Asta 79 - Dipinti, disegni, sculture e oggetti di antiquariato dal XV al XIX secolo
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Lot 121 PITTORE FIAMMINGO, PRIMA META’ DEL XVII SECOLO
Allegoria dell'Inverno (o La negazione di Pietro)
Olio su tela, cm. 124x151. Con cornice. -
Lot 122 STEFANO MAGNASCO (Genova, 1635 - 1672), ATTRIBUITO
Maddalena in estasi
Olio su tela, cm. 120x159
Questa plastica rappresentazione di Maddalena distesa tra le rocce di un paesaggio inospitale e accompagnata dagli angeli nella sua estasi, ha alle spalle una vicenda attributiva articolata che l'ha vista dapprima collocata nel catalogo di Valerio Castello per poi trapassare (invero senza particolari sconvolgimenti) all'interno del corpus del giovane Stefano Magnasco, padre di Alessandro e allievo di gran lunga più dotato dello stesso Castello.
PROVENIENZA: Collezione privata.
BIBLIOGRAFIA SPECIFICA: C. Manzitti, Valerio Castello, Genova 1972, p. 172, fig. 96 (Valerio Castello e aiuti); A. Orlando, Stefano Magnasco e la cerchia di Valerio Castello, Cinisello Balsamo (MI) 2001, n. 5, p. 85 (come Stefano Magnasco). -
Lot 123 CERCHIA DI GIUSEPPE CESARI, DETTO IL CAVALIER D'ARPINO (Arpino, 1568 - Roma, 1640)
Combattimento fra gli Orazi e i Curiazi, copia dell'affresco nel Salone del Palazzo dei Conservatori in Roma
Olio su tela, cm. 103x273. Con cornice
Si tratta di un'eccellente copia antica, inedita, del grandioso affresco eseguito dal Cavalier d'Arpino tra il 1612 e il 1613 per il salone del Palazzo dei Conservatori e dedicato al ben noto episodio di storia romana narrato da Tito Livio nell'Ab Urbe condita. All'interno della produzione dell'Arpino esso costituisce un apice di misurato classicismo, con il suo ponderato equilibrio nella messa in immagine dell'episodio, che, nell'elegante teatralità della scena, approda a una chiarezza, semplicità e ordine compositivo veramente rimarchevoli. Dell'affresco era nota sinora una sola copia, eseguita su tela da Giovanni Battista Pace nel 1664 (cm. 192x292), di proprietà della Galleria Nazionale d'Arte Antica di Roma ma in deposito a Palazzo Chigi, dove si trova esposta nella cosiddetta Sala delle Galere o dei Galeoni. La versione che qui si presenta riveste dunque un particolare interesse come ulteriore testimonianza della fortuna e dell'ammirazione riservata a quest'opera capitale dell'Arpino.
PROVENIENZA: Collezione privata, Roma. -
Lot 124 ANGELO MARIA ROSSI, già PSEUDO FARDELLA e PITTORE DI CARLO TORRE (attivo a Milano tra il 1662 e il 1675)
Natura morta con mele, funghi, carciofi, cedri, lumache e pesci - Natura morta con cacciagione di penna, Coppia di dipinti.
Olio su tela, cm. 60,7x75,5. Con cornici antiche
La Natura morta di mele reca in basso a destra, sul foglio stropicciato su cui sono poggiati i pesci piccoli, la datazione e qualche lettera di una parola decifrabile: "1675 C[...]d". Al retro entrambi i dipinti recano la firma del pittore trascritta sulla tela di rifodero. Rispettivamente: “FECE MANO DI ANGELO MARIA ROSSI”.
