90 ANNI DI ASTE: CAPOLAVORI DA COLLEZIONI ITALIANE

Pandolfini Casa d'Aste - Borgo degli Albizi (Palazzo Ramirez-Montalvo) 26, 50122 Firenze

90 ANNI DI ASTE: CAPOLAVORI DA COLLEZIONI ITALIANE

martedì 28 ottobre 2014 ore 19:00 (UTC +01:00)
Lotti dal 1 al 12 di 35
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  • COPPA BACCELLATAVenezia, 1500 ca. Rame con smalto dipinto a strati;...
    Lotto 1

    COPPA BACCELLATA
    Venezia, 1500 ca.
     
    Rame con smalto dipinto a strati; dorature
    alt. cm 5,1; diam. 27,7 cm; diam. piede cm 11,1
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
     
    Scalloped Bowl, copper with enamel painted in layers; gildings
    H. 5.1 cm; diam. 27.7 cm; foot diam. 11.1 cm
     
    An export licence is available for this lot
     
     
    € 50.000/70.000 - $ 65.000/91.000 - £ 40.000/56.000
     
     
    La coppa in rame umbonata ha forma circolare con voluta centrale a baccellature rilevate e arcuate disposte attorno al centro, delimitato da una cornice a rilievo d’ispirazione ispano-moresca. La tesa mostra una fascia a baccellature concave delimitate da parti a rilievo in una generale disposizione che alterna pieni e vuoti. Le volute bianche, anch’esse con forma incurvata, si estendono sulla superficie incorniciate da una serie di petali dalla forma a larga goccia, che adornano l’orlo alto con labbro arrotondato, su smalto verde scuro. Il centro, incorniciato di blu, reca la scritta dorata “MONTES” su fondo bianco. Le baccellature arcuate della tesa, a imitazione delle penne di pavone, mostrano il colore di fondo bianco con lumeggiature blu e sottili tocchi d’oro disposti a piccoli fiorellini. La forma è sottolineata dallo smalto verde, che prosegue fino a riempire l’ultima fascia di baccellature, dove il decoro in oro assume le sembianze di un piccolo cespuglio centrato da un tocco di rosso. Il blu conclude l’ornato sull’orlo, mostrando tracce della doratura originaria.
    Il retro della coppa è interamente ricoperto di smalto blu cobalto, salvo una porzione, al di sotto del piede, dove si intravvede il rame sotto uno strato sottile di vetro. Il blu intenso è decorato con piccole stelline dorate dipinte a fasce concentriche nelle incavature delle baccellature e, con maggior concentrazione, lungo l’attaccatura del piede. Le stesse stelline sono presenti anche all’interno del piede.
    Questa tipologia di coppa fu in uso a Venezia sia per uso ecclesiastico che per uso secolare, e spesso recava al centro uno stemma nobiliare, sostituito nel nostro caso dal motto “MONTES”. Esso deriva dal gruppo dei quindici salmi detti “delle ascensioni” (Libro dei Salmi, Salmo 120: “Levavi oculos meos in montes”), e tuttavia fu spesso utilizzato come motto negli stemmi nobiliari.
    La coppa ripropone una formulazione morfologica e decorativa ormai unanimemente attribuita all’area veneta, in particolare alla città di Venezia, e ascritta a un arco cronologico compreso tra la fine del XV e gli inizi del secolo XVI. Proprio in questo periodo la città lagunare produsse alcuni tra i migliori esemplari di smalti in Europa, e a questo proposito interessanti sono le ipotesi di un collegamento con le tradizionali tecniche lagunari basate sull’affinità con i vetri muranesi, avanzate già nel 1885 da Émile Molinier e confermate poi da Lionello Venturi negli anni Venti.
    La tipologia del nostro piatto appartiene al secondo periodo di produzione, quando fu introdotta una nuova tecnica a smalto: questa prevedeva una prima copertura degli oggetti in rame con smalto bianco e la loro cottura, alla quale seguiva la vera e propria decorazione con una successiva applicazione degli strati colorati, in genere in blu e verde, e quindi una nuova cottura a temperature differenti; seguiva infine l’applicazione degli ornati dorati.
    Gli esemplari di produzione veneziana sono rari, alcuni conservati nelle collezioni dei principali musei italiani ed esteri. Per la tecnica si vedano le due coppe su alto piede, una non completa, della Walters Art Gallery di Baltimora, mentre esempi morfologicamente più prossimi al nostro sono conservati al Museo Civico di Torino e nelle Civiche Raccolte d’Arti Applicate del Castello Sforzesco di Milano. Un piatto di dimensioni appena maggiori e in impeccabile stato di conservazione si trova inoltre al Victoria and Albert Museum di Londra (inv. 156-1894). Ma il confronto più prossimo

  • GRANDE SCULTURA DI MOROVenezia, secolo XIXin legno scolpito ed ebanizzato con...
    Lotto 2

