madonna coi Santi Girolamo e Rocco. Olio su tela . Cm 135,00 x 195,00. Si ringrazia il Prof. Luciano Anelli per aver individuato in Tommaso Bona l'autore dell'opera dopo visione diretta del dipinto.

  • KARL AGRICOLA Ritratto della ballerina Fanny Elssler come Flora.
    Lotto 136

    AGRICOLA KARL (1779 - 1852) Ritratto della ballerina Fanny Elssler come Flora. Olio su tela . Cm 128,00 x 190,00. Firmato e datato 1829 in basso a sinistra. . Cornice presente

  • HORACE VERNET  Attribuito a. Ratto della Francia.
    Lotto 137

    VERNET HORACE (1789 - 1863) Attribuito a. Ratto della Francia. Olio su tela . Cm 128,00 x 98,00. Provenienza: Collezione privata. Nel 1814 Horace ha una parte attiva nella difesa di Parigi, all'epoca dei Cento Giorni - quando viene insignito della Croce d'onore dallo stesso Napoleone -, e si adopera nell'immortalare l'evento nel celeberrimo dipinto La Barriere de Clichy. Defense de Paris, le 30 mars 1814 (Parigi, Museo del Louvre, 97,5 x 130,5 cm), divenuto un'immagine simbolo della resistenza alla repressione conservatrice. Il "nostro" Ratto della Francia del 1814 è coevo e di dimensioni affini all'opera parigina. Come è prerogativa del modus operandi del Maestro, Horace si avvale, infatti, di una tela di ampie dimensioni ( 98x128 cm), in modo da creare - già al primo impatto visivo - un effetto imponente. La Francia vi è raffigurata allegoricamente, per mezzo di una fanciulla in vesti bianche svolazzanti, mentre i due soldati armati sono una trasposizione sulla tela di personaggi realmente osservati dall'artista: indossano, infatti, le tipiche uniformi dell'epoca, descritte con dovizia di particolari. I loro volti sono resi con pathos tale da riuscire a coinvolgere emotivamente lo spettatore. All'impetuosità dell'azione contribuiscono i cavalli, colti durante la corsa e sospesi in aria - come si ammira in molte opere a destinazione museale di Horace -, e il fuoco dello sparo, prerogative che conferiscono al Ratto della Francia un'intensità unica, "cinematograficamente" ante litteram. Rilevanti e connotanti lo stile di Horace sono anche il tocco fluido e rapido della pennellata e la tavolozza cangiante. L'opera denota inoltre la ricchezza di un'immaginazione piena di "estro" artistico, qual è quella di Horace, nel modo ironico in cui è ritratta l'espressione del cavallo bianco. Horace Vernet è divenuto, infatti, celebre per la sua capacità di rappresentazione talmente veridica da riuscire a descrivere anche gli aspetti più originali della vita dell'epoca, con un talentuoso e unico senso della narrazione.

