Importanti Maioliche Rinascimentali

Pandolfini Casa d'Aste - Borgo degli Albizi (Palazzo Ramirez-Montalvo) 26, 50122 Firenze

Importanti Maioliche Rinascimentali

martedì 28 ottobre 2014 ore 17:00 (UTC +01:00)
Lotti dal 1 al 48 di 62
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  • ALBARELLOMontelupo, 1420-1450 Maiolica decorata in monocromia blu di...
    Lotto 1

    ALBARELLO
    Montelupo, 1420-1450
     
    Maiolica decorata in monocromia blu di cobalto
    alt. cm 25; diam. bocca cm 11,7; diam. piede cm 10,8
    Etichetta “Humphris C. n. 5” che ricopre un’altra etichetta circolare; etichetta stampata “22
     
    Sbeccature di usura all’orlo della bocca e al piede; segni di usura al calice; lievi felature
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, glazed and painted in cobalt blue
    H. 25 cm; mouth diam. 11.7 cm; foot diam. 10.8 cm
    Label ‘Humphris C. n. 5’ over another circular label; printed label ‘22’
     
    Wear chips to rim and foot; wear to body; minor hairline cracks
     
    An export licence is available for this lot
     
    L’albarello ha una larga imboccatura con orlo angolato ed estroflesso tagliato a stecca. Il collo alto e svasato scende alla spalla, obliqua e dal profilo inclinato che si collega al corpo cilindrico. Quest’ultimo è unito al calice, anch’esso con profilo arrotondato, che lo collega con forte strozzatura a un piede piano appena estroflesso.
    Il decoro è delineato secondo le modalità  decorative del gruppo chiamato in “azzurro prevalente”. Sul collo corre un decoro a catenella continua, delimitata da linee parallele. La spalla mostra invece un motivo continuo a spirali inserite a riempimento di una linea sinuosa. Sul corpo, la decorazione è suddivisa in due metope che racchiudono rispettivamente una cicogna inserita in una riserva e circondata da un motivo a rosette e foglie di prezzemolo e una civetta circondata dallo stesso motivo decorativo. Gli animali, fortemente stilizzati, sono avvolti in una fitta tessitura di puntinature, spirali e fogliette. Tra loro è dipinta una fascia verticale con un decoro sinuoso continuo.
    Joseph Chompret, pubblicando l’albarello, lo attribuiva a manifattura fiorentina e lo datava al 1460. Carmen Ravanelli Guidotti, analizzando un esemplare di dimensioni minori della collezione Fanfani e un altro appartenente alla raccolta Cora, sposa l’attribuzione alle manifatture di Montelupo ipotizzata da Cora nella sua monumentale opera.
    La nuova classificazione proposta da Berti inserisce questo tipo di decorazione nel genere 10.1.1, superando la classificazione di Cora per famiglie: in questo caso la famiglia italo-moresca. Nella produzione italo-moresca compresa nell’arco cronologico dal 1410-20 fino al 1490 si incontrano generi di decori ben distinti, che denotano una sempre maggiore standardizzazione indotta dal decollo e dalla commercializzazione della produzione montelupina. Il genere più antico “a figura contornata”, realizzato in monocromia azzurra, è tra i più diffusi. La caratteristica principale è data dal collocare la raffigurazione principale all’interno di uno spazio riquadrato da una linea dal profilo irregolare che segue a distanza quello della figura protagonista. L’uso della foglia di prezzemolo è associata al decoro principale.
    La datazione degli esemplari con decori “a figura contornata” ècompresa tra il 1410-1420 e il 1450 e si distingue per il comparire di scelte cromatiche nuove con il progredire del tempo.
    I confronti con il primo genere è supportato da rassicuranti analogie: la figura dell’animale all’interno della cornice non rimarcata in blu; la catenella lungo il collo e il motivo sulla spalla, riprodotti anche in sottogruppi successivi in modalità  più corrive; infine i petali dei fiori non riempiti di colore. L’assenza nel nostro esemplare di tocchi di bruno di manganese, il cui utilizzo sembra attestarsi verso la metà  