    GRANDE SCULTURA DI MORO
    Venezia, secolo XIX
    in legno scolpito ed ebanizzato con inserti in avorio dipinto, modellato a figura negroide con folti capelli ricciuti, nudo ad eccezione di una pelle di leone drappeggiata sulle spalle e annodata in vita, in atto di sostenere una conchiglia, su base modanata esagonale sostenuta da tre tartarughe, altezza complessiva cm 202, piccoli danni
     
    Venice, Nineteenth Century
    in carved and painted wood, shaped as a negroid figure, in the act of supporting a shell, h. cm 202, small damages
     
    € 10.000/15.000 - $ 13.000/19.500 - £ 8.000/12.000
     
    Il tema del moro seminudo in atto di sostenere un oggetto o una architettura è ben radicato nella tradizione veneziana avendo i suoi archetipi nei “Quattro mori” che Giusto Le Court scolpì tra il 1660 e il 1669 per il monumento del doge Giovanni Pesaro in Santa Maria Gloriosa dei Frari e che vennero poco dopo ripresi con le stesse pose monumentali, ma in misure più contenute, da Andrea Brustolon nel “fornimento Venier” eseguito nell’ultimo decennio del XVII secolo, conservato oggi al Museo di Ca’ Rezzonico.
    Il “fornimento Venier”, quaranta opere scultoree che Brustolon realizzò per il palazzo della famiglia veneziana a San Vio, è costituito da portavasi, seggioloni e altri arredi scolpiti in legni pregiati con soggetti mitologici e allegorie; fra questi l’Etiope portavaso, raffigurato nudo in posa eroica anche se con una catena al collo, sorgente da una base con mostri marini, è il diretto modello del grande moro che viene qui presentato.
    Altri esempi illustri dell’uso della figura del moro prigioniero si possono ritrovare a partire dagli inizi del XVII secolo a Parigi con il monumento equestre a Enrico IV di Pietro Tacca eretto nel 1614 sul Ponte Nuovo e successivamente distrutto nel 1792 durante i fermenti rivoluzionari e il monumento a Luigi XIV di Martin Desjardins del 1684 per Place des Vosges, anch’esso andato distrutto durante la rivoluzione francese; in entrambi la base della scultura era decorata con figure di prigionieri mori in catene, semisdraiati, alla stessa stregua di quelli che si vedono a Livorno nel Monumento dei Quattro Mori dedicato a Ferdinando I e realizzato da Pietro Tacca tra il 1623 e il 1626.
    Il monumento è situato davanti alla piccola darsena che il granduca Ferdinando I de’ Medici fece scavare sul finire del Cinquecento per ampliare il porto di Livorno; il gruppo scultoreo, posto nei pressi della possente cinta muraria avrebbe così attestato l’autorità granducale agli occhi dei numerosi viaggiatori che avrebbero fatto scalo a Livorno.
    L’idea dell’africano prigioniero collocato in posizione dimessa ai piedi del principe simboleggia la vittoria trionfale del mondo cristiano contrapposto a quello degli infedeli genericamente indicati come Mori.
     
    La fortuna ottenuta dalle sculture-arredo di Brustolon fece sì che anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1732, numerosi artigiani veneziani continuassero la produzione di opere analoghe che venivano richieste non più solo dalla committenza nobiliare ma anche dalle grandi famiglie mercantili. Si passa così da un modello nel quale l’attenzione è rivolta principalmente alla resa anatomica secondo il gusto barocco per arrivare a figure vestite all’araba nelle quali il senso estetico per il colore e per la resa delle stoffe annulla la parte scultorea prediligendo piuttosto il dettaglio raffinato. È utile ricordare che in molti importanti palazzi veneziani parte della servitù era effettivamente costituita da mori che venivano vestiti “alla turca” con turbante e abiti orientali.
    Questa produzione raggiunse il suo apice qualitativo alla fine del XVIII secolo ma si è conservata con realizzazioni sempre più seriali fino ai nostri giorni ma, ciononostante, molto apprezzata dal mercato straniero.
     
     
     

  • Erasmus de Pannemaker (1634-1685)ARAZZOManifattura di Bruxelles, seconda metà...
    Lotto 3


    Erasmus de Pannemaker
    (1634-1685)
    ARAZZO
    Manifattura di Bruxelles, seconda metà del sec. XVII
     
    Il sogno di Ciro
    siglato nel bordo inferiore BB con scudo e E.DE.P
    cm 380x320
     
     
    The Dream of Ciro
    tapestry signed in the lower border BB with shield and E.DE.P.
    cm 380x320
     
