Dipinti Antichi
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Lotto 1 Pittore fiorentino, sec. XVI
RITRATTO DI GENTILUOMO IN ARMATURA
olio su tavola, cm 44,5x35,5 cornice intagliata e dorata
Il dipinto mostra talune affinità con opere di Michele Tosini (Firenze 1503-1577). Come riferito dagli attuali proprietari è robabile che il ritratto raffiguri un membro della famiglia Carafa. -
Lotto 2 Pittore senese, fine sec. XVI-inizi XVII
SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNINO (MADONNA DEL SILENZIO)
olio su tela, cm 71,5x58
Il dipinto presenta elementi stilistici che riconducono all'ambiente di Francesco Vanni (Siena 1563-1610)
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Lotto 3 Attribuito a Pietro da Talada (Maestro di Borsigliana)
(attivo nella seconda metà del XV secolo tra Garfagnana e Versilia)
SAN MARCO
scomparto di polittico a tempera su tavola fondo oro, cm 104,5x38 senza cornice
sul retro iscrizione non antica relativa a una precedente attribuzione: "Matteo da Gualdo / Gualdo Tadino"
Provenienza:
collezione Carlo de Carlo, Firenze;
collezione privata, Firenze
Si deve ad un parere orale di Andrea De Marchi l’attribuzione dubitativa a Pietro da Talada, pittore nato a Talada, piccolo borgo emiliano, e attivo nella seconda metà del XV secolo in Garfagnana.
L'artista iniziò ad essere noto a partire dagli anni '60 del sec. XX, quando Giuseppe Ardighi lo identificò come autore del trittico della chiesa di Santa Maria di Borsigliana (da cui il nome di Maestro di Borsigliana con cui il pittore viene altrimenti indicato) raffigurante la Madonna col Bambino tra i Santi Prospero e Nicola, opera sino ad allora attribuita a Gentile da Fabriano o ad un pittore di scuola lombarda-valenzana.
De Marchi nel restituire il presente dipinto a Pietro da Talada indica tuttavia come non costituisca un'opera tipica dell'artista e possa quindi considerarsi un lavoro giovanile, al tempo della sua educazione a Lucca e in rapporto anche con Alvaro Pirez. -
Lotto 4 Maestro delle Effigi Domenicane
(attivo a Firenze tra il 1325 e il 1350 circa)
SANTA LUCIA
tempera su tavola fondo oro centinata, cm 75,5x42,5 con cornice di epoca posteriore intagliata a motivo fogliato sulla cuspide, dorata e laccata, cm 98x50 sulla base a gradino iscrizione: "SANCTA LUCIA" e ai lati due stemmi nobiliari
Provenienza:
collezione Carlo De Carlo, Firenze;
collezione privata, Firenze
Corredato da attestato di libera circolazione
L'opera qui proposta eseguita dal Maestro delle Effigi Domenicane raffigura una Santa Lucia che regge nella mano sinistra la palma del martirio e con la destra l'attributo caratteristico del vasetto con gli occhi. Un manto rosso bordato di ermellino ne copre il capo e svela una veste di colore scuro con un decoro a fascia di colore rosso rifinito in oro. La tavola costituisce evidentemente parte di un polittico che presentava, come di consueto, al centro la raffigurazione della Madonna con Bambino e ai lati quella di altri santi.
L'anonimo artista noto come Maestro delle Effigi Domenicane prende il nome dal dipinto raffigurante Cristo e la Vergine in trono con diciassette santi e beati dell'Ordine domenicano, oggi conservato presso il convento di Santa Maria Novella a Firenze, e viene considerato, grazie agli studi che hanno permesso di comprenderne più a fondo la personalità artistica, una delle figure preminenti della miniatura fiorentina del secondo quarto del XIV secolo, che collaborò stabilmente con Pacino di Bonaguida.
In primo luogo identificato da Osvald Sirén nel 1926, che lo appellò Maestro del Polittico di Lord Lee in base a un'opera proveniente in origine dalla chiesa di San Paolino a Firenze, oggi nelle Gallerie del Courtauld Institute a Londra, il Maestro delle Effigi Domenicane fu indicato con il nome attuale pochi anni dopo da Richard Offner, che lo distinse dagli altri protagonisti della "miniaturist tendency" fiorentina, come il Maestro del Biadaiolo, il Maestro del Polittico della Cappella Medici e Jacopo del Casentino.
La successiva proposta di Bernard Berenson di riunire sotto il nome del Maestro di Terenzano i corpora già riconosciuti da Offner al Maestro delle Effigi Domenicane e al Maestro del polittico della Cappella Medici ha avuto un seguito assai scarso, mentre ha trovato maggiore accoglienza l'ipotesi di Miklòs Boskovits di identificare le opere assegnate in precedenza dallo stesso Offner al Maestro del Biadaiolo con la fase giovanile del nostro pittore, parere condiviso più di recente da Laurence Kanter.
La presente tavola si può ricondurre al Maestro delle Effigi Domenicane sulla base di alcuni confronti stilistici con le opere appartenenti al corpus del pittore. Stringenti affinità si possono rintracciare con il dossale raffigurante la Madonna con Bambino e santi della Galleria dell'Accademia di Firenze (un tempo dipinto su due lati oggi separati), in particolare con la figura della Vergine che presenta la medesima inclinazione e impostazione dell'ovale del volto della nostra Santa Lucia, costruito mediante una lunga canna nasale e due ampie arcate sopracciliari. Gli occhi dalla forma allungata, quasi "a fessura" segnati nella parte sottostante e nelle palpebre da ombre profonde, così come il modo di dipingere le mani con le dita allungate e sottili costituiscono caratteristiche ricorrenti del Maestro. Nella nostra opera l'adesione alle formule daddesche propria dell'attività del Maestro nei primi anni Trenta, lascia il posto ad un più robusto plasticismo ispirato agli esempi licenziati in quegli anni da Taddeo Gaddi, parafrasati in termini più accostanti, in parallelo con le proposte formulate da Jacopo del Casentino. E' possibile inoltre confrontare il nostro dipinto con il polittico, oggi smembrato, di cui fanno parte la Madonna del Latte di collezione privata fiorentina, la Santa -
Lotto 5 Scuola bolognese, sec. XVII
RITRATTO VIRILE
olio su tela, cm 39x29 entro cornice antica intagliata e dorata
sul retro della cornice vecchia etichetta e iscrizione "Velasquez" e numeri d'inventario sul telaio e sulla tela
La nostra testa di vecchio si apparenta al mondo di Guido Reni e Simone Cantarini ed è probabilmente opera di un artista bolognese del primo quarto del Seicento. Il colletto bianco e l'abito nero fanno pensare ad un notaio o ad un uomo di legge, ritratto di tre quarti, sul modello e non distante dal celebre Autoritratto di Guido Reni conservato agli Uffizi, col quale condivide anche il medesimo formato.
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Lotto 6 Scuola olandese, fine sec. XVI-inizi XVII
RITRATTO DI UOMO CON LIBRO ROSSO
olio su tavola, cm 44,5x33,5
sul retro reca sigle "N.A."
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Lotto 7 Scuola lombarda, inizi sec. XVII
RITRATTO DI GIOVANETTA
olio su tavola, cm 33x25
sul retro bollo in ceralacca
Il ritratto presenta talune affinità stilistiche con le opere di Sofonisba Anguissola (Cremona 1532-Palermo 1625). -
Lotto 8 Scuola olandese, inizi sec. XVII
RITRATTO DI GENTILDONNA CON ABITO BIANCO
olio su tavola parchettata, cm 41x32
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Lotto 8a Ambito di Frans de Vriendt, fine sec. XVI
GIOVANE DORMIENTE
olio su tavola, cm 46x32
sul retro numero d'inventario e lettera "G" a bistro -
Lotto 8b Pittore fiorentino, fine sec. XVI-inizi XVII
MADDALENA
olio su rame ottagonale, cm 22x17
sul retro iscritto a bistro "Ottavio Vanini" -
Lotto 9 Attribuito al Maestro di Montefloscoli
(Firenze, prima metà del XV secolo)
MADONNA CON BAMBINO TRA SANT'ANTONIO ABATE, SAN GIOVANNI BATTISTA, SANTA CATERINA D'ALESSANDRIA E SANTO VESCOVO
tempera su tavola fondo oro cuspidata, cm 67x36 con cornice di epoca posteriore dorata, laccata e intagliata a motivo di foglie sulla cuspide, ai lati due colonnine tortili e basamento a gradino, cm 84x42,5
Provenienza:
asta Fisher 16-17 giugno 1972 lotto 19, Lucerna (come Bernardo Daddi);
collezione privata;
collezione privata, Parma
Referenze fotografiche: Fototeca Zeri, Bologna, busta 0136 Pittura italiana sec. XV. Firenze. Rossello di Jacopo Franchi, Maestro di Montefloscoli, fasc. 4 Maestro di Montefloscoli, scheda n. 10600, invv. 33277; 33278
Il fondo oro qui proposto raffigurante la Madonna con Bambino e santi risulta documentato presso la Fototeca della Fondazione Zeri di Bologna come opera del Maestro di Montefloscoli e come si può dedurre dalle dimensioni doveva avere in origine la funzione di piccola anconetta per la devozione privata.
