Asta di Macchiaioli, Ottocento & Novecento
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Lot 26 PIETRO FRAGIACOMO
(Trieste 1856 - Venezia 1922)
Pescatori in laguna
Olio su cartoncino applicato su tavola, cm 25 x 14
Cornice di epoca posteriore in legno dorato
Firmato Fragiacomo in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Nel 1879 si iscrive ai corsi superiori all'Accademia delle Belle Arti di Venezia dove ha come maestri il "Viola", dal quale apprese le tecniche relative alla rappresentazione prospettica, e Guglielmo Ciardi, uno dei maggiori rappresentanti della pittura paesistica veneta di questo periodo. In questi anni stringe amicizia con Giacomo Favretto e Ettore Tito.
Raggiunge quindi la prima vera affermazione alla Triennale di Milano del 1891, dove espose il quadro intitolato Pace, comprato da re Umberto. Un'altra opera dal titolo D'inverno fu acquistata dalla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.
Sincero e fedele nella vita come nell’arte, Fragiacomo fu un "lirico del paesaggio", conosciuto e apprezzato soprattutto per i suoi paesaggi lagunari: mai si scostò da questi temi, che ritrasse con abilità di poeta, rendendone in modo profondo il silenzio, la solitudine, la pace e comunicando tutto il suo amore per quel mare piatto che lambisce strisce di sabbia affioranti dall'acqua.
Bibliografia: V. Pica, Pietro Fragiacomo, in «Emporium», XXII (1905), pp. 403-416; U. Ojetti, Ritratti d'artisti italiani, Milano 1911, pp. 181-192; V. Pica, Pietro Fragiacomo, Bergamo 1912; P. Scarpa, Fragiacomo, Bergamo 1934; P. Campopiano, Pietro Fragiacomo. Poeta lagunare, s.l. né d. (ma Cremona 1995);. Un catalogo generale delle opere del Fragiacomo è in corso di redazione a cura di Andrea Baboni. Firma leggermente sbiadita. -
Lot 27 RAFFAELLO GAMBOGI
(Livorno 1874-1943)
Lo scalo merci
dopo il 1910
Olio su tavola, cm 19,4 x 31,9
Cornice posteriore in legno dorato
Scritta a stilografica Gambogi sull'ex-libris di Galli sul retro del dipinto
Provenienza: 1. Ex-libris cartaceo della collezione di Mario Galli, no. 70. nel quale è anche indicato il titolo "Lo scalo merci" 2. Collezione privata, Verona.
Proveniente dalla raccolta di Mario Galli, la tavola raffigura il piccolo magazzino merci della stazione di Ardenza, ora dismessa. Si trova nel tratto compreso tra la stazione di Livorno Centrale e quella di Antignano: all'epoca in cui Gambogi lo ritrae, il quartiere livornese non era ancora stato inglobato dalla città, sebbene la zona fosse stata oggetto di un crescente interesse sin dalla prima metà dell'Ottocento, quando qui furono costruite alcune strutture per il turismo balneare. La costruzione della stazione risale al 1910, quando fu completata la tratta costiera tra Livorno e Vada della ferrovia Tirrenica, e questo ci permette di fissare questa data come termine post quem per la collocazione temporale del dipinto.
Appartenente al gruppo dei Postmacchiaioli, nel 1892 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze ed entrò in contatto con Giovanni Fattori. La personalità artistica che più lo influenza fu però Angiolo Tommasi e quando nel 1894 creò probabilmente il suo quadro più conosciuto (Gli emigranti) chiara è l'impronta e l'insegnamento di quel pittore.
Fu tuttavia un altro incontro a cambiargli la vita; quello con Elin Danielson, pittrice finlandese di talento, che nel 1898 diviene sua moglie. Si stabilirono presso Torre del Lago, dando avvio ad una collaborazione artistica molto proficua.
Gambogi entrò a far parte del Club la Boheme, una sorta di associazione cultural-goliardica che fiancheggiava l’opera artistica di Giacomo Puccini. In quegli anni fu in compagnia dei fratelli Tommasi (Angiolo e Ludovico), di Francesco Fanelli e di Ferruccio Pagni. Fu questo il momento migliore per la pittorica di Gambogi che, complice i consigli della moglie, orientò le sue composizioni su un nuovo equilibrio tra le forme e la luce, che creano un'atmosfera di austerità per così dire "nordica".
Con il declinare del secolo Gambogi si trasferì a Livorno, nel quartiere di Antignano, e qui cominciarono i suoi primi problemi di salute. Un viaggio in Finlandia fece esplodere la malattia nervosa che il pittore stava forse covando. Nel 1904 deve stabilirsi a Volterra per farsi curare da alcuni specialisti del locale ospedale. Non si riprenderà mai, anche se artisticamente parlando si notarono poco i contraccolpi determinati da questa nevrosi. La sua salute peggiorò alla morte della moglie, Elin, avvenuta ad Antignano nel 1919.
Bibliografia: G. Razzaguta, Virtù degli artisti labronici, editrice Nuova Fortezza, 1985. -
Lot 28 RAFFAELLO GAMBOGI
(Livorno 1874-1943)
Strada in collina
Olio su tavola, cm 22,4 x 32,5
Cornice di epoca posteriore in legno dorato e dipinto
Firmato Gambogi in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Appartenente al gruppo dei Postmacchiaioli, nel 1892 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Firenze ed entrò in contatto con Giovanni Fattori. La personalità artistica che più lo influenza fu però Angiolo Tommasi e quando nel 1894 creò probabilmente il suo quadro più conosciuto (Gli emigranti) chiara è l'impronta e l'insegnamento di quel pittore.
Fu tuttavia un altro incontro a cambiargli la vita; quello con Elin Danielson, pittrice finlandese di talento, che nel 1898 diviene sua moglie. Si stabilirono presso Torre del Lago, dando avvio ad una collaborazione artistica molto proficua.