La bella coppia di tele che qui si presenta riveste un ruolo particolarmente significativo nelle vicende che hanno visto il "risorgere" moderno di una personalità di rilievo della natura morta italiana della seconda metà del Seicento: lo specialista da principio identificato con Giacomo Fardella messinese, poi battezzato dapprima come Pseudo-Fardella e in seguito, nella fondamentale monografia di Cirillo e Godi, come "Pittore di Carlo Torre", per essere infine riconosciuto come Angelo Maria Rossi. Il volume di Cirillo e Godi metteva in luce la collocazione geografica e culturale lombarda dell'ancora anonimo artista e precisava la cronologia della sua attività. Veniva infatti pubblicato un gruppo di opere (fra cui la nostra coppia di tela) datate tra il 1662 e il 1675, corrispondenti con ogni probabilità alla sua attività tarda, caratterizzata da un maggiore tenebrismo coloristico e luministico, da una tendenza alla libertà e semplificazione compositiva e da un recupero costante di motivi formali consolidati nelle opere precedenti. Nella nostra coppia, che mostra un significativa affinità con le opere di tema affine di Evaristo Baschenis, ritroviamo in effetti, come una peculiare sigla di stile, i funghi, le mele, il cedro e i pesci posati su un foglio sgualcito, nel quale è iscritta la data di esecuzione del 1675. Ma l'elemento forse di maggiore importanza storica delle nostre due tele è da riconoscere nella presenza della firma per esteso che si trova accuratamente trascritta sul retro della tela di rifodero, che ha consentito infine di riconoscere definitivamente il nome di questo notevole specialista di nature morte: Angelo Maria Rossi, del quale ancora Giuseppe Cirillo aveva già rinvenuto la sigla "A.M.R." su un'altro dipinto. Si tratta di un pittore milanese, che prima di cadere nell'oblio fu ai suoi tempi un nome celebre, spesso presente come illustre specialista di nature morte negli inventari antichi delle collezioni lombarde, compresi i principi Borromeo. Il suo cospicuo catalogo presenta un livello qualitativo di costante eccellenza, pienamente testimoniato anche dalle opere qui in oggetto.
PROVENIENZA: Roma, Collezione privata; Roma, Christie's, 16 maggio 1986, Lot.235 (come "Pseudo Fardella"); Bologna, Collezione Ferdinando Montaguti (come da scritta a tergo);
BIBLIOGRAFIA: G.Cirillo e G.Godi, Le nature morte del "Pittore di Carlo Torre" (Pseudo Fardella)" nella Lombardia del secondo Seicento, Popos Editrice, 1996, p.101, Tavv. 95 e 96. -
Lot 125 ANDREA VACCARO (Napoli, 1604 - 1670) o GIUSEPPE DI GUIDO, già MAESTRO DI FONTANAROSA (Napoli, 1590 - attivo nella prima metà del XVII secolo)
Visione di San Gaetano da Thiene di Maria Maddalena
Olio su tela, cm. 183x148,5. Con cornice antica
Questa bella tela d'altare costituisce una seconda versione del dipinto del medesimo soggetto eseguito per la chiesa del Monastero di Santa Maria della Sapienza a Napoli e oggi ricoverato presso il locale Arcivescovado. Con quest'ultima opera, la nostra tela condivide le medesime problematiche attributive, come pure una certa ambiguità iconografica, che ha generato la confusione tra S.Maria Egiziaca in estasi con San Zosima e La visione della Maddalena in estasi sorretta dagli angeli da parte di S. Gaetano da Thiene, verso la quale ormai si dovrebbe definitivamente corvergere. Più complesso il nodo relativo all'autore, o agli autori, delle due versioni, a proposito del quale occorre partire dall'esemplare oggi all'Arcivescovado, sovente considerato una delle prove d'esordio di Andrea Vaccaro. Sulla tela si può leggere in basso a sinistra un'iscrizione che recita "GIOS.E DE GUIDA". Pur essendo spuria l'iscrizione costituisce un indizio serio per il riconoscimento della paternità dell'opera, in accordo, peraltro, con l'indicazione delle fonti ottocentesche. Accogliendo per essa il riferimento a Giuseppe di Guido (alias Maestro di Fontanarosa), come ormai parrebbe opportuno, la tela della Sapienza verrebbe a fissare il punto di massima tangenza stilistica di questo maestro con il giovane Andrea Vaccaro, col quale egli fu in effetti in stretti rapporti, se nel 1628 fece da padrino al battesimo della figlia di Andrea, Angela Geronima Vaccaro. Non si può fare a meno di rilevare, peraltro, come entrambe le versioni, e specialmente la nostra, appaiano di più agevole e coerente inserimento nel catalogo giovanile del Vaccaro che non in quello del Maestro di Fonatanarosa, come suggeriscono le affinità con opere come Giuditta e Oloferne in collezione Koelliker, il Martirio di Sant'Agata della Galerie G. Sarti di Prigi o il Martirio di San Sebastiano della Galerie Canesso di Parigi, tutti autografi certi del Vaccaro che non dovrebbero superare, come l'opera qui in oggetto,la soglia del 1640. -
Lot 126 MARIO BALASSI (Firenze, 1604 - 1667)
Madonna con Bambino
Olio su tela, cm. 65x58,5. Con cornice
Il dipinto è accompagnato dall'expertise del Prof. Sandro Bellesi.