  • CARLO DOLCI Madonna con bambino.
    Lotto 138

    DOLCI CARLO (1616 - 1686) Madonna con bambino. Olio su tela . Cm 76,50 x 76,50. Opera accompagnata dalla scheda a cura di Sandro Bellesi. In buono stato di conservazione, l'opera, collocata in origine in una cornice stondata nella parte centrale, presenta, all'interno di uno spazio indefinito e apparentemente privo di profondità, la figura della Vergine Maria seduta in atto di sorreggere sulle proprie gambe Gesù Bambino, effigiato in posa eretta. Alonato da un'intensa luminosità divina, il piccolo figlio di Dio, fonte di luce esso stesso, è descritto come un infante dalla carnagione candida e dalla folta chioma bionda leggermente arricciata con una mano benedicente rivolta verso uno o più astanti ideali. Piena di tenerezza e amore materno appare la figura della Madonna, dai lineamenti perfetti e dalla pelle levigatissima evocante il lucido calcedonio rosa di Volterra, che, posta di tre quarti, è totalmente attratta dalla contemplazione del figlioletto. L'alta qualità riscontrabile nell'esecuzione delle figure si sottolinea magistralmente anche nella resa delle stoffe, orchestrate in prevalenza su effetti preziosi ricchi di smalto, alternanti, per lo più, blu lapislazzuli a bianchi perlacei e rossi corallo a verdi oliva. I caratteri di stile e le strette affinità con alcune opere di Carlo Dolci, raffiguranti la stessa composizione, consentono di poter riferire il dipinto al catalogo di questo artista. Nato a Firenze nel 1616 e figlio del sarto Andrea Dolci, Carlo, stando alle memorie storiche tramandate dall'amico e biografo Filippo Baldinucci ( Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua, Firenze, 1681-1728), fu avviato allo studio della pittura intorno ai nove anni nella scuola di Jacopo Vignali, importante pittore toscano uscito dall'atelier di Matteo Rosselli. La stretta dipendenza dallo stile di questo maestro unita alla conoscenza e allo studio delle realizzazioni di altri pittori locali d'inizio secolo, prime tra tutte quelle di Cristofano Allori, caratterizzano, sul volgere degli anni venti, le prime opere oggi note dell'artista, contrassegnate da un raffinatissimo linguaggio stilistico improntato in gran parte su un acuto realismo, ben visibile nella resa sorvegliata dei personaggi e nella cura quasi maniacale dei dettagli, eseguiti con un rigore che potremmo definire iperrealista.Sulla traccia delle fonti biografiche, dei documenti d'archivio e delle iscrizioni presenti in molti dipinti è possibile seguire in maniera puntuale l'attività del nostro, caratterizzata "da immagini dalla bellezza virginea e atemporale, ostentata dalla resa levigatissima e quasi porcellanata degli incarnati su cui si infrange una pallida luce astrale, e da un'aurea di sacralità che si coglie velatamente anche nelle raffigurazioni profane, per lo più ritratti e allegorie". Il saldo legame con le dottrine cristiane, che rimase costantemente come elemento chiave per la lettura delle sue opere e delle scelte di vita dell'artista, portarono Carlo ad aborrire la raffigurazione di dipinti sensuali o maliziosi, molto in voga nell'arte fiorentina del tempo legata essenzialmente agli insegnamenti di Francesco Furini e dei suoi seguaci, e a dedicare quasi tutte le sue pitture a soggetti sacri, per lo più Madonne con Bambino, episodi evangelici e immagini di santi. Risale al 1672 l'unico viaggio effettuato dall'artista oltre i confini toscani. In occasione delle nozze imminenti tra l'arciduchessa Claudia Felicita d'Austria con l'imperatore Leopoldo d'Asburgo, Dolci soggiornò, in tale anno, alcuni mesi alla corte di Innsbruck, dove realizzò, tra le altre opere, due ritratti della futura sposa. Al rientro in patria fu assalito per alcuni anni da una profonda crisi depressiva, che lo portò quasi ad abbandonare la sua professione. Grazie alla vicinanza della famiglia e degli amici a lui più cari, l'artista, dopo il 1675, riprese a pieno ritmo la sua attività, conclusasi con la morte nel 1687. L'opera risulta una replica autografa di note composizioni di Carlo Dolci, il cui prototipo è riconosciuto tradizionalmente dalla critica contemporanea nella Madonna con Gesù Bambino, altrimenti nota come Madonna delle Pietre Dure per la presenza di una fastosa cornice barocca in metallo dorato e pietre dure, conservata nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, proveniente dalle raccolte medicee. Datata erroneamente da Francesca Baldassari agli anni trenta e poi riferita da Riccardo Spinelli al decennio successivo, l'opera fu oggetto di riflessioni costanti da parte dell'artista come indicano, oltre all'opera in esame, alcune repliche, a volte quasi identiche e altre con leggere varianti, tra le quali meritano di essere ricordate, per maggiori pertinenze lessicali e per migliore qualità, una versione presso la Galleria Borghese a Roma e una nelle raccolte del Kunsthistorisches Museum a Vienna. La mancanza di memorie storiche relative alla provenienza ab antiquo dell'opera non esclude che questa possa essere identificata con uno dei quadri con Madonna e Gesù Bambino riferiti nelle documentazioni biografiche e nei referti archivistici al nome di Carlo Dolci, tra i quali compariva, appunto, una " bellissima Vergine col Bambino Gesù, che con special cura si conserva(va) nella cappella del Noviziato de' Padri di S. Marco: opera alienata dal convento fiorentino in epoca imprecisata, la cui memoria storica è stata reperita dallo scrivente solo in tempi recenti. Seppur leggermente più debole nel passaggio delle pennellate sul panno cremisi della veste della Vergine rispetto al bellissimo e citato prototipo della Galleria Palatina, l'opera, riferibile con probabilità a un momento più tardo scalabile agli anni sessanta o settanta, rivela in ogni caso la piena autografia di Dolci, come testimonia il confronto con alcune derivazioni di bottega tra le quali spicca una tela in collezione privata assegnata a Onorio Marinari: opera, quest'ultima, dignitosa ma, a tutti gli effetti, decisamente mediocre rispetto all'esemplare in esame. . Cornice presente

  • BOTTEGA DEI BASSANO, XVI SECOLO  Adorazione dei pastori.
    Lotto 139

    BOTTEGA DEI BASSANO, XVI SECOLO Adorazione dei pastori. Olio su tela . Cm 165,00 x 120,00. Al retro firmato "Francesco Bassano". Provenienza: Collezione Privata, Bergamo. Bibliografia di riferimento: Jacopo Bassano, i figli e la bottega, 6 Dicembre 2013 - 4 Maggio 2014, Palazzo Thiene, Vicenza. . Cornice presente

  • ANGELO PAGLIA Elevazione della Vergine.
    Lotto 140

    PAGLIA ANGELO (1681 - 1763) Elevazione della Vergine. Olio su tela . Cm 157,00 x 241,00. Prima del rintelo riportava la seguente scritta documentata durante il restauro: "Angelus Palia p. 1734".Ringraziamo il Prof. Luciano Anelli per aver visionato l'opera dal vivo e confermato l'attribuzione.