    € 50.000/70.000 - $ 65.000/91.000 - £ 40.000/56.000
     
     
    L’arazzo presenta una ricca cornice interamente ricamata con festoni e trofei di frutta intervallati agli angoli da quattro figure di fanciulli alati. Nella fascia superiore, tra due putti alati caratterizzati da corone regali e cornucopie traboccanti monete d’oro, è posto, a descrivere la scena centrale, il cartiglio con l’iscrizione: “MASSAGETARVM REGINA SOMNIO PRAEDICT DARIO C POST MORTEM CYRV PERSARORVM IMPERIVM”. La bordura inferiore è invece centrata da un medaglione ovale raffigurante un paesaggio, mentre tra nastri e ricche composizioni floreali due pappagalli entro riserve architettoniche decorano le due fasce laterali.
    L’episodio storico illustrato nell’arazzo ci porta a pensare che lo stesso appartenesse ad un vero e proprio ciclo raffigurante le Storie di Ciro: qui infatti l’arazziere raffigura il sogno di Ciro, uno degli episodi narrati tra l’altro da Erodoto nel I libro delle sue Storie: “Ciro passò l’Arasse; e, dormendo nel paese dei Massageti, ebbe, quando fu sopravvenuta la notte, una visione: gli parve durante il sonno di vedere il maggiore dei figli di Istaspe con ali attaccate alle spalle, e che con una di esse oscurasse l’Asia, con l’altra l’Europa. Il maggiore dei figli di Istaspe figlio di Arsame, un Achemenide, era Dario, allora in età di circa vent’anni; ed era rimasto in Persia perché non aveva ancora raggiunto l’età militare. Svegliandosi dunque, Ciro si mise a riflettere sulla visione avuta. Gli parve di grave significato; e fece venire Istaspe, al quale da solo a solo: “Istapse”, disse, “tuo figlio è stato colto in flagrante delitto di cospirazione contro di me e la mia potestà. Lo so con certezza, e ti spiegherò come…” (Erodoto, Storie, I, 209).
    Il termine “arazzo”, usato in Italia per indicare un particolare tipo di tessuto, deriva dal nome della città di Arras, centro francese particolarmente attivo tra XIV e XV secolo proprio nella produzione ed esportazione di arazzi. L’utilizzo del termine “banderiae de Arassa” risale al 1389 nel Chronicon Placentinum di Giovanni de’ Mussi.
    La sigla BB con scudo al centro identifica in maniera certa la manifattura di provenienza di questo importante esemplare, tessuto nella seconda metà del XVII secolo a Bruxelles. Nel 1528 infatti un editto stabilì che i pezzi lavorati a Bruxelles recasserro tessuto nella cimosa uno scudo fiancheggiato da due B (Bruxelles e Brabant).
    L’importanza dell’arazzeria di Bruxelles nel cinque e seicento è testimoniata dai molti rappresentanti di cui ci sono giunte opere e notizie, tra i quali spicca la famiglia dei Pannemaker: Pieter de Pannemaker (1519 circa–1534) eseguì parte degli arazzi istoriati del trono di Carlo V a Madrid e la Storia di David, oggi al museo di Cluny, mentre Willem de Pannemaker (1535-1578) realizzò nella sua bottega alcuni degli arazzi più noti delle serie di Madrid e Vienna, quali Vertunno e Pomona, Storia di Noè, Giuochi di fanciulli, Apocalisse, ma anche nel 1560 un arazzo a giardino architettonico, che ebbe grande fortuna nell’arazzeria fiamminga. Loro diretto discendente, e ultimo arazziere della dinastia, fu Erasmus de Pannemaker (1634-1685), continuatore della grande tradizione famigliare e noto per la sua maestria nel lavoro al telaio, testimoniata anche dall’arazzo qui presentato: la sigla E.DE.P. ricamata nella bordura accanto alla marca di Bruxelles è infatti la sua firma.
     
     
     

  • COPPIA DI PIATTILimoges, Jean de Court, detto “il maestro I.C.”,...
    Lotto 4

    COPPIA DI PIATTI
    Limoges, Jean de Court, detto “il maestro I.C.”, attivo tra il 1555 e il 1585 circa
     
    Rame con smalto dipinto a strati; dorature
    alt. cm 2,2; diam. cm 19,7 (ciascuno)
     
    Corredato da doppio attestato di libera circolazione
     
    A pair of Dishes, copper with enamel painted in layers; gildings
    H. 2.2 cm; 19.7 cm
     
    An export licence is available for this lot
     
    € 40.000/60.000 - $ 52.000/78.000 - £ 32.000/48.000

    Provenienza
    Asta Sotheby’s, Firenze, Palazzo Capponi, 19 ottobre 1970, lotto “P” (appendice al catalogo dal titolo Opere d’arte appartenenti a una nobile famiglia romana)
     
