Importanti Dipinti Antichi
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Lotto 1 Pittore fiammingo in Italia, fine sec. XVI
SAN GIOVANNI EVANGELISTA IN UN PAESAGGIO
olio su rame, cm 22,5x18,5
sul retro vecchia iscrizione a bistro "Agnolo Bronzino"
Provenienza: già contessa Matteucci di Volterra;
collezione privata, Pisa -
Lotto 2 Maestro dell'Italia centrale, prima metà sec. XV
SAN GIOVANNI BATTISTA STANTE SU UNA ROCCIA
tempera su tavoletta fondo oro, cm 54x17,5
sul retro bollo a ceralacca
Provenienza: collezione privata, Pisa
La tavoletta qui presentata riconducibile per ragioni stilistiche a un Maestro attivo probabilmente tra l'Umbria e la Toscana può essere datata tra il 1430 e il 1440 circa ed è plausibile che presentandosi con cornice e dimensioni originali (come indicato nella relazione tecnica che correda l'opera), oltre all'assenza di segni per l'ancoraggio in un complesso di più grandi dimensioni, che sia nata come opera autonoma per la devozione privata. -
Lotto 3 Scuola Italia centrale, sec. XVII
MATRIMONIO MISTICO DI SANTA CATERINA
olio su rame, cm 20x16
alcune lacune
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Lotto 4 Scuola Italia centrale, sec. XVII
DEPOSIZIONE DI CRISTO
olio su rame, cm 35x27
alcune mancanze
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Lotto 5 Scuola emiliana, fine sec. XVIII-inizi XIX
SACRA FAMIGLIA IN UN PAESAGGIO
olio su tavoletta, cm 34,5x27,5
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Lotto 6 Pittore nordico a Roma, inizi sec. XVII
SAN GIOVANNI BATTISTA FRA I SANTI PIETRO E PAOLO E LO SPIRITO SANTO
olio su tavoletta circolare, diam. cm 20,5 entro cornice antica ottagonale dipinta a motivo fogliato
sul retro etichetta con riferimenti al pittore Joachim Uytewael
Provenienza: collezione privata, Pisa
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Lotto 7 Maestro di San Lucchese
(attivo a Firenze dal quinto all'ottavo decennio del XIV secolo)
MADONNA COL BAMBINO IN TRONO E SANTI
tempera su tavola fondo oro cuspidata, cm 61,5x23,5
sul gradino iscrizione "AVE MARIA GRATIA PLENA DOMINUS"
La preziosa anconetta qui presentata costituisce un'importante aggiunta al corpus delle opere del Maestro di San Lucchese, maestro attivo dal quinto all'ottavo decennio del Trecento, così denominato dal grande polittico con al centro l'Incoronazione della Vergine con sei angeli e i santi Zanobi, Giovanni Battista, Maria Maddalena e Francesco, che fu eseguito per l'altare maggiore della chiesa di San Lucchese a Poggibonsi (Siena), distrutto durante la seconda guerra mondiale nel 1944.
Dell'attività di questo maestro, di cui non si hanno notizie documentarie, si sono occupati vari studiosi tra cui Richard Offner, Federico Zeri, Miklòs Boskovits e Carlo Volpe. Formatosi presumibilmente presso la bottega di Maso di Banco, l'anonimo artista, derivò dal maestro alcuni caratteri quali l'organizzazione lucida dell'impianto compositivo e la luminosità del colore, tanto che ad oggi alcune opere già ascritte a Maso sono state ricondotte alla sua mano. Il legame con taluni aspetti dell'arte di Giotto si ravvisano in particolare nella solenne umanità dei personaggi, nella resa pienamente conclusa del profilo e nella salda impostazione compositiva che consentiva all'artista di fondere in una rigorosa organizzazione spaziale anche i particolari più preziosi e minuziosamente descritti.
Tali aspetti si riscontrano anche nella tavola qui proposta che a causa del piccolo formato, nasceva come anconetta per la devozione privata. La nostra tavoletta rappresenta al centro la solida figura della Vergine con il Bambino, ai lati San Giacomo (?) e San Pietro, in basso da sinistra San Benedetto, Santa Caterina d'Alessandria, Maria Maddalena (?) e un Santo vescovo. Interessante il confronto, per la simile composizione e per lo stesso formato cuspidato, con la tavoletta raffigurante Madonna con Bambino e santi del Fine Arts Museums of San Francisco, databile tra 1350 e 1360, nella quale si riscontra un simile ricorso a stoffe riccamente decorate e a motivi geometrici per il basamento del trono.
Nel percorso artistico del Maestro di San Lucchese sono stati inoltre riscontrati accostamenti all'arte di Nardo di Cione e di Giottino e nell'ultimo periodo un forte inasprimento del chiaroscuro con esiti non lontani da quelli rilevabili nella produzione coeva di Jacopo di Cione.
Bibliografia di confronto: B. Berenson, Quadri senza Casa: Il Trecento Fiorentino, in Dedalo, XI, Novembre, 1931, pp. 1291, 1297; R. Offner, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, III, V, New York 1947, p. 212, n. 1; M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento 1370-1400, Firenze 1975, p. 200 nota 87 -
Lotto 8 Scuola Italia centrale, prima metà sec. XVII
MADONNA IN GLORIA
olio su rame, cm 58x44,5 entro cornice antica intagliata e dorata -
Lotto 9 Pittore tardomanierista fiorentino, fine sec. XVI
CRISTO CROCIFISSO
olio su tavola, cm 72x58 entro cornice antica intagliata, dorata e dipinta
L'opera, sebbene presenti un impianto compositivo sobrio ed essenziale dal tono arcaico, è riconducibile all'ambiente tardomanierista fiorentino.
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Lotto 10 Domenico di Francesco detto di Michelino
(Firenze 1417-1491)
MADONNA CON BAMBINO IN TRONO
tempera grassa su tavola centinata, cm79,5x47 entro cornice a tabernacolo di epoca posteriore, intagliata e dipinta
sul retro iscrizione in lingua inglese relativa alla provenienza
Corredato da parere scritto di Giuseppe Fiocco, Padova 25 gennaio 1933, che riferiva il dipinto al Maestro di San Miniato
Provenienza: collezione privata, Padova
La tavola qui presentata, già riferita in un parere scritto di Giuseppe Fiocco del 1933 al Maestro di San Miniato, costituisce un'importante aggiunta al catalogo del pittore fiorentino Domenico di Francesco detto di Michelino grazie alle evidenti affinità stilistiche con altre opere del pittore.
Domenico di Michelino, la cui identificazione spetta ad Anna Maria Bernacchioni (1990), fu a lungo scolaro e collaboratore di Filippo Lippi ed anche dopo la morte del maestro collaborò con il figlio Filippino per portare a termine le opere lasciate incompiute da Filippo.