Questo anonimo maestro fu per lo più attivo per località periferiche, dal Mugello alla Val di Pesa fino alla Lunigiana, offrendo una interpretazione provinciale dei modelli più colti della pittura tardogotica fiorentina. Tale fortuna presso una committenza minore determinò quindi il successo della produzione di anconette per la devozione privata che si conservano numerose rispetto alle sporadiche pale d'altare, da cui ha avuto inizio la ricostruzione del corpus del pittore (indicato anche col nome di Maestro di Ristonchi) compiuta da Richard Offner (Offner 1933, p. 174 nota 23) e da Roberto Longhi (Longhi 1940, ed. 1975 pp. 42 e 51 nota 19). Tra le pale d'altare si ricordano il polittico di Ristonchi, ora nel Museo di San Clemente a Pelago, quello di Santa Maria di Montefloscoli a Borgo S. Lorenzo, un Santo papa nella chiesa di Santa Maria a San Donato in poggio a Tavernelle e un trittico nella pieve dei Santi Cornelio e Cipriano a Codiponte (in Lunigiana).
Apparsa sul mercato antiquario nel 1972 in occasione di una vendita all'asta tenutasi a Lucerna, la nostra tavola veniva presentata con un riferimento a Bernardo Daddi formulato da Alfred Stange.
Dalla documentazione fotografica conservata presso la Fototeca Zeri è possibile risalire ad una fotografia antecedente la vendita all'asta (inv. 33277), sulla quale Zeri aveva annotato un riferimento dubitativo al Maestro di Ristonchi. Nonostante alcune ridipinture evidenziate dallo studioso, le figure della nostra tavola si presentavano in questo scatto fotografico più vicine alle fisionomie filiformi e poco strutturate tipiche del Maestro, rispetto all'aspetto assunto nel momento in cui fu presentato all'asta. Presso la Fototeca Zeri è conservata anche la fotografia (inv. 33278, recante indicazioni di Zeri al Mestro di Ristonchi del 14 luglio 1972) che documenta questo stadio successivo e che ci permette di comprendere come un altro intervento avesse rinforzato il plasticismo dei corpi, strutturato le forme e ingentilito le fisionomie.
E' possibile cogliere taluni riscontri compositivi e nell'impostazione delle figure con la tavola raffigurante Madonna con Bambino, san Giacomo Maggiore, sant'Antonio Abate e sante del Musèe des Beaux-Arts di Digione e con quella conservata presso il santuario della Madonna delle Grazie al Sasso, Santa Brigida (Firenze), in particolare per la figura del San Giovanni Battista per cui si colgono ulteriori affinità con il polittico del Museo Beato Angelico di Vicchio, proveniente dalla chiesa di Santa Maria a Montefloscoli.
Bibliografia di confronto: R. Offner, The Mostra del tesoro di Firenze Sacra. II, in "The -
Lotto 10 Maestro romanico del Palazzo Chigi di San Quirico d'Orcia, metà del sec. XII
STORIE DI ABRAMO
bassorilievo in marmo, cm 91x155x18
Opera notificata con decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Firenze, 5 luglio 1999
Provenienza:
Collegiata dei Ss. Quirico e Giulitta, San Quirico d'Orcia (Siena);
Palazzo Chigi Zondadari, San Quirico d'Orcia (Siena);
mercato antiquario;
collezione privata, Firenze
Bibliografia:
W. Biehl, Toskanische Plastik des fruhen und hohem Mittelalters, in "Italienische Forschungen", herausgegeben von Kunsthistorische Institut in Florenz, neue folge, zweiter band, Lipsia, Seeman, 1926, pp. 27-28 nn. 27, 138 n. 21a (tav. 21, fig.a); M. Salmi, Romanesque Sculpture in Tuscany, Firenze 1928, pp. 26, 49 n. 11, 138 n.11, 151, fig. 34, tav. XII; Pulpiti medievali toscani. Storia e restauri di micro-architetture, atti della Giornata di Studio, Accademia delle arti del Disegno, Firenze 21 giugno 1996, a cura di Daniela Lambertini, Firenze 1999, pp. 185-186; Il Palazzo Chigi Zondadari a San Quirico d'Orcia, architettura e decorazione di un palazzo barocco, a cura di Margherita Eichberg e Felicita Rotundo, San Quirico d'Orcia 2009, pp. 68-69, ill. p. 69; R. Calamini, Reperti romanici dall'abbazia di S. Maria a Montefollonico, in "Torrita. Storia, arte e cultura", V, 2014, pp. 7-19, in part. 16.
Referenze fotografiche: Fototeca Zeri, Bologna, busta 004 Scultura italiana. Romanico. Toscana, Marche, Umbria, fasc. 3 Scultura romanica: Toscana 3, scheda n. 78669, inv. 141161
L'opera qui presentata raffigurante le Storie di Abramo costituisce uno dei più importanti monumenti della scultura romanica in terra senese. Il bassorilievo, proveniente dalla pieve di San Quirico d'Orcia (oggi Collegiata), era ancora collocato nel 1928, anno della pubblicazione dell'opera da parte di Mario Salmi, nell'androne del seicentesco Palazzo Chigi Zondadari.
La lastra, che costituiva probabilmente uno dei pannelli figurati dell'antico pulpito della pieve, è delimitata da una caratteristica fascia a girali con palmette e una protome bovina collocata al centro in basso che inquadra i personaggi di due scene vetero-testamentarie: a sinistra Abramo tra Sara con il figlio Isacco e Agar con il figlio Ismaele; a destra il Sacrificio d'Isacco con l'angelo che ferma Abramo che sta per immolare il figlio.
Sia Walter Biehl (1926) che Mario Salmi classificarono l'opera, soprattutto sulla base della tipologia stilistica del fregio della cornice, nell'ambito della corrente romanica toscana che risente dell'influsso dei maestri lombardi attivi a Pavia, Parma e Modena. Salmi ipotizzò pertanto che gli autori delle sculture di questo gruppo possano essere stati artisti provenienti da oltre Appennino e mise in relazione lo stile e l'esecuzione tecnica delle figure con quelle del bassorilievo sull'architrave della porta laterale della Pieve di S. Vito a Corsignano, Pienza, raffigurante l'Adorazione dei Magi e la Natività , databile poco dopo la metà del sec. XII.
In occasione dell'abbattimento dell'antica abside semicircolare della pieve di San Quirico avvenuta nel 1653 per costruire l'attuale spazio rettangolare è probabile che furono asportati i resti dell'antico arredo e quindi anche i reperti antichi come il nostro bassorilievo cambiarono collocazione.
Nelle memorie della Collegiata di San Quirico è stata rintracciata menzione del nostro rilievo, infatti nel novembre del 1799 l'arcidiacono Bonaventura Nispi riunito il Capitolo "propose che S.E. Sig. Marchese Chigi desiderarebbe la pietra esprimente il Sacrificio di Abramo esistente nel cimitero presso la porta delle donne" e considerata la " -
Lotto 11 Attribuito ad Antonio Susini
(Firenze, attivo dal 1580-1624)
CRISTO RISORTO
scultura in bronzo, alt. cm 41 su base moderna in marmo nero venato, alt. cm 20
Opera notificata con decreto della Regione autonoma della Valle d'Aosta, 9 ottobre 2000
L'opera qui presentata veniva attribuita ad Antonio Susini nella relazione storico-artistica del decreto di notifica redatto dal dott. Mario Scalini che per la rappresentazione a tutto tondo ipotizzava la sua destinazione quale coronamento di ciborio. "Il modello, a monte, per la struttura fisica del Cristo, viene ricondotto al Portacroce della “Minerva” del Michelangelo mentre per il bilanciamento della figura è fortemente debitore del Mercurio di Giambologna”. -
Lotto 12 Bottega di Gian Lorenzo Bernini, sec. XVII
CRISTO CROCIFISSO
scultura in bronzo dorato, alt. cm 50
Questo Cristo crocifisso in bronzo dorato, che originariamente doveva essere dotato di una Croce della quale oggi è privo, è immediatamente accostabile alla serie dei Crocifissi commissionati a Gian Lorenzo Bernini per dotare gli altari della nuova basilica di San Pietro. Fu Romano Battaglia, nel 1942, a pubblicare i documenti che permettevano di riferire al grande artista l’invenzione dei modelli destinati poi ad essere fusi in bronzo: un pagamento allo specialista Paolo Carnieri, incaricato di fondere i Crocifissi, specificava che questi erano stati fatti per servizio della Reverenda Fabbrica conforme al modello del sig. Cavaliere Bernini architetto (R. Battaglia, Crocifissi del Bernini in S. Pietro in Vaticano, Roma 1942, pp. 7 e 24).