Gambogi entrò a far parte del Club la Boheme, una sorta di associazione cultural-goliardica che fiancheggiava l’opera artistica di Giacomo Puccini. In quegli anni fu in compagnia dei fratelli Tommasi (Angiolo e Ludovico), di Francesco Fanelli e di Ferruccio Pagni. Fu questo il momento migliore per la pittorica di Gambogi che, complice i consigli della moglie, orientò le sue composizioni su un nuovo equilibrio tra le forme e la luce, che creano un'atmosfera di austerità per così dire "nordica".
Con il declinare del secolo Gambogi si trasferì a Livorno, nel quartiere di Antignano, e qui cominciarono i suoi primi problemi di salute. Un viaggio in Finlandia fece esplodere la malattia nervosa che il pittore stava forse covando. Nel 1904 deve stabilirsi a Volterra per farsi curare da alcuni specialisti del locale ospedale. Non si riprenderà mai, anche se artisticamente parlando si notarono poco i contraccolpi determinati da questa nevrosi. La sua salute peggiorò alla morte della moglie, Elin, avvenuta ad Antignano nel 1919.
Bibliografia: G. Razzaguta, Virtù degli artisti labronici, editrice Nuova Fortezza, 1985. -
Lot 29 GEROLAMO INDUNO
(Milano 1827-1890)
Ritratto di fanciulla col fazzoletto azzurro
Olio su tela, cm 27,4 x 22,4
Cornice d'epoca in legno dorato
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Tradizionalmente attribuita a Gerolamo Induno, questa delicata tela è da mettersi in relazione con La filatrice (Genova, Galleria d'arte moderna) e con altri numerosi acquerelli di gusto popolare raffiguranti contadine e popolane lombarde.
Fratello minore di Domenico, frequenta l’Accademia di Brera dove, dal 1839 al 1846 è allievo di Luigi Sabatelli. Dal 1845 comincia a esporre alla mostra braidense le sue prime opere, studi dal vero, ritratti e una Scena dai Promessi Sposi.
Coinvolto nei moti antiaustriaci del 1848 si rifugia con il fratello ad Astano, in Svizzera, poi si trasferisce a Firenze, dove si arruola come volontario per la difesa di Roma, assediata dai francesi, ed esegue numerosi schizzi e riprese dal vero.
Dal 1854 al 1855 partecipa alla campagna di Crimea nel corpo dei bersaglieri e, in qualità di pittore-soldato, esegue disegni, studi e resoconti per immagini che utilizza per quadri molto apprezzati dalla critica e dal pubblico per i sentimenti patriottici espressi, diventando uno dei principali artisti tra i pittori-soldato del Risorgimento.
Arruolatosi nelle file garibaldine si conferma definitivamente quale interprete ufficiale dell’epopea risorgimentale.
Bibliografia: Esposizione postuma dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno. Catalogo ufficiale, (catalogo della mostra tenuta nel marzo del 1891 a Milano), Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, Tipografia Lombardi, Milano 1891. G. Nicodemi, Domenico e Gerolamo Induno, Milano, Gorlich, 1945. Girolamo Induno, in «Ottocento. Catalogo dell'Arte Italiana», Milano 2005, pp. 311-312. G. Predaval, Pittura lombarda dal Romanticismo alla Scapigliatura, Milano 1967, pp. 12-13. G. Matteucci (a cura di), Domenico e Gerolamo Induno. La storia e la cronaca scritte con il pennello, catalogo della mostra tenuta nel 2006-2007 a Tortona, Torino, Allemandi, 2006. -
Lot 30 VINCENZO IROLLI
(Napoli, 1860-1942)
Terrazza di Capri
Olio su tavola, cm 41,9 x 44,3
Cornice di epoca posteriore in legno intagliato, dorato e dipinto
Firmato V. Irolli in basso a destra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Si avvicinò alla pittura a diciassette anni quando si iscrisse alla Accademia di belle arti di Napoli, dove ebbe per maestri Gioacchino Toma e Federico Maldarelli.
Nel 1878 con l'opera Ritratto del pittore Izzo si fece notare da Domenico Morelli per l’impiego di una forte tavolozza e, nel 1879, fu presente per la prima volta alla Promotrice di Napoli con l’opera Felice Rimembranza; lo stesso anno vinse il primo premio alla XV Mostra della Promotrice Salvator Rosa, evento che lo rese noto al grande pubblico, e ne favorì una notevole fortuna artistica e commerciale.
La sua fortuna, eccezionale all'estero, tardò ad affermarsi in Italia dove giunse a scontrarsi coi Novecentisti. La sua impronta tradizionalista non lo fece amare dai critici del tempo più interessati alle avanguardie.
Sul finire degli anni Ottanta, Irolli fu tra gli artisti che con maggiore convinzione si espressero attraverso quello che è stato definito un secondo realismo, insieme con Volpe, Caprile, R. Santoro, Esposito e P. Vetri.
Irolli descrisse interni rustici con figure di giovani mamme intente a cullare il proprio neonato o a sorvegliare il gioco o i compiti dei bambini, fanciulli ritratti nell'abbraccio con piccoli animali, giovani spose abbigliate per la cerimonia nuziale e ancora figure messe in posa accanto a un vario repertorio di oggetti da cucina, frutta, verdure, stoffe. Nel trattare questi soggetti l'artista seppe dar luogo a brani di natura morta dalla rutilante vivacità cromatica, grazie a una tecnica pittorica abilissima nell'alternare effetti di minuta e puntuale verosimiglianza ottica con più libere deposizioni materiche di colore, in una fantasia di macchie e di contrasti luminosi, coniugando, secondo la sua personale inclinazione, costume napoletano e genere fiammingo.
Tale formula pittorica, condensata spesse volte in tavolette che ritraevano prevalentemente soggetti graziosi e di maniera, venne esportata con successo a partire dagli ultimi anni dell'Ottocento sui mercati di Parigi, Londra, Amburgo, Berlino.