Tali tangenze con gli insegnamenti del Lippi si possono cogliere anche nella nostra opera che trova un valido elemento di confronto con la Madonna in trono ed angeli in preghiera, già presso le Scuole Pie Fiorentine, che mostra le caratteristiche del pittore verso gli anni sessanta. Affinità con la nostra tavola possono essere evidenziate in particolare nel simile modo di realizzare i nimbi e di collocare la Vergine e il Bambino entro strutture architettoniche dai toni rosati, di chiara ascendenza lippesca, che conferiscono al dipinto una spazialità assai tangibile, accentuata dalla struttura centinata della cornice. Interessante notare come la sofisticata e ricercata achitettura che incornicia le due figure in uno spazio prospetticamente definito sia in qualche modo stemperata dal tono intimo e affettuoso dei gesti delle due figure, in cui il Bambino con una mano stringe un dito della madre e porta l'altra alla bocca.
Ulteriori confronti, in particolare per le evidenti affinità fisionomiche con i tratti della nostra Vergine e del Bambino, possono essere effettuati con la Madonna dell'Umiltà e due angeli reggicortina del Museo del Bigallo in cui la ricerca spaziale, a differenza della nostra tavola, cede il passo a un'interpretazione decorativa e calligrafica; con la Madonna con il Bambino sorreggente il globo, già in collezione Budgett poi passata in un'asta Sotheby's di Londra nel 1971, e con la Madonna con Bambino e angeli, della chiesa dei SS. Anna e Biagio di Colle Val d'Elsa (Siena) che sostiene il Bambino in un simile gesto delicato e dolce.
Bibliografia di confronto: A. M. Bernacchioni, Documenti e precisazioni sull'attività tarda di Domenico di Michelino: la sua bottega di Via delle Terme, in "Antichità Viva", 6, 1990, pp. 5-14; A. M. Bernacchioni, Committenti sanminiatesi nell'attività di Domenico di Michelino, i Borromei e i Chellini, in "Bollettino della Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato, 57, 1990, pp. 95-118; A. Tartuferi, Domenico di Michelino: un'aggiunta e qualche riflessione sulle molte incertezze della fase iniziale, in "Arte Cristiana", 93, 2005, pp. 286-292. -
Lotto 11 Scuola emiliana, inizi sec. XVI
MADONNA CON BAMBINO
olio su tavola, cm 67x30 senza cornice
frammento
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Lotto 12 Scuola romana, fine sec. XVI
CRISTO CROCIFISSO
olio su tavola, cm 52,5x33,5
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Lotto 13 Da Jacopo Bellini
MADONNA CON BAMBINO BENEDICENTE
olio su tavola, cm 34x25 entro cornice non coeva intagliata e dorata
Riprende con alcune varianti dal dipinto di Jacopo Bellini, Galleria dell'Accademia, Venezia
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Lotto 14 Scuola Italia centrale, sec. XVIII
DECOLLAZIONE DI SAN GIOVANNI BATTISTA
olio su tavola, cm 49x34
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Lotto 15 Pittore emiliano, inizi sec. XVII
MADONNA CON BAMBINO IN TRONO TRA SANTO STEFANO E SAN LORENZO
olio su tela, cm 86x62 senza cornice
al recto stemma di un cardinale della famiglia Colonna
Provenienza: collezione privata, Firenze
Perfetta espressione della pittura sacra controriformata, la paletta qui offerta ha il suo più evidente riferimento nelle opere devozionali di Scipione Pulzone che, quasi al pari dei ritratti, contribuirono alla sua reputazione presso la Curia romana e le corti d’Italia.
La figura della Vergine, e in particolare il suo capo amorevolmente inclinato verso il Bambino, appena velato da pieghe trasparenti costituisce infatti la citazione precisa di un tipo più volte impiegato dal pittore gaetano, a cominciare dall’Annunciazione del 1587 oggi a Capodimonte ma proveniente da una chiesa del suo paese natale, e replicato negli anni immediatamente successivi nella Sacra Famiglia della Galleria Borghese, e ancora nella Madonna col Bambino nel convento di San Carlo ai Catinari, del 1594. Varie copie coeve, a cominciare da una del 1590, e altre seicentesche danno conto del successo di quest’invenzione, soprattutto in Spagna oltre che in Italia centrale. Un dato, comunque, che costituisce un saldo post quem per il nostro dipinto.
Troppo generiche nella loro iconicità riformata le figure dei santi diaconi, che alla fine del secolo o agli inizi del nuovo troveremmo con pari frequenza a Roma o a Bologna, nell’ambiente di Bartolomeo Cesi, ad esempio nel San Lorenzo di raccolta privata pubblicato nel volume di Vera Fortunati sulla Pittura del Cinquecento a Bologna (II, p. 817), quasi intercambiabile col nostro.
Lo stemma cardinalizio con l’arme dei Colonna, infine, collega il dipinto alla committenza di quella famiglia e più precisamente a quella del cardinale Ascanio Colonna (1560-1608), figlio di Marcantonio II Colonna, non a caso ritratto a figura intera da Scipione Pulzone. Nell’inventario del suo erede universale, Marcantonio IV, morto nel 1611 a soli sedici anni, troviamo fra i pochi dipinti attribuiti una “Madonna che tiene nostro Signore in braccio” di Scipione Pulzone e, senza attribuzione, una “Madonna con Nostro Signore e due altre figure”. Indicazioni troppo generiche per identificare il presente dipinto, ma certo utili per circoscriverne l’esecuzione.
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Lotto 16 Scuola emiliana, sec. XVIII
LA VERGINE, SAN GIOVANNI EVANGELISTA E LE PIE DONNE
quattro sculture in terracotta policroma, alt. cm 56,5 (per la Vergine); cm 59 (per le altre tre sculture)
(4)
Le quattro sculture, nate come parti di un Compianto, si ispirano alla grande tradizione di questi complessi scultorei che rivestì particolare importanza in Emilia tra Quattrocento e Cinquecento, grazie agli illustri esempi di Niccolò dell'Arca (1435-1494), Guido Mazzoni (1450-1518) e Antonio Begarelli (1499-1565), proseguita nei secoli successivi. -
Lotto 17 Scultore della fine del XV secolo
MADONNA COL BAMBINO
bassorilievo in marmo, cm 46,5x34,5
ridotto lungo il margine superiore, alcuni danni
Corredato da parere scritto di Alessandro Delpriori
"La Madonna a mezzo busto col Bambino nudo in piedi sopra un cuscino al suo fianco (detta anche Madonna del davanzale) è una delle composizioni più frequenti nella seconda metà del Quattrocento soprattutto in Toscana e in particolar modo a Firenze, dove il modello principale fu elaborato da Verrocchio e poi replicato in innumerevoli versioni, sia in pittura che in scultura, da moltissimi artisti.