I modelli stessi, peraltro, erano stati eseguiti da Ercole Ferrata, il quale, nel giugno del 1658 riceveva venti scudi per il modello del Crocifisso “che serve per l’altari”; nel maggio dell’anno successivo lo stesso Ferrata era pagato 15 scudi “per avere fatto un altro modello d’un Crocifisso vivo” (Battaglia, op. cit., pp. 5 e 23). Il modello eseguito nel 1658, quindi, doveva essere relativo ad un “Crocifisso morto”: attualmente, infatti, si conservano ancora in San Pietro ventitré Crocifissi, diciotto secondo il modello ‘vivo’ e cinque secondo quello ‘morto’ o ‘spirante’. In origine, dai documenti, apprendiamo che i Crocifissi erano venticinque: uno è erduto, un altro è nei depositi della basilica (C. Savettieri, scheda in, La Basilica di San Pietro in Vaticani (Mirabilia Italiae 10), a cura di A. Pinelli, 4 voll., Modena 2000, II, pp. 806-807). Quelli giunti fino a noi misurano tutti 43 cm., sette in meno rispetto all’esemplare qui in esame.
Bernini si era già confrontato, in precedenza, con il medesimo tema, in una prova più impegnativa, il Crocifisso bronzeo destinato all’Escorial presso Madrid (ancora in situ), databile al 1655-1656, e vi sarebbe tornato, ancora una volta con un formato monumentale, con il Crocifisso sempre bronzeo oggi alla National Gallery of Ontario di Toronto, riferito al 1659 circa (T. Montanari, Bernini per Bernini: il secondo “Crocifisso” monumentale; con una digressione su Domenico Guidi, in “Prospettiva”, 136, 2009, pp. 2-25). Infine, questa volta di nuovo per un piccolo pezzo di un arredo sacro destinato sempre alla basilica di San Pietro, Bernini avrebbe nel 1678 affidato ad un altro specialista, Girolamo Lucenti, la fusione del Crocifisso bronzeo per il ciborio della Cappella del Santissimo Sacramento (V. Martinelli, L’ultimo Crocifisso del Bernini, in L’ultimo Bernini 1665-1680: nuovi argomenti, documenti, immagini, a cura di V. Martinelli, Roma 1996, pp. 163-179, in particolare p. 164).
L’esemplare qui presentato si avvicina alla tipologia del ‘Cristo morto’, la medesima che accomuna i cinque piccoli per gli altari di San Pietro ai due grandi capolavori dell’Escorial e di Toronto. Sono molti gli elementi che permettono di accostare questo Crocifisso ai prototipi berniniani: il capo chinato, sulla spalla destra, con i capelli che scendono morbidamente lungo la guancia destra, le mani abbandonate (solo in quello all’Escorial sono ancora tese, spalancate, per il dolore), il perizoma tormentato secondo un modo di panneggiare tipico di Gian Lorenzo. Ci sono, peraltro, anche alcune significative differenze: in nessuna delle invenzioni berniniane il perizoma si allunga, a fianco della gamba destr -
Lotto 13 Domenico di Bartolomeo detto Domenico Puligo
(Firenze 1492-1527)
SACRA FAMIGLIA
olio su tavola, cm 75x60 con cornice argentata a mecca di epoca posteriore con decoro fogliato a pastiglia e intagliata a motivo di ovuli
Provenienza:
collezione privata, Firenze
Corredato da parere scritto di Carlo Falciani, Firenze, 27 luglio 2014
Questa Sacra Famiglia va inserita senza dubbio fra le opere autografe di Domenico Puligo, pittore fiorentino della prim’ora, contemporaneo del Pontormo e del Rosso, e lodato da Giorgio Vasari come il miglior allievo di Ridolfo del Ghirlandaio, sopra tutti gli altri “eccellente nel disegno e più vago e grazioso nel colorito”. Il discepolato presso Ridolfo è subito visibile in alcuni elementi dell’opera quali la composizione arcaica delle figure, ripresa ed elaborata su modelli fiorentini di inizio secolo raffaelleschi, della scuola di San Marco, e sarteschi. Un ricordo dello stile di Ridolfo è poi evidente nel disegno armonico del viso di Maria posto quasi a confronto con quello di Giuseppe, rugoso e segnato in ossequio ai Vangeli apocrifi che lo descrivono vecchio rispetto alla sposa fanciulla.
Fra i pochi studi dedicati al Puligo, rimane strumento essenziale il catalogo della mostra tenutasi a Palazzo Pitti nel 2002 (Domenico Puligo, catalogo della mostra a cura di Elena Capretti e Serena Padovani, Livorno 2002), dove è stato riunito per la prima volta il corpus dei dipinti attribuiti all’artista. Fra le opere pubblicate non appare infatti nessuna composizione identica a quella del dipinto in esame, a dimostrazione di come, anche in questo caso, Domenico Puligo offra una variazione su un tema trattato più volte durante la sua breve carriera terminata con la peste del 1527.
A confronto con questa tavola potranno essere ricordati dipinti come la Sacra Famiglia della Galleria Palatina (inv. 1912 n. 486, in Domenico Puligo, catalogo della mostra, cit., p. 46, n. 23), dove la figura del san Giuseppe sembra aggiunta in un secondo momento a completare una composizione già articolata secondo stilemi usati varie volte anche da Ridolfo. La fisionomia quieta di Maria espressa attraverso lineamenti armonici che sono, come già detto un’eco del disegno composto del maestro, andrà accostata invece a dipinti quali il Ritratto femminile, della Galleria Nazionale del Canada a Ottawa (inv. 567, in Domenico Puligo, catalogo della mostra, catalogo della mostra, cit., p. 48 n. 41); oppure alla Sacra Famiglia in collezione privata (in Domenico Puligo, catalogo della mostra, cit., p. 61, n. 70) dove il volto della Madonna è quasi sovrapponibile a quello dipinto dal Puligo in questa tavola. Rispetto a quell’opera appare invece variata la figura del Bambino, parimenti seduto, che qui tiene le mani in grembo, mentre nel dipinto a confronto indica con la mano destra il seno della madre e si volge verso il padre ad istituire un muto colloquio. In entrambe le composizioni il san Giuseppe sembra quasi inserito in un secondo momento a riempire uno spazio rimasto vuoto, è in basso a sinistra, qui dietro alla Madonna nell’angolo destro, ma sempre avvolto in un’ombra soffusa che rende morbida e avvolgente l’atmosfera dell’opera. Tale carattere è ancora tipico dell’opera di Domenico Puligo, che ha sempre prediletto una pittura fatta di velature capaci di sfumare i contorni in un’atmosfera ombrosa di radice leonardesca. La sua pittura è infatti riconoscibile dal modo in cui il colore viene steso con velature sovrapposte a costruire una superficie di grande fragilità e sovente abrase se il dipinto ha subito drastiche puliture. I toni ombrosi si ispessiscono soprattutto nei panneggi ma r -
Lotto 14 Scuola francese, sec. XVIII
RITRATTO DI GENTILUOMO
olio su tela, cm 86x69
sul retro due bolli in ceralacca
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Lotto 15 Seguace di Paolo Veronese, sec. XVII
RITRATTO DI GENTILDONNA IN ABITO DI VELLUTO VERDE
olio su tela, cm 85x69,5
sul retro della tela di rintelo iscrizione "PAUL VERONESE FROM THE MARQUIS GERINI 1841" e bollo in ceralacca
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Lotto 16 Scuola emiliana, fine sec. XVI
SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNINO E ANGELO
olio su tela, cm 111x95
reca iscrizione " PT F. 1570"
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Lotto 17 Scuola romagnola, fine sec. XVI
MATRIMONIO MISTICO DI SANTA CATERINA CON SAN GIOVANNINO
olio su tavola parchettata, cm 76,5x62
reca iscrizione in basso a sinistra apposta successivamente: "INNOCENTIVUS FRANCALIVS IMOLENSIS"
La tavola riprende il medesimo soggetto e composizione di opere riferite un tempo dalla critica a Innocenzo Francucci detto Innocenzo da Imola (Imola 1494 circa-Bologna 1550) e successivamente ricondotte indirettamente alla cultura di Francesco Francia e della sua scuola, conservate in importanti collezioni pubbliche e private tra le quali si ricorda quella della Pinacoteca di Siena, dubitativamente riferita ad Innocenzo da Imola e una versione di collezione privata più recentemente riferita nell'archivio della Fototeca Zeri di Bologna al Maestro della Madonna Parrish (riprodotte in E. Negro, N. Roio, Francesco Francia e la sua scuola, Modena 1998, cat.n. 252-253).