  • ALBARELLO Montelupo, 1440-1450 Maiolica decorata in monocromia blu di...
    Lotto 2

    ALBARELLO


    Montelupo, 1440-1450


    Maiolica decorata in monocromia blu di cobalto
    alt. cm 22; diam. bocca cm 12; diam. base cm 12
    Sul fondo etichetta stampata “Galleria Pesaro/Milano”; manoscritto numero “6


    Intatto; usure all’orlo, alla spalla e al piede


    Corredato da attestato di libera circolazione


    Earthenware, glazed and painted in cobalt blue
    H. 22 cm; mouth diam. 12 cm; foot diam. 12 cm
    Printed label ‘Galleria Pesaro/Milano’; handwritten n. ‘6’


    In very good condition; wear to rim, shoulder, and foot


    An export licence is available for this lot


    Il vaso apotecario ha un’imboccatura larga con orlo piano appena estroflesso e collo cilindrico breve terminante in una spalla carenata. Il corpo è cilindrico e termina in un calice appena accennato, con una strozzatura che finisce nel piede a base piatta con orlo arrotondato. Sotto la base, è visibile un’incisione scalfita dopo la cottura.
    Il decoro, dipinto in blu di cobalto, è incentrato su una distribuzione simmetrica in registri sovrapposti senza soluzione di continuità.
    La morfologia del contenitore è ben nota ed è tipica dei manufatti in maiolica prodotti dalle officine toscane già nel corso del secolo XIV, ma con massima diffusione nel corso del secolo XV.
    L’albarello proviene dalla collezione Ducrot, passata all’asta a Milano presso la “Galleria Pesaro” nel 1934 come opera di area toscana della metà del secolo XV. Chompret già nel 1946 attribuiva questa serie di opere ad area fiorentina, associando a questo alcuni altri pezzi come confronto: fra questi, per esempio, l’albarello del Victoria and Albert Museum, morfologicamente e stilisticamente assai vicino al nostro vaso.
    Molti sono infatti gli esemplari di confronto, conservati nelle principali raccolte museali del settore, ai quali si può fare riferimento. Fra questi, ve n’è uno conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge che presenta una variante nella piccola ansa aggiunta appena sotto il collo; un altro è al Museo di Berlino.
    R

  • ALBARELLOFirenze, 1450-1475  Maiolica rivestita da smalto bianco crema...
    Lotto 3

    ALBARELLO
    Firenze, 1450-1475
     
    Maiolica rivestita da smalto bianco crema decorata a zaffera blu, con tocchi di verde rame e bruno di manganese nei toni del viola
    alt. cm 17,2; diam. bocca cm 10; diam. piede cm 9
    Sul fondo numeri a matita poco leggibili
     
    Corpo interessato da felature causate dall’uso; usure all’orlo, alla spalla e al piede con cadute di smalto; una rottura scende dall’orlo, di fianco allo stemma, fino al piede e si diparte lungo il corpo per risalire poco oltre
     
    Earthenware, covered with a creamy-white tin glaze and painted in zaffera blue (cobalt blue) with touches of copper green and manganese
    H. 17.2 cm; mouth diam. 10 cm; foot diam. 9 cm
    On the bottom, numbers hand-written in pencil (hardly readable)
     
    Hairline wear cracks to body; wear to rim, shoulder, and foot, with some glaze losses; a crack running across the body from the rim – beside the coat-of-arms – to the foot and up the side of the body
     