Sempre da modelli fiorentini discende il volto di Gesù, con i caratteri fisionomici marcati e i capelli leggeri intagliati in pochissimo spessore e mossi in ciocche spettinate che ricordano a distanza le prove di Desiderio da Settignano". La veste della Vergine si allontana invece dalle soluzioni della scultura toscana: "le pieghe insistite sulla manica che si rincorrono per tutto il braccio, sembrano uscite da un atelier lombardo. Allo stesso modo il velo che copre i capelli della Madonna é affatto lontano dalle acconciature solitamente rappresentate nella tradizione fiorentina e più vicine anche in questo caso alla più lineare eleganza lombarda, come per esempio nelle sculture di Andrea Bregno". Quest'ultimo giunse a Roma nel momento più importante per la rinascita artistica della città nel Quattrocento, dopo l’ascesa al soglio pontificio di Sisto IV, e dove, spesso anche negli stessi cantieri, era presente il toscano Mino da Fiesole, insieme al quale collaborò alla creazione di uno stile specifico della scultura rinascimentale a Roma che coinvolse in seguito anche Giovanni Dalmata.
La scultura qui proposta si presenta pertanto stilisticamente in bilico tra la tradizione toscana e gli esempi lombardi, discendendo probabilmente da questo momento in cui a Roma si potevano osservare entrambe le soluzioni. Lo studioso propone una datazione per l'opera verso la fine del secolo, negli ultimi quindici anni.
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Lotto 18 Maestro di Serumido
(attivo a Firenze nella prima metà del secolo XVI)
LAOOCONTE
olio su tavola parchettata, cm 59x45,5
sul retro etichetta dell'esposizione del British Council. 16th Council of Europe Exhibition Florence 1980
Provenienza: già collezione A. Scharf, Londra;
collezione privata, Firenze
Esposizioni: Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquecento. Il Primato del Disegno, Firenze, 1980, n. 294.
Bibliografia: A. Scharf, Filippino Lippi, 1950, p. 57, tav. 139; F. Zeri, Eccentrici fiorentini II, in “Bollettino d'arte”, 1962, pp. 321-22, fig. 16; S. Meloni Trkulja, in Il Primato del Disegno. Catalogo della mostra, Firenze 1980, p. 139, n. 294
Referenze fotografiche: Fototeca Zeri, Bologna, busta 0381, scheda 34817, inv. 82877
Identificato per la prima volta da Federico Zeri tra i “collaterali” dell’eccentrico fiorentino per eccellenza, Filippino Lippi, l’anonimo maestro trae il suo nome dalla Madonna col Bambino, due angeli e quattro santi della chiesa di Serumido a Firenze. Oltre ad alcune tavole di soggetto sacro, il pittore si specializzò in composizioni di soggetto storico, letterario o mitologico tutte ambientate in scenari architettonici disegnati con rigorosissimi e quasi ostentati principi prospettici. Le scene figurate che animano questa sorta di teatrini ripetono spesso invenzioni di Filippino Lippi, di cui il maestro fu certo aiuto. Anche nella tavola qui presentata, la scena deriva da un affresco di Filippino, ormai guastassimo, nella villa medicea di Poggio a Caiano. Tipica del pittore é la gamma cromatica fredda e squillante, che accosta le sue opere a quelle di Francesco Granacci e di Francesco Foschi, a cui era attribuita la nostra tavola nella collezione Scharf. -
Lotto 19 Scuola di Carlo Maratta, sec. XVII
MADONNA CON BAMBINO
olio su tela, cm 58x43
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Lotto 20 Scuola romana, sec. XVIII
MADDALENA PENITENTE
olio su tela, cm 63,5x49
prima tela
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Lotto 21 Matteo Rosselli
(Firenze 1578-1650)
PAPA ALESSANDRO IV, ISPIRATO DALLA VERGINE APPROVA NEL 1255 L'ORDINE DEI SERVI DI MARIA E GLI CONCEDE FACOLTA' DI POTER FONDARE OVUNQUE CONVENTI E LUOGHI DI CULTO
modello preparatorio a lunetta, olio su carta applicata su tela, cm 33,5x45,8
sul retro del telaio iscrizione: "ALESSANDRO IV APPROVA LA REGOLA DEI SERVI DI MARIA / BOZZETTO DI MATTEO ROSSELLI D'UNA DELLE LUNETTE DEL CHIOSTRO DELLA SS. ANNUNZIATA / FATTO L'ANNO 1616"
Provenienza: Francesco da Sommaia, Firenze (1616-1618);
Cavaliere Francesco di Giovanni Campani ed eredi, Firenze (dal 1618);
collezione privata, Firenze
Bibliografia: M. C. Fabbri, in D. Lappiccirella, F. Antonacci, Collezionando II. Master drawings, Firenze 2013, n. 2
La pubblicazione del dipinto si deve a Maria Cecilia Fabbri che descrive il bozzetto ritenendolo un'importante aggiunta al catalogo del maestro fiorentino, che "segna un ulteriore passo in avanti verso un'auspicata e più moderna ricostruzione del suo percorso artistico". L'opera qui presentata costituisce il modellino ad olio su carta di una delle quattro lunette affrescate da Matteo Rosselli nel chiostro grande della Basilica della Santissima Annunziata fra il 1614 e il 1618, a completamento del ciclo pittorico di ventiquattro storie che il frate Arcangelo Giani aveva ideato nel 1604 per divulgare con semplicità e chiarezza i principali eventi dell'ordine dei Servi di Maria dal 1233 al 1310. Nel nostro bozzetto, che coincide in ogni sua parte con la lunetta siglata e datata 1618, Rosselli illustra la solenne udienza dei Beati Fondatori al cospetto di papa Alessandro IV, all'interno di una grande aula gremita da diaconi e cardinali scanditi da una regolare alternanza di luci e ombre. Tale autorizzazione papale del 1255 fu di grande importanza per l'ordine in quanto consentì di fondare ovunque luoghi di culto e strutture conventuali.