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Lotto 18 Maestro di Serumido
(attivo a Firenze nella prima metà del secolo XVI)
MADONNA COL BAMBINO E SAN GIOVANNINO
olio su tavola, cm 76,5x58 cornice antica, intagliata, incisa a bulino a motivo fogliato e dorata
Provenienza:
collezione privata, Firenze
Corredato da parere scritto di Carlo Falciani
Lo stile fortemente caratterizzato di questa Madonna col Bambino e san Giovannino subito conduce a cercarne la paternità fra quei pittori riuniti da Federico Zeri all'interno della definizione critica di eccentrici fiorentini. In due memorabili articoli del 1962 (Bollettino d'Arte, 47,1962, pp. 216-236, 314-326), egli definiva infatti i caratteri di alcuni artisti che lavorarono a Firenze nei primi venti anni del Cinquecento, vicini, per l'evidente forzatura dell'armonia cara al Raffaello fiorentino ai maestri di prima grandezza - come il Rosso, il Franciabigio, il Pontormo e lo stesso Andrea del Sarto -, che furono protagonisti della vasariana "maniera moderna", al tempo di Zeri ancora declinata come Manierismo.
L'opera di quegli artisti si svolgeva dalla prim'ora in parallelo anche all'astro di Alonso Berruguete precocemente eccentrico nella Firenze dove ancora lavoravano Francesco Granacci e Piero di Cosimo. Quegli artisti erano il cosiddetto Maestro dei Paesaggi Kress, poi identificato con Giovanni Larciani, Antonio di Donnino del Mazziere, il Maestro Allegro, e quello degli Angiolini, ed infine il Maestro di Serumido, ancora oggi ignoto artista capace di forzature dello stile in parallelo agli esiti di alcuni spagnoli come il già ricordato Berruguete, ma non del tutto immemore delle invenzioni di Filippino e di Ridolfo del Ghirlandaio.
Proprio a tale maestro fiorentino, il cui nome ancora oggi ci sfugge, sarà da riferire questa tavola con la Madonna col Bambino e san Giovannino, le cui assonanze con le opere prime di quel pittore sono evidenti. Se Federico Zeri ricostruiva il corpus dell’artista partendo dalla pala d’altare con la Madonna in trono e santi della chiesa di Serumido (già di San Pier Gattolini) si deve a Serena Padovani (I ritratti Doni: Raffaello e il suo 'eccentrico' amico, il Maestro di Serumido, "Paragone", 56, 2005, 61, pp. 3-26) una precisa e complessa ricostruzione dell’artista e un primo tentativo di datazione delle sue opere a partire dall’attribuzione a lui delle scene a monocromo dipinte sul verso dei ritratti di Agnolo e Maddalena Doni di Raffaello. Già la fisionomia del Bambino appare quasi identica a quella usata nella pala della chiesa di Serumido. La fronte alta e bombata, il caratteristico taglio degli occhi a mandorla o le lumeggiature dei particolari anatomici caratterizzano in modo identico anche il Gesù della pala usata da Zeri per conferire un nome al pittore. Anche la posizione del Bambino in piedi sul grembo di Maria è la medesima e viene ripetuta nella pala d’altare di San Giusto ad Ema a bagno a Ripoli, dove il pittore sembra ancora più forzare i caratteri eccentrici del suo stile. Ulteriori confronti potranno essere svolti fra il curioso profilo sgusciato del san Giovannino con quello del san Sebastiano nell'Annunciazione della chiesa fiorentina di San Giuseppe, mentre il volto di Maria, seppur qui perfettamente ovale e armonico - quasi una reminescenza raffaellesca -, andrà paragonato con quello degli angeli dalla fronte ampia e tornita nelle due pale già citate della chiesa di Serumido e di San Giusto ad Ema, ma ormai deformate secondo stilemi caria anche a Berruguete.
La composizione di questo dipinto sembra invece ancora appartenere ad un momento più saldo e armonico, forse precedente, dello stile del Maestro di Serumido. Come ha indicato Serena Padovani, nei primi -
Lotto 19 Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino
(Arpino 1568 – Roma 1640)
SACRA FAMIGLIA ADORATA DA SAN FRANCESCO, CON UN ANGELO
olio su rame, cm 45x36,5
Provenienza:
Sestieri, Roma;
Carla Guglielmi Faldi, Roma;
collezione privata, Roma
Bibliografia:
H. Roettgen, Il Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino. Un grande pittore nello splendore della fama e nell’incostanza della fortuna, Roma 2002, p. 379, cat. 137, ill.; M.S. Bolzoni, Il Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino. Maestro del disegno. Catalogo ragionato dell’opera grafica, Roma 2013, p. 343, n. 222; H. Roettgen, Cavalier Giuseppe Cesari d'Arpino. Die Zeichnungen. I disegni. III Reife und Alter. Maturita' e anzianita' 1605-1640, Stoccarda 2013, p 16/17 n. 427 (per il disegno agli Uffizi, 1606 circa, preparatorio per il dipinto già in collezione Faldi, riprodotto a p. 17, o per altro simile.
Raro dipinto “en grisaille” su rame, eccezionale anche per l’ottima conservazione, l’opera è stata pubblicata da Herwarth Roettgen con una datazione intorno al 1606 proposta in base a confronti stilistici. Lo stesso studioso ne sottolinea la relazione con un foglio a matita rossa conservato al Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi, quasi identico nella composizione anche se non preparatorio in senso stretto. La medesima relazione è stata confermata da Bolzoni nel suo recente catalogo dell’opera grafica del Cavalier d’Arpino. -
Lotto 20 Pittore veneto, sec. XVII
SCENA ALLEGORICA DAL CANTICO DEI CANTICI
olio su tela, cm 85x101
al recto in alto a sinistra iscritto: "VENI IN HORTVM MEVM SOROR MEA SPONSA" e in alto a destra iscritto: "VENIAT DILECTVS MEVS IN HORTVUM SVVM"
Provenienza:
collezione privata, Firenze
L'interessante dipinto qui proposto illustra un soggetto piuttosto inusuale tratto dal testo sacro del Cantico dei Cantici, libro dell'Antico Testamento che contiene una serie di soliloqui e dialoghi poetici della Sposa e dello Sposo per cui sono state offerte varie interpretazioni allegoriche come l'esaltazione dell'amore tra Yahweh e Israele o tra Cristo e la Chiesa o tra Cristo e l'Anima.
Sulle due arcate a destra e a sinistra del dipinto sono riportate le seguenti iscrizioni: "Veniat dilectus meus in hortum suum" e "Veni in hortum meum soror mea sponsa" tratte dal Capitolo V, 1-3 del Cantico. La nostra tela costituisce pertanto una sorta di trasposizione in pittura di questi passi, vediamo infatti sulla destra del dipinto che la Sposa conduce lo Sposo, ovvero Cristo, nel suo giardino per mostrargli i frutti. All'interno del giardino, che viene rappresentato dal pittore come una sorta di hortus conclusus, si ritrova il simbolo del peccato espresso attraverso la rappresentazione della Cacciata dei Progenitori; al centro, a indicare il piacere carnale, due satiri che bevono il vino; e infine il trionfo della morte rappresentata come uno scheletro incoronato che si erge sul corpo esangue di una giovane fanciulla distesa sul prato.
A questo percorso negativo si contrappone il giardino dello Sposo, rigoglioso di fiori, in cui viene indicata alla Sposa la giusta via da seguire ovvero quella tracciata da Cristo che attraverso il suo sacrificio, simboleggiato dalla Croce, dal calice e dai chiodi, ha così liberato il suo popolo dalla morte e dal peccato.