  • GIROLAMO SICIOLANTE DA SERMONETA Battesimo di Cristo.
    Lotto 141

    DA SERMONETA GIROLAMO SICIOLANTE (1521 - 1580) Battesimo di Cristo. Olio su tavola. Cm 53,00 x 70,00. Al retro timbro a ceralacca. Provenienza: Collezione Privata. Bibliografia di riferimento: J. Hunter, Girolamo Siciolante pittore da Sermoneta (1521-1575), "L'Erma" di Bretschneider, Fondazione Camillo Caetani, Roma 1996.L'opera è accompagnata dall'expertise a cura di Emilio Negro, 18 maggio 2006. Girolamo Siciolante nasce a Sermoneta (Latina) e viene mandato a Roma come allievo di Leonardo da Pistoia. Forse già a partire dal primo lavoro, eseguito in proprio nel 1541, secondo la testimonianza di Vasari, diventa allievo di Perin del Vaga, allora impegnato nella decorazione dell'appartamento papale a Castel S. Angelo. Il nuovo sodalizio si rivela una fortuna per Siciolante che si trova ad occupare una posizione di primo piano nella capitale. Perin si è infatti già distinto come il pittore più rinomato della corte di Paolo III e Vasari afferma che Siciolante è il suo miglior allievo. Nel 1543 diventa socio dell'Accademia di S. Luca, l'anno seguente entra a far parte dell'associazione chiamata la Congregazione dei Virtuosi al Pantheon: una lega di artisti che lavorano per Paolo III. Grazie al suo talento e all'appartenenza a queste due associazioni, cresce e conserva prestigio nell'ambiente romano. Gode inoltre dell'appoggio dei Caetani che gli affidano numerose commissioni in quanto famiglia di rilievo nel contesto romano e strettamente legata alla corte dei Farnese. Quando Siciolante comincia a lavorare a Roma, Camillo Caetani è infatti il signore di Sermoneta e suo cugino Alessandro Farnese è diventato papa con il nome di Paolo III. L'artista soggiorna anche nelle terre padane, prima a Piacenza, poi a Bologna, dove ha modo di studiare la pittura di Prospero Fontana. Muore d'improvviso nell'estate del 1575, lasciando la famiglia in uno stato di sicurezza e benessere grazie alla brillante carriera conquistata in vita.La tavola raffigura uno degli episodi più significativi della vita di Cristo: il Battesimo nel fiume Giordano. L'iconografia rispetta la tradizione rinascimentale con Cristo al centro della scena di paesaggio e Giovanni vestito con la pelle d'agnello che compie il gesto sacrale assistito da alcuni angeli.Lo stile manierista dell'opera, di alta qualità e in buono stato di conservazione, indica l'ispirazione tratta dai dipinti di Perin del Vaga e mostra una leggera vena classica unita ad influenze padane, derivate dalla pittura di Prospero Fontana, tutti stilemi che rimandano a Girolamo Siciolante. L'expertise del Prof. Emilio Negro assegna infatti il dipinto al corpus delle opere del maestro e propone il confronto con dipinti della sua piena maturità artistica, come le Storie della Creazione nella cappella della Natività in Santa Maria della Pace a Roma. La presenza, qui come nel Battesimo, della medesima sobrietà compositiva e degli stessi colori caldi e smaltati collocano la tavola accanto ai migliori dipinti realizzati da Siciolante. . Cornice presente