L'autografia dell'opera qui presentata, già palese ad un primo esame, trova ulteriore conferma, secondo il parere della studiosa, mediante il confronto stilistico con l'altro modello su tela in collezione privata fiorentina che Matteo Rosselli aveva firmato e datato per la lunetta con La predica del beato Manetto dell'Antella in Francia. -
Lotto 22 Pittore emiliano, sec. XVI
ADORAZIONE DEL BAMBINO
olio su tavola, cm 39x30
sul retro iscritto "F. Bartolommeo da S. Marco" e numero "9"
Il dipinto presenta affinità stilistiche con talune opere di Biagio Pupini (Bologna 1511-1575), come ad esempio con l'Adorazione del Bambino della Pinacoteca Nazionale di Bologna. -
Lotto 23 Girolamo Macchietti
(Firenze 1535-1592)
ALLEGORIA DELLA PRUDENZA
olio su tavola, cm 71x57
Provenienza: collezione privata, Firenze
Bibliografia: S. Bellesi, in La Bella Maniera in Toscana. Dipinti dalla collezione Luzzetti e altre raccolte private, Firenze 2008, pp. 132-135, ill. p. 133
Referenze fotografiche: Fototeca Zeri, Bologna, busta 0383, scheda 34581, inv. 83197 (come Michele Tosini)
La pregevole tavola qui proposta é stata restituita da Sandro Bellesi al pittore fiorentino Girolamo Macchietti, dopo essere stata variamente attribuita a Giorgio Vasari, al Bronzino e a Michele Tosini, sotto la cui denominazione compare ancora nell'archivio della Fototeca Zeri.
L'elegante profilo muliebre del nostro dipinto, allusivo alla figura allegorica della Prudenza, una delle quattro Virtù Cardinali, viene raffigurata rivestita da "seriche vesti azzurre dagli effetti madreperlacei e adornata da raffinati elementi ornamentali in oro e pietre preziose" con una mano posata su un ripiano ligneo sostenente una serpe intrecciata intorno alle dita e l'altra in atto di sorreggere uno specchio. Sia la serpe che lo specchio costituiscono dei simboli ricorrenti di questa personificazione allegorica: la prima risulta associata a un passo del vangelo di Matteo: "siate […] prudenti come i serpenti", mentre il secondo allude alle capacità razionali dell'uomo saggio di potersi vedere nell'animo per quello che é in realtà . A tali simboli iconografici si aggiunge la bifrontalità della figura che presenta un secondo volto sulla nuca, allusivo ancora una volta alla circospezione propria di questa virtù attenta a guardare davanti e dietro di sè.
Macchietti, educato alla pittura nell'atelier di Michele Tosini per dieci anni, si distinse per le sue opere elganti conformate sulle nuove istanze della Chiesa controriformata in linea con il linguaggio di altri pittori quali Santi di Tito, Mirabello Cavalori e Maso da San Friano. Tra il 1570 e 1572 si colloca la sua importante partecipazione all'arredo artistico dello Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio per il quale eseguì la Medea ed Esone, suo capolavoro indiscusso, e le Terme di Pozzuoli in cui mostra richiami alla grafia pontormesca.
Per talune soluzioni stilistiche e formali, soprattutto nella resa anatomica della figura e nell'aspetto algido degli incarnati, la nostra tavola presenta forti legami proprio con la Medea ed Esone, sopracitata, e con raffigurazioni femminili come la Proserpina del Museo della Ca' d'Oro di Venezia, che ne consentono quindi, come indicato da Bellesi, una datazione approssimativamente verso la metà degli anni settanta.
L'origine delle diverse attribuzioni che si sono succedute nel tempo per la nostra opera va probabilmente rintracciata nel linguiaggio stilistico e figurativo eterogeneo dell'opera stessa che rivela altresì la lezione di Francesco Salviati nella particolarità fisionomica del profilo femminile, oltre ad evidenti assonanze con Giorgio Vasari dal quale però si differenzia per un timbro pittorico più morbido e sfumato, meno ligio pertanto alla "maniacale definizione delle complesse acconciature femminili e agli elementi ornamentali di contorno" propria di Vasari. -
Lotto 24 Jacopo Vignali
(Pratovecchio, Arezzo 1592-Firenze 1664)
SAN GIOVANNI BATTISTA
olio su tavola ovale, cm 61,5x45,5 entro cornice antica dipinta con motivo fogliato in oro
Provenienza: asta Vangelisti, Lucca, 1-8 maggio 1974, lotto 506;
collezione privata, Lucca
Il dipinto su tavola che qui proponiamo, raffigurante un giovane San Giovanni Battista dai bellissimi tratti fisioniomici, proviene da un'asta della Galleria Vangelisti di Lucca in occasione della quale vennero presentate opere e arredi provenienti dalla raccolta Carlo Coppedé della Villa del Barone a Montemurlo nel maggio 1974. Il dipinto venne presentato con il riferimento a Vignali in pendant con un altro ovale, anch'esso assegnato al pittore fiorentino ma certamente di mano diversa.
Il nostro San Giovanni Battista é da ritenersi opera giovanile di Jacopo Vignali, collocabile tra il 1616 e il 1620, come suggerito da Giovanni Pagliarulo. Stilisticamente l'opera mostra ancora gli influssi della pittura del maestro Matteo Rosselli. Il volto ed anche l'impostazione pacata della figura, trovano riscontri con numerose opere del Rosselli, come ravvisabile in alcune raffigurazioni della Vergine dove si ritrova la medesima espressione dolce della nostra tavola.
Il dipinto qui presentato può essere inoltre messo in relazione con opere appartenenti all'attività giovanile di Vignali quali l'Amore verso la Patria che fu commissionata al pittore fiorentino da Michelangelo il Giovane, per il soffitto della Galleria di Casa Buonarroti, ed eseguita tra il maggio e il novembre del 1616 e con la Madonna e Santi del santuario della Madonna del Sasso, presso Santa Brigida (Firenze), opera questa firmata e datata 1616, strettamente legata ai modelli rosselliani. -
Lotto 25 Santi di Tito
(Borgo San Sepolcro 1536-Firenze 1603)
RITRATTO DI EMILIA, FIGLIA DI NICCOLO' DI SINIBALDO GADDI
olio su tavola, cm 61x43,5
al recto iscritto "EMILIA FIGA DI NICO DI SINIBALDO GADDI"
Provenienza: Colnaghi, Londra, 7 giugno-7 luglio 1978, n. 14;
asta Christie's Londra, 11 dicembre 1987, lotto 123;
collezione privata, Firenze
Bibliografia: Important Old master pictures, Christies's, London 11 december 1987, p. 168 n. 123; D. Frescobaldi, F. Solinas, I Frescobaldi. Una famiglia fiorentina, Firenze 2004, pp. 309-310, fig. 1 (scheda a cura di F. Solinas); N. Bastogi, Due ritratti femminili di Santi di Tito, in "Paragone", Firenze 2009, 60, pp. 58-66, cit. p. 62 e nota 23 p. 66; Old Master Paintings from the collection of Saam and Lily Nijstad, Sotheby's, New York 6 July 2011, pp. 22, 24 fig. 2; Old Master & British Paintings Evening Sale Including Three Renaissance Masterworks from Chatsworth, Sotheby's 5 december 2012, London, (pubblicato come confronto al lotto 18, fig. 2, nota 9);
Referenze fotografiche: Fototeca Zeri, Bologna, busta 0390, scheda 37480, inv. 84749 (come Anonimo fiorentino, sec. XVI)
L'importante tavola qui proposta raffigurante il Ritratto di Emilia, figlia di Niccolò di Sinibaldo Gaddi é apparsa nel 1978 sul mercato londinese (Colnaghi's Paintings by Old Masters) insieme a quella raffigurante il fratellino Sinibaldo, presentato sempre in questa sede nel lotto successivo.