    I due piatti sono privi di piede e hanno largo cavetto piano e ampia tesa orizzontale. La forma in rame sbalzato è ricoperta da smalto bianco, su cui è dipinta la scena in grisaille con porzioni a policromia e dorature a freddo.
    Il primo piatto (a) mostra una scena campestre abitata da due personaggi: una donna elegantemente vestita, seduta su una roccia ricoperta d’erba, regge nella destra un paniere e porge con la mano sinistra una coppa di vino a un contadino intento a seminare. La scena è circondata da un paesaggio con case e colline sullo sfondo. In alto, in un medaglione circolare, compare il segno zodiacale dello scorpione, sotto il quale si legge la scritta in caratteri capitali “OCTOBRE” dipinta in oro.
    Sul verso la superficie è interamente ricoperta da smalto nero decorato con elementi fitoformi in oro a freddo: una corona nella tesa e un tralcio sinuoso con piccole foglie attorno al centro. Qui si sviluppa un complesso motivo decorativo a grottesche nel quale, in un gruppo di elementi a nastro disposti simmetricamente, s’innestano tre erme che sorreggono una figura femminile, una maschile e un satiro, e tre elementi decorativi con vasi baccellati ricolmi di frutta. In uno dei nastri si legge chiaramente la sigla dell’autore “I.C.”
    Il secondo piatto (b) mostra anch’esso una scena campestre con più personaggi: al centro un giovane pigia l’uva in un tino, mentre alle sue spalle un bimbo nudo alza trionfante una coppa di vino. Una donna avanza sulla sinistra portando una cesta piena di uva sul capo, mentre a destra un vecchio con la barba è chino sul tino reggendo un bastone fra le mani. La scena è chiusa da un pergolato su cui cresce abbondante la vite. In alto anche qui un medaglione circolare decorato con il segno zodiacale della bilancia.
    Sul verso la superficie è interamente ricoperta da smalto nero decorato da una corona fogliata lungo la tesa e un tralcio sinuoso con piccole foglie attorno al centro. Quasi tutta la superficie del centro è ricoperta da un motivo decorativo a grisaille a simulare un lavoro a sbalzo su metallo. Qui volute intrecciate, centrate da una rosetta, s’innestano in quattro differenti mascheroni policromi, a loro volta uniti da panneggi centrati da fruttini. In una delle volute, sotto il mascherone con i capelli mossi dal vento, si legge chiaramente la sigla dell’autore: “I.C.”
    I due piattelli appartengono alla serie dei mesi, celebre opera di Jean de Court, maestro limosino noto proprio per le sue grisaille. I numerosi studi ci permettono ormai di attribuire le opere che recano le sigle “IC”, “IDC”, “ICDV” a Jean Court, o Jean Courtois, o Jean de Court, alias Jean Court detto Vigier (in francese questo appellativo indica il Vicarius, il magistrato che rappresentava il visconte di Limosino a Limoges, e si trattava di una carica era ereditaria). Celeberrime alcune sue opere, come la coppa di Maria Stuarda alla Biblioteca Nazionale di Parigi.
    La datazione dei suoi smalti si basa sulle fonti incisorie, che vanno dalla Bibbia di Bernard Salamon del 1556 alle opere raffiguranti i mesi ispirate alle incisioni di Étienn

  • TAPPETO AUBUSSONFrancia, metà sec. XIXfondo color ocra con decori floreali e...
    Lotto 5

    TAPPETO AUBUSSON
    Francia, metà sec. XIX
    fondo color ocra con decori floreali e fasci di fiori rosa, avorio e azzurri che si trovano al centro e lungo i bordi del tappeto. Al centro una cornice di volute nei toni del giallo e del rosa in stile Impero, ai lati stemmi nei toni del rosa, giallo e avorio
    cm 500x950
     
    Ocher background with floral decorations and bundles of pink, ivory and blue that are in the center and along the edges of the carpet. At the center of a frame of swirls in shades of yellow and pink in the Empire style, the sides coats in shades of pink, yellow and ivory, cm 500x950
    L’esemplare qui presentato è sicuramente frutto di una commissione aristocratica ispirata dai cartoni dei grandi arazzi.
    Per confronti
    Y&B. Bolour Collection, Los Angeles, tav. 12 e 23
     
     

  • ZUPPIERA CON COPERCHIOCapodimonte, probabilmente periodo di transizione...
    Lotto 6

    ZUPPIERA CON COPERCHIO
    Capodimonte, probabilmente periodo di transizione 1757-1762
     
    Porcellana decorata con applicazioni a rilievo e fiori dipinti in policromia.
    Marca “giglio azzurro” sul fondo
    Alt. cm 30, diam. cm 23,5, largh. alle anse cm 30,5
     
     
    Porcelain decorated with applications in relief and flowers painting in polychrome.
    Mark "giglio azzurro" on the bottom.
    H. 30 cm, diam. 23.5 cm
     
    € 12.000/16.000 - $ 15.600/20.800 - £ 9.600/12.800
     
    Bibliografia
    F. Stazzi, Capodimonte, Milano 1972, p. 217, tav. 4
    A. Mottola Molfino, L’arte della porcellana in Italia, vol. II, Busto Arsizio 1977, tav.XXI
     