  • FRANCESCO  ZUCCARELLI Fiume ghiacciato con personaggi. .
    Lotto 142

    ZUCCARELLI FRANCESCO (1702 - 1788) Fiume ghiacciato con personaggi. . Olio su tela . Cm 54,50 x 40,00. Provenienza: Galleria d'Arte Permanente, Bergamo. Collezione Privata. Bibliografia di riferimento: H. Walpole, Anecdotes of Paintings, London, 1826-1828, 5 vols (ed.1969, vol. IV, pp. 122-123); F. Spadotto, Francesco Zuccarelli, catalogo ragionato dei dipinti, Milano, Bruo Alfieri editore, 2007.L'opera è accompagnata da expertise a cura di Federica Spadotto che si riporta di seguito.La biografia del più acclamato paesaggista del Settecento europeo si profilava come una carrellata di ben disegnate pastorellerie all'insegna delle bucoliche descritte da Virgilio e trasposte sulla tela con accenti più o meno idillici. Francesco, almeno così tutti credevano, era l'aedo della perduta età dell'oro, fatta di eterni meriggi assolati, pastorelle felici, contadini e pescatori dalla fisicità statuaria languidamente abbandonati all'ozio meridiano, ignari della fatica e del dolore.In realtà quello cui si fa riferimento rappresenta solo un segmento, pur cospicuo, del corpus zuccarelliano, che vanta un bagaglio di esperienze assai variegato e complesso, come si legge in modo esauriente nell'opera in esame. A partire dal soggetto, un fiume ghiacciato, immediatamente riferibile ai celeberrimi esemplari dei Brueghel ( cfr. Vienna, Kunsthistorisches Museum) e dell'area culturale fiamminga, cui Francesco attinge con la curiosità che lo caratterizza.Ben consapevole di confrontarsi con un genere "foresto", in quanto il paesaggio penetra a Venezia attraverso un nutrito gruppo di mastri stranieri soltanto alla fine del Seicento, il nostro pittore - come già un ventennio prima Marco Ricci -, si trova ad operare in un contesto digiuno di modelli e riferimenti autoctoni, che implicava l'imprescindibile necessità di rintracciare dei referenti. Alla stregua del Ricci, sebbene in misura più contenuta, lo Zuccarelli guarda alle stampe nordiche e, insieme al repertorio dei maestri romani, confeziona delle pieces modellate sui grandi protagonisti della pittura fiammingo-olandese del XVII secolo, come testimoniano il Paesaggio con osteria (Spadotto, 2007, cat. 53) delle Collezioni Reali Inglesi, la Sosta lungo il cammino ora al Fitzwilliam Museum di Cambridge ( Spadotto, op.cit., cat.292), il Paesaggio marino ( Spadotto, op.cit., cat. 392) e la Festa campestre ( Spadotto, op.cit., cat.394). Tutti gli esemplari citati condividono l'appartenenza ad un universo culturale di matrice nordica, rielaborato dal Pitiglianese attraverso un fraseggio pittorico intriso di quella leggerezza e fluidità che avevano saputo sedurre i collezionisti decretando per il suo artefice un apprezzamento pari soltanto a quello di Tiepolo.Il lungo soggiorno oltremanica ( 1752-1762; 1765-1771), intrapreso nel 1752 all'apice della fama, arricchisce di nuovi stimoli il microcosmo espressivo di Francesco, che offre la propria tavolozza a temi e suggestioni diversissime rispetto al repertorio frequentato in Laguna. Purtroppo molte opere di quel periodo sono andate perdute ed il loro ricordo è affidato ai registri contemporanei relativi ad esposizioni e vendite tenute a Londra, dove si leggono titoli decisamente illuminanti, come avviene da Prestage & Hobbes nel 1762 ( cfr. Walpole, 1826-28), quando il Pitiglianese mette all'incanto un Cavallo Arabo insieme ad un dipinto con Antonio e Cleopatra ed un Ritratto.Per alcune pieces, invece, il destino è stato più clemente ed ha tramandato esemplari di straordinario valore documentario, oltre che storico artistico, come varie scene di caccia ( cfr. Spadotto, op.cit., cat. 387-392), tra cui spicca quella della Gallerie dell'Accademia a Venezia (Spadotto, op.cit., cat.388), collocabile agli esordi dell'ottavo decennio. Vale quindi la pena di soffermarsi su questo straordinario capolavoro, in quanto presenta delle caratteristiche di forma e stile estremamente affini al dipinto in esame. In primo luogo la fisionomia dei personaggi, assottigliata e nervosa rispetto agli omologhi arcadici, con cui invece condivide l'ovale ed i tratti del volto - vero e proprio carattere guida della grafia zuccarelliana -, mentre di straordinaria pregnanza si rivela la donna avvolta in un mantello rosso a sinistra della nostra tela, identica alla fanciulla posta in modo simmetrico ai piedi del grande albero nella celebre Caccia veneziana.Non si tratta di un dettaglio trascurabile, in quanto non rappresenta un ingrediente tipico dello Zuccarelli e circoscrive quindi una specifica cronologia, molto vicina alla genesi della tela ora alle Gallerie dell'Accademia e con ogni probabilità confezionata a ridosso del ritorno definitivo in Laguna (1771). Tale conclusione viene peraltro ribadita dal sapore spiccatamente nordico del nostro dipinto, indice di una padronanza profonda rispetto al retroterra culturale fiammingo che rappresentava la piattaforma referenziale del paesismo oltremanica. Soltanto la stretta e diretta frequentazione di siffatti temi e referenti poteva produrre un risultato di così alto livello, dove la consapevolezza della propria identità sa vestirsi dell'altrui eccellenza in un perfetto connubio.Queste considerazioni acquistano forse maggiore significato se si confronta la tela riccesca di omologo soggetto, conosciuta attraverso una fotografia della Fondazione Zeri ( scheda n. 68413), con il dipinto in esame: nell'una il tema, desunto senza dubbio da un'incisione nordica, viene usato come sfondo su cui innestare il pathos cromatico veneziano; nell'altra diviene occasione d'incontro per due mondi all'apparenza incompatibili, tanto più se è chiamato in causa l'aedo Francesco Zuccarelli. Il dipinto in esame verrà inserito nella seconda edizione della monografia sul pittore, in corso di redazione.. Cornice presente