La bella tela qui proposta mostra nella peculiarità delle pose e della costruzione delle fisionomie la mano del fiorentino Mario Balassi. Particolarmente interessante risulta la postura quasi ruotante del Gesù Bambino e la sua espressione fortemente comunicativa. La mancanza di un interlocutore lascerebbe supporre un’originaria e più ampia composizione, di cui la nostra tela potrebbe costituire il frammento centrale e principale. Tale supposizione trova puntuali conferme nei frammenti di una pala firmata dal Balassi raffigurante San Filippo Neri adorante con cherubini, le quale stabilisce con il nostro dipinto un rapporto di interdipendenza tale da far ipotizzare la comune appartenenza ad una grande tela perduta, della quale ha dato notizia Riccardo Carapelli (Di alcune opere meno note o inedite di Mario Balassi, in “Antichità viva”, 1995, 5-6, pp. 55,57 e 58 figg. 11-13). Stretti i rapporti anche con altre opere del pittore, come l’Apparizione della Vergine e Gesù Bambino a San Domenico del Museo Civico di Prato o l’Assunzione della Vergine e santi in Santo Stefano a Empoli, entrambe databili tra il 1656 e il 1659. -
Lot 127 THEODOR VAN THULDEN (Hertogenbosch, 1606 - 1669)
Venere e Adone
Olio su tela, cm. 64,5x81. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un'expert del Prof. Didier Bodart.
Questa bella tela mostra uno stile attentamente bilanciato tra la conoscenza di modelli tizianeschi e un gusto spiccatamente rubensiano. L’opera è ascrivibile alla mano di Theodor van Thulden, che fu allievo ad Anversa di Abraham Bryenbergh nel 1621-1622 e più tardi collaboratore di Rubens. Il nostro dipinto è databile intorno al 1640, epoca in cui risulta più intensa l’influenza veneta combinata con quella di Anthony van Dyck. Utili i confronti con altre opere dell’artista come l'Allegoria di Anversa, del Museo Nazionale della Valletta, L'Amore e la Musica del Museo di Noordbrabants, La Fiandra, il Branbant e l’Hainaut venerano la Vergine e il Bambino, conservata presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna. -
Lot 128 ALESSANDRO MAGNASCO (Genova, 1667 - 1749)
Interno con soldati, vagabondi e mendicanti
Olio su tela, cm. 97x122. Con cornice
Questa affollata composizione, già riconosciuta da Camillo Manzitti come opera autografa del Magnasco, si dipana con articolata sintassi attraverso i vari e ben distinti gruppi di personaggi. Ciascuno di essi è raccolto intorno a uno dei tavoli disposti in un grande ambiente di difficile caratterizzazione, sorta di corte di un palazzo semi-diroccato, parzialmente aperto sullo sfondo a un brano di paesaggio. Fra le molte figure, eseguite con la consueta brevità e spavalda destrezza, si distinguono soldati che giocano a carte, vagabondi e mendicanti, zingari e uomini vestiti di ampie tuniche: un'umanità degrata e dissoluta, assemblata secondo la fantasia sbrigliata, bizzarra e allucinata, tipica del Magnasco, dietro la quale s'intravvede pur sempre il fantasma di Jacques Callot. L'ambiente è disseminato di strumenti bellici apparentemente dismessi (cannoni, armature, fucili), ma anche assi, botti, recipienti, vasellame, stracci, carte e corde. La nostra tela ripropone così, in un montaggio originale, molti dei motivi presenti in altre opere del pittore, quali il Ritrovo di zingari e soldati degli Uffizi e del Museo di Bassano del Grappa, il Cantastorie del Museo di Varsavia, La Gazza ammaestrata del Museo Calvet di Avignone. -