A partire da Francesco Solinas (2004) la nostra opera (che veniva riferita insieme al pendant raffigurante Sinibaldo alla mano di Santi di Tito in collaborazione con il figlio Tiberio) venne messa in relazione con il dipinto raffigurante la medesima effigiata a figura intera ma ambientata nel giardino del palazzo di famiglia, circondata da piante, una spalliera di agrumi, due busti antichi, architetture e sullo sfondo il campanile di Santa Maria Novella (chiesa di famiglia), mentre nutre un pappagallo. Tale dipinto (già collezione privata svizzera), recentemente passato in un’asta Sotheby’s di New York nel 2011, lotto 6, come Ritratto di Lucrezia, figlia di Niccolò di Sinibaldo Gaddi, veniva messo in relazione alla nostra tavola, che costituisce un’altra versione a mezzo busto della stessa effigiata. La bambina ritorna infatti pressochè identica: vestita con il medesimo abito decorato d’oro e con la stessa collana e acconciatura, a variare, come già indicato, il formato e l’ambientazione. Nell’elegante versione qui proposta infatti la piccola viene rappresentata in un interno, intenta a versare acqua all’interno di un vaso di fiori e il suo alto rango sociale é testimoniato dalla ricchezza dei gioielli e dell’abito con gorgiera con cui viene rappresentata, secondo una moda che divenne popolare nella metà degli anni sessanta del Cinquecento. L’identificazione della giovane si basava suoi precedenti contributi di Cristina De Benedictis (cfr: C. De Benedictis, Altari e committenza: episodi a Firenze nell'età della Controriforma, Firenze 1996, pp. 11-12 e p. 17, nota 12) che ne riconosceva la figlia primogenita di Niccolò Gaddi, nata nel 1559, raffigurata all'età di circa cinque anni probabilmente come ritratto postumo, a causa della presenza del funesto simbolo del topo delle piramidi e quindi realizzato forse in occasione del solenne completamento della cappella di famiglia costruita da Dosio nella quale la piccola Lucrezia fu tumulata nel 1577.
Il nostro dipinto riveste un ruolo significativo all’interno della produzione ritrattistica di Santi di Tito e può trovare un valido confronto con il Ritratto di gentildonna -
Lotto 26 Santi di Tito
(Borgo San sepolcro 1536-Firenze 1603)
RITRATTO DI SINIBALDO, FIGLIO DI NICCOLO' DI SINIBALDO GADDI
olio su tavola, cm 61x43
al recto iscritto "SINIBALDO DI NIC: DI SINIBALDO GADDI"
sul retro iscrizione a bistro non più leggibile
Provenienza: Colnaghi, Londra, 7 giugno-7 luglio 1978, n. 14;
asta Christie's Londra, 11 dicembre 1987, lotto 124;
collezione privata, Firenze
Bibliografia: Important Old master pictures, Christies's, London 11 december 1987, p. 168 n. 124; D. Frescobaldi, F. Solinas, I Frescobaldi. Una famiglia fiorentina, Firenze 2004, pp. 309-310, fig. 2 (scheda a cura di F. Solinas); N. Bastogi, Due ritratti femminili di Santi di Tito, in "Paragone", Firenze 2009, 60, pp. 58-66, cit. p. 62 e nota 23 p. 66; Old Master Paintings from the collection of Saam and Lily Nijstad, Sotheby's, New York 6 July 2011, pp. 22, 24 fig. 1; Old Master & British Paintings Evening Sale Including Three Renaissance Masterworks from Chatsworth, Sotheby's 5 december 2012, London, (pubblicato come confronto al lotto 18, fig. 1, nota 8);
Referenze fotografiche: Fototeca Zeri, Bologna, busta 0390, scheda 37481, inv. 84748 (come Anonimo fiorentino, sec. XVI)
La tavola qui illustrata, pendant del lotto precedente raffigurante il Ritratto di Emilia, figlia di Niccolò di Sinibaldo Gaddi, rappresenta come indicato anche nell’iscrizione al recto del dipinto il piccolo Sinibaldo, fratello di Emilia.
Nonostante la tenera età l’effigiato viene rappresentato dall’artista con una sorta di atteggiamento regale ravvisabile nel modo di appoggiarsi alla sedia e per il piglio con cui impugna il prezioso sonaglio, aspetto reso ancora più evidente dall’ambientazione raccolta del dipinto.
La produzione ritrattistica all’interno della bottega di Santi di Tito fu di grande importanza come dimostra l’inventario dello studio del pittore redatto alla sua morte, dove compaiono numerosissimi ritratti. “Tale produzione, che corse in parallelo con la realizzazione delle opere sacre, riscosse grande consenso tra i contemporanei per le novità introdotte, avendo rinnovato a Firenze il genere rispetto alle più algide e idealizzate interpretazioni di stampo ancora bronzinesco di Alessandro Allori e degli epigoni del tardo manierismo e interpretando l’etica e il decoro controriformistici”. Il Baldinucci scrive come Santi avesse “gran genio a’ ritratti de’ quali non lasciava passare occasione che egli non accettasse”, facendone una delle principali attività della sua bottega, e sottolineando come “possedendo una istraordinaria sicurezza nel disegno, gli conducea con gran facilità e somigliantissimi dal vivo”.
Anche il presente ritratto, databile come il precedente al terzo quarto del XVI secolo, é stato pubblicato da Francesco Solinas (2004) con un riferimento di attribuzione a Santi di Tito in collaborazione con il figlio Tiberio, ricollegandosi probabilmente alla pratica del pittore, ben illustrata da Nadia Bastogi (2009, p. 60) la quale indicava “come la capacità dell’artista acquisita attraverso l’intensa pratica del disegno dal naturale, di delineare graficamente e abbozzare i dipinti in molti casi direttamente sulla tela in presenza del modello lasciando a stadi successivi svolti nella bottega la rifinitura dell’opera”. Tale vasta produzione, facilitata dalla capacità di Santi di Tito di soddisfare le richieste della committenza, comportà l’elaborazione di schemi e modelli con il contributo a volte determinante degli allievi a cui veniva affidata prevalentemente l’es -
Lotto 27 Scuola toscana, fine sec. XVI-inizi XVII
DUE ANGELI ADORANTI
coppia di dipinti ad olio su tavola, cm 138x62 ciascuno
sul retro bolli in ceralacca e vecchia etichetta con n. 44 e 45
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Lotto 28 Onorio Marinari (Firenze 1627-1715) e bottega
SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNINO IN UN PAESAGGIO
olio su tela, cm 133,5x99 senza cornice
Provenienza: già palazzo Feroni, Firenze;
per successione ereditaria, collezione privata, Firenze
Bibliografia: S. Benassai, Onorio Marinari. Pittore nella Firenze degli ultimi Medici, Firenze 2011, DA. 10. p. 217
Il dipinto qui presentato é stato pubblicato per la prima volta da Silvia Benassai, su segnalazione di Mina Gregori, nella monografia del pittore fiorentino Onorio Marinari includendolo nella sezione delle opere di discussa attribuzione. La studiosa che al momento della pubblicazione conosceva il dipinto solo attraverso una documentazione fotografica, ne ha recentemente confermato l'attribuzione a Onorio Marinari con l'intervento della sua bottega su visione diretta dell'opera.