Nell'arco del Novecento, invece, l'Irolli svilupperà un linguaggio pittorico più fluido e rapido nel concatenare impressioni di figure e cose, prediligendo anche composizioni in cui la figura è collocata all'aperto.
Il percorso espositivo dell'Irolli è stato integralmente ricostruito, ma sono rari i casi in cui le opere esposte nel corso degli anni sono oggi identificabili con dipinti noti. -
Lot 31 FRANCESCO LOJACONO
(Palermo, 1838-1915)
Marina con pescatori
Olio su tavola, cm 24 x 14
Cornice d'epoca posteriore in legno dorato e dipinto
Firmato in basso a destra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Francesco Lojacono è considerato il più importante paesaggista dell'Ottocento siciliano. Fu tra i primi pittori ad utilizzare la fotografia come riferimento per realizzare le sue opere.
Allievo di Salvatore Lo Forte. Nel 1856, a 18 anni, si trasferì a Napoli, dove affinò le sue doti frequentando diversi pittori viaggiatori e soprattutto entrando nella scuola dei fratelli Giuseppe e Filippo Palizzi. Dalla città partenopea si spostò spesso: prima verso Firenze, dove entrò in contatto con la scuola dei Macchiaioli.
Guadagnatosi il soprannome di Ladro del sole, per la sua capacità di infondere luminosità alle proprie tele, nel 1878 espose le sue opere all'Esposizione internazionale di Parigi, consolidando la sua fama internazionale.Nel 1883, L'arrivo inatteso fu acquistato a Roma dalla regina Margherita di Savoia per il Palazzo del Quirinale, e L'estate fu acquistato dal re Umberto I nel 1891. Tra i tanti commenti della critica, nel 1883 Gabriele D'Annunzio pubblicò i commenti più entusiasti.
Bibliografia: AAVV, Gioacchino Barbera (a cura di), Francesco Lojacono 1838-1915, Milano, 2005.S. Grandesso-F. Mazzocca, A. Purpura-L. Martorelli, G. Barbera e G. Puglisi (a cura di), Galleria d'Arte Moderna di Palermo. Catalogo delle opere, Milano, 2007. -
Lot 32 DOMENICO MORELLI
(1823-1901)
Ossesso
circa 1873-1876
Olio su tela, cm 50,5 x 29,5
Cornice in legno intagliato, dorato e dipinto
Scritta a matita sul retro Studio per il quadro degli ossessi. Tassello cartaceo di antiquario ottocentesco sul retro in basso.
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Straordinario studio preparatorio per Gli Ossessi, il capolavoro di drammatica spiritualità cristiana, con le sue anime deformi che invocano aiuto a Gesù sullo sfondo di un arido paesaggio della Palestina, che Domenico Morelli dipinse per Giuseppe Verdi nel 1876.
Dall'incontro con Verdi, avvenuto a Napoli nel 1858 (cui seguì il ritratto che Morelli realizzò per il compositore, ora a Villa Carrara Verdi), nacque tra il pittore napoletano ed il compositore di Busseto un'intensa amicizia, documentata da un lungo rapporto epistolare che si protrasse almeno fino al 1896. Quando nel 1873 il Maestro tornò a Napoli per la rappresentazione dell'Aida al Teatro San Carlo, soggiornando all'Albergo Crocelle a Chiatamone, chiese all'artista di dipingere per lui un quadro. Verdi premeva per ottenere il dipinto promessogli, ma dovette attendere fino al 1876, anno in cui finalmente ricevette Gli Ossessi, accolto con entusiasmo. Nel 1880 acconsentì a che fosse presentato all'Esposizione di Torino e, dopo tale data, lo conservò a Sant'Agata.
La Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma conserva una serie di disegni ed un bozzetto che si riferiscono a quest'opera, acquistati nel 1904 dagli eredi di Morelli insieme ad altri bozzetti provenienti dallo studio del pittore.
Domenico Morelli è considerato uno dei più importanti artisti napoletani del XIX secolo, fu senatore del Regno d'Italia nella XVI legislatura.
Iniziò a frequentare l'Accademia di Belle Arti di Napoli nel 1836 e i suoi primi dipinti furono improntati all'ideale romantico, con numerosi influssi medievali.Nel 1850 visitò Firenze dove ricevette il suo primo riconoscimento pubblico per la sua opera Gli iconoclasti. Nel 1855 partecipò, insieme a Francesco Saverio Altamura e Serafino De Tivoli, all'Esposizione Universale di Parigi e, di ritorno a Firenze, prese parte ai dibattiti dei macchiaioli sul realismo pittorico, ciò che lo condusse gradualmente ad assumere uno stile meno accademico e maggiormente libero, soprattutto nell'uso del colore; secondo i critici della pittura napoletana, la sua arte fonde verismo e tardo-romanticismo a modelli neo-seicenteschi.
Negli anni sessanta, ormai tra i pittori italiani più conosciuti della sua epoca, fu nominato consulente del museo nazionale di Capodimonte relativamente alle nuove acquisizioni di opere, portando così il suo contributo alla gestione delle collezioni d'arte. -
Lot 33 MARIO PAOLO PAJETTA
(Genova 1890 - Verona 1977)
Alla finestra
circa 1930
Olio su tavola telata, cm 38,9 x 17
Cornice posteriore in legno dorato
Firmato Payeta in basso a destra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Appartenente alla terza generazione di una famiglia di pittori, Mario Paolo Pajetta si trasferisce dapprima a Venezia, allievo di Luigi Nono, poi a Milano ed infine col padre Mariano a Verona dove diviene uno degli animatori culturali della città e una figura artistica molto apprezzata e amata dalla borghesia veronese.