Lot 129 FRANCESCO SOLIMENA (Serino, 1657 - Napoli, 1747), ATTRIBUITO
Santa Caterina d'Alessandria
Olio su tela, cm. 77,3x63,5. Con cornice
Nel bel dipinto che qui si presenta si riconosce agevolmente l'immagine di Santa Caterina d'Alessandria, vergine e martire di origine regale che qui viene presentata con i suoi attributi principali: la corona, la palma e la ruota dentata strumento del suo martirio. L'opera è un interessante prodotto della fase giovanile di Francesco Solimena, probabilmente nel nono decennio del Seicento, ancora legato allo stile intensamente chiaroscurato del padre Angelo e ben memore del maestro di lui Francesco Guarino e di Massimo Stanzione, ma già non immune dall'esempio di Luca GIordano. Un pittore già capace di esercitare un pieno controllo classico della composizione e in possesso di mezzi coloristici assai raffinati. In questo senso si possono istituire confronti piutosto eloquenti fra la nostra tela e, tra gli altri, la Santa Rosalia in collezione Pisani a Napoli, Sansone e Dalila dell'Herzog Anton Ullrich Museum di Braunschweig, il Ritratovamento di Mosè dell'Ermitage di San PIetroburgo. -
Lot 130 GIOVANNI ANTONIO PELLEGRINI (Venezia, 1675 - 1741), ATTRIBUITO
Alessandro Magno trova il corpo di Dario morente
Olio su tela, cm. 127x169. Con cornice
Quest'immagine potente raffigura il corpo di Dario, re dei persiani, che secondo la narrazione di Plutarco viene rinvenuto da Alessandro Magno, suo acerrimo nemico, riverso in fin di vita su un carro dopo essere stato ucciso dalle sue stesse milizie. Il dipinto si impone per l'arditezza della composizione, con la scorciatura esasperata del corpo di Dario, per l'elaborato impianto luministico e per la finezza drammaturgica dell'impianto narrativo, col gesto pietoso di Alessandro che sembra accoglierere il ringraziamento del nemico per la benevolenza mostrata verso i suoi congiunti. Non meno notevole risulta la densità di riferimenti pittorici che si trovano originalmente condensati nel dipinto. In esso si distingue un incrocio di elementi veneti (da Tintoretto ai tenebrosi Loth, Zanchi e Langetti, ma anche Sebastiano Ricci), lombardi (Paolo Pagani) e romani (Cortona, Baciccio).
Una cultura pittorica così articolata orienta l'attribuzione, in via di ipotesi, verso la produzione giovanile di Antonio Pellegrini all'altezza dei primi anni del Settecento, subito dopo la giovanile esperienza di formazione romana. A sostegno di questa proposta attributiva si possono istituire confronti con dipinti quali l'Allegoria della Congregazione della morte, eseguito nel 1701 per la Scuola del Crsto di San Marcuola a Venezia (oggi nel Museo Diocesano di Sant'Apollonia), Alessandro davanti al cadavere di Dario (Musée Municipal di Soissons e Museo di Dusseldorf), Spartaco spinge gli schiavi alla rivolta, Padova, Museo Civico.
PROVENIENZA: Collezione privata, Centro-Italia. -
Lot 131 JAN FRANS VAN BLOEMEN (Anversa, 1662 - Roma, 1749)
Paesaggio con figure e borgo fortificato sullo sfondo
Olio su tela, cm. 87,5x114. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un expertise del Prof. Ferdinando Arisi.