    L’albarello ha corpo cilindrico, che si restringe scendendo verso il basso, e piede a base piana. La spalla è arrotondata, il collo è basso con imboccatura larga dall’orlo appena aggettante tagliato a stecca.
    Il corpo è interamente ricoperto da smalto bianco, ad eccezione della base e dell’interno. Un motivo decorativo a fasce parallele, una delle quali tratteggiata, corre lungo la spalla. Sul corpo si distingue un decoro a larghe foglie di prezzemolo, disposte a centrare alcune linee a spirale; fogliette minori sono utilizzate a riempimento delle campiture e tocchi di verde ramina completano l’ornato. Al centro della composizione compare uno stemma, a scudo semplice con fasce parallele blu e giallo.
    Lo smalto è grasso, i colori stesi in abbondanza: il blu del decoro fogliato è “a zaffera” corposo, visibilmente in rilievo. Il giallo antimonio dello stemma presenta bolliture e tracce di rosso, quasi fosse stato mischiato con ferro per ottenere un colore più intenso.
    L’attribuzione dell’oggetto oscilla tra il Lazio, l’Umbria la Toscana (l’emblema araldico non è stato per il momento individuato), ma la sua collocazione in area fiorentina, o comunque toscana, per quanto generica ci pare probabile.
    La materia, ancora molto legata alla presenza della zaffera, con l’introduzione di elementi di colore, in particolare bruno di manganese e giallo, e il decoro di transizione tra i motivi ancora legati all’influenza orientale con i primi accenni di un impianto gotico, ci inducono a ipotizzare per questo oggetto una datazione agli ultimi anni del secolo XV.

  • ORCIOLO BIANSATOMontelupo, 1470-1480  Maiolica decorata in policromia...
    Lotto 4

    ORCIOLO BIANSATO
    Montelupo, 1470-1480
     
    Maiolica decorata in policromia con blu, bruno violaceo, verde e giallo ocra su fondo a smalto stannifero bianco crema
    alt. cm 23; diam. bocca cm 10,4; diam. piede cm 10,6
    Sotto le anse è delineata una marca con il segno della “scala”
    Sotto la base etichetta di spedizione da Parigi stampata con dattiloscritto “C. HUMPHRIS n. 3”, che copre un’altra etichetta. Sotto la base numeri rossi di collezione “L.37.30.75” e “L.1660.75
     
    Sbeccature d’uso al piede e alle anse; consunzione all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a creamy-white tin glaze and painted in blue, manganese purple, green, and ochre yellow
    H. 23 cm; diam. 10.4 cm; foot diam. 10.6 cm
    Below each handle, ‘ladder mark’ (painted)
    Shipping paper label from Paris typewritten with ‘C. HUMPHRIS n. 3’, covering another collection label; on the bottom, collection numbers in red: ‘L.37.30.75’ and ‘L.1660.75’
     
    Wear chips to foot and handles; wear to rim
     
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    Il vaso ha corpo ovoidale con larga imboccatura dall’orlo piano ed estroflesso che scende in un collo basso e troncoconico. Il piede è a base piana con un accenno di orlo. Dalla spalla, appena sotto il collo, si distaccano due anse a nastro appena incavato, che scendono fino alla parte più prominente della pancia.
    La decorazione del collo vede un sottile nastro di colore verde, profilato di blu, che orla una fascia con una serie continua di segni blu a virgola alternati a sottilissime puntinature in manganese: un nastro giallo separa il collo dal corpo. Qui la decorazione mostra due ritratti di profilo racchiusi entro medaglioni circolari incorniciati da fasce concentriche di colore verde e giallo, e da una più larga a tratti blu con puntinature in manganese. I profili sono circondati da una riserva che ne segue la forma, le campiture vuote sono riempite da piccoli fiori multipetalo e da decori fitomorfi. Il ritratto maschile indossa un copricapo a punta, mentre quello femminile ha un fazzoletto annodato attorno al capo. La parte restante del corpo del vaso è decorata da larghe girali fitomorfe con foglie alternate a piccoli fiori e a sottili elementi a tratteggio. Sotto l’attacco delle anse compare una marca con il segno della “scala”.
    Numerosi gli esempi di vasi di questa foggia in ambito montelupino a partire dalla metà  del XV fino agli inizi del secolo XVI.
    Le forme sono attestate con decori di derivazione orientale, “a zaffera”, cioè dominati da elementi vegetali realizzati in blu cobalto, “a palmetta persiana” o “in azzurro prevalente”, cui appartiene il decoro qui scelto, definito da Fausto Berti come “floreale a girali”, spesso utilizzato nelle forme aperte, ma testimoniato anche in quelle chiuse.
    I contesti di scavo di Montelupo hanno restituito reperti databili agli anni Sessanta del ’400, anch’essi caratterizzati dal segno della scala.
    Si tratta comunque di esempi relativi alla fase di transizione verso i motivi rinascimentali, durante la quale l’influenza orientale è ancora sentita, ma viene sempre più spesso trasformata e adeguata al gusto dell’epoca, orientandosi verso decori di gusto già gotico, per arrivare all’abbandono della tavolozza fredda.
    Berti, pubblicando un boccale con ritratto femminile assai simile al nostro, afferma che la forte fisicità  del ritratto richiama certe raffigurazioni femminili dell’e