Il dipinto per le sue caratteristiche stilistiche può essere ricondotto all'area veneta ed in particolare, su indicazione di Enrico Lucchese, può essere avvicinato al pittore di origine lucchese Pietro Ricchi (1606-1675). L'opera presenta infatti talune affinità con alcune opere di Ricchi, che a partire dal 1650 fu attivo a Venezia dove eseguì alcune composizioni ispirate alle opere del Veronese e risentà dell'influsso di altri artisti tra cui Tintoretto, Francesco Maffei, Pietro Liberi e Sebastiano Mazzoni. E' possibile effettuare confronti stilistici principalmente con le opere da cavalletto che presentano figure di piccole dimensioni come ad esempio col Mosè salvato dalle acque di collezione Sgarbi o con l'Adorazione dei Magi di collezione privata, Mantova, in cui si rintraccia un simile uso di bagliori cromatici che emergono da toni più scuri e una simile capacità di costruire le sagome delle figure. Da sottolineare inoltre come nel nostro dipinto sia possibile ravvisare una particolare attenzione del pittore per i dettagli naturalistici, che si riconoscono nella cura nel dipingere il prato fiorito o i dettagli delle preziose vesti della Sposa. -
Lotto 21 Scuola fiamminga, sec. XVII
PAESAGGIO CON EPISODIO DI STORIA ANTICA
olio su tavola, cm 37x54
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Lotto 22 Scuola genovese, fine sec. XVII
ELIA NUTRITO DALL'ANGELO IN UN PAESAGGIO
olio su rame, cm 77x116,5
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Lotto 23 Pittore fiorentino, inizi sec. XVIII
SALOME' PRESENTA AD ERODE LA TESTA DEL BATTISTA
olio su tela, cm 165x140
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Lotto 24 Ambito di Antonio Zanchi, fine sec. XVII-inizi XVIII
SUSANNA AL BAGNO
olio su tela, cm 73,5x96
Provenienza: collezione privata
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Lotto 25 Seguace di Giovan Battista Salvi detto Il Sassoferrato, sec. XVII
SACRA FAMIGLIA
olio su tela, cm 102x92
Riprende dal dipinto di Sassoferrato della Galleria Doria Pamphilj di Roma
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Lotto 26 Attribuito a Simone Pignoni
(Firenze 1611-1698)
ALLEGORIA DELLA FORTEZZA
olio su tela, cm 100x75
La presente tela, proveniente da una collezione privata fiorentina, è stata in questa sede proposta con un riferimento attributivo a Simone Pignoni a ragione delle forti analogie stilistiche e compositive con talune opere del pittore. La rappresentazione di questa Allegoria della Fortezza, connotata da un elmo retto nella mano sinistra, non trova riscontri in termini di soggetto all'interno del corpus del pittore ma può essere accostata per una simile impostazione della figura femminile alla Menade (o Venere) e satiro della collezione Jean-Luc Baroni di Londra (cfr. F. Baldassari, Simone Pignoni (Firenze 1611-1698), Torino 2008, p. 162, n. 106, ill.). A differenza del dipinto londinese in cui viene rappresentata la figura di un satiro, nella nostra tela l'unica protagonista è una giovane donna florida e sensuale, appena velata da un panneggio di colore blu, con lunghe ciocche di capelli come mosse dal vento, che può essere accostata per analogie fisionomiche con le figure di alcune Maddalene, presenti in collezioni pubbliche e private (Baldassari 2008, nn. 95-97) e con altre figure femminili come ad esempio la Lucrezia, già asta Christie's New York 1987, n. 65 (Baldassari 2008, p. 93 n. 16) che presenta una simile impostazione del volto e del busto. -
Lotto 27 Giovan Francesco Guerrieri
(Fossombrone 1589 - Pesaro 1657)
MADONNA CON BAMBINO TRA SAN GIUSEPPE E SANT'ANNA
olio su tela, cm 175x245
Provenienza:
da un nobile palazzo di Reggio Emilia
Tradizionalmente attribuito ad Antiveduto Grammatica nella raccolta privata di origine, questo inedito dipinto appare piuttosto riconducibile al catalogo di Giovan Francesco Guerrieri. Si tratta, piu esattamente, di una replica variata della composizione del tutto simile nei suoi protagonisti restituita al pittore di Fossombrone su suggerimento di Filippo Todini (come da nota manoscritta sulla fotografia conservata all Istituto Germanico di Firenze) ed esposta come di sua mano in una recente rassegna marchigiana (Meraviglie del Barocco nelle Marche 1. San Severino e l alto maceratese. A cura di V. Sgarbi e S. Papetti, Sanseverino 2010, p. 190, n. 29).
In quella occasione se ne ricostruiva la provenienza dal convento dei Disciplinati di Serra San Quirico e se ne proponeva una datazione intorno al 1614/15, individuando correttamente la sua relazione stilistica con la tela raffigurante San Sebastiano curato da Santa Irene ora a Milano, Museo dell Arcivescovado, anch'essa un tempo nella medesima cittadina marchigiana.
Il dipinto citato, poi in asta da Dorotheum nell'aprile 2013, diverge da quello qui presentato nella gamma cromatica piu variegata (ma una opportuna pulitura del nostro potrebbe riservare sorprese) e soprattutto per la presenza di una cesta di panni in primo piano, sostituita nella nostra tela dal gatto acciambellato nel sonno.
Vari motivi suggeriscono tuttavia di distanziare cronologicamente il nostro dipinto dalla versione già nota, più esplicitamente caravaggesca nelle ombre insistite e, per l'appunto, nella cesta in primo piano, evidente citazione romana. La stesura pittorica della nostra tela, sensibilmente piu morbida e attenta agli impasti dei pittori bolognesi, in particolare Guercino, suggerisce di ritardarne l'esecuzione almeno fino al terzo decennio del Seicento, quando Guerrieri era da tempo tornato nelle Marche. -
Lotto 28 Felice Ficherelli detto il Riposo
(San Gimignano1603-Firenze 1660)
GIUDITTA E OLOFERNE
olio su tela, cm 133x152
Provenienza:
collezione del marchese Gian Francesco Giaquili Ferrini, Firenze;
mercato antiquario, Firenze;
collezione privata, Firenze
Esposizioni:
M. Gregori, in Mostra dei tesori segreti delle case fiorentine. Catalogo della mostra, Firenze 1960, p. 43, scheda n.92, tav. 71
Bibliografia: M. Gregori, Mostra dei tesori segreti delle case fiorentine, catalogo della mostra, Firenze, 1960, p. 43, n. 92; M. Gregori, 70 pitture e sculture del ‘600 e ‘700 fiorentino, catalogo della mostra, Firenze, 1965, p. 19; J. Nissman, Florentine Baroque Art from American Collections, catalogo della mostra con prefazione di H. Hibbard, New York, 1969, p. 45 al n. 40; G. Cantelli, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento, Fiesole, 1983, n. 329; M. Winne, Later Italian Paintings in the National Gallery of Ireland, Dublino, 1986, p. 34; M. Gregori, Felice Ficherelli, voce in Il Seicento fiorentino. Arte a Firenze da Ferdinando I a Cosimo III, catalogo della mostra ideata da P. Bigongiari e M. Gregori, 3 voll., Firenze, 1986, III, p. 88; G. Leoncini, voce Ficherelli, Felice, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, 1997, XLVII, pp. 373; S. Bellesi, Collezione Gianfranco Luzzetti : primo nucleo del lascito di opere destinate al Museo Archeologico e d'Arte della Maremma, Grosseto, catalogo della mostra (Grosseto), Firenze, 1999, p. 62, al n. 14; T. Sacchi Lodispoto, in Il Male. Esercizi di Pittura Crudele, catalogo della mostra, a cura di V. Sgarbi, coordinamento di A. Algranti (Torino), Milano, 2005, p. 331; F. Baldassari, La pittura del Seicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro opere, Torino, 2009, p. 361 e tav. 172; S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del ‘600 e ‘700, 3 voll., Firenze, 2009, I, p. 145; II, p. 284, fig. 616; G. Cantelli, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento. Aggiornamento, 2 voll., Pontedera, 2009, I, p. 99; II, p. 203, n. 142; A. Spiriti, Fiorentini di Vico Morcote.La cappella di San Domenico di Guzmà¡n nella parrocchiale dei santi Fedele e Simone, in “Arte & storia, 11, 2010, 48, p. 179; S. Benassai, Il Seicento fiorentino intorno a Giovanni da San Giovanni, in Quiete invenzione e inquietudine. Il Seicento fiorentino intorno a Giovanni da San Giovanni, catalogo della mostra a cura di S. Benassai e M. Visonà , (San Giovanni Valdarno), Firenze, 2011, p. 40, fig. 23; M. Gregori, Mon incipit, presque un diario, in Florence au Grand Siécle entre peinture et literature, catalogo della mostra a cura di E. Fumagalli e M. Rossi (Ajaccio), Cinisello Balsamo, 2011, p. 13; S. Benassai, Felice Ficherelli, in corso di pubblicazione.
Referenze fotografiche: Fototeca del Kunsthistorisches Institut in Florenz, Mal. Bar. busta Fiandrini-Fidanza (ausser Fiasella), inv. 442896, 546161
Corredato di attestato di libera circolazione
Accompagnato da parere scritto di Silvia Benassai. Il dipinto sarà inserito dalla studiosa nella monografia del pittore di prossima pubblicazione.