Il bel dipinto qui proposto raffigura una veduta di fantasia della valle dell’Aniene ai piedi di Tivoli. Nell’impianto compositivo, nel trattamento luministico e cromatico, nella descrizione degli elementi vegetali e delle figure, la tela rivela il raffinato linguaggio pittorico di Jan Frans van Bloemen, detto l’Orizzonte. L’impostazione scenica ripropone qui talune delle sue soluzioni più tipiche, come lo specchio d’acqua in primo piano, animato da piccole figurine realizzate con un tratto sciolto e veloce, e lo sviluppo di una profonda visuale sul brano di paesaggio retrostante. Anche la leggerissima quinta scenica arborea sulla destra nei dettagli del fogliame e nello sviluppo dei tronchi si conforma ai modi del pittore, in particolare per il perfetto bilanciamento compositivo tra spazi pieni e vuoti. -
Lot 132 PAOLO DE MATTEIS (Piano del Cilento, 1662 - Napoli, 1728)
San Giovanni Battista
Olio su tavola, cm. 109x75. Con cornice
Al retro la tavola reca un bollo in ceralacca e una vecchia iscrizione: "MORILLO".
Questo bella effige del giovane San Giovanni Battista, accompagnato dai suoi attributi canonici del crocifisso e dell'agnello, fu riconosciuto come opera sicura di Paolo de Matteis da Riccardo Lattuada e Giuseppe Napoletano. Esso costituisce una rarissima prova realizzata dal pittore su tavola. L'opera, di particolare eleganza e compostezza formale, presenta un'evidente vicinanza ai modi maturi di Luca Giordano ed è collocabile nell'ultimo decennio del Seicento. -
Lot 133 JOHANN ANTON RICHTER (Stoccolma, 1665 - Venezia, 1745), ATTRIBUITO
Veduta del Canal Grande con Palazzo Corner della Ca' Granda
Olio su tela, cm. 57x74,5. Con cornice
Questa deliziosa veduta di Venezia può essere avvicinata alla produzione di Apollonio Domenichini, ma in misura ancora maggiore a quella dello svedese Johann Richter. Giunto a Venezia nel 1697 per restarvi tutto il resto della sua vita, dopo una probabile esperienza presso la bottega di Luca Carlevarijs egli seppe guadagnare un posto di rilievo nell'affermazione del vedutismo veneziano, partecipando attivamente alle sue incontenibili fortune settecentesche. Ritroviamo qui alcune delle sue caratteristiche peculiari, come il gusto macchiettistico delle figurette nelle imbarcazioni, che occupano regolarmente il primo piano delle sue vedute, la pennellata minuta, i colori vivaci e una certa semplificazione nella resa delle architetture. A confronto con la nostra Veduta si possono qui segnalare Il Canal Grande a Santa Lucia (già Stoccolma, Collezione Siren), la Veduta con l'Isola di San Giorgio e quella con l'Isola di San Michele, entrambe al Nationalmuseum di Stoccolma.
PROVENIENZA: Collezione privata. -
Lot 134 GREGORIO LAZZARINI (Venezia, 1655 - Villabona Veronese, 1730), ATTRIBUITO
La Carità cristiana
Olio su tela, cm. 161,5x120. Con cornice antica
Questo plastico gruppo di quattro figure offre una rappresentazione dell'Allegoria della Carità, la principale tra le Virtù teologali. Sia il soggetto, sia la composizione con la giovane e florida figura femminile attorniata di fanciulli, uno dei quali con la testa in prossimità del seno di lei (come addormentatosi dopo la l'allattamento), furono particolarmente cari a Lazzarini, che li propose a più riprese con piccole varianti e su misure diverse (Venezia, Galleria dell'Accademia e Esztergom, Museo Cristiano). La soluzione iconografica corrisponde alla tipologia di Carità più diffusa nella pittura sei e settecentesca. Essa deriva dall'Iconologia di Cesare Ripa, che prescrive l'abito rosso per la donna e tre bimbi stretti a lei, di cui uno attaccato al seno. Come nel lotto sucessivo, che ne costituisce il pendant, in questa tela mirabile si riconosce la mano di Gregorio Lazzarini, che qui ci offre un saggio delle qualità che furono magnificate dal suo più antico biografo, Vincenzo Da Canal: "Il primo di lui merito… consisteva nel lavoro delle femmine nude, e pel morbida carnagione, e per l'esattezza del disegno, e per la bella idea de' volti" (Vita di Gregorio Lazzarini, 1732).