  • ALBARELLOMontelupo, 1480-1490 circa Maiolica ricoperta da uno smalto...
    Lotto 5

    ALBARELLO
    Montelupo, 1480-1490 circa
     
    Maiolica ricoperta da uno smalto spesso, color bianco-crema, dipinto in blu, giallo-arancio e bruno di manganese.
    Sotto la base tracce di cartellino e tracce di numeri scritti a china
    alt. cm 34,3; diam. bocca cm 12,2; diam. piede cm 12,8
     
    Intatto, salvo una felatura passante che interessa il collo e parte del corpo; cadute di smalto ricoperte da restauro lungo la spalla e lungo il calice
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a thick, creamy-white tin glaze and painted in blue, yellowy-orange and manganese
    H. 34.3 cm; mouth diam. 12.9 cm; foot diam. 12.4 cm
    On the bottom, remains of a paper tag and remains of numbers hand-written in black ink
     
    In very good condition, with the exception of a heavy hairline crack running along the neck and part of the body; some glaze losses covered by restoration along the shoulders and body
     
    An export licence is available for this lot
     
    L’albarello ha un’imboccatura larga con orlo appiattito, tagliato a stecca, con accenno di estroflessione. Il collo cilindrico, molto breve, si apre in una spalla appena angolata dal profilo arrotondato; essa scende nel corpo cilindrico lievemente carenato che si richiude in un calice breve, concluso da un piede piano con orlo appena espanso all’esterno.
    Il vaso, di grandi dimensioni, è interamente ricoperto da una decorazione “a foglia di prezzemolo”, costituita da una densa serie di segni blu disposti a stella al centro di una fitta rete di sottili segni tracciati in manganese, collocati simmetricamente e inframmezzati da puntinature arancio. La rete è intervallata da sottili linee verticali con puntinature di colore blu cobalto. La parte frontale del vaso è interessata dalla decorazione principale: un emblema dipinto con ampio uso di manganese che riporta un simbolo, probabilmente farmaceutico, non individuato. Il simbolo è circondato da una corona a petali di colore arancio poggiante su una fascia blu. Al centro del medaglione un fitto motivo puntinato alternato a nuvole riempie la riserva bianca.
    Questo decoro rappresenta uno dei generi principali nella produzione vascolare toscana a smalto dell’ultimo ventennio del secolo XV.
    La documentazione di maggior rilievo è rappresentata da un gruppo di ceramiche custodite nella Farmacia di Santa Fina a San Gimignano.
    Il decoro principale trae la sua ispirazione da motivi “ispano-moreschi”: si tratta del decoro a hoja de pérejil, spesso utilizzato dai ceramisti spagnoli di Manises nel corso del secolo XV. Il motivo decorativo è stato accolto dai ceramisti toscani sostanzialmente con poche varianti. L’uso del decoro è presente in ceramiche di uso domestico, come nel vasellame da mensa, e in forme chiuse di uso farmaceutico dove è testimoniato da alcuni esemplari. Galeazzo Cora nel 1973 trattò con molta attenzione questo gruppo di ceramiche, tanto da darne la definizione di “tipo Santa Fina”. Oggi si è osservato che, nel gruppo di ceramiche della farmacia di San Gimignano da cui deriva il nome, la decorazione è dipinta sull’ingobbio ed è di una qualità  inferiore rispetto a quella di altri esemplari con medesimo ornato.
    Fausto Berti ha nuovamente classificato tali oggetti sulla scia dei nuovi ritrovamenti archeologici di certa provenienza montelupina e comunque del Valdarno.
    Un piatto o vassoio databile al 1489-1492, conservato al Museo Archeologico della Ceramica di Montelupo, E' un chiaro esempio di decoro in cui già  si nota come la sostituzione del lustro spagnolo con i tratti in manganese e lumeggiature arancio, pur r