     
    Di forma circolare alta e compatta, la zuppiera è modellata a scanalature orizzontali che si richiamano alla cerchiatura dei mastelli in legno per il vino. Sia la vasca che il coperchio sono decorati con tralci, pampini e grappoli d’uva in rilievo, con aggiunta di gruppi di fiori di campo e frutti dipinti in policromia. Le anse, imitanti il ceppo della vite, sono colorate in un marrone verdastro, mentre il pomello riproduce un grande grappolo di uva nera.
    Il tema decorativo della pianta di vite è ricorrente in tutte le manifestazioni di Arti Decorative e la sua fortuna ha radici lontane grazie al mito di Bacco, esaltato in tempi più vicini al Settecento dalla riscoperta durante il Seicento di soggetti arcadici e biblici come l’Ebrezza di Noè, Bacco e Arianna, L’Adorazione del Vitello d’Oro e soprattutto le Feste Dionisiache e l’Allegoria dell’Autunno, tutti temi ampiamente trattati dai pittori carracceschi.
    L’arredo della tavola deve essere apparso fin dagli albori il luogo più adatto ad accogliere vasellame che riecheggiasse i piaceri del vino. Sappiamo dai pochi documenti pervenutici che già nel 1744, quindi all’inizio della produzione di Capodimonte, lo stesso Giuseppe Gricci, il grande scultore-modellatore della fabbrica, aveva modellato la forma “…di un piattino che dinotava una fronda di vite e il modello della chicchera corrispondente…” (C. Minieri Riccio, Delle porcellane…, 1878, p. 11). Possiamo quindi ragionevolmente affermare che i tralci e i pampini in rilievo, insieme ai fiori Kakiemon, siano stati tra i primi fregi decorativi utilizzati per arricchire le forme del vasellame di Capodimonte.
    Ritornando alla nostra zuppiera, va detto che il motivo del mastello ricoperto di pampini d’uva ritorna in altri rari esemplari di Capodimonte destinati a completare dei serviti da tavola. A memoria di chi scrive esiste soltanto un’altra zuppiera identica alla nostra, conservata in una collezione svizzera, mentre ricordiamo due varianti sul tema utilizzate per dei secchielli con funzione di rinfrescatoio: una coppia con un decoro più stilizzato, privo di miniature policrome, con le doghe verticali evidenziate da un filetto in oro e le anse a ceppo interamente dorate (in collezione Perrone già al Museo Civico Gaetano Filangieri di Napoli, inv. nn. 69, 95) e uno più simile alla nostra zuppiera, con tralci di vite in rilievo e anche dipinti sulle doghe, ma privo del decoro floreale (A. Mottola Molfino, L’arte della porcellana in Italia, vol. II, 1977, tav. XXII, in Collezione S.G.).
    E’ comunque certo che questo decoro sia stato eseguito a Capodimonte oltre che per il citato documento del 1744, anche per dei frammenti di porcellana modellati a tino con tralci in rilievo rinvenuti nei pozzi di butto esistenti sotto l’antica fabbrica nel Parco di Capodimonte.
    Nel caso presente si è scelto prudentemente di allargare il periodo di esecuzione al periodo di transizione – quindi fra gli ultimi anni di Capodimonte e i primissimi del Buen Retiro - per la presenza abbastanza insolita del decoro dei frutti dipinti affiancati ai fiori di campo, sebbene e nonostante il tipo di giglio in blu apposto sotto la vasca presenti tutte le caratteristiche di quello in uso durante il periodo napoletano.

  • TAPPETO AGRAIndia del Nord, circa 1890Nell’elegante campo rosso bordeaux si...
    Lotto 7

    TAPPETO AGRA
    India del Nord, circa 1890
    Nell’elegante campo rosso bordeaux si stagliano diversi motivi di corolle di fiori, tralci di vite, e vasi ripresi dall'antico motivo dei Kirman a Vasi del XVII secolo, il tutto contornato da un imponete bordura blu scuro decorata da palmette e tralci.
    cm 465X550
     
    In elegant burgundy red field stand several reasons corollas of flowers, vines, and vessels taken from the ancient motif of Kirman in vases of the seventeenth century, all surrounded by a dark blue border impose decorated with palms and branches, cm 465x550.
     
    € 15.000/20.000 -$ 19.500/26.000 - £ 12.000/16.000
     
    La città di Agra fu fondata nel 1504 e con Delhi si alternò per circa un secolo nel ruolo di capitale.
    Nota per la costruzione del Taj Mahal terminata nel 1653 la città vanta una grande tradizione nella produzione di tappeti.
    Dal XVI secolo le manifatture ad Agra furono profondamente influenzate dalla fusione culturale tra la tradizione indiana e quella musulmana, per le commissioni di corte i disegni preparatori dei tappeti venivano eseguiti da miniaturisti persiani mentre per la manifattura la manodopera era indiana, specializzata nella tessitura e nella tintura.
    Alcuni tappeti di queste antiche manifatture sono oggi conservati al Metropolitan Museum di New York e al Victoria and Albert Museum di Londra. Dopo un periodo di crisi nella produzione dovuto alla fine della dinastia Moghûl nel 1738, l’attività della produzione di tappeti rifiorì nel XIX secolo proponendo nuove interpretazioni degli antichi motivi persiani.
     