Proprio la purezza degli incarnati, la naturalezza delle posture e la dolcezza delle espressioni appaiono, in effetti, le qualità più spiccate del dipinto, accanto al garbato equilibrio della composizione e al felice brano di paesaggio. Si coglie bene nella tela il riferimento all'arte di Padovanino e Pietro Liberi, confluito in un impianto sapientemente classicista, che guarda attentamente agli esiti della contemporanea pittura bolognese. Ulteriori stringenti termini di paragone si possono ricoscere nell'Allegoria delle tre Virtù Teologali (Budapest, Museo delle Belle Arti) e il Ritrovamento di Mosè di Pommersfelden.
PROVENIENZA: Collezione privata, Centro-Italia. -
Lot 135 GREGORIO LAZZARINI (Venezia, 1655 - Villabona Veronese, 1730), ATTRIBUITO
Gesù Cristo benedicente circondato da angeli
Olio su tela, cm. 161,5x120. Con cornice antica
Gregorio Lazzarini è stato un protagonista indiscusso della scena artistica veneziana a cavallo tra Sei e Settecento. La sua considerazione odierna è però ben lontana da quella che lo accompagnò in vita, anche per la mancanza di un affidabile studio monografico moderno, ed egli si trova oggi più spesso citato come maestro di Giambattista Tiepolo che per i propri notevolissimi meriti di pittore. In questa circostanza si propongono due tele inedite senz'altro da riferire all'artista e che testimoniano eloquentemente le sue inconfondibili qualità. Rifulge qui l'elegante e limpido classicismo che caratterizza in particolare la maniera matura del Lazzarini, a partire dall'ultimo decennio del Seicento. La chiarezza strutturale e il pieno dominio del disegno conferiscono massimo risalto alla figura plastica e grandiosa del Cristo che, assiso sulla nuvola, conquista tutto il primo piano della scena. Si ammirano qui la grazia equilibrata della composizione, le gamme cromatiche fredde e delicate e l'accurata levigatezza della pennellata. L'alto magistero accademico rende chiara, da un lato, la matrice veneta e la vicinanza con l'amico Antonio Bellucci, ma ancor più, dall'altro, l'estrema attenzione di Lazzarini nei confronti della pittura bolognese di secondo Seicento (in particolare Cignani e Franceschini). Come termini di confronto per la nostra tela, in origine probabilmente destinata, come il suo pendant lotto 134, all'altare di una cappella privata, possiamo citare lo Sposalizio mistico di santa Caterina da Siena (Treviso, Museo Civico) e l'Allegoria del Merito (Venezia, Palazzo Ducale, e Polesello, Villa Morosini).
PROVENIENZA: Collezione privata, Centro-Italia. -
Lot 136 LORENZO TIEPOLO (Venezia, 1736 - Madrid, 1776), ATTRIBUITO
Effige del generale tebano Epaminonda
Olio su tela, cm. 59,5x48. Con cornice
Iscrizione a pennello in alto a sinistra: "EPAMINONDAS". -
Lot 137 GIACOMO GUARDI (Venezia, 1764 - 1835), ATTRIBUITO
Capriccio con figure
Olio su tela, cm. 29x21. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Giuseppe Maria Pilo.
Figlio, discepolo e imitatore del padre Francesco, Giacomo Guardi improntò la propria produzione pittorica, in particolar modo quella giovanile, all’elaborazione personale dei modelli paterni che tanto contribuirono allo sviluppo della poetica del “Capriccio”. L’opera qui proposta, pur vicinissima ai modi di Francesco, può essere riferita piuttosto a Giacomo, esemplificandone al meglio i caratteri di scioltezza e vivacità pittorica. Tra i molteplici confronti possibili menzioniamo l’Arco rovinato e tempietto sullo sfondo della National Gallery di Londra, l’Arco trionfale e sfondo di città dell’Accademia Carrara di Bergamo o ancora l’Arco rovinato e mura di paese del Musée Nissim de Camondo, Parigi, ma soprattutto il disegno raffigurante l’Assunta di collezione E. Hanfstaengl, Monaco di Baviera, che ripropone il medesimo particolare della villa, nella nostra tela realizzata in basso a destra (cfr. A.Morassi, Tutti i disegni di Antonio, Francesco e Giacomo Guardi, Venezia, Alfieri, 1975, p. 104, cat. N. 143, ill. 142). -
Lot 138 GIROLAMO TROPPA Rocchetta in Sabina, Rieti, 1636 - Roma, post 1710)
Adorazione dei pastori
Olio su tela, cm. 206x299. Con cornice
Ringraziamo il Dott. Francesco Petrucci che su base fotografica ha riconosciuto in questa tela un inedito dipinto autografo di Girolamo Troppa.