  • GIUSEPPE BONITO Putto dormiente.
    Lotto 143

    BONITO GIUSEPPE (1707 - 1789) Putto dormiente. Olio su tela . Cm 108,00 x 59,00. Pittore di Camera del Re dal 1751, Accademico di San Luca dal 1752, direttore dell'Accademia napoletana del disegno dalla sua fondazione (1755), consulente della Real fabbrica degli arazzi dal 1757, Giuseppe Bonito è tra le maggiori personalità dell'ambiente artistico napoletano della metà del XVIII secolo. Ancora fanciullo entra nella bottega di Francesco Solimena che domina la scena artistica napoletana dell'epoca. Le prime opere, realizzate nel 1730 per la chiesa di S. Maria Maggiore a Napoli, sono, infatti, nello spirito di Solimena, anche se più morbide e delicate nell'esecuzione. Dopo questo inizio, muovendo dalla svolta determinata dallo stile di Mattia Preti e dalle ultime tele di Luca Giordano a Napoli, Bonito si orienta verso soluzioni di gusto neobarocco. Secondo le indicazioni dello storico Bernardo De Dominici, il pittore realizza numerose scene di genere che gli vengono richieste da una committenza meno legata a tradizionali esigenze di gusto aulico e ufficiale. Suoi quadri di genere si trovano in numerose collezioni private e sono conservati in importanti pinacoteche italiane ed estere. Dal 1749 è impegnato in una lunga serie di ritratti ufficiali di personaggi della famiglia reale o dell'antica e nuova nobiltà napoletana. Nel 1752 firma il contratto per gli affreschi di S. Chiara a Napoli che la critica concorda nel considerare le sue opere più importanti ( sono andati distrutti nel 1943, ma ne resta un bozzetto al Museo di Capodimonte, Napoli). L'opera che corona gli ultimi anni di attività è l'enorme Immacolata Concezione per l'altare maggiore della cappella palatina nel Palazzo Reale di Caserta che dipinge, con rimandi allo stile di Anton Raphael Mengs, per sostituire una pala che al re non piaceva. L'opera qui presentata, in buono stato di conservazione e di alta qualità, è assegnabile su base stilistica alla mano di Giuseppe Bonito. I passaggi di colore saturo di luce, alterati a parti dense di ombre, le zone cromatiche più intense scurite e l'atmosferico rarefarsi dei contorni sono, infatti, caratteristici dello stile di Bonito e avvicinano l'opera al sapiente uso della luce di Caravaggio, in particolare al suo Amorino dormiente ( Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti), cui rimanda anche la posa della figura. L'impasto del pigmento è steso a volte in pennellate lunghe e sottili, evidenti anche ad occhio nudo, a volte in agglomerati di piccoli tocchi di colore, caratteristica che ricorre spesso nei dipinti di Bonito, in particolare negli incarnati. I tratti individuali del volto del putto sono molto accentuati, realistici, e particolarmente suggestiva è la resa del velo sottilissimo che si appoggia sul corpo. Anche gli elementi della natura sono descritti con minuzia di particolari e sono rappresentati con senso sicuro della terza dimensione. Nonostante il forte realismo della composizione, traspare un effetto di grazia dovuto al senso di languido abbandono della figura e ispirato alla pittura di Guido Reni, di cui si confronti il Putto dormiente della Galleria Nazionale di arte antica di Roma.