     
     

  • GRANDE RILIEVOEgitto, Nuovo Regno, 1540-1075 a.C.in arenaria gialla, dipinto...
    Lotto 8

    GRANDE RILIEVO
    Egitto, Nuovo Regno, 1540-1075 a.C.
    in arenaria gialla, dipinto a policromia in bianco, ocra, verde, azzurro e rosso, raffigurante il faraone Sethi I nelle vesti di Osiride, alt. cm 72
     
    Per questo pezzo la Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana ha intenzione di avviare il procedimento di vincolo ai sensi del D.Lgs. 42/02
     
    Egypt, New Kingdom, 1540-1075 B.C.
    in polychrome painted yellow limestone, representing pharaoh Sethi I as Osiris, h. cm 72
     
    This lot is subject to protective restrictions by the Department for Archaeological Heritage of Tuscany (Decree no. 42/02). The lot cannot be exported outside Italy.
     
    € 40.000/60.000 - $ 52.000/78.000 - £ 32.000/48.000
     
    Il frammento conserva la testa del dio Osiride volto a sinistra con la corona atef affiancata dalle due grandi piume di struzzo che simboleggiano la Verità e la Giustizia, il volto è dipinto in verde-azzurro, colore caratteristico della divinità che regna sull’Oltretomba; nella parte superiore si conservano tracce di due colonne di scrittura geroglifica sinistrorsa, in quella di sinistra è interamente conservato il nome del trono Menmaatra (Stabile è la Giustizia di Ra) iscritto all’interno del cartiglio; nella colonna accanto sono riconoscibili due foglie di palma affiancate e l’epiteto nb tawy (Signore delle due Terre).
     
    Stato di conservazione: lacunoso su tutti i lati, ricomposto da sei frammenti, scheggiature diffuse e cadute di colore
    Esposizioni: Il tempio di Osiride svelato. L’antico Egitto nell’Osireion di Abydos, Scuola grande di San Giovanni Evangelista.
    Venezia 2 Giugno – 21 Ottobre 2012
     
    Sethi I (anni di regno 1291-1279 a.C.) è il sovrano che si occupò di dare un nuovo assetto politico e religioso stabile al paese dopo la rivoluzione di Amarna nella quale il faraone Akenathon aveva sconvolto l’Egitto proclamando una divinità solare unica e cancellando tutti gli altri culti.
    La credenza che una nuova era si fosse aperta può essere dedotta dall’epiteto che il re aggiungeva talvolta ai suoi nomi: colui che ripete le nascite, un titolo ripreso da Amenemhet I, primo re della dodicesima dinastia, che si considerava anch’egli inauguratore di un “rinascimento”.
    Figlio del faraone Ramesse I salì al trono intorno ai 37 anni ed ebbe un regno duraturo nel quale recuperò molti dei territori al di fuori dell’Egitto che erano passati sotto l’influenza ittita e consolidò la propria posizione interna con un’intensa attività costruttiva in quasi tutto il paese.
    Sotto il suo regno si estesero le ricerche e lo sfruttamento delle miniere d’oro nel Deserto orientale che garantirono l’approvvigionamento del prezioso metallo in grande quantità anche durante i regni successivi.
    Tra le opere più significative si ricordano il completamento della grande sala ipostila di Karnak e il suo tempio funerario ad Abido nel quale il sovrano si fa raffigurare in atto di offrire un omaggio a 76 suoi predecessori realizzando in questo modo la cosiddetta “Lista reale di Abido” che è uno dei documenti fondamentali per lo studio della cronologia dei sovrani egiziani.
    La prosperità conseguente alla pace interna ed esterna fece nuovamente fiorire le arti e la produzione scultorea del suo periodo è considerata uno degli apici assoluti dell’arte egiziana.
    La grande statuaria di questo periodo ci è arrivata solo in frammenti, di conseguenza la scultura è conosciuta principalmente attraverso i rilievi che decoravano i monumenti eretti dal sovrano e che manifestano un ritorno alla precisione dello stile del periodo tutmoside come l’indicazione della linea del bistro all’angolo dell’occhio e delle sopracciglia arrotondate; caratteristica di questo periodo è anche la comparsa del sorriso benevolo che sostituisce l’espressione severa dello stile post-amarniano e diventa una caratteristica ufficiale che proseguirà sotto Ram

  • ARA FUNERARIA CON BUSTO FEMMINILERoma, I sec. d.C.in marmo bianco a grana...
    Lotto 9

     
    ARA FUNERARIA CON BUSTO FEMMINILE
    Roma, I sec. d.C.
    in marmo bianco a grana fine scolpito, cm 58,5x41x52
     
    Opera dichiarata di eccezionale interesse archeologico ai sensi del D.Lgs. 42/2004 con D.D.R. 31/3/2010 (notifica 29/4/2010)
     
    Rome, 1st Century A.D.
    in white marble, cm 58,5x41x52
     
    Please note that this lot has been “notified” with a Ministeriale Drecree no. 42/2004 with D.D.R. 31/3/2010 (dated 29/4/2010). The Ministry has declared its importance in the context of the Italian cultural patrimony. The lot cannot be exported outside Italy.
     