Questa tela monumentale rappresenta una significativa aggiunta al catalogo di Girolamo Troppa. In essa trovano espressione i punti di riferimento abituale della sua arte (Mola, Baciccio, Brandi, Giuseppe Ghezzi), ma spicca in modo particolare l'influsso di Carlo Maratti e di opere come la Natività di S. Giuseppe dei Falegnami a Roma e l'Adorazione dei pastori dell'Ermitage di San Pietroburgo. Troppa, però, abbassa drasticamente il tono aulico e classicista connaturato all'arte marattesca e lo riporta su un registro più umile, di una grazia semplice e rustica, al limite del vernacolare, forse più congeniale alla sua maniera e certamente funzionale al racconto evangelico. Uno stringente termine di confronto è costituito dall'Adorazione dei pastori nella Chiesa di Santa Maria del Glorioso di San Severino Marche.
14.500 -
Lot 139 CORRADO GIAQUINTO (Molfetta, 1703 - Napoli, 1765), ATTRIBUITO
Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia
Olio su tela, cm. 63,5x47,5
La tela raffigura uno dei miracoli compiuti da Mosè durante il pellegrinaggio verso la Terra Promessa. Per la mancanza d'acqua, gli israeliti lo accusarono di averli portati nel deserto. Allora Mosè, accompagnato da Aronne, chiese aiuto a Dio, che gli ordinò di portare il suo popolo davanti a una roccia e colpirla con una verga. Mosè obbedì e dalla roccia zampillò l'acqua, con cui la gente e il suo bestiame poterono dissetarsi (Numeri 20,1-11). Il nostro dipinto è strettamente legato all'affresco di Corrado Giaquinto nella parete absidale della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, che assieme a quello adiacente raffigurante Mosè e il serpente di bronzo, costituì una delle commissioni più prestigiose di Giaquinto a Roma. Come d'abitudine all'interno della sua bottega, Giaquinto, tra bozzetti, modelli e derivazioni, realizzò varie versioni di questa celebre e ammirata opera. Se ne conservano esemplari alla National Gallery di Londra, al Museé Magnin di Dijón, al Museo del Prado di Madrid. La nostra tela raffinata si aggiunge a queste altre versioni e per la -
Lot 140 SCUOLA VENETA, SECONDA META’ DEL XVIII SECOLO
Scena di Banchetto
Olio su tela, cm. 27,5x64. Con cornice
Il dipinto raffigura una scena di banchetto all’interno di un grande ambiente particolarmente spoglio, riconoscibile come l'atrio di un palazzo monumentale. Le ombre e i toni scuri impiegati per la descrizione degli elementi architettonici (volte e pilastri in primo piano, scalinate e parapetti sullo sfondo) accentuano per contrasto le lunghe tavolate di commensali, descritte con rapidi e decisi colpi di colore e una luce baluginante e filamentosa che restituisce, illuminandola, la vivacità del convivio. Questa teletta è un esempio della pittura di tocco settecentesca - rapida, abbreviata e virtuosistica - i cui maggiori rappresentanti furono Alessandro Magnasco, Antonio Marini e naturalmente Francesco Guardi. Per la scioltezza e libertà di pennellata, nonché per la sprezzata sinteticità nella definizione delle forme, il dipinto si richiama soprattutto ai modi di quest'ultimo e alle sue più tarde rappresentazione di interni affollati, come il Concerto delle dame nella sala dei Filarmonici dell'Alte Pinokothek di Monaco e la Cena e ballo di San Beneto, della coll. Getty a San Francisco, ma con un sovrappiù di rapidità e noncuranza esecutiva che forse si deve alla sua natura di bozzetto. -
Lot 141 GAETANO LAPIS (Cagli, 1706 - Roma, 1773)
Natività della Vergine
Olio su tela, cm. 147x98,5. Con cornice