  • ORCIOLOMontelupo, Lorenzo di Piero di Lorenzo, 1513-1534 Maiolica...
    Lotto 6

    ORCIOLO
    Montelupo, Lorenzo di Piero di Lorenzo, 1513-1534
     
    Maiolica decorata in blu di cobalto in tono intenso e materico, rosso ferraccia e giallo antimonio
    alt. cm 23,5; diam. bocca cm 8,5; diam. base cm 11
    Sul retro, sotto l’ansa, marca incrociata “L. O. P.”
    Sotto la base, numero “988” timbrato in inchiostro blu
     
    Intatto; sbeccature d’uso sull’orlo, sull’ansa e sul piede; lievi cadute di smalto sul corpo; segni di appoggio in cottura
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in an intense and textured cobalt blue, iron red, and antimony yellow
    H. 23.5 cm; mouth diam. 8.5 cm; foot diam. 11 cm
    On the back, below the handle, ‘L. O. P.’ crossed mark
    On the bottom, number ‘988’ stamped in blue ink
     
    In very good condition; wear chips to rim, handle and foot; minor glaze losses to body; kiln-support marks
     
    An export licence is available for this lot
     
    L’orciolo, con orlo tagliato a stecca, ha un versatore a beccuccio che si diparte dal corpo verso l’alto ed è raccordato al collo da un cordolo a sezione cilindrica. Il piede è piano, appena estroflesso. L’ansa, a nastro e con costolatura al centro, parte poco sotto il bordo e si raccorda al corpo nel punto più largo della pancia. La superficie del vaso è interamente smaltata, anche all’interno, fatta eccezione per la base del piede.
    Lungo tutto il corpo si sviluppa un decoro a “palmette”, interrotto solo da uno stemma collocato sotto il beccuccio e da una riserva al di sotto dell’ansa, nella quale si legge la sigla della bottega. L’ansa è decorata con pennellate blu. Il decoro principale è realizzato in blu di cobalto con il ferraccia e il giallo antimonio utilizzati per dar luce alle palmette e poi riutilizzati nella decorazione dello stemma. Il gioco cromatico che alterna il giallo e il ferraccia è utilizzato nelle chiavi di San Pietro, e nelle rosette laterali allo stemma dominato dalla tiara papale. Lo stemma d’oro a sei palle – poste in cinta la prima, in capo d’azzurro caricata in tre gigli, le altre cinque in rosso – si riferisce a un papa della famiglia Medici: Leone X (1513-1521) oppure Clemente XVII (1523-1534).
    Lo stemma è ampiamente rappresentato in opere di maiolica delle manifatture fiorentine e di Montelupo, spesso senza riferimenti attributivi iconografici, e quindi difficilmente assegnabile all’uno o all’altro papa Medici.
    Gli studi più recenti hanno meglio definito gli ambiti produttivi toscani, spostando l’attribuzione di molti esemplari dalle manifatture di Cafaggiolo a quelle di Montelupo Fiorentino. In particolare, sappiamo che le botteghe montelupine furono spesso ingaggiate per i “fornimenti” di maioliche per il patriziato fiorentino.
    Per quanto riguarda l’attribuzione a Montelupo, e con maggiore precisione alla bottega dei Sartori, si deve obbligatoriamente fare riferimento agli studi che negli anni Ottanta del secolo scorso hanno visto le osservazioni tipologiche proposte dagli studiosi suffragate da una vasta e nuovissima indagine archeologica, avviata negli anni Settanta. In particolare Alessandro Alinari, nell’analisi della sigla presente anche nel nostro orciolo, ricorda una delle ipotesi di G. Guasti, che nel 1902 aveva indicato una possibile lettura in un intreccio tra una “L”, una “P” e una “O”, attribuendo la sigla a un “Lorenzo di Philippo orciolaio”. Marco Spallanzani si associa a tale attribuzione, anche alla luce dell’identica provenienza dei reperti recanti