    € 20.000/30.000 - $ 26.000/39.000 - £ 16.000/24.000
     
    L’ara fu donata dalla Regina Elena nel 1917 al Professor Giulio Pampersi, medico chirurgo presso l’ospedale San Giovanni di Roma e medico curante della sovrana. Essa fu trovata verosimilmente durante i lavori di ampliamento dell’ospedale San Giovanni. Dopo la donazione fu collocata nell’atrio della casa di cura Santa Rita in via degli Scipioni 134 a Roma, di cui il professor Pampersi era all’epoca proprietario e titolare. Deceduto il professore la titolarità della clinica ed il possesso dell’ara ivi collocata passarono alla figlia. Alla morte di quest’ultima la clinica fu venduta e nel 1973 l’erede fece trasportare l’ara presso la sua abitazione dov’è rimasta fino ad oggi.
     
    Il piccolo monumento di forma pressoché cubica era situato probabilmente di fronte al monumento funebre e presenta nella parte superiore un incavo circolare frutto di un riutilizzo.
    La fronte dell’ara è decorata lateralmente con girali di acanto, uguali e simmetrici, fiori e foglie. L’aspetto è plastico, carnoso e vivacemente coloristico, ma si nota anche la tendenza decorativa alla stilizzazione del motivo vegetale. Al centro si apre una porta a due pannelli, sormontata da un architrave. All’interno si trova il busto di una fanciulla su una base modanata di forma rettangolare, anepigrafe. Il busto comprende le spalle, ma non l’attacco delle braccia e scende con taglio obliquo, di forma quasi triangolare, verso il basso. Il viso è pieno, la bocca minuta; gli occhi ben definiti sotto le arcate sopraccigliari non recano segno dell’iride o della pupilla. Le orecchie sono ben evidenziate, la pettinatura, rimaneggiata e ritoccata in epoca posteriore, doveva presentare una scriminatura centrale.
    Sul lato sinistro sono riprodotte una ghirlanda di alloro con bacche e nastri pendenti ed una patera ombelicata al centro. Sul lato destro un’altra ghirlanda e due sottili ampolle (urcei) evocano, come gli ornamenti del fianco opposto, il rituale funerario.
    La decorazione vegetale richiama il gusto diffuso nel I secolo d.C. per l’imitazione della natura, anzi dell’ambiente naturale che poteva circondare la dimora del defunto. La moda, derivata da modelli ellenistici, inizia in età augustea, si arricchisce in età claudia ed è particolarmente diffusa in età flavia, mentre già all’inizio del II secolo d.C. si riscontra una riduzione dei motivi decorativi. La raffigurazione della porta aperta, che incornicia l’immagine della giovane defunta, evoca il concetto del monumento sepolcrale come abitazione della persona passata a vita ultraterrena (Cfr. F. Sinn, Stadrömische Marmorurnen, Mainz am Rhein, 1987, pp. 56-65)
    Per questo esemplare si possono citare diversi confronti risalenti al periodo flavio: l’altare funerario di Minucia Suavis del Museo Nazionale Romano, risalente alla seconda metà del I secolo d.C. (Cfr. B. Candida, Altari e cippi nel Museo Nazionale Romano, Roma 1979, pp. 86-88, n. 36, tavv. XXX, XXXII), un altare ed un’urna con girali vegetali del Museo Gregoriano (F. Sinn,  Vatikanische museen, Museo Gregoriano Profano. Die Grabdenkmäler, 1, Reliefs Altare Urnen, Mainz am Rhein, 1991, pp.84-85, n. 53, figg. 151-153, 156, p. 113-114, n. 109, fig. 267)
    In questo caso la datazione in età flavia è confermata anche dalle caratteristiche

  • George GarthorneRINFRESCATOIO PER BICCHIERILondra 1686in argento, di forma...
    Lotto 10

    George Garthorne
    RINFRESCATOIO PER BICCHIERI
    Londra 1686
    in argento, di forma circolare con bordo smerlato e profilato da tralci vegetali, due anse modellate a teste ferine che trattengono tra le fauci un anello di forma sagomata. Corpo cesellato con figure esotiche e ghirlande di foglie, interno con residui di doratura originale, diam. cm 27, alt. cm 16,5, g 1695, restauro alla base e lievi ammaccature
    Sul fondo la coppa reca l’ incisione:
    National Field Trials 1885. Bruce Beta Setters. 1 Prize for Braces of Setters. Dervish pointer. 2 Prize: Pointer Puppy Stakes. Kennel Club Trials 1885. Beta, setter, runner up in Field Trial Derby. Bruce, setter Polly, pointer divided 1 and 2 prizes in all aged Stakes.
    Sul fondo reca l’etichetta in carta Collection S. Bulgari Rome
     
    An english silver monteith, London, 1686,
    mark of George Garthorne, diam. cm 27, alt. cm 16,5, g 1695,
    restoration on the base and slight bruising
    On the bases engraved: National Field Trials 1885. Bruce Beta Setters. 1 Prize for Braces of Setters. Dervish pointer. 2 Prize: Pointer Puppy Stakes. Kennel Club Trials 1885. Beta, setter, runner up in Field Trial Derby. Bruce, setter Polly, pointer divided 1 and 2 prizes in all aged Stakes and a paper label Collection S. Bulgari Rome.
     