La bella tela che qui si illustra costituisce un'altra versione autografa, in tutto analoga, del dipinto di Gaetano Lapis appartenente alla collezione Fabrizio e Fiammetta Lemme, oggi confluito nel Museo del Barocco in Palazzo Chigi ad Ariccia. Pubblicato nel 1994 da Giancarlo Sestieri, il dipinto Lemme fu ritenuto dallo studioso (e le sue considerazioni ovviamente valgono anche per il nostro esemplare) particolarmente rappresentativo della personalità artistica di Lapis, "in sottile equilibrio tra barocchetto e classicismo". La tela Lemme venne situata da Sestieri intorno alla metà del secolo, quando l'iniziale slancio barocco del pittore appare ormai temperato in senso classicista, sull'esempio dei grandi bolognesi Domenichino e Annibale Carracci, con esiti che sembrano già allinearsi alle novità del nascente neoclassicismo di Mengs e Von Maron. -
Lot 142 PITTORE FRANCESE, PRIMA META’ DEL XVIII SECOLO
Natura morta di caccia
Olio su tela, cm. 194x130. Con cornice antica
La tipologia della natura morta con scene di caccia, o trofei di caccia, si affermò nei Paesi Bassi nel corso del XVII secolo con artisti come Frans Snyders, Jan Fyt e Willem Van Aelst e trovò nel Settecento il suo più alto sviluppo in area francese, dove fu particolarmente richiesta e promossa dalla committenza reale. I suoi esponenti principali furono senza dubbio dapprima Alexandre-Francçois Desportes e Jean Baptiste Oudry, e poi Jean-Baptiste Simeon Chardin. E’ certamente in questo contesto che va collocato il nostro raffinato dipinto, che esemplifica al meglio le virtù pittoriche richieste dal genere: equilibrio compositivo, abilità nella rappresentazione degli animali vivi (il superbo cane che punta l’uccello adagiato sul piedistallo) e morti (volatili e selvaggina), efficace organizzazione della componente simbolica (legata al contenuto di vanitas) ed eleganza coloristica, con una paletta che insiste sui toni chiari, prediletti da tutti e tre i grandi maestri francesi succitati.
In particolare il dipinto può essere accostato a Jean-Baptiste Oudry, che fu mirabile animalista e dal 1724 divenne pittore di corte reale, specializzato proprio nella raffigurazione di temi legati alla caccia. Interessanti paragoni possono essere istituiti fra la nostra tele e opere di Oudry come il Cane che fa la guardia alla cacciagione del Metropolitan Museum di New York, Due cani da caccia con volatili e salvaggina passato in asta da Sotheby’s Paris il 26 giugno 2014 (l. 40) il Trofeo di caccia del Nationalmuseum di Stoccolma: opere nelle quali si ritrovano molti degli elementi principali dell’opera qui in oggetto, dal fucile sul plinto all’architettura di marmo su cui è poggiato (forse una fontana), dal cane alla cacciagione, sino alle presenze floreali e al luminoso paesaggio. -
Lot 143 FRANCESCO ZUCCARELLI (Pitigliano, 1702 - Firenze, 1788)
Paesaggio con cascatella, due lavandaie e un cavaliere sullo sfondo
Olio su tela, cm. 55,5x40,5. Con cornice
Questo squisito autografo di Francesco Zuccarelli presenta chiarissme affinità con altri due celebri e tipici paesaggi di fantasia del pittore, rispettivamente conservati all'Accademia Carrara di Bergamo e al museo di Ca' Rezzonico a Venezia. In tutte e tre le tele si ritrovano, infatti, i motivi della cascatella che sgorga da una roccia, della lavandaia, del cane e del cavaliere sullo sfondo.
PROVENIENZA: Collezione privata. -
Lot 144 SCUOLA TOSCANA, FINE XV / INIZIO XVI SECOLO
Maria Vergine (?)
Scultura lignea, tracce di policromia, cm. 133x39x38,5