La tela, appartenuta alla collezione del marchese Gian Francesco Giaquili Ferrini, fu esposta alla mostra dei Tesori segreti delle case fiorentine nel 1960 e pubblicata nel relativo catalogo da Mina Gregori, alla quale si deve l’attribuzione a Felice Ficherelli di questo notevole dipinto. La stessa studiosa riferà successivamente (1965) l’opera alla fase matura del pittore di San Gimignano, nel momento in cui questi espresse una pi -
Lotto 29 Simone Cantarini detto Il Pesarese
(Pesaro 1612-Verona 1648)
SAN GIOVANNI EVANGELISTA
olio su tela, cm 89,5x76,5
Corredato da parere scritto di Pierluigi Leone de Castris, Napoli 2 maggio 2008
Restituito indipendentemente a Simone Cantarini da Stephen Pepper e Pierluigi Leone de Castris in comunicazioni private al proprietario, l’inedito dipinto qui presentato va confrontato innanzi tutto con la tela, uguale per soggetto e composizione ma variata nel viso del santo, un tempo a Berlino, Staatliche Museen, dalla collezione Solly. Pubblicato come opera relativamente giovanile del Cantarini nella fondamentale monografia sull’artista (M. Mancigotti, Simone Cantarini, Bologna 1975, pp. 148-49, fig. 86) il dipinto citato non è stato tuttavia ripreso in esame in occasione degli studi fioriti in coincidenza con il recente anniversario dell’artista, che ne hanno privilegiato le opere bolognesi e marchigiane. Tra queste, l’Evangelista ritratto a figura intera nella tela ora nella Pinacoteca di Bondeno, riprodotta all’incisione dall’allievo Flaminio Torri e quello, diverso per invenzione e a mezza figura, in raccolta privata confermano la predilezione dell’artista pesarese per questo soggetto, non a caso documentato da antiche citazioni inventariali nelle raccolte bolognesi, tra cui le collezione Varotti (“ S. Giovanni Evangelista, mezza figura come il vero”) e Locatelli (1693; “Un S. Giovanni mezza figura del Pesarese).
Rispetto alle versioni citate probabilmente anteriori alla rottura con Guido Reni che il biografo Malvasia fissa al 1637, il nostro dipinto sembra però doversi posticipare agli anni Quaranta, come suggerisce il chiaroscuro più accentuato che insiste nelle pieghe del panneggio e segna i contorni del viso dell’Evangelista: elementi che il Cantarini trasmette all’allievo Flaminio Torri, presente nella sua bottega appunto negli ultimi anni bolognesi.
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Lotto 30 Alessandro Rosi
(Firenze 1627-1697)
SAN GEROLAMO
olio su tela, cm 88,5x72,9, senza cornice
Provenienza:
collezione privata, Calci (Pisa)
Corredato da parere scritto di Franco Moro, Piacenza, 21 dicembre 2008
Il dipinto qui presentato, riferito al pittore fiorentino Alessandro Rosi, rappresenta un San Gerolamo a mezzo busto rivolto verso destra, come se fosse stato colto di sorpresa dalla chiamata del Signore durante la scrittura.
Il nostro dipinto, come evidenzia l'autore del parere scritto, mostra una chiara attenzione naturalistica suggestionata dalle influenze caravaggesche e un altrettanto chiaro malinconico distacco dalle formule canoniche. Il San Gerolamo presenta non pochi punti di contatto con il dipinto raffigurante San Barnaba della Galleria degli Uffizi di Firenze (depositi) che tra le numerose figure solitarie eseguite dall'artista appare "il più affine dal punto di vista stilistico, per la corrispondente pienezza dei volumi e la qualità degli incarnati". Si evidenzia inoltre, rispetto al nostro dipinto, una simile impostazione a mezzo busto, la presenza del medesimo libro tenuto tra le mani e un'esecuzione della barba morbida e mossa. Altri confronti per la presente tela sono stati proposti con il Cristo morto sorretto dagli angeli, con l'Incredulità di San Tommaso e il Davide con la testa di Golia resi noti dallo studioso (F. Moro, Viaggio nel Seicento Toscano. Dipinti e disegni inediti, Mantova 2006, pp. 222-224). -
Lotto 31 Francesco Curradi
(Firenze 1570-1661)
MARIA MADDALENA
olio su tela, cm 80x60
sul retro timbro a ceralacca
il dipinto è in prima tela
Questa intensa raffigurazione di Maria Maddalena che sorregge nella mano sinistra il vasetto degli unguenti e con la destra indica verso l'alto è certamente riferibile al corpus delle opere di Francesco Curradi. Ricorrono nel nostro dipinto elementi tipici delle figure femminili presenti nelle opere dell'artista come la fisionomia e l'espressione dolce del volto, l'esecuzione accurata della capigliatura e delle ricche vesti.
Curradi, che fu allievo di Giovan Battista Naldini, è da considerarsi uno dei pittori di spicco della pittura fiorentina del Seicento, si distinse per il suo stile pittorico dal disegno accurato caratterizzato da una sigla sobria e da costruzioni composte. -
Lotto 32 Francesco Furini (Firenze 1603-1646) e pittore della bottega di Baldassarre Franceschini detto il Volterrano
LA MADONNA APPARE A SAN FRANCESCO
olio su tela, cm 183x140
Provenienza:
Castello di Monteacuto, Bagno a Ripoli (Firenze);
mercato antiquario;
collezione privata, Firenze
Bibliografia:
G. Cantelli, Francesco Furini e i Furiniani, in Studi d'arte e collezionismo, Pontedera 2010, scheda 107 p. 158, tav. LXXX, fig. 107
L'opera qui proposta raffigurante la Madonna che appare a San Francesco è stata individuata da Giuseppe Cantelli come un dipinto "di bella invenzione e qualità " riferibile a Furini, rimasto incompiuto nel suo studio e terminato dopo la sua morte per far fronte probabilmente al desiderio di possesso di sue opere da parte degli estimatori. Lo studioso restituisce alla mano di Furini la figura del santo vescovo "vestito con uno splendido piviale con una pittura analiticamente perfetta che risale agli esordi dell'artista ripresa dal Franceschini nella tela della Pinacoteca Civica di Volterra". La Madonna in atto di presentare il Bambino a san Francesco è stata invece ricondotta a un pittore della bottega di Baldassarre Franceschini detto il Volterrano in un momento di particolare vicinanza stilistica e cromatica a Pietro da Cortona. Il volto della Vergine riprende infatti i tratti fisionomici di quella eseguita dal Volterrano nello Sposalizio mistico di Santa Caterina d'Alessandria, Cassa di Risparmio e Depositi di Prato. La raffigurazione della Madonna e del Bambino nel nostro dipinto, eseguita con una pennellata veloce e con una materia morbida e soffusa, si distingue dall'accurata conduzione pittorica del Santo Vescovo, come pure del San Francesco, fortemente caratterizzato nei tratti fisionomici, nel quale Cantelli ha individuato tracce dello stile di Furini. -
Lotto 33 Scuola emiliana, sec. XVIII
RITRATTO VIRILE
olio su tela, cm 50x40
tela in origine probabilmente di formato diverso
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Lotto 34 Scuola Italia settentrionale, sec. XVIII
RITRATTO DI GENTILUOMO CON ABITO RICCAMENTE DECORATO
olio su tela, cm 98x73,5
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Lotto 35 Cerchia di Jacob Ferdinand Voet, fine sec. XVII
RITRATTO DI MARIA IPPOLITA OLGIATI BURATTI
RITRATTO DI MARIA ORTENSIA BISCIA DEL DRAGO
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 73x60 ciascuno, con cornici coeve dorate e dipinte, intagliate a motivo di ghirlanda con foglie, bacche e nastri intrecciati
(2)
Provenienza:
collezione privata, Firenze
I due ritratti costituiscono delle varianti da dipinti della serie "belle di Roma" eseguiti da Voet e conservati presso Palazzo Chigi di Ariccia (cfr. F. Petrucci, Ferdinand Voet (1639-1689) detto 'Ferdinando dei Ritratti', Roma 2005, fig. 205 e p. 221, XIV, 169a; fig. 8 e p. 231, XXV, 180a)
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Lotto 36 Francesco Monti detto il Brescianino delle battaglie
(Brescia 1646-Parma 1712)
CAVALIERI E PASTORI CON ARMENTI IN UN PAESAGGIO
SCENA DI BATTAGLIA IN UN PAESAGGIO CON TORRI
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 92,5x146; cm 90x139
(2)
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Lotto 38 Monogrammista F.G.B.