La sua opera si colloca a cavallo tra Ottocento e Novecento ed è permeabile alle infiltrazioni della primissima modernità, quella legata ai post-impressionisti e in particolare alla scomposizione cezanniana della forma. Il pittore eccelle nella grande forza espressiva dei numerosi ritratti di eminenti personaggi della borghesia veronese.
La figura di Pajetta è stata recentemente riscoperta grazie ad una grande mostra L'eredita' della pittura che attraverso un centinaio di dipinti particolarmente significativi documenta in sezioni distinte i diversi momenti della ricerca artistica dei cinque pittori che ha espresso la famiglia dei Pajetta dal 1809 (anno di nascita del pittore capostipite Paolo) al 1987 (anno della morte di Guido, artista della terza generazione).
Bibliografia: A. Fiz, G. Pajetta, V. Pianca, N. Stringa (a cura di), L'eredita' della pittura, Galleria Civica d'Arte Medievale, Moderna e Contemporanea Vittorio Emanuele II di Vittorio Veneto (TV), 24 giugno - 24 settembre 2006. -
Lot 34 MARIO PAOLO PAJETTA
(Genova 1890 - Verona 1977)
Cortigiana
circa 1930
Olio su tavola telata, cm 39,2 x 16,8
Cornice posteriore in legno dorato
Firmato M.P. Payeta in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Appartenente alla terza generazione di una famiglia di pittori, Mario Paolo Pajetta si trasferisce dapprima a Venezia, allievo di Luigi Nono, poi a Milano ed infine col padre Mariano a Verona dove diviene uno degli animatori culturali della città e una figura artistica molto apprezzata e amata dalla borghesia veronese.
La sua opera si colloca a cavallo tra Ottocento e Novecento ed è permeabile alle infiltrazioni della primissima modernità, quella legata ai post-impressionisti e in particolare alla scomposizione cezanniana della forma. Il pittore eccelle nella grande forza espressiva dei numerosi ritratti di eminenti personaggi della borghesia veronese.
La figura di Pajetta è stata recentemente riscoperta grazie ad una grande mostra L'eredita' della pittura che attraverso un centinaio di dipinti particolarmente significativi documenta in sezioni distinte i diversi momenti della ricerca artistica dei cinque pittori che ha espresso la famiglia dei Pajetta dal 1809 (anno di nascita del pittore capostipite Paolo) al 1987 (anno della morte di Guido, artista della terza generazione).
Bibliografia: A. Fiz, G. Pajetta, V. Pianca, N. Stringa (a cura di), L'eredita' della pittura, Galleria Civica d'Arte Medievale, Moderna e Contemporanea Vittorio Emanuele II di Vittorio Veneto (TV), 24 giugno - 24 settembre 2006. -
Lot 35 MARIO PAOLO PAJETTA
(Genova 1890 - Verona 1977)
Chiostro del Duomo di Verona
Olio su tavola, cm 30 x 40
Cornice coeva in legno dorato e dipinto
Firmato M.P. Payeta in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Appartenente alla terza generazione di una famiglia di pittori, Mario Paolo Pajetta si trasferisce dapprima a Venezia, allievo di Luigi Nono, poi a Milano ed infine col padre Mariano a Verona dove diviene uno degli animatori culturali della città e una figura artistica molto apprezzata e amata dalla borghesia veronese.
La sua opera si colloca a cavallo tra Ottocento e Novecento ed è permeabile alle infiltrazioni della primissima modernità, quella legata ai post-impressionisti e in particolare alla scomposizione cezanniana della forma. Il pittore eccelle nella grande forza espressiva dei numerosi ritratti di eminenti personaggi della borghesia veronese.
La figura di Pajetta è stata recentemente riscoperta grazie ad una grande mostra L'eredita' della pittura che attraverso un centinaio di dipinti particolarmente significativi documenta in sezioni distinte i diversi momenti della ricerca artistica dei cinque pittori che ha espresso la famiglia dei Pajetta dal 1809 (anno di nascita del pittore capostipite Paolo) al 1987 (anno della morte di Guido, artista della terza generazione).
Bibliografia: A. Fiz, G. Pajetta, V. Pianca, N. Stringa (a cura di), L'eredita' della pittura, Galleria Civica d'Arte Medievale, Moderna e Contemporanea Vittorio Emanuele II di Vittorio Veneto (TV), 24 giugno - 24 settembre 2006. -
Lot 36 GIUSEPPE PALIZZI
(Lanciano 1812 - Parigi 1888)
Mucca
Olio su tela, cm 37,3 x 48,9
Cornice coeva in legno dorato
Firmato G. Palizzi in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Giunto dall'Abruzzo a Napoli nel 1835, frequenta dall'anno seguente il Reale Istituto di Belle Arti entrando in contatto con i pittori della Scuola di Posillipo.
Alle mostre annuali presenta paesaggi storici ma i difficili rapporti col mondo accademico lo portano a lasciare l’Italia: nel 1844 viene a Parigi e si stabilisce poi a Bourron-Marlotte, ai margini della foresta di Fontainebleau che diventa soggetto privilegiato della sua pittura, maturata verso un attento verismo grazie anche all’influsso degli artisti della scuola di Barbizon.
In contatto epistolare col fratello Filippo, condivide con lui le proprie ricerche artistiche. Espone regolarmente ai Salons parigini e, dopo un soggiorno in Italia nel 1854, rientra in Francia dove la sua pittura di paesaggio, spesso animata da figure di umili lavoratori, riscuote grande successo.
Insignito della Legion d'onore nel 1859 e, in Italia, della croce di Cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro nel 1862, morirà a Parigi nel 1888 dove è sepolto al Père Lachaise.