  • GASPARE TRAVERSI Madonna con San Giuseppe e il Bambino.
    Lotto 144

    TRAVERSI GASPARE (1722 - 1769) Madonna con San Giuseppe e il Bambino. Olio su tela . Cm 30,00 x 40,00. Riporta in grafia antica nome e data al verso, in basso a destra, 1753. Provenienza: Collezione Privata. L'autografia dell'opera è stata verbalmente confermata da Nicola Spinosa dopo visione dal vivo del dipinto.Per cfr: San Giuseppe col Bambino, Toronto, Royal Ontario Museum, 1758 circa ( pubblicata in "Gaspare Traversi, napoletani del 700 tra miseria e nobiltà, Catalogo della mostra di Napoli, Castel Sant'Elmo, 13 dicembre 2003-14 marzo 2004, a cura di Nicola Spinosa, Napoli 2003, p. 247, R 134).Formatosi a Napoli presso la bottega del pittore Francesco Solimena (con Giuseppe Bonito), Gaspare Traversi è ormai un riconosciuto protagonista della pittura europea, grazie all'acutezza di indagine e alla sottile ironia con cui è riuscito a ritrarre il particolare ambiente napoletano e romano del Settecento. Solo in anni recenti (1980-1985) si è potuto procedere ad un corretto profilo biografico dell'artista a seguito di importanti ritrovamenti documentari.Nei primi anni della sua attività Traversi si dirige verso un recupero della cultura naturalistica del primo Seicento napoletano, sulla scorta di pittori quali Battistello Caracciolo, Carlo Lanfranchi, Jusepe de Ribera e Mattia Preti: tali principi pittorici sono individuabili già nella prima opera attribuitagli, la Crocifissione, firmata e datata 1748 ( ora facente parte della Collezione Escalar di Roma), e rimarranno suo riferimento figurativo costante. Nel 1752 si sposta a Roma (dove rimarrà per tutta la vita): su commissione dei Carmelitani di San Crisogono, realizza una serie di sei tele incentrate su temi biblici ed evangelici (oggi conservate presso la Basilica di San Paolo fuori le mura). L'anno successivo, per Padre Raffaele di Lugugnano, lavora alla decorazione della sagrestia della chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto a Castellarquato, in provincia di Parma, portata a termine nel 1758. Roberto Longhi, a cui spetta la rivalutazione critica dell'artista (1927), distingue Traversi dagli artisti di "genere" e vi individua rapporti con la cultura illuminista e con il teatro coevo. Per il critico Traversi è un pittore notevole perchè si avventura su un terreno fino ad allora mai battuto. Durante il periodo romano l'artista entra infatti in contatto con un ambiente culturale estremamente vivace che lo indirizza verso un'ulteriore apertura in senso naturalistico e verso la riproduzione in pittura dei sentimenti. Realizza in questi anni svariate scene di vita quotidiana con soggetti studiati dal vero, e presi sia dalle classi agiate, sia da quelle popolari, che hanno oggi la preziosa funzione di documenti recanti un'accurata indagine sociale dell'epoca. Teatro, moda, musica e società esercitano dunque una forte attrattiva sulla produzione artistica di Traversi che si avvicina alla produzione coeva di pittori quali William Hogarth. I lavori di questi anni sono il risultato della comunione tra le prime esperienze napoletane dell'artista e le sollecitazioni della pittura nordica e dell'eredità caravaggesca: la resa psicologica della realtà emerge pienamente anche nei dipinti religiosi, nei quali l'espressiva gestualità e la forte caratterizzazione dei volti sono rivelatori del carattere dei personaggi rappresentati. L'artista realizza inoltre alcuni ritratti di personalità di spicco sia dell'ambiente romano sia di quello napoletano, a testimonianza della continuità di rapporti con la città partenopea. Di Traversi si conoscono circa 200 dipinti, di cui solo 18 recano la firma e solo 10 sono datati. Con un analitico descrittivismo, che ridà nuova vitalità al realismo seicentesco di Ribera, l'opera si caratterizza per l'impiego delle cosiddette "teste di carattere", modelli non idealizzati ma studiati direttamente dal vero (sorta di ritratti anonimi), reimpiegati più volte nelle composizioni di Traversi. Il volto di San Giuseppe è connotato da un incarnato scuro ed è segnato da rughe profonde in aperto contrasto con la pelle levigata e rosea della Madonna e del Bambino. L'artista mette così in contrasto, come sovente accade nella sua produzione, le tre età della vita. Vivissima è la resa dello sguardo di San Giuseppe che si rivolge, con fare di ammonizione, al Bambino; mentre la Madonna lo guarda dolcemente. L'opera è iconograficamente confrontabile con il San Giuseppe col Bambino, del Toronto Royal Ontario Museum, databile 1758 circa (pubblicata in: Gaspare Traversi, napoletani del 700 tra miseria e nobiltà, Catalogo della mostra di Napoli, Castel Sant'Elmo, 13 dicembre 2003-14 marzo 2004, a cura di Nicola Spinosa, Napoli 2003, p. 247, R 134) e rappresenta una notevolissima aggiunta al catalogo di Traversi: il fatto che rechi la firma e la data al verso ne accresce, infatti, il valore di documento storico in quanto rappresenta uno dei rarissimi esempi di dipinti dell'artista firmati e datati. Inoltre la data 1753 e il soggetto non esclude che il dipinto possa avere fatto parte del ciclo di opere eseguite per la chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto a Castellarquato. . Cornice presente