La nostra Sacra famiglia rivela infatti nella tipologia dei volti una chiara impronta marinariana: "in particolare il Bambino si richiama ad analoghe soluzioni utilizzate dal pittore nelle due versioni della Fuga in Egitto e nella Santa Elisabetta con San Giovannino". Le ambientazioni dei personaggi in uno sfondo di paesaggio risultano piuttosto rare nella produzione dell'artista e pertanto la nostra tela in cui la luce crea un'atmosfera idilliaca si presenta ancor più interessante soprattutto se si osserva la presenza di un ramo spezzato, probabile allusione alla Passione di Cristo. Taluni aspetti come ad esempio il profilo sfuggente della Vergine, benchè sia esemplato sui modelli di Onorio, non permettono di riconoscerne la completa autografia pertanto la studiosa ipotizza che l'opera sia stata realizzata da un allievo su disegno di Marinari al quale "spetterebbe dunque, se non l'esecuzione, almeno l'idea compositiva alla base di questo interessante dipinto". -
Lotto 29 Scuola fiorentina, secc. XVII-XVIII
RITRATTO DI LODOVICO TEMPI
olio su tela, cm 117x87
al recto iscritto sulla lettera: "Al Ill.mo Clariss.mo Sig. Sig. P.R. Coll. Sig. Lodovico Tenpi. Firenze"
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Lotto 30 Scuola romana, fine sec. XVII
NATURA MORTA CON DRAPPO ROSSO E STRUMENTI MUSICALI
olio su tela, cm 96x133
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Lotto 31 Attribuito a Tiberio Titi
(Firenze 1573-1627)
RITRATTO DI NOBILDONNA CON I FIGLI
olio su tela, cm 199x110
Su indicazione della proprietà il dipinto dovrebbe raffigurare il ritratto di Maria Tornabuoni Albergotti con i figli.
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Lotto 32 Francesco Curradi
(Firenze 1570-1661)
LOTH E LE FIGLIE
olio su tela, cm 179x200,5 entro cornice coeva a foglia d'oro, intagliata a motivi classici e finemente incisa nella fascia con decorazione a foglie
Provenienza: collezione privata, Siena
Raro soggetto vetero-testamentario di Francesco Curradi, l’inedito dipinto qui offerto va riferito a una fase relativamente avanzata nell’attività dell’artista fiorentino, come suggerisce la sobria gamma cromatica e l’accentuazione dei contrasti chiaroscurali, sia pure all’interno di una cifra stilistica che, maturata nei primi anni del secolo grazie all’esempio del Passignano e del Bilivert, rimase sostanzialmente invariata nel corso della sua lunga e fortunata carriera.
Quasi superfluo il confronto con altre opere del Curradi: simili alla maggior parte di quelle da tempo note sono infatti le figure dei nostri protagonisti, regolari nei tratti e pacate nei gesti, panneggiate in vesti sobrie e appena scomposte, quasi a malincuore e, beninteso, per pura esigenza di racconto.
Confronti specifici sono possibili, in ogni caso, con il dipinto nella collezione dei marchesi Pucci pubblicato da Giuseppe Cantelli (Repertorio della pittura fiorentina del Seicento, Fiesole 1983, fig. 205) che, per rappresentare la fuga di Lot da Sodoma, costituisce un ideale (e forse effettivo) “primo tempo” dell’episodio qui presentato, momento successivo del racconto vetero-testamentario. L’inventario di Ottavio Pucci del 1718 ricorda peraltro in collezione un Lot e le le figlie, quadro grande del Curradi, compagno di una Betsabea del Bilivert, non finita, entrambi completati da cornici arabescate d’oro (The Getty Provenance Index): un referto che, per quanto riguarda l’enunciazione del soggetto, sembrerebbe riguardare il nostro quadro ancor più di quello più sopra citato.
Ulteriori confronti sono possibili con le figure degli astanti nella pala con la Predica del Battista nella chiesa di Santa Trinita, datata del 1649: anche in quel caso si ravvisa infatti quella stilizzazione classicheggiante dei volti femminili comune anche all’opera coeva del collega Ottavio Vannini. L'opera trova raffronti altresì con altri dipinti dell'artista quali Rachele al pozzo, Galleria Palatina di Firenze e con l'Artemisia, già Depositi delle Gallerie Fiorentine, oggi conservato presso Villa La Petraia, Firenze.
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Lotto 33 Scuola lombarda, fine sec. XVI
RITRATTO DI GENTILUOMO
olio su tela, cm 60x44,5 entro cornice intagliata e dorata
Provenienza: collezione privata, Milano
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Lotto 34 Pittore lombardo, sec. XVI
RITRATTO DI GENTILUOMO CON LETTERA
olio su tavola, cm 79x63
al recto iscrizione non più leggibile sulla lettera
sul retro bollo in ceralacca -
Lotto 35 Domenico Fiasella
(Sarzana 1589-Genova 1669)
ACHILLE E LE FIGLIE DI LICOMEDE
olio su tela, cm 136x169 entro cornice antica riccamente scolpita a volute e cornucopie e dorata
Provenienza: già collezione Carminati, Milano
Referenze fotografiche: Fototeca Zeri, Bologna, busta 0568, fasc. 5, n. scheda 60294, inv. 119356
La grande tela qui offerta risulta documentata con l'attribuzione a Domenico Fiasella nell'archivio della Fototeca Zeri di Bologna. L'interessante soggetto di Achille e le figlie di Licomede narra il momento in cui Ulisse, maestro malizioso d'inganni, nelle vesti di mercante di gioie e di bagattelle femminili, si presenta alla corte di Licomede, re di Sciro, e, fra le figlie del re, smaschera Achille, benchè in vesti d'ancella, perchè l'eroe é subito tradito dal suo istinto, che gli fa scovare, ed impugnare, la spada scaltramente nascosta. La premurosa Teti, infatti, madre di Achille, istruita dall'oracolo che il figlio sarebbe morto nella guerra che si stava preparando contro Troia, l'aveva mandato a nascondersi, con travestimento femminile, alla corte del re di Sciro. Ma fu tradita dall'indovino Calcante che rivelò ai Greci dove il figlio era stato nascosto.