Bibliografia: G. Matteucci, Aria di Parigi nella pittura italiana di del secondo Ottocento, Torino, Allemandi, 1998.A e V. Menna, Giuseppe Palizzi - Celebrazione del bicentenario della nascita (1812-2012), Vasto, Cannarsa, 2012.L. Zanone, Giuseppe Palizzi et ses frères, Bull. Les Amis de Bourron-Marlotte n° 51, 2009. -
Lot 37 ALBERTO PISA
(Ferrara 1864 - Firenze 1930)
Fanciulli nell'aia
Olio su tavola, cm 35,5 x 25
Cornice d'epoca posteriore in legno dorato e dipinto
Firmato A. Pisa in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Si forma inizialmente a Ferrara con Gaetano Domenichini; prosegue poi gli studi presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze. dove ebbe modo di accostarsi al gruppo dei Macchiaioli. Successivamente, grazie ad un viaggio a Parigi nel 1886,si accostò alle novità pittoriche dell'impressionismo che si rivelarono estremamente importanti per la sua formazione.
Decise in seguito di trasferirsi a Londra, dove visse prevalentemente, per circa trent'anni. Alternava la vita nella capitale inglese a frequenti ritorni in Italia per presenziare a mostre ed esposizioni, soprattutto alla Biennale di Venezia.
A Londra fu conosciuto grazie ad una numerosa produzione di vedute all'acquarello di panorami e di rappresentazioni della vita della città, opere caratterizzata da una pennellata rapida e delicata per garantire all'osservatore una immediata idealizzazione delle immagini rappresentate.
Nel 1889 organizzò una personale a Bond Street, grazie alla quale la sua fama di vedutista crebbe, tanto che il pittore ebbe numerose commissioni come illustratore di libri di viaggio. Il successo fu tale che fu invitato ad esporre alla Royal Academy.
Bibliografia: A. De Gubernatis, Dizionario degli Artisti Italiani Viventi: pittori, scultori, e Architetti, Le Monnier, 1889, p. 378. C. Bonagura (a cura di), Dizionario degli Artisti Pittori & pittura dell’Ottocento italianoViareggio, Istituto Matteucci, 2012. -
Lot 38 GINO ROMITI
(Livorno, 1881-1967)
Giardini in sole
1931
Olio su tavola, cm 30,3 x 40
Cornice coeva in legno intagliato, dorato e dipinto
Firmato e datato Gino Romiti 1931 in basso a sinistra
Provenienza: 1. Cartiglio con titolo e prezzo (di mano dell'autore?). 2. Collezione privata, Verona.
Primo di una serie di tre dipinti, tutti del 1931, presenti in questa collezione, che mostrano il Romiti più luminoso, con una pittura a metà strada tra la macchia e il divisionismo.
Allievo di Guglielmo Micheli, riceve insegnamenti anche da Giovanni Fattori. Nel 1898 partecipa a La Permanente di Milano, mentre prosegue fino al 1902 la sua formazione nello studio di Guglielmo Micheli, nel quale stringe una forte amicizia con Amedeo Modigliani.
Nel 1920 insieme ad altri artisti livornesi fonda il Gruppo Labronico, del quale sarà presidente dal 1943 al 1967. È tra gli esponenti più vivaci del Gruppo Labronico, il suo repertorio tematico è costituito prevalentemente da soggetti ispirati alle pinete e alle tamerici dell'Ardenza, ai dintorni di Livorno, a giardini e strade di campagna. L'interesse per il mare lo porta a realizzare opere raffiguranti il fondo marino.
Fu soprannominato «Il pittore della primavera» per il suo amore per tutti i doni della natura e celebre per i suoi ritratti raffiguranti paesaggi naturali con la frequente presenza di alberi, pinete e fiori.
Bibliografia: A. Barontini, Livorno 900: La grafica dei Maestri, da Cappiello a Natali, Benvenuti & Cavaciocchi editore 2010. -
Lot 39 GINO ROMITI
(Livorno, 1881-1967)
Campagna livornese
1931
Olio su tavola, cm 30,4 x 40,4
Cornice coeva in legno intagliato, dorato e dipinto
Firmato e datato Gino Romiti 1931 in basso a destra
Provenienza: 1. Cartiglio con titolo e prezzo (di mano dell'autore?). 2. Collezione privata, Verona.
Allievo di Guglielmo Micheli, riceve insegnamenti anche da Giovanni Fattori. Nel 1898 partecipa a La Permanente di Milano, mentre prosegue fino al 1902 la sua formazione nello studio di Guglielmo Micheli, nel quale stringe una forte amicizia con Amedeo Modigliani.
Nel 1920 insieme ad altri artisti livornesi fonda il Gruppo Labronico, del quale sarà presidente dal 1943 al 1967. È tra gli esponenti più vivaci del Gruppo Labronico, il suo repertorio tematico è costituito prevalentemente da soggetti ispirati alle pinete e alle tamerici dell'Ardenza, ai dintorni di Livorno, a giardini e strade di campagna. L'interesse per il mare lo porta a realizzare opere raffiguranti il fondo marino.
Fu soprannominato «Il pittore della primavera» per il suo amore per tutti i doni della natura e celebre per i suoi ritratti raffiguranti paesaggi naturali con la frequente presenza di alberi, pinete e fiori.
Bibliografia: A. Barontini, Livorno 900: La grafica dei Maestri, da Cappiello a Natali, Benvenuti & Cavaciocchi editore 2010. -
Lot 40 GINO ROMITI
(Livorno, 1881-1967)
Riviera di Antignano
1931
Olio su tavola, cm 40,7 x 30
Cornice coeva in legno intagliato, dorato e dipinto
Firmato e datato Gino Romiti 1931 in basso a sinistra
Provenienza: 1. Cartiglio con titolo e prezzo (di mano dell'autore?). 2. Collezione privata, Verona.
Allievo di Guglielmo Micheli, riceve insegnamenti anche da Giovanni Fattori. Nel 1898 partecipa a La Permanente di Milano, mentre prosegue fino al 1902 la sua formazione nello studio di Guglielmo Micheli, nel quale stringe una forte amicizia con Amedeo Modigliani.