(Lombardia prima metà del XVII secolo)
DISPENSA CON FRUTTI E ORTAGGI
olio su tela, cm 135,5x142,5
Bibliografia: G. Bocchi-U. Bocchi, Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana tra XVII e XVIII secolo, Casalmaggiore (CR) 1998, pp. 50-51, fig. 35
L’anonimo pittore indicato come Monogrammista F.G.B. è riconducibile per tipologie compositive e stilistiche ai Campi, famiglia di pittori cremonesi, mostrando pertanto una predilezione per la raffigurazione di frutta e vegetali.
“Le sue composizioni consistono infatti in elaborate e complesse frutterie all’aperto con piatti, alzate, cesti e canestri tali da valorizzare i propri soggetti, che non sono visti con l’occhio del pittore scienziato tipico di Vincenzo, bensì con l’intento, altrettanto campesco di catturare l’ammirato interesse del riguardante, favorendo una sorta di gioiosa concupiscenza” e di esprimere talvolta significati allegorici. “Si spiega così l’aspetto delle successive e lussureggianti Dispense con frutta e ortaggi [come il dipinto qui presentato] scalate su cinque piani di carico da gradini di pietra stracolmi di vegetali richiamanti la visione delle assemblate ‘frutterie’ di Vincenzo Campi, costituite come quelle da fiscelle, ceste e zuppiere i cui contenuti rappresentano formalmente altrettante palesi derivazioni”. -
Lotto 39 Pittore romano, sec. XVII
NATURA MORTA DI ORTAGGI E FRUTTA CON CAVOLFIORE, SEDANO GOBBO, MELE E UVA
olio su tela, cm 74x105
Tradizionalmente attribuito a Tommaso Salini nella raccolta di provenienza, certo per confronto con la tela pubblicata da Federico Zeri che recava la firma dell’artista romano poi risultata apocrifa, la natura morta qui presentata non ha trovato una paternità alternativa nel corso degli studi che nell’ultimo decennio hanno tentato di restituire un’immagine convincente del pittore romano ricordato dal Baglione nè in quelli che, d’altro canto, hanno identificato diversamente le opere un tempo raccolte sotto quel nome. La maggior parte di esse sono state raccolte da Ulisse e Gianluca Bocchi sotto il nome di “Pseudo Salini”, ovvero “Monogrammista S.B”., seguendo un’indicazione di Giuseppe De Vito relativa a un “numero” del gruppo in cui compare questa sigla e la data del 1655.
In quell’occasione (Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Casalmaggiore 2005, p. 175 e ss., figg. PS 11-14) i Bocchi riunivano quali verosimili precedenti dello Pseudo Salini due coppie di dipinti un tempo nelle raccolte Scamperle e De Carlo; un tempo attribuite a Tommaso, si differenziano tuttavia da quelle del Monogrammista (attivo intorno al 1650) per scelte iconografiche e compositive legate a un tempo relativamente precoce della natura morta; per questo motivo si chiamava in causa se pure in forma dubitativa il nome di Agostino Verrocchi (1586-1659), attivo intorno al 1630 e punto di raccordo a Roma tra la generazione dei caravaggisti e quella di Michelangelo Cerquozzi.
Numerosi elementi del dipinto qui presentato richiamano appunto le tele De Carlo, e suggeriscono di collocare in quell’ambito anche alla nostra tela, in cui ortaggi “poveri” tipici del primo tempo della natura morta romana e poi spariti dalle “mostre” barocche sono presentati su un semplice piano di pietra sapientemente illuminato e, individuati da una fonte di luce laterale, risaltano sul fondo scuro. -
Lotto 40 Pittore romano, sec. XVII
VITTORIA DI ERACLIO SU COSROE
olio su tela, cm 144,5x292
al recto reca iscrizione in basso a sinistra solo in parte leggibile relativa al soggetto raffigurato
Provenienza:
nobile famiglia genovese
Importante anche nelle dimensioni, tali da suggerirne la provenienza da un palazzo aristocratico, l’inedito dipinto qui presentato si iscrive a pieno titolo nel clima di generale recupero dell’Antico, e insieme del classicismo raffaellesco, fiorito a Roma tra quarto e quinto decennio del Seicento e declinato con accenti diversi dai protagonisti della committenza barberiniana.
Evidente, seppure non testuale, il riferimento a rilievi antichi nelle armature e nelle insegne imperiali, come pure in alcune figure di cavalieri e, più in generale, nell’impaginazione della scena su più registri, nel solco di una tradizione inaugurata dalla Sala di Costantino in Vaticano e recentemente aggiornata dal Cavalier d’Arpino negli affreschi capitolini.
Nel corso degli anni Quaranta, probabile epoca di esecuzione nel nostro dipinto, fu interpretata in modi diversi dagli artisti della cerchia barberiniana, molti dei quali formatisi nella formidabile palestra del Museo Cartaceo di Cassiano dal Pozzo: nascono da quei modelli opere di intonazione diversa come la travolgente Vittoria di Alessandro su Dario dipinta da Pietro da Cortona per i Sacchetti e ora ai Musei Capitolini; una versione più accademica dello stesso soggetto eseguita da Guglielmo Cortese (Versailles, Musèe du Chateau) o ancora la Battaglia tra Enea e Turno di Giacinto Gimignani (Roma, Fondazione Garofalo), e le storie di Costantino dipinte a fresco nel Battistero Lateranense dallo stesso Gimignani e da Andrea Camassei, sotto la direzione di Andrea Sacchi. E’ forse proprio Camassei, presente su quelle pareti con la Battaglia di Ponte Milvio e il Trionfo di Costantino, il riferimento più pertinente per inquadrare il nostro dipinto, in ogni caso riferibile a un pittore “di storia” e non a un puro battaglista. -
Lotto 41 Elisabetta Marchioni
(attiva a Rovigo nella seconda metà del XVII secolo-Rovigo, circa 1700)
COMPOSIZIONI DI FIORI ALL'APERTO
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 151,5x210 ciascuno
(2)
Disposti in cesti di vimini e in ricchi vasi di metallo sbalzato, o ancora intrecciati a formare festoni e ghirlande, i fiori primaverili nelle tele qui offerte costituiscono un saggio eloquente della straordinaria abilità della Marchioni nel declinare in tutte le varianti la presentazione di fiori allaperto. Una capacità che valse allartista ampio successo di pubblico, sebbene circoscritto alla città di Rovigo dove, secondo Francesco Bartoli a cui si devono le uniche notizie su di lei, le composizioni floreali di Elisabetta Marchioni erano presenti in tutte le collezioni e addirittura in coppie o in serie più numerose. Nessuna delle tele oggi a
lei riferite concordemente risulta firmata: tutte si appoggiano invece al notissimo paliotto daltare donato dalla Marchioni ai Padri Cappuccini di Rovigo, ora alla Pinacoteca dei Concordi nella stessa città insieme ad altre sue opere di antica provenienza locale. Un nucleo che ha consentito di restituire allartista rodigina una fisionomia coerente con quanto tramandato dalle fonti e di distinguere la sua produzione da quella, per molti versi affine, della lombarda Margherita Caffi. Tipica della Marchioni
è la pennellata spumeggiante che definisce le corolle variopinte (tra cui, sempre presenti, narcisi e tuberose) ma su una gamma cromatica più contenuta e sommessa di quella, squillante, della Caffi, pure così vicina nelle scelte compositive. -
Lotto 42 Orazio Fidani
(Firenze 1606-1656)
RITROVAMENTO DI MOSE'
olio su tela, cm 171,5x215 con cornice antica intagliata a volute, nera e dorata
Provenienza:
nobile palazzo fiorentino;
collezione privata, Firenze
Corredato da parere scritto di Sandro Bellesi
L’opera qui presentata, arricchita da una importante cornice che ne testimonia la prestigiosa provenienza, è appartenuta ad una storica collezione fiorentina nella quale figuravano fino a tempi recenti rilevanti dipinti in gran parte di maestri toscani operanti in epoca barocca. Nella grande tela è rappresentato il Ritrovamento di Mosè¨ in un’accezione particolarmente “gioiosa della scena dominata da un festante gruppo di giovani e avvenenti figure femminili” disposte attorno al piccolo neonato “in prossimità di un limpido corso d’acqua”. Questo tema iconografico, tratto da un passo dell’Esodo (2,1-10), largamente diffuso nella pittura dei Seicento e Settecento, illustra l’episodio biblico nel quale la figlia del faraone d’Egitto salva dalle acque il piccolo Mosè che sarà da lei accudito e cresciuto come suo figlio.