  • VASO DECORATIVO DEL TIPO AD ANFORAFirenze, Giovanni della Robbia, 1515-1520...
    Lotto 7

    VASO DECORATIVO DEL TIPO AD ANFORA
    Firenze, Giovanni della Robbia, 1515-1520 circa
     
    Terracotta invetriata in azzurro ceruleo, con stemma Medici (del ramo detto ‘di Chiarissimo’), riferibile a Paolo di Piero di Orlando, Gonfaloniere della Repubblica;
    alt. cm 28, 5, diam. bocca cm 17,5, diam. piede cm 14,4
     
    Cadute di smalto sul corpo. Restauri al piede, all’orlo della bocca e ad una baccellatura
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a cerulean blue glaze, with Medici coat-of-arms (of the so-called ‘di Chiarissimo’ family branch) that can be referred to Paolo di Piero di Orlando, Gonfaloniere della Repubblica
    H. 28, 5 cm, mouth diam. 17,5 cm, foot diam. 14,4 cm
     
    Restoration to rim, foot and a “baccellatura”; minor glaze losses to body
     
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    Sontuoso nell’elegante profusione ornamentale di gusto archeologico e potente nelle misurate proporzioni questo ricercato vaso decorativo ad anfora di forma composita, smaltato in azzurro ceruleo intenso e screziato a simulare un intaglio nella pregiata pietra di lapislazzuli, si distingue tra le testimonianze piùrappresentative e rare - anche in ragione della singolare presenza di uno stemma che ne sancisce la prestigiosa committenza medicea - di una peculiare produzione particolarmente apprezzata nella pur vasta e varia attività robbiana, che, al pari della più popolare plastica araldica, ne attesta il felice impegno nella scultura aniconica e nell’arredo profano.
    Fu sullo scorcio del Quattrocento Andrea della Robbia (Firenze 1435-1525), intraprendente nipote ed erede nell’arte del grande Luca (Firenze 1399/1400-1482), magistrale, prolifico interprete della sua ‘segreta invenzione’ della scultura invetriata, a tradurre in opere autonome i raffinati vasi all’antica, smaltati ad imitazione di pietre dure, già  da tempo modellati a rilievo nelle cornici di ancone e tabernacoli come sorgivo supporto dei festoni vegetali che contraddistinguono la plastica robbiana. Ma spetta a due dei figli e collaboratori del maestro dotati di una più spiccata vena decorativa, Giovanni (Firenze 1469-1529/30) e Luca ‘il giovane’ (Firenze 1488 - Parigi 1566), la diffusione nei primi decenni del Cinquecento di simili manufatti. Perlopiù provvisti di un coperchio in forma di rigoglioso mazzetto di frutta e fiori, furono utilizzati sia in contesti ecclesiastici, spesso come ornamento apicale di edicole ed altari invetriati allusivo ai doni della grazia divina, sia come festosi e pregiati arredi domestici dei palazzi signorili, dove potevano simboleggiare la prosperità della casa e la fecondità della famiglia, posti, talora in coppie, sopra le cimase di porte, lavabi, camini, come attestano gli inventari del tempo, od anche sopra le testiere dei letti, come si vede in alcuni rilievi dello stesso Giovanni della Robbia raffiguranti la Nascita del Battista (formelle replicate nei fonti battesimali di San Giovanni Battista a Galatrona, 1510-21; di San Leonardo a Cerreto Guidi, 1511; della pieve di San Donato in Poggio, 1513, etc.). Una fortunata produzione, che purtroppo attende ancora un’esauriente, ricognizione sistematica, raggruppabile secondo le forme e gli ornati in quattro principali tipologie - la più diffusa con corpo ovoide ad orciolo, le altre ad anfora, con corpo composito di complessità  crescente -, ciascuna replicata, presumibilmente con l’ausilio di calchi, in diversi esemplari spesso contraddistinti da qualche variante, cui si aggiungono una mezza dozzina di modelli noti in una sola versione.
    L’inedito vaso in esame documenta un modello del tipo ad anfora del quale non si conoscono altri esemplari, e, come suggerisce lo stemma, probabilmente fu così realizzato per soddisfare il gusto del committente, come pezzo unico o al più di una coppia in seguito smembrata. Sul