    L’attività di George Garthorne è documentata dal 1680. Fu impegnato in numerose commissioni per la Casa Reale e sua è la cioccolatiera conservata oggi al Victoria and Albert Museum datata 1685, una fra le più antiche . La sua produzione ebbe fine nel 1730, anno della sua morte.
    Un esemplare simile di monteith è conservato al Milwaukee Art Museum, realizzato da Garthorne nel 1688 per la Royal African Company.
    La Royal African Company fu una compagnia commerciale inglese nata nel 1660, anni della restaurazione inglese, con lo scopo di far arrivare nelle colonie britanniche schiavi neri deportati dall’Africa. L’attività di tratta degli schiavi durò fino al 1731, anno in cui la Compagnia cambiò la sua finalità nel commercio di oro e avorio. Nel 1752 la Compagnia fu sciolta.
    Altro oggetto analogo è quello conservato al Museum of Fine Arts di Boston (n. inv 1975.711) attribuito probabilmente anch'esso a George Garthorne.
     
     
     
     
     
     
     
     
     

  • Paul Crespin(1694-1770)COPPIA DI PIATTI DA PARATALondra 1736piano in argento...
    Lotto 11

    Paul Crespin
    (1694-1770)
    COPPIA DI PIATTI DA PARATA
    Londra 1736
    piano in argento vermeil con stemma e motto CLEVE FAST ESSE QUAM VIDERI MATURI incisi entro corona di foglie, diam. cm 48, complessivi g 6700 (2)
     
    Lo stemma appartiene a William Lehman Ashmead Burdett-Coutts-Bartlett-Coutts (1851-1921), membro del Parlamento inglese dal 1881.
     
     
    A pair of dishes to parade, London 1736, mark of Paul Crespin,
    silver and silver gilt, plan with engraved coat of arms and motto
    CLEVE FAST ESSE QUAM VIDERI MATURI, diam. cm 48, g 6700 (2)
     
    Paul Crespin (Fig. 1) nacque in Inghilterra da una famiglia francese di rifugiati ugonotti. Per queste sue origini coltivò sempre un grande legame stilistico con i dettami degli artisti francesi.
    Nel 1726 insieme ad altri argentieri ed orefici ugonotti realizzò un servito per l'Imperatrice Caterina di Russia tra cui si ricorda una coppa biansata con coperchio oggi esposta al Museo dell'Hermitage a San Pietroburgo.
    Nel 1727 si sposò con Mary Branboeuf da cui ebbe cinque figli. Nessuno di loro seguì il padre nell'attività di argentiere.
    Tra il 1730 e il 1740 si affermò non solo come fine argentiere ma anche come grande innovatore e la sua capacità creativa cominciò ad essere apprezzata sia dalla Casa Reale che da molte delle nobili famiglie inglesi.
    Nel 1741 realizzò per Federico, Principe di Galles, un grande centrotavola decorato da soggetti marini con Nettuno e il tridente ancora oggi conservato nella collezione reale al Castello di Windsor. Sebbene la produzione degli anni successivi comprese anche oggetti di uso più comune il suo contributo innovatore fu fondamentale per le creazioni degli argentieri inglesi. Nel 1759 concluse la sua attività e si ritirò con la moglie nel Southampton dove morì nel 1770.
     
     
     
     
     

  • Robert Garrard II(1793-1881)COPPIA DI GRANDI COPPE CON COPERCHIOLondra 1867 e...
    Lotto 12

    Robert Garrard II
    (1793-1881)
    COPPIA DI GRANDI COPPE CON COPERCHIO
    Londra 1867 e 1876
    in argento vermeil, piede polilobato decorato a sbalzo, nodo realizzato con teste ferine, coppa cesellata a volute e coperchio sbalzato con finale a cartigli, alt. cm 69, complessivi g 6767.
    Le coppe recano lungo il bordo della base l’iscrizione R&S Garrard Panton St London (2)
     
     
    A pair of english silver gilt cups with lid, London 1867 and 1876,
    mark of Robert Garrard II, alt. cm 69, g 6767.
    Bases marked R&S Garrard Panton St London (2)
     
    Robert Garrard II (1793-1881) svolse il suo apprendistato dal 1809 presso il padre Robert Garrard socio della ditta Wakelin and Company . Dal 1816 divenne argentiere registrando il suo marchio con i fratelli James e Sebastian. Dal 1818, anno della morte del padre, divenne titolare della manifattura. Nel 1843 fu insignito del titolo di gioielliere della Corona.
     
     
     

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90 ANNI DI ASTE: CAPOLAVORI DA COLLEZIONI ITALIANE

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  • 28 ottobre 2014 ore 19:00 Sessione Unica - lotti 1 - 35 (1 - 35)