Interessante il confronto per la simile ambientazione e composizione con il dipinto Il venditore di monili, firmato dal pittore Giuseppe Badaracco detto il Sordo (Genova 1588-1657), di collezione privata, e con la più puntuale versione di Fiasella conservata presso la Cassa di Risparmio di La Spezia. -
Lotto 36 Maestro di Popiglio
(attivo a Pistoia e a Pisa nel secondo e terzo quarto del sec. XIV)
MADONNA COL BAMBINO E QUATTRO ANGELI
1360 circa
tempera su tavola sagomata fondo oro, cm 132x70
alcuni restauri
Corredato da parere scritto di Andrea De Marchi e Linda Pisani
Il dipinto raffigura una Madonna in trono che regge il Bambino seduto sulle sue ginocchia ed é attorniata da quattro angeli. Il Bambino porta con sè un cardellino posato sulla sua mano sinistra, mentre due delle creature angeliche lo osservano adoranti, ed altre due, assise ai piedi della Vergine, lo allietano col suono di un piccolo organo a canne e di una viella. Entrambi i protagonisti della scena sacra si caratterizzano per un tono malinconico, dominato da uno sguardo quasi assente e premonitore - come del resto la presenza del cardellino, simbolo della Passione di Cristo - di un destino importante ma doloroso.
La tavola qui in esame é inedita e, secondo quanto comunica l’attuale proprietario, fu acquistata, circa quarant’anni addietro, da un collezionista di Toledo in Spagna.
Il dipinto, che, per le dimensioni, é immaginabile come il centro di un trittico o polittico, appare ben leggibile e giudicabile, nonostante i segni lasciati da vecchi interventi di restauro su alcune porzioni della superficie pittorica. Integrazioni a tinta neutra si ravvisano infatti in estese zone del nimbo di Gesù Bambino, nel bordo dorato del manto e della veste di Maria, ed anche nel margine punzonato della tavola. Sulla superficie pittorica si riconoscono inoltre altre stuccature (nella veste e nel manto della Vergine) e qualche ridipintura (nel volto dell’angelo in piedi a sinistra e nella stoffa che riveste la seduta del trono). Il supporto é stato risagomato con vertice a triloba ribassata, probabilmente per l’inserimento in qualche stucco tardo-barocco. Sul retro si notano inoltre i segni dell’alloggiamento di tre traverse, anche se permane il dubbio che non corrispondano a quelle originali (di prassi soltanto due), tolte quando la tavola fu privata dei suoi laterali. E’ infatti verosimile che fosse il centrale di un polittico.
Le sigle e la cultura figurativa dell’opera sono ben riconoscibili e permettono di identificare l’autore col cosiddetto Maestro di Popiglio, attivo fra il territorio pistoiese e quello pisano dagli anni trenta agli anni sessanta del Trecento. La tavola oggetto di questa scheda, inoltre, anche per parametri esterni come i dati della moda (si pensi agli scolli delle vesti, caratterizzati da una linea netta, come negli affreschi della Cappella Guidalotti Rinuccini di Giovanni da Milano), sembra appartenere alla fase tarda del maestro, sul 1360 circa.
Il Maestro di Popiglio (noto anche, ma impropriamente, come Maestro del 1336 e sovrapponibile in parte al cosiddetto Francesco pisano o Francesco dell’Orcagna) deriva il proprio nome critico da un pentittico raffigurante la Madonna col Bambino fra i santi Lorenzo, Pietro, Giacomo Maggiore e Giovanni Battista conservato nel Museo d’arte sacra di Popiglio, ma un tempo presso la chiesa parrocchiale del paese di Popiglio, sulla montagna pistoiese1.
Alcune delle opere più antiche di questo maestro rivelano i suoi debiti nei confronti di un altro anonimo, il cosiddetto Maestro del 1310, protagonista della scuola pistoiese del primo Trecento e caratterizzato da una tempra espressiva ancor più forte2. Non é un caso che, commentando il pentittico del Maestro di Popiglio raffigurante la Madonna col Bambino fra i santi Francesco, Giovanni Battista, Andrea ed Antonio abate, un tempo presso la cappella di Santa Lucia nella collegiata di Empoli ed oggi al museo della Collegiata, si sia parlato, di volta in volta, e con lessico colorito, di “figure aggrondanti“e -
Lotto 37 Attribuito a Matthys van den Bergh
(Ypres 1617-Alkmaar 1687)
RITRATTO DI NICOLAUS RITTER
olio su tela applicata su compensato, cm 70x52,5
al recto iscritto "Nicolaus Henrich Ritter / Natus: A.° 1657 13 Mai. / Pinx. A.° 1658 3 Januar" ed "M" nella riga sottostante
Provenienza: già asta Londra, 21 marzo 1973
Il dipinto é stato acquistato in un asta londinese del 1973 come Matthys van den Bergh ed é quindi probabilmente da identificare con quello segnalato come Portrait d'une petite fille in E. Bénézit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs de tous les temps et de tous les pays, II, Gründ 1999, p. 153. -
Lotto 38 Scuola inglese, fine sec. XVI-inizi XVII
RITRATTO DI EDWARD DE VERE (1540-1604), XVIII CONTE DI OXFORD
olio su tavoletta, cm 17,8x15,2 senza cornice
sul retro etichette relative all'esposizione e all'effigiato
Provenienza: già collezione John Harley
Esposizioni: Exhibition of the Royal House of Tudor, The New Gallery, Regent Street, London 1890, cat. 245 p. 76 -
Lotto 39 Scuola tedesca, secc. XV-XVI
SANT'ANTONIO ABATE
SAN SEBASTIANO
coppia di dipinti ad olio su tavola parchettata, cm 78x36 ciascuno
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I due dipinti qui presentati sono stilisticamente riconducibili alla scuola renana di Colonia che fu, nella seconda metà del secolo XV, costituita da artisti, seppur anonimi, di grande levatura, come il ‘Maestro delle Leggenda di S. Giorgio’ o il ‘Maestro della Vita di Maria’, influenzati, come l'autore del nostro dipinto dalla vicina pittura fiamminga.