Nel 1920 insieme ad altri artisti livornesi fonda il Gruppo Labronico, del quale sarà presidente dal 1943 al 1967. È tra gli esponenti più vivaci del Gruppo Labronico, il suo repertorio tematico è costituito prevalentemente da soggetti ispirati alle pinete e alle tamerici dell'Ardenza, ai dintorni di Livorno, a giardini e strade di campagna. L'interesse per il mare lo porta a realizzare opere raffiguranti il fondo marino.
Fu soprannominato «Il pittore della primavera» per il suo amore per tutti i doni della natura e celebre per i suoi ritratti raffiguranti paesaggi naturali con la frequente presenza di alberi, pinete e fiori.
Bibliografia: A. Barontini, Livorno 900: La grafica dei Maestri, da Cappiello a Natali, Benvenuti & Cavaciocchi editore 2010. -
Lot 41 CARLOTTA SACCHETTI
(Pavia 1862 - Milano 1934)
Festa in Sant'Ambrogio
1896
Olio su tela, cm 80 x 100
Cornice in legno intagliato e dipinto
Firmato e datato Carlotta Sacchetti 1896 in basso a destra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Quest'inusuale e rara tela raffigura i preparativi per una celebrazione liturgica in Sant'Ambrogio a Milano e, oltre a immobilizzare un momento di vera poesia che precede il dì di festa, rappresenta un raro documento pittorico di com'era il quadriportico della basilica alla fine dell'Ottocento.
Per l'estrema somiglianza dell'inquadratura, è possibile che la Sacchetti abbia visto il Porticato della Basilica di Sant’Ambrogio (vedi foto n. 5) di Giovanni Migliara (Collezione Privata, Milano), interpretandolo secondo le sue corde. Allieva di Francesco Filippini, Carlotta è una delle rare voci della pittura al femminile dell'Ottocento italiano. Come il suo maestro, risente dell'influsso del gruppo della "nuova scuola" (Mose’ Bianchi, Carcano, Bozzano e Gola), ai quali è accomunata per l’ansia di rinnovamento e la volontà di comporre opere meditate dal vero.
Le opere della Sacchetti sono tutte estremamente rare sul mercato.
Bibliografia: E. Imarisi, Donna poi artista: identità e presenza tra Otto e Novecento, Milano, Franco Angeli, 1996. Il dipinto, in prima tela, presenta alcune cadute di colore nella trama (vedi retro). -
Lot 42 LUIGI SCROSATI
(Milano 1814-1869)
Ottobre
1867
Olio su tela, cm 19,7 x 30,1
Cornice d'epoca in legno intagliato e dipinto
Firmato e datato L. Scrosati 1867 in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Pur senza essersi formato in nessuna Accademia, fu particolarmente attivo e apprezzato nella Milano di metà Ottocento, decorando numerose residenze nobiliari urbane e suburbane. Fra queste si ricordano il Palazzo Poldi Pezzoli, il Palazzo Litta, la Villa Litta a Vedano, la Villa Ghirlanda Silva a Cinisello (1852), la Villa Amalia ad Erba, la Villa Sioli Legnani a Bussero, la Villa Cramer ad Alserio e Palazzo Serbelloni insieme con il Bertini ed il Podesti con un gusto accademico con ricordi tiepoleschi.
Oltre a dipinti di figura, si distinse per la raffigurazione delle nature morte di fiori ad acquerello, con effetti che ricordano la scapigliatura, alle quale si dedicò in special modo dopo il 1857, quando fu colpito da una paralisi agli arti inferiori.
Dette così iniziò a un nuovo genere pittorico, che gli valse nel 1863 la cattedra di ornato all'accademia milanese di Brera.
La sua produzione raggiunse un buon successo e raccolse consensi da due importanti critici del suo tempo: Vespasiano Bignami e Gustavo Botta.
Le sue tele, dominate da una pittura di tocco e dal luminismo cangiante, aggiornarono il genere dalla pittura di fiori sui grandi esempi francesi della scuola di Lione, sfociando in composizioni folte e vibranti, ormai lontane dalla nitida precisione di ascendenza Biedermeier cui lo stesso Hayez aveva guardato.
Bibliografia: Fondazione Bagatti Valsecchi (a cura di), Omaggio a Luigi Scrosati pittore di fiori nella Milano ottocentesca, Museo Bagatti Valsecchi, 6 maggio – 6 giugno 2010. -
Lot 43 PIETRO SENNO
(Portoferraio 1831 - Pisa 1904)
Maremma con cane e mucca
Olio su tavola, cm 25 x 15
Cornice posteriore in legno dorato e dipinto
Firmato P. Senno in basso a destra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Paesaggista di fama internazionale, sulle orme paterne abbracciò inizialmente la carriera militare, prendendo parte alla battaglia di Curtatone. Trasferitosi a Firenze, seguì i corsi all'Accademia di Belle Arti e si accostò al movimento dei macchiaioli. Allievo di Antonio Ciseri, pennello fiorentino tra i più audaci del momento, intraprese un nuovo modo di dipingere che, pur usando ancora della «macchia», la riduceva però a semplice sottofondo, lasciando predominare nuovamente la perfezione del disegno e l'armonia della forma.
Nel 1887 espone a Venezia il dipinto Acqua morta, che desta l’ammirazione del pubblico e della critica, ed è considerata una delle sue migliori opere. Alcuni suoi dipinti sono conservati alla Galleria d'Arte Moderna di Firenze (Un temporale d’autunno e Tramonto del sole) e nella Pinacoteca Forensiana di Portoferraio (Isola d’Elba).Bibliografia: S. Landi, Pietro Senno, pittore: inaugurandosi la mostra delle sue opere alla Società di belle arti in Firenze il 22 gennaio, 1905. -
Lot 44 CESARE TALLONE
(Savona 1853 - Milano 1919)
Ritratto di Fanciulla
circa 1890
Olio su cartone, cm 42,9 x 31,6
Cornice d'epoca posteriore in legno intagliato e dorato
Firmato C.T. nell'angolo a destra. Autentica sul retro Dipinto di Cesare Tallone intorno 1890 a firma di Roberto Montanari (?).
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Precocemente attratto dalle arti figurative, Cesare Tallone entrò, dodicenne, nella bottega di Pietro Sassi, pittore di Alessandria; il suo talento fu presto riconosciuto e dalla Municipalità di Alessandria venne aiutato a seguire dei corsi regolari: grazie all'aiuto di un mecenate, poté iscriversi all'Accademia di Brera nel novembre 1872. Allievo di Giuseppe Bertini, ebbe come compagni di studio Previati, Spartaco Vela, Gola, Segantini. Nel 1873 entra a far parte della "Famiglia artistica", un sodalizio animato da Vespasiano Bignami, in cui si ritrovavano esponenti della scapigliatura e delle altre correnti d'arte del tempo come Cremona, Ranzoni, Giuseppe Grandi, Giovanni Segantini, Eugenio Gignous, Emilio Longoni, Angelo Morbelli, Gaetano Previati, e molti altri.
Nel 1880 fu a Roma dove conobbe Gemito, Mancini e Michetti e dove lavorò intensamente. Fu all'Esposizione di Roma del 1883 con successo e l'anno successivo all'esposizione di Torino. Nel 1884 vince il concorso per la cattedra di Pittura all'Accademia Carrara di Bergamo, che detenne fino al 1898, quando passò a Milano, all'Accademia di Brera, dove insegnò dal 1899 fino alla morte.
L'ambito nel quale Cesare Tallone espresse il meglio di sé fu il ritratto. I suoi ritratti erano assai richiesti, anche dalla famiglia reale: eseguì infatti vari ritratti del re Umberto e della regina Margherita.
Bibliografia: G. Tallone, Cesare Tallone, Electa Mondadori 2005. Manuel Carrera, Una ritrattistica manciniana nelle collezioni della GNAM. Da Cesare Tallone agli artisti della Secessione romana, Belle Arti 131, n. 2, 2013, pp. 40-53. -
Lot 45 CESARE TALLONE
(Savona 1853 - Milano 1919)
Ritratto di Signora
1891
Olio su tela, cm 88 x 67
Cornice coeva ovale in legno dorato
Firmato e datato Tallone 1891 nell'angolo a destra.
Provenienza: Collezione privata, Verona.
La Signora del ritratto, in base ai documenti di famiglia degli eredi, è stata identificata nella dama lombarda Erminia Saporiti, trasferitasi a Verona in seguito al suo matrimonio.
Precocemente attratto dalle arti figurative, Cesare Tallone entrò, dodicenne, nella bottega di Pietro Sassi, pittore di Alessandria; il suo talento fu presto riconosciuto e dalla Municipalità di Alessandria venne aiutato a seguire dei corsi regolari: grazie all'aiuto di un mecenate, poté iscriversi all'Accademia di Brera nel novembre 1872. Allievo di Giuseppe Bertini, ebbe come compagni di studio Previati, Spartaco Vela, Gola, Segantini. Nel 1873 entra a far parte della "Famiglia artistica", un sodalizio animato da Vespasiano Bignami, in cui si ritrovavano esponenti della scapigliatura e delle altre correnti d'arte del tempo come Cremona, Ranzoni, Giuseppe Grandi, Giovanni Segantini, Eugenio Gignous, Emilio Longoni, Angelo Morbelli, Gaetano Previati, e molti altri.
Nel 1880 fu a Roma dove conobbe Gemito, Mancini e Michetti e dove lavorò intensamente. Fu all'Esposizione di Roma del 1883 con successo e l'anno successivo all'esposizione di Torino. Nel 1884 vince il concorso per la cattedra di Pittura all'Accademia Carrara di Bergamo, che detenne fino al 1898, quando passò a Milano, all'Accademia di Brera, dove insegnò dal 1899 fino alla morte.
L'ambito nel quale Cesare Tallone espresse il meglio di sé fu il ritratto. I suoi ritratti erano assai richiesti, anche dalla famiglia reale: eseguì infatti vari ritratti del re Umberto e della regina Margherita.
Bibliografia: G. Tallone, Cesare Tallone, Electa Mondadori 2005. Manuel Carrera, Una ritrattistica manciniana nelle collezioni della GNAM. Da Cesare Tallone agli artisti della Secessione romana, Belle Arti 131, n. 2, 2013, pp. 40-53. -
Lot 46 GIOACCHINO TOMA
(Galatina 1836 - Napoli 1891)
Lettura nel cortile del convento
Olio su tavola, cm 28 x 18
Cornice coeva in legno dorato e goffrato
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Questa tavola, raffigurante due monaci in lettura in un angolo fiorito del monastero, è un tipico esempio dell'atmosfere conventuali predilette dal Toma, in consonanza con la letteratura romantica minore, di cui Il romanzo del chiostro (esposto nella retrospettiva del 1891) è l'esempio più noto.
Tra i maggiori pittori dell'Ottocento napoletano e tra i più originali del suo tempo in Italia, conobbe un’infanzia infelice tra ospizi per poveri, conventi e per un certo tempo anche il carcere; esperienze queste che segnarono per la vita la sua sensibilità. Nei Ricordi di un orfano, descrivendo la sua infanzia di orfano privo di affetti, delineò una sufficiente guida per capire la sua personalità di artista, impregnata di tristezza.
Nel 1855, dopo un litigio con i parenti affidatari, raggiunse fortunosamente Napoli e si pose al seguito del pittore Alessandro Fergola allora impegnato nella decorazione de La Favorita, di Donizetti, realizzando per lui soprattutto bozzetti e divenendo, egli stesso, un buon artigiano esperto d’ornato.
Nel 1858 si iscrisse al Reale Istituto di Belle Arti, seguendo la scuola di nudo di Mancinelli e realizzando ritratti secondo un gusto ancora neoclassico.Nel 1886 Toma prese parte, su invito di Morelli, alla prima Promotrice di Belle Arti di Napoli, di cui fu socio dal 1867 al 1880, maturando la sua maniera di intendere il quadro di storia, sia antica che contemporanea, attraverso una rappresentazione dei sentimenti e delle situazioni psicologiche, piuttosto che attraverso le ricostruzioni filologiche.
La ricerca prospettica insieme alla sua eccezionale padronanza del mezzo luministico, graduato in modo tenue tanto da fornire una base unitaria al dipinto e giocato su tonalità fredde (particolari furono le gamme dei grigi e dei neri), costituirono i principali elementi della sua fase matura.
Dopo la crisi del 1880 mutò radicalmente la sua tecnica: abbandonò il tonalismo che lo poneva fuori del dibattito del tempo e si accostò alla pittura di “macchia”, realizzando una serie di dipinti di grande luminosità, con un sistema di pennellate larghe e ben individuate.
Bibliografia: G. Toma, Autobiografia, Napoli 1886, ripubblicata come Ricordi di un orfano, Napoli 1898. D. Angeli Gioacchino Toma, in «Emporium», XXII, 1905, pp.153-160. G. Tesorone, Gioacchino Toma e l’opera sua, introduzione al catalogo, Roma 1905, poi in «Napoli nobilissima», XV, 1906, pp. 99-105. G. Calò, Gioacchino Toma pittore, Firenze 1922. G. Casotti, L’arte di Gioacchino Toma, Galatina 1923. E. Guardascione, Gioacchino Toma, Bari 1924. -
Lot 47 ANGIOLO TOMMASI
(Livorno 1858 - Torre del Lago Puccini 1923)
Sentiero di montagna
Olio su tavola, cm 38,6 x 24
Cornice posteriore in legno dorato e dipinto
Firmato Angiolo Tommasi in basso a destra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Pregevole scorcio montano di natura impressionista, risolto dal pittore livornese nei colori del rosa e dell'arancio.
Studiò alla scuola comunale di disegno con Betti e Lemmi: successivamente, per permettergli di completare la sua formazione, il padre acquistò una villa a Bellariva nei pressi di Firenze, città nella quale Angiolo si iscrisse all’Accademia di Belle Arti. Fu però soprattutto Silvestro Lega, più volte ospite della famiglia Tommasi a Firenze, a impartirgli le migliori lezioni artistiche e influenzando la sua pittura.
Nel 1889 partecipò all'Esposizione Universale di Parigi, dove venne ammesso con il quadro Le bagnanti. Dieci anni dopo partecipò alla prima Biennale di Venezia. A questo punto partì per un viaggio in America Latina, dove raggiunse l'Argentina, la Patagonia e la Terra del fuoco, esponendo con molto successo a Buenos Aires.
Tornato in Italia, si stabilì a Torre del Lago, dove si unì al Club la Boheme, il cui personaggio principale era Giacomo Puccini. Gli incontri con Pagni, Fanelli e Plinio Nomellini, ovvero gli «impressionisti livornesi», causarono il suo progressivo distacco dalla "macchia" toscana, nella visione rigorosamente immaginata e sostenuta da Giovanni Fattori.
Bibliografia: G. Razzaguta, Virtù degli artisti labronici, Editrice Nuova Fortezza, 1985. -
Lot 48 In questa Seconda sessione, dedicata all'Ottocento e Novecento italiani ed europei, vengono offerti altri lotti compresi nella medesima collezione veronese da cui provengono i macchiaioli.
Tra gli europei, spiccano il francese Daubigny e l'inglese Mellor ma anche gli onesti Tulk e Clark; tra gli italiani, ci piace ricordare Vernizzi e i due bei Vianello a soggetto veneto.
I pezzi più pregevoli della sessione però appartengono al Novecento: accanto al notevole bronzo di Laniau, la metafisica Malinconia di Sironi e il grande Angelo musicante di Achille Funi, cartone preparatorio per una serie di affreschi realizzati per la Chiesa dei Paolotti a Rimini. -
Lot 49 GIOVANNI ALIGO'
(Catania 1906 - 1971)
Paesaggio fluviale
Tempera su cartone, cm 30,4 x 39,9
Cornice coeva in legno intagliato e dorato
Firmato G. Aligò in basso a sinistra
Provenienza: Collezione privata, Verona.
Privo di preparazione scolastica o accademica, il suo approccio all'arte è da autodidatta, circostanza che lo lascia spaziare, libero da vincoli o binari precostituiti, nelle diverse forme di pittura. Nel 1937 l'istinto della ricerca di nuovi orizzonti lo porta prima a Napoli poi a Milano, ma importante nella vita dell'artista è l'esperienza in Argentina. Sono numerosi i viaggi che fa verso il Sud America, così come le esposizioni a cui partecipa, compresi alcuni Salones Nacionales. Nel 1952 è invitato dall'Istituto d’Interscambio Culturale Italia–Argentina, alla Galería Van Riel per il Primer Salón, 5 pintores italianos en Buenos Aires. Nel corso degli anni figura a numerose esposizioni e mostre in gallerie private in tutta Italia, a Catania, dove partecipa alla IV sindacale del 1933, a Palermo nel 1935, nel 1942 alla Biennale di Venezia e a Firenze alla Galleria Tornabuoni, poi a Milano, Como, Napoli, Novara e nel 1957 a Roma, alla galleria Il Pincio di Piazza del Popolo dove allestisce una personale.
Passata la fase giovanile, dove dipinge i carretti siciliani con le colorite storie dei pupi, i soggetti favoriti nel suo excursus pittorico sono le nature morte, preferibilmente con fiori, i paesaggi e le figure femminili in interni.
Bibliografia: Giovanni Aligò, Catalogo della mostra, Milano, Galleria P. Grande, 12-23 gennaio 1943.