L'opera, come indicato da Sandro Bellesi nel suo parere scritto, “per i particolari caratteri stilistici e tipologici delle figure” è riconducibile al catalogo autografo di Orazio Fidani, pittore che ebbe un ruolo importante nel panorama artistico fiorentino della metà del Seicento. Nato a Firenze nel 1606 il Fidani fu allievo di Giovanni Bilivert, nella cui bottega rimase per lungo tempo, divenendo uno stimato collaboratore del maestro dal quale riceveva compiti di particolare rilievo. Immatricolato all’Accademia del Disegno nel 1629, l’artista avviò una fiorente attività indipendente, pur mantenendosi fedele agli insegnamenti del maestro. Autore di importanti ed apprezzate opere sacre e profane il Fidani “si distinse per un linguaggio artistico raffinatamente eclettico sensibile al languore e alla sensualità di Francesco Furini e dei suoi seguaci e alla corrente estetizzante di matrice naturalistica legata ai fratelli Cesare e Vincenzo Dandini”.
Il dipinto qui proposto, rappresentativo del linguaggio artistico giovanile del Fidani, presenta caratteri stilistici e tipologici che presentano “echi figurativi di ascendenza bilivertiana- furiniana e soluzioni formali e scenografiche deferenti alla scuola di Matteo Rosselli”.
Il vivace cromatismo e la composizione mossa e libera delle figure, unitamente alle fisionomie e alla resa morbida delle stoffe, “spiegazzate e fruscianti”, permettono di riconoscere aspetti stilistici riferibili alla produzione di Fidani degli anni Trenta, in cui il pittore, sebbene ancora legato agli insegnamenti del maestro Giovanni Bilivert, mostra i segni di un fare più spigliato e libero in particolare nelle opere di soggetto profano.
A questo periodo risalgono il Congedo di Angelica e Medoro dai pastori della Galleria degli Uffizi di Firenze e il Battesimo di Cristo della Pieve di San Pancrazio a Celle (Pistoia), entrambe opere firmate e datate rispettivamente 1634 e 1635 nelle quali si possono riscontrare affinità stilistiche con la nostra tela, in particolare nella resa sontuosa e ricca delle vesti e nella sintassi fisionomica. Pur mostrando vicinanze con le opere già indicate, la nostra tela lascia presagire caratteri tipologici cui l’artista ricorrerà intorno alla metà del secolo, come nella profilatura delle figure muliebri, rese con garbata definizione, riscontrabili dal confronto con l’Allegoria della Pittura e l’Allegoria della Fedeltà di collezione privata, sebbene per queste d -
Lotto 43 Seguace di Cavalier d'Arpino, sec. XVII
LE DONNE SABINE SEPARANO I ROMANI DAI SABINI
IL RATTO DELLE SABINE
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 104x130 ciascuno
(2)
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Lotto 44 Jacopo Chimenti detto da Empoli
(Firenze 1551-1640)
FIGURA DI SANTO CON SPADA (SAN CRESCENTINO)
olio su tela, cm 110x92
Corredato da attestato di libera circolazione
Provenienza:
mercato antiquario, Firenze;
collezione privata, Firenze
Bibliografia: G. Cantelli, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento,Firenze ( Fiesole), 1983, p.135, fig.695, come Filippo Tarchiani; G.Cantelli, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento, Aggiornamento, p. 182, come Filippo Tarchiani, Pontedera, Bandechi-Vivaldi, 2009.
Accompagnato da parere scritto di Giuseppe Cantelli, Firenze, ottobre 2014
L’opera apparve sul mercato antiquario fiorentino agli inizi degli anni ottanta fu acquistata dagli attuali proprietari alla casa d’Aste Pitti il 16 dicembre 1980, lotto 267.
La tela fu venduta con l’attribuzione a Filippo Tarchiani (Firenze, 1576-1645) e il giovane santo con spada fu ritenuto San Crescenzo, mentre l’attribuzione fu confermata oralmente agli acquirenti dal Prof. Carlo Del Bravo, tra i primi studiosi ad occuparsi di pittura fiorentina del Seicento. Tale attribuzione mi sembrò al tempo della prima edizione del mio Repertorio della pittura fiorentina del Seicento(1983) assolutamente accettabile. Fece fede, a suo tempo, l’autorità del Del Bravo, mentre erano quasi impossibili i confronti con le opere documentate del Tarchiani, scarsamente fotografate e allora in gran parte bisognose di restauro o conservate in depositi non facilmente raggiungibili. La situazione non migliorò molto successivamente(II ed. del Repertorio, 2009) sebbene, a distanza di ventisei anni dal mio primo Repertorio, il catalogo di Filippo Tarchiani si sia notevolmente arricchito richiamando l’interesse degli studi su quelle opere che, sulla traccia del suo soggiorno romano(1601-1607), mostrano più moderni apprezzamenti per Caravaggio, non riscontrabili però nel santo in questione. Ho comunque mantenuto l’attribuzione al Tarchiani sembrandomi ancora possibile un confronto della testa del nostro Santo con il volto dell’Immacolata Concezione, siglata da questo artista, conservata nel Duomo di Colle Val d’Elsa (Siena) insieme ad una Madonna con il Bambino e Santi e alla Resurrezione di Cristo ( firmata). Opere queste assolutamente aderenti ad un dettato stilistico profondamente devozionale comune a molti artisti dell’epoca e in particolare a Jacopo da Empoli a cui, oggi, pensiamo di poter attribuire l’alta qualità pittorica di questa tela.
Per quanto riguarda l’iconografia del Santo esso è stato ritenuto interrogativamente come l’immagine di San Crescenzo. Ma questo santo fu martirizzato all’età di undici anni e il nostro santo è giovane, ma adulto. Escludo che posa trattarsi di San Paolo. Penso invece che si potrebbe proporre il nome di San Crescentino protettore di Urbino e di Città di Castello raffigurato però in armatura e a cavallo con una iconografia molto simile a quella di San Giorgio. Anche san Crescentino infatti avrebbe ucciso un drago, metafora delle religione pagana. Le raffigurazioni di questo santo sono piuttosto rare sebbene appaia anche senza armatura.
Crescenziano, che gli Urbinati chiamano col diminutivo di Crescentino, per sottolineare la sua giovane età , era nato a Roma circa l’anno 276, al tempo del pontificato di Sant’Eutichiano papa (275-283).
Circa l’anno 297, Crescentino fu costretto, a causa della sua fede cristiana, ad abbandonare l’esercito e ad allontanarsi da Roma raggiungendo la Valtiberina, continuando a predicare il cristianesimo che lo aveva costretto all’esilio. Giunt -
Lotto 45 Denijs Calvaert, detto Dionisio Fiammingo
(Anversa 1540-Bologna 1619)
MADONNA ORANTE
olio su tela riportata su tavola ovale, cm 77x60 con antica cornice intagliata e dorata
L'opera non menzionata dalle fonti nasce verosimilmente per devozione privata. Si tratta di un prodotto abbastanza maturo dell'artista fiammingo, maestro a Bologna di un'intera generazione di artisti, tra i quali Guido Reni, Francesco Albani ed il Domenichino.
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Lotto 46 Seguace di Theophile Bigot, sec. XVII
SAN GIUSEPPE LEGGENTE
olio su tela, cm 64x73
Dal dipinto di Bigot, Galleria Colonna, Roma
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Lotto 47 Bottega di Giulio Cesare Procaccini, sec. XVII
SAN GIUSEPPE CON IL BAMBINO
olio su tela, cm 62,5x47
Il dipinto qui proposto, riferito in un parere scritto di Pierluigi Leone de Castris a Giulio Cesare Procaccini (Bologna 1574-Milano 1625), costituisce una variante dell'esemplare di ubicazione sconosciuta, già proveniente dalla collezione di Antonio Scarpa, eseguito su tavola (cm 50x42) da Procaccini (cfr: S. Momesso, La collezione di Antonio Scarpa (1752-1832), Cittadella 2007, pp. 170-171, n. 63). Da sottolineare inoltre l'esistenza di un'altra versione della medesima composizione, anch'essa eseguita su tavola (cm 54x44) e databile verso il 1620 (cfr. M. Bona Castellotti, La pittura lombarda del '600, Milano 1985, fig. 497; Procaccini in America, catalogo della mostra, a cura di H. Brigstoke, London-New-York 2002, p. 159), probabilmente identificabile con il dipinto passato in asta a Londra nel 1975 (Christie's 31 ottobre, lotto 130, tavola, cm 54,6x44,5), già proveniente dalla collezione di David Orde. Quest'ultima opera rispetto alla versione già Scarpa presenta tuttavia maggiori differenze, seppur lievi, rispetto alla nostra versione, in particolare nell'esecuzione delle ciocche dei capelli e nell'andamento del panneggio.