Nelle due tavole, probabilmente parti di un polittico o di un complesso di più ampie dimensioni, vengono raffigurati due importanti santi taumaturghi: Sant'Antonio, identificabile grazie ai braceri, e probabilmente San Sebastiano. La raffigurazione di San Sebastiano come giovane elegantemente vestito con arco e frecce, invece della più consueta raffigurazione di giovane nudo trafitto dalle frecce, risulta relativamente insolita anche se non isolata. Nelle rappresentazioni dell'arte tedesca di questo periodo si ritrova infatti raffigurato più volte in questo modo come ad esempio nelle vetrate dell'Abbazia di San Pietro di Salisburgo e in quelle della Basilica di San Severino a Colonia. Anche nella produzione pittorica della scuola renana si possono trovare ulteriori termini di confronto per tale rappresentazione come in un dipinto della scuola di Colonia del Museo di Berlino (inv. M.33A), in una simile raffigurazione nella chiesa di Mending, databile nella seconda metà del Quattrocento, in un polittico del ‘Maestro della Sacra Parentela’ databile circa 1493-94 del Museo Walraf-Richartz, inv. 0161, e infine in un polittico in San Maria in Campidoglio a Colonia della seconda metà del secolo XV. -
Lotto 40 Seguace di Dosso Dossi, sec. XVII
RITRATTO DI ERCOLE I D'ESTE
olio su tela, cm 120x96
Riprende con varianti compositive dal dipinto di Dosso Dossi della Galleria Estense di Modena in cui l'effigiato é rappresentato a mezzo busto -
Lotto 41 Cerchia di Matthieu van Plattemberg, sec. XVII
MARE IN BURRASCA
olio probabilmente su carta riportata su tela, cm 51x59,5
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Lotto 42 Scuola veneta, fine sec. XVII-inizi XVIII
PAESAGGIO LACUSTRE CON FIGURE
PAESAGGIO CON PONTE E PESCATORE
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 24,5x27,5 ciascuno
sul retro del telaio iscritti a inchiostro "Marshall"
(2)
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Lotto 43 Jacob van de Kerckhoven
(Anversa 1636-Venezia 1712)
NATURA MORTA CON CESTO DI PESCI, CACCIAGIONE, FAGIANO E TESTA DI CINGHIALE
NATURA MORTA CON VOLATILI E LEPRE
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 87x106 ciascuno entro antiche ed eleganti cornici in legno intagliato a motivo di foglie e mascherone in basso al centro
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Corredato da parere scritto di Daniele Benati, Bologna, 20 febbraio 2015
I due dipinti, racchiusi entro eleganti cornici intagliate in legno di cirmolo del XVII secolo, propongono sontuose raffigurazioni di cacciagione ambientate sulla nuda terra contro un fondo scuro. L'inquadratura fortemente ravvicinata consente al pittore di indagare il pellame degli animali uccisi: il vello ispido della testa del cinghiale, le penne multicolori delle beccacce e dei germani, le squame dei pesci. La presenza delle ceste e, nel primo dei due dipinti, delle verdure alludono altresì all'imbandigione di cui i frutti della caccia e della pesca saranno fatti oggetto sulla tavola del padrone di casa, secondo un significato di abbondanza e di liberalità che nella natura morta nordica si sostituisce assai presto a quello di Vanitas, presente nei più antichi esemplari di questo genere pittorico.
L'autore del bellissimo pendant si riconosce del resto in modo del tutto piano in Jakob van der Kerkhoven, un artista allievo ad Anversa di Jan Fyt che già nel 1663 risulta trasferito a venezia, dove il suo cognome viene italianizzato in Giacomo da Castello o, meno frequentemente ma più propriamente, Giacomo del Cimitero (tale é infatti il significato di Kerkhoven in lingua fiamminga). Malnoto fino a tempi recenti, l'artista é andato via via assumendo nel campo degli studi un rilievo sempre maggiore, grazie non soltanto ai numerosi dipinti che la critica ha potuto aggiungere ai pochi esemplari firmati, ma anche alle notizie che lo dicono a sua volta maestro di Giovanni Agostino Cassana. Forte della lezione appresa da Fyt, egli dovette di fatto imporsi ben presto in abito veneto, soddisfacendo una richiesta che attribuiva sempre maggiore importanza alla natura morta. Gli inventari sei-settecenteschi testimoniano di fatto una massiccia presenza di suoi dipinti nelle quadrerie dell'aristocrazia veneziana, per la quale il genere della cacciagione doveva costituire un'indubbia novità a fronte delle composizioni di fiori e frutta sino ad allora proposti da Bernardo Strozzi e dai suoi imitatori.
in tale veste Jakob van der Kerkhoven giunge a intervenire anche entro opere di importanti pittori di figura, se ho ragione nell riferirgli gli inserti di frutta e cacciagione della ben nota tela con Una donna che batte due cani di Guido Cagnacci, ora conservata nella collezione Borromeo all'Isola Bella (D. Benati, in Guido Cagnacci, a cura di D. Benati e M. Bona Castellotti, catalogo della mostra di Rimini, Milano 1993, pp. 152-155 n. 36). Poiché quest'ultimo dipinto deve datarsi nel corso degli anni cinquanta, quando Cagnacci lavora appunto a Venezia, il riconoscimento al suo interno della mano di van der Kerkhoven, appoggiato a una Natura morta con cacciagione firmata e datata 1661 passata anni fa sul mercato internazionale (Christie's, Londra, 25 ottobre 1985, n. 35: ripr. in E. Safarik, La natura morta nel Veneto, in La natura morta in Italia, a cura di F. Zeri, I, Milano 1989, I, fig. 422), consente altresì di anticipare di qualche tempo la data dell'arivo a Venezia del pittore anversano rispetto al 1663, in cui vi é sicuramente documentato.
Il confronto con quel dipinto risulta altresì stringente al fine di convalidare anche l'attribuzione del pendant in esame, giacchè assai simile vi appare la definizione ispida del pelame della testa del cinghiale (una costante desunta d -
Lotto 44 Cerchia di Monsù Bernardo, sec. XVIII
SUONATORE DI ZAMPOGNA
olio su tela, cm 96x134
Dal dipinto di Monsù Bernardo, Seattle Art Museum, Seattle
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Lotto 45 Pittore napoletano nella cerchia di Giuseppe Bonito, sec. XVIII
SCENA DI CONCERTO CON GENTILUOMINI E GENTILDONNE
olio su tela, cm 50x76
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Lotto 46 Pittore veneto, sec. XVIII
PAESAGGIO CAMPESTRE CON FIGURE
olio su tela, cm 54x71,5
Corredato da parere scritto di Rodolfo Pallucchini, Venezia, 19 maggio 1975, che riferisce il dipinto a Giuseppe Zais
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Lotto 47 Scuola veneta, sec. XVIII
PAESAGGIO FLUVIALE CON PESCATORI E VIANDANTI
olio su tela, cm 61,5x79
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Lotto 48 Scuola toscana, secc. XVII-XVIII
ZUCCHE, GRAPPOLI D'UVA, PESCHE, ALTRI FRUTTI E FIORI
olio su tela, cm 92x83 senza cornice
al recto numero dipinto "86"
ridotto ai margini