  • COPPIA DI ALBARELLIMontelupo, 1500 circa Maiolica decorata in policromia con...
    Lotto 8

    COPPIA DI ALBARELLI
    Montelupo, 1500 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con verde, giallo, arancio, blu e bruno di manganese nei toni del nero-violaceo
    a) alt. cm 25,5; diam. bocca cm 11,7; diam. base cm 11
    b) alt. cm 26,8; diam. bocca cm 11,2; diam. base cm 11
    Sotto la base entrambi gli albarelli presentano etichette e numeri di inventario delle collezioni di provenienza:
    a) Etichetta dattiloscritta: “M.M.14.”/ MAIOLICA DRUG VASE (Albarello)/ Painted with leafy scrolls/ and the inscription “Coloquintida” (Colocynth) Faenza (Casa/Pirota) Italian. 15th century/ J.P. Morgan Collection.”;Etichetta Humphris C./ ”n° 8/2.“. Numeri di inventario L.37.30.17, PM 2191, L.1650.17, scritti in rosso sulla terracotta
    b) Etichetta dattiloscritta: "M.M.16”/ MAIOLICA DRUG VASE (Albarello)/ Painted with leafy scrolls &/ the inscription “Dictivio/ Bia(N)cho” Faenza. (Casa/ Pirota) Italian. 15th century./ J.P. Morgan Collection.”; Etichetta “Humphris C. n° 8/2.”. Numeri di inventario L.37.30.18, PM 2199, L.1650.18, scritti in rosso sulla terracotta
     
    Intatti; a) usure all’orlo e alla spalla; b) cadute di smalto
     
    Corredato da doppio attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in green, yellow, orange, blue, and blackish manganese purple
    a) H. 25.5 cm; mouth diam. 11.7 cm; foot diam. 11 cm
    b) H. 26.8 cm; mouth diam. 11.2 cm; foot diam. 11 cm
    On the bottom, old collection labels and inventory numbers:
    a) Label, typewritten with: ‘M.M.14.’/ MAIOLICA DRUG VASE (Albarello)/ Painted with leafy scrolls/ and the inscription ‘Coloquintida’ (Colocynth) Faenza (Casa/ Pirota) Italian. 15th century/ J.P. Morgan Collection.’; label ‘Humphris C./’n. 8/2.‘; inventory numbers ‘L. 37.30.17, PM 2191, L.1650.17’ written in red on earthenware
    b) Label, typewritten