LA GIOIA A COLORI. VENETO BANCA ATTO II - I CAPOLAVORI
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Lot 368 Enrico Benetta (1977 circa)
In alto a sinistra si affacciano le stelle, 2005
Acrilico, smalto e sabbie su carta applicata su tela
60 x 180 x 5,5 cm
Firma: “Enrico Benetta”’ “EB” sul verso
Data: “Dicembre 2005” sul verso
Altre iscrizioni: “In alto a sinistra si affacciano le stelle… un cielo dipinto di viola intenso…: Silenzio! Si gioca la partita dell’amore! Né vinti, né vincitori… ho fatto la mia mossa… ora tocca te!” sul verso
Provenienza: Galleria d’Arte Martinazzo, Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Certificati: sul verso, certificato di originalità della Galleria d’Arte Martinazzo di Montebelluna
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lot 370 Enrico Benetta (1977 circa)
Ho respirato il profumo del vento, 2004
Acrilico, smalto e sabbie su carta applicata su tela
100 x 180 cm
Firma: “E Benetta” al recto; “EB” ed “Enrico Benetta” sul verso
Data: “aprile 2004” al verso
Altre iscrizioni: “Ho respirato il profumo del vento/ ne ho rubato il colore / giallo… blu… verde… (impressione di luce vibrante di emozioni) / LA TOSCANA”, “per autentica “ sul verso
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lot 372 Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1518 - 1594) , seguace di
Testa di vecchio
Olio su carta applicata su tela
34 x 23,5 cm
Stato di conservazione. Supporto: 80%
Stato di conservazione. Superficie: 80% (integrazioni)
Il piccolo olio su carta, riprende una modalità figurativa cara a Jacopo Tintoretto e avvicina le fisionomie di alcuni suoi celebri modelli. Pensiamo soprattutto al Doge Girolamo Priuli (1486-1567), che Jacopo ritrae parecchie volte e da cui riceve tra il 1564 e il 1565, la commissione dei soffitti dell'atrio quadrato di Palazzo Ducale.
Tuttavia, il foglio in esame si distanzia dallo stile pittorico di Jacopo e sembra piuttosto appartenere ad un seguace, della generazione del figlio Domenico (1560-1635) o successivo.
Non è noto un modello tintorettesco da cui la nostra carta possa derivare direttamente, ma la sagoma curvilinea della parte superiore della testa, leggibile sotto superficie e forse traccia dell'impiego di un cartone di trasferimento, lascia aperta l'ipotesi che essa proceda da un ritratto, forse oggi ignoto, del Priuli, qui raffigurato senza i parametri dogali, apparentemente più anziano, ma con l'occhio vivace colto dalla abile mano dell'artista.
Presupponendo una datazione ancora cinquecentesca, per la nostra testa è anche ipotizzata una collocazione lombarda, nella cerchia della famiglia Campi. -
Lot 373 Virgilio Guidi (1891 - 1984)
Paesaggio veneto, 1927 circa (recto); Paesaggio, 1928 circa (verso)
Olio su tavola
59,5 x 70 cm
Firma: “V Guidi” e “Virgilio Guidi” al recto
Elementi distintivi: sul telaio, etichetta stampata con nome, titolo “Paesaggio veneto”, tecnica, misure e anno 1932; sul verso della cornice, etichetta con numero 28540
Provenienza: collezione A. Giovanardi, Milano; Rigato Arte, Conegliano; collezione privata, Veneto, (fino al 2011); Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: 300 Dipinti e disegni di Maestri contemporanei, Milano, 1962, ripr. n. 21; Giovanni Granzotto, Alessandro Rosa, De Chirico - Guidi. Due idee della metafisica, Sacile, Studio D'Arte G.R., 14 marzo - 18 aprile 1992, ripr. p. 55 n. 33; Franca Bizzotto, Dino Marangon, Toni Toniato, Virgilio Guidi. Catalogo generale dei dipinti. Volume primo, Milano, 1998, p. 83 n. 1918 4, p. 142 n. 1927 67
Esposizioni: 300 Dipinti e disegni di Maestri contemporanei, Milano, Galleria Brera, 19-30 maggio 1962; De Chirico - Guidi. Due idee della metafisica, Sacile, Studio d'arte G.R., 14 marzo - 18 aprile 1992
Stato di conservazione. Supporto: 95% (segni di chiodi lungo il bordo)
Stato di conservazione. Superficie: 95%
Il 25 aprile 1927 Virgilio Guidi si trasferisce da Roma a Venezia, dove viene chiamato per chiara fama a ricoprire la cattedra di pittura che era stata di Ettore Tito. Nella città lagunare, in cui non aveva mai dipinto fino a quel momento, l'artista approfondisce le sue ricerche sulla luce, centrali sin dai suoi esordi. Già nei paesaggi realizzati negli anni romani Guidi era stato mosso dall'esigenza di cogliere, nell'osservazione en plein air, una luce zenitale, unitaria e totalizzante, capace di dare unità a tutti gli elementi della composizione. Si trattava di una ricerca che, partita dalla riflessione sull'unità di forma-colore presente in maniere diverse in Cézanne e Matisse, si era andata poi nutrendo di stimoli quattrocenteschi e segnatamente pierfrancescani.