  • JACOBUS LEVECQ Ritratto d'uomo con cappello.
    Lotto 145

    LEVECQ JACOBUS (1634 - 1675) Ritratto d'uomo con cappello. Olio su tela . Cm 93,00 x 117,00. Provenienza: Collezione Privata olandese. Esposizione: Dal 1945 l'opera è stata esposta in molte mostre come autografa di Rembrandt. Nel 1967 è stata esposta presso il Natural History Museum di Ginevra come autografa di Rembrandt.Nel 1979 l'opera è stata battuta all'asta di Weichmann ( a Wiesbaden, in Germania) con l'attribuzione a Jacobus Levecq. Bibliografia: Irina Linnik, Zur identifizierung eines weiteren Schutzen in der Kompanie des Kapitans Frans Banning Cocq auf Rembrandts Bild, "Die Nachtwache" (per l'identificazione di un altro tiratore della Compagnia del Capitano Frans Banning Cocq nel dipinto di Rembrandt, "La ronda di notte"), in Essays northern European art presented to Egbert Ha Verkamp-Bergemann on his sixtieth birthday, Haverkamp Begemann-Festschrift 1983, pp. 183 e sgg, figura n. 2 (con l'attribuzione a Jacobus Levecq). Allievo di Rembrandt dal 1653 (su base documentaria) al 1655, Jacobus Levecq adotta lo stile del Maestro con una qualità tale che molte sue opere sono state nel passato attribuite al geniale pittore olandese. La sua prima opera datata risale al 1654, Il giovane Mann con cappello (Polesden Lacey, Surrey, National Trust), ma la sua produzione attualmente nota non è molto estesa. Membro della gilda di Dordrecht nel 1655, Levecq lavora a lungo a Parigi e a Sedan (nel sud della Francia, circa nel 1660) dove dipinge probabilmente una serie di ritratti di vescovi che hanno occupato la sede vescovile di questa città. Al suo ritorno a Dordrecht diventa infatti un pittore principalmente di ritratti. Oltre ai ritratti di lui si conosce un solo quadro storico e un solo soggetto di genere. A partire dagli anni 60 risente dell'influsso dei ritratti di Van Dyck e il suo modo di dipingere si accosta alla ritrattistica in voga all'epoca, dedita a rappresentare lo status sociale degli effigiati. Ha avuto come allievo Arnold Houbraken (1660-1719). Già dal 1945 l'opera in esame è stata esposta come autografa di Rembrandt in diverse mostre tra cui quella che si è svolta nel 1967 presso il Natural History Museum di Ginevra. Questo stesso soggetto è stato dipinto da Ferdinand Bol in un'opera (114,4 x 93 cm) - firmata e datata "Rijnbrandt f. 1641" - conservata all'Hermitage di San Pietroburgo (Cat. 1958, n. 762; pubblicata in: Albert Blankert, Ferdinand Bol: 1616-1680 Rembrandt's pupil, Davaco 1982, p. 176, n. R 127).Nel marzo del 1979 l'opera è stata battuta all'asta di Weichmann a Wiesbaden con l'attribuzione a Jacobus Levecq. La studiosa Irina Linnik (1983) ha confermato tale attribuzione e ha identificato l'effigiato in Wallich Schellingwouw, uno degli appartenenti alla Compagnia del Capitano Frans Banning Cocq che Rembrandt aveva ritratto in abiti ufficiali nel suo celeberrimo quadro La ronda di notte del 1642 ( Rijksmuseum di Amsterdam).L'opera è databile verso il 1654 - anno in cui Levecq è apprendista nella bottega di Rembrandt - per il confronto stilistico con il dipinto Il giovane Mann con cappello, datato 1654 , (Polesden Lacey, Surrey, National Trust). Data l'elevata qualità stilistica dell'opera, e la sua datazione nello stesso periodo dell'alunnato di Levecq presso Rembrandt, non si esclude la presenza della mano del grande maestro olandese che aveva già ritratto lo stesso personaggio nella Ronda di notte. Il possibile intervento di Rembrandt trova peraltro riscontri nelle precedenti attribuzioni dell'opera e nei confronti stilistici con i dipinti del Maestro. . Cornice presente

  •  MAESTRO DELLA FLAGELLAZIONE LAMPRONTI (ATTIVO NEL SECONDO E TERZO DECENNIO DEL XVII SECOLO) Incoronazione di spine.
    Lotto 147

    MAESTRO DELLA FLAGELLAZIONE LAMPRONTI (ATTIVO NEL SECONDO E TERZO DECENNIO DEL XVII SECOLO) Incoronazione di spine. Olio su tela . Cm 92,00 x 131,00. L'opera è accompagnata dalla scheda a cura di Gianni Papi, Firenze, 3 settembre 2019 che si riporta di seguito. L'opera è accompagnata dal certificato di libera esportazione. Il dipinto, che all'epoca conoscevo solo attraverso un'immagine fotografica e me ne era ignota l'ubicazione, è stato da me pubblicato nel 1989 con l'attribuzione a Tommaso Salini. Tale attribuzione si inseriva in un trittico di contributi sulla rivista "Paragone" (del sottoscritto, di Mina Gregori e di Viktoria Markova), che riferivano a Salini molti quadri di figura e che con entusiasmo credevano di aver individuato un notevole corpus della sua attività di figurista. Purtroppo il tempo avrebbe confutato quella fiducia e quell'entusiasmo, e ormai la maggior parte degli studiosi, me compreso, è convinta che al vero Salini spettino soltanto sette o otto dipinti e che nessuna di tutte le attribuzioni che nel 1989 si proponevano, debba resistere. Io stesso, a cominciare dal contributo che pubblicavo nel 2011, ho proposto la suddivisione del catalogo di Salini, gravato da tanti dipinti che non gli appartenevano, in altri gruppi riferibili ad artisti anonimi che battezzavano Maestro di Baranello (assegnando il ruolo di name-piece all'Ecce Homo conservato a Baranello) e Maestro degli Armenti, poichè in molti dei dipinti assegnabili a questa personalità vengono raffigurati ovini e animali. Continuando nella tormentata revisione dell'anomala e ultraventennale crescita del gruppo Salini, ho ulteriormente cercato di dare ordine ad altri dipinti confluiti erroneamente nel catalogo del pittore, distribuendoli a un'altra personalità anonima ( il Maestro dell'Elemosina di Santa Lucia) e creando infine una nuova, importante personalità (anch'essa anonima) che ho battezzato Maestro della Flagellazione Lampronti, poichè il gruppo si è costituito intorno al dipinto di omonimo soggetto recentemente acquisito dall'antiquario romano. Al Maestro della Flagellazione Lampronti, oltre al name-piece nel 2016 riferivo una serie di dipinti che stilisticamente risultano essere omogenei: "Una rissa" di collezione privata; "Derisione di Cristo" della Pinacoteca di Spoleto; "Incoronazione di spine" di ubicazione ignota; "Ragazzo che affetta il pane con un gatto" di ubicazione ignota; "Bacco" di collezione privata; "Ragazzo morso da un topo", già Londra, Christie's, e infine il famoso "Ragazzo con un fiasco di vino e cavolfiori" della Collezione Thyssen di Madrid, che per decenni aveva costituito uno dei numeri simbolo del catalogo di Salini. A questo gruppo appartiene ora il dipinto qui in oggetto, che raffigura un'Incoronazione di spine, tema che il maestro affronta anche nel dipinto di ubicazione ignota, che mostra molte analogie stilistiche: si guardi all'anatomia del torace e del braccio di Cristo in entrambi i dipinti. Certe caratteristiche, come la tipica bocca aperta del manigoldo, con le labbra linearmente tracciate, o le dita piegate disegnate con linee parallele e nette, accomunano questa Incoronazione con la Rissa o con il Bacco o con il Ragazzo che affetta il pane. Il manigoldo poi mostra molte affinità, sia nella fisionomia, che nell'abbigliamento, con il personaggio corrispondente nella Flagellazione Lampronti, oggi in collezione privata. Sono dunque convinto che anche questo dipinto, un tempo riferito a Salini, debba essere considerato un'importante aggiunta (per la notevole qualità) al gruppo di questa intrigante personalità, nel cui catalogo si riscontrano al momento, in uguale proporzione, scene della Passione di Cristo e dipinti di genere con soggetti ragazzi travestiti da Bacco o alle prese con morsi di topi, che sembrano discendere - evidentemente a distanza di anni - dalle prime composizioni del giovane Caravaggio a Roma.

  • SEVERO CALZETTA Maniera di. Calamaio in bronzo fuso e cesellato con coperchio sormontato da un satirello, vaschetta adornata di maschere, fenici e festoni. Gambe leonine.
    Lotto 149

    CALZETTA SEVERO (1476 - 1543) Maniera di. Calamaio in bronzo fuso e cesellato con coperchio sormontato da un satirello, vaschetta adornata di maschere, fenici e festoni. Gambe leonine. . Cm 11,00 x 19,50.

  • MANIFATTURA ITALIANA DEL XVII SECOLO  Pace sagomata con Ecce Homo in bronzo fuso, .
    Lotto 150

    MANIFATTURA ITALIANA DEL XVII SECOLO Pace sagomata con Ecce Homo in bronzo fuso, . . Cm 19,00 x 10,50.

  • MANIFATTURA VENETA DEL XVII SECOLO  Calamaio con fenici in bronzo fuso e cesellato.
    Lotto 153

    MANIFATTURA VENETA DEL XVII SECOLO Calamaio con fenici in bronzo fuso e cesellato. . Cm 12,00 x 8,00.

  • MANIFATTURA DEL XIX SECOLO  Cavallo in bronzo.
    Lotto 154

    MANIFATTURA DEL XIX SECOLO Cavallo in bronzo. . Cm 29,00 x 23,50.

  • MANIFATTURA FRANCESE DEL XVII SECOLO  Ritratto di Carlo IX, Re di Francia.
    Lotto 155

    MANIFATTURA FRANCESE DEL XVII SECOLO Ritratto di Carlo IX, Re di Francia. Avorio scolpito. Cm 11,50 x 18,50. Cornice in legno. Al retro inciso "Charles IX". Cornice presente

  • MANIFATTURA TEDESCA DEL XVII SECOLO  Orologio "Telleruhr" in rame sbalzato e argentato a raffigurare trofei d'armi e decorazione fogliacee.
    Lotto 156

    MANIFATTURA TEDESCA DEL XVII SECOLO Orologio "Telleruhr" in rame sbalzato e argentato a raffigurare trofei d'armi e decorazione fogliacee. . Cm 48,00 x 63,00. In cornice non coeva. Da revisionare.

Lotti dal 121 al 144 di 239
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Asta 277 Arte Antica e del XIX secolo

1) MERCOLEDÌ 11 DICEMBRE 2019 dal lotto 1 a 63 (incluso). Dalle ore 11:00

2) MERCOLEDÌ 11 DICEMBRE 2019 dal lotto 64 a 126 (incluso). Dalle ore 15:00

3) GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 2019 dal lotto 127 a 189 (incluso). Dalle ore 11:00

4) GIOVEDÌ 12 DICEMBRE 2019 dal lotto 190 a 255 (incluso). Dalle ore 15:00

Sessioni

  • 11 dicembre 2019 ore 11:00 I tornata, lotti 1-63 (1 - 63)
  • 11 dicembre 2019 ore 15:00 II tornata, lotti 64-126 (64 - 126)
  • 12 dicembre 2019 ore 11:00 III tornata, lotti 127-189 (127 - 189)
  • 12 dicembre 2019 ore 15:00 IV tornata, lotti 190-255 (190 - 255)

Esposizione

DA GIOVEDÌ 5 DICEMBRE 2019 A LUNEDÌ 9 DICEMBRE 2019

10-13; 15.30-18.30 (SABATO E DOMENICA INCLUSI).

Pagamenti e Spedizioni

Pagamenti: amministrazione@capitoliumart.it

Spedizioni: spedizioni@capitoliumart.it

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