L'opera appartiene al nutrito gruppo di paesaggi realizzati lungo la strada verso Stra datati nel catalogo generale al 1927 (Bizzotto, Marangon, Toniato, 1988, pp. 137-142, nn. 1927 53 – 1927 68). Proprio nella cittadina di Stra l'artista nel 1929 darà vita, in polemica con l'Accademia, con la quale i rapporti furono spesso critici, a una scuola del paesaggio occupando con i suoi allievi per un breve periodo la villa Pisani.
Rispetto ai paesaggi romani, caratterizzati da una volumetria semplice e solida, i paesaggi veneti – sia quelli lagunari, sia quelli dell'entroterra – complice certamente il contatto con la luce locale, rarefatta e trasparente, sono caratterizzati da una pennellata più mossa che tende a sfaldare la consistenza formale per far emergere la vibrazione luminosa. Una luce che, come in quest'opera, appare tutta intrinseca alla materia pittorica, alleggerendo i semplici volumi delle case e conferendo una consistenza soffice al cielo e alle fronde degli alberi. Un'esperienza, quella della luce veneta, che condurrà Guidi negli anni verso una progressiva sintesi astrattiva in cui il paesaggio tenderà sempre più a divenire lirica apparizione.
Sul verso il dipinto mostra un abbozzo di paesaggio con fiume e case e, sul telaio, un’etichetta stampata che reca il titolo “Paesaggio veneto” e la data 1932; si tratta in realtà di una pittura ascrivibile con molta probabilità al 1928, anno in cui Guidi realizza simili vedute lungo la riva del Brenta (Bizzotto, Marangon, Toniato, 1988, p. 161 n. 1928 29 – p. 166 n. 1928 41).
Sabrina Spinazzè
Ringraziamo Toni Toniato per il supporto dato alla catalogazione dell'opera. -
Lot 374 Onorio Marinari (1627 - 1715)
Maddalena
Olio su tela
65 x 49 cm
Provenienza: Corsini, Firenze; Ricasoli, Firenze
Stato di conservazione. Supporto: 80% (rintelo)
Stato di conservazione. Superficie: 85% (riprese pittoriche)
Figlio del pittore Sigismondo Marinari, cugino e allievo di Carlo Dolci, insieme ad Agnese Dolci, Onorio Marinari raccolse l'eredità del maestro e ne portò avanti la scuola, accentuandone l'effetto di patetismo e dolcezza, attraverso una fortunata serie di moduli figurativi, tra cui quello della ragazza con il capo reclinato, leggermente rivolto verso l'osservatore, impiegato anche nella nostra tela e base di molte sue interpretazioni di personaggi femminili: tra i molti, "Salomè con la testa di San Giovanni Battista", databile intorno al 1680, conservato presso il Minneapolis Institute of Art, nonché rappresentazioni di sante, madonne e allegorie.
Marinari lavorò soprattutto a Firenze per committenti fiorentini e toscani, ma non si dedicò solo alla pittura: nel 1674, pubblicò un saggio di astronomia dal titolo "Fabbrica et uso dell'annulo astronomico instrumento universale per delineare orivoli solari". -
Lot 375 Anton Zoran Mušič (1909 - 2005)
Ecran naturel, 1960
Acquerelli e gessetti colorati su carta
49,7 x 64,8 cm
Firma: “Music”
Data: “60”
Elementi distintivi: due timbri del corniciaio “La Cornice” di Villorba (Treviso).
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 85% (ondulature da umidità)
Stato di conservazione. Superficie: 90% (carta leggermente ingiallita)
L’opera appartiene alla serie "Ecran naturel" sul paesaggio istriano, a cui l’artista lavora tra il 1959 e il 1963. -
Lot 376 Michele Tosini, detto anche Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (1503 - 1577) , ambito di
Ritratto di nobildonna
Olio su carta applicata su tavola
44,5 x 33,5 cm
Elementi distintivi: due sigilli in ceralacca al verso con stemmi Medici - Toledo; una etichetta recente al verso con riferimento a "ritratto di Eleonora di Toledo", Bronzino
Stato di conservazione. Supporto: 70% (consunzione, tarli, fessurazioni)
Stato di conservazione. Superficie: 70% (cadute di colore, ritocchi, soprattutto lungo le fessurazioni del legno, trasposte nella carta)
Come ci segnala Carlo Falciani (comunicazione del 2 aprile 2023), il dipinto appartiene alla ritrattistica borghese abbastanza diffusa a Firenze nella metà del Cinquecento. Lo stile appare legato alla grande bottega di Michele Tosini, meglio noto come Michele di Ridolfo del Ghirlandaio, il che suggerisce che l'opera sia nata nel suo ambito. Il soggetto - pur presentando alcune similitudini con l'immagine tarda di Eleonora da Toledo ( 1522-1562), dipinta da Allori verso il 1560, in cui la duchessa di Toscana ha ormai il volto smagrito per l'età - va ricercato in una committenza meno prestigiosa, non necessariamente legata ai signori di Firenze, rimanendo forse spiegabile la presenza dei sigilli ducali con il riuso successivo, per controfondare la carta, di una contemporanea tavola toscana.
Ringraziamo il Prof. Carlo Falciani per il supporto nella catalogazione dell'opera. -
Lot 377 Franz Alt (1821 - 1914)
Vicolo dei Miracoli, Verona
Acquarello su carta
29 x 19 cm
Stato di conservazione. Supporto: 80%
Stato di conservazione. Superficie: 90% -
Lot 378 Domenico Morelli (1823 - 1901)
Il volto nel velo, 1880 circa
Olio su tela
53,4 x 39,7 cm
Elementi distintivi: sul telaio, due etichette con indicazioni inventariali manoscritte "M.R.127" e "N. 83" manoscritto sul legno in colore rosso. Residui di un timbro in ceralacca
Stato di conservazione. Supporto: 85% (gore d'acqua)
Stato di conservazione. Superficie: 75% (distacchi della superficie pittorica; alcune cadute nella fascia inferiore in particolare a destra)
Domenico Morelli è figura centrale nella pittura italiana del secondo Ottocento e nella formazione della generazione di artisti che sarà protagonista nello stato neo-unitario. Formatosi alla Accademia di Belle Arti di Napoli, nel 1848 si trova a Roma dove viene incarcerato per un breve periodo per aver partecipato ai moti. La sua produzione si caratterizza fin da principio per un accentuato interesse per la figura e la storia umana, interpretate con un piglio romantico che si accentuata dopo la partecipazione, nel 1855, insieme a Francesco Saverio Altamura e Serafino De Tivoli, all'Esposizione Universale di Parigi e ai dibattiti dei macchiaioli, di ritorno a Firenze, sul realismo pittorico. Negli anni sessanta, ormai tra i pittori italiani più conosciuti, viene nominato consulente del museo nazionale di Capodimonte (relativamente alle nuove acquisizioni di opere) e nel 1868 ottiene la cattedra di Belle Arti di Napoli alla Accademia partenopea: tra i suoi allievi, Giuseppe Costa, Francesco Coppola Castaldo, Giuseppe De Nigris, Raffaele Ragione e Achille Talarico. Negli anni successivi, si interessa ai soggetti orientali, unendo la raffinata comprensione dei sentimenti umani al gusto per l'esotico.
Il dipinto in esame mostra una donna serena, ancorché in vesti da vedova: la bocca rosea pare aprirsi in una parola o in un sospiro, gli occhi sono velati solo dall'ombra, il velo si perde contro il fondo poco variato di tono, che non riduce tuttavia la volumetria della figura, anzi la accentua in un gioco di chiaro e scuro e pieno e vuoto, secondo un modo tipico di comporre di Morelli, che gli deriva dalla pittura del Seicento napoletano, in particolare Ribera e Battistello Caracciolo. Magistrale la resa pittorica del foulard, che rende evidente la classe elevata della giovane donna ritratta.
L'equilibrio tra la condizione di lutto e l'attitudine dolce e aperta della figura, tra realismo, introspezione e scelta compositiva, rappresenta un risultato particolarmente fortunato nella pur celebre e vasta produzione ritrattistica di Morelli.
L'autografia dell'opera è stata confermata, su base fotografica, da Cinzia Virno (comunicazione del 9 agosto 2023) e da Luisa Martorelli (comunicazione del 5 dicembre 2023).
Ringraziamo Luisa Martorelli e Cinzia Virno per il prezioso supporto dato alla schedatura dell'opera. -
Lot 379 Francesco Trevisani (1656 - 1746)
Baccanale, ante 1705
Olio su tela
168,8 x 120,3 cm
Elementi distintivi: al verso, sull’asse superiore della cornice a sinistra, «n°5» (?); segue iscrizione cassata; sulla destra, etichetta identificativa; sul rinforzo trasversale superiore sinistro, inciso in grafia recente «ANNIBALE CARACCI»
Stato di conservazione. Supporto: 85% (reitelo e telaio sostituito)
Stato di conservazione. Superficie: 85% (contenute cadute e ridipinture; almeno uno sfondamento, suturato a "7" nel registro superiore)
Di origini istriane, dopo un alunnato a Venezia presso Antonio Zanchi e Giuseppe Heintz il Giovane, Francesco Trevisani troverà a Roma, appena ventenne, l’ambiente perfetto per la sua fortunata carriera artistica. È l’interesse nello scoprire correnti pittoriche diverse dal conteso lagunare la molla che lo porterà nella capitale della cristianità. Dal 1698 la sua presenza è documentata presso il Palazzo della Cancelleria, protetto dal prestigioso e raffinato mecenatismo di Pietro Ottoboni, cardinal nipote del veneziano Alessandro VIII, che seppe circondarsi di artisti, musicisti e attori di primissimo livello.
Proprio in questo contesto assai colto ed elegante, si inserisce perfettamente il tema del dipinto, evocando erudite citazioni dal mondo antico e dalla letteratura.
L’opera in questione è stata esaminata de visu da Karin Wolfe, che l'ha collocata nella produzione di Trevisani antecedente al 1705, probabile parte di una più ampia serie di scene di carattere mitologico.
Nel suo insieme richiama, infatti, "Pan e ninfe danzanti" della Galleria Nazionale di Palazzo Corsini, Roma (inv. 149), mentre, più nel dettaglio, la figura femminile sulla destra con il braccio alzato è analoga alla giovane sullo sfondo nel "Banchetto di Marcantonio e Cleopatra" conservato alla Galleria Spada, Roma (inv. 123) (comunicazione del 26.09.2023).
Il soggetto potrebbe essere letto anche come Promitor che distribuisce il grano ai satiri, ravvisando nella figura in atto di elargire fasci di spighe una delle divinità minori dell’antica Roma, invocata e venerata a conclusione del lavoro di raccolta agricola.
Ringraziamo la dottoressa Karin Wolfe per il prezioso supporto nella catalogazione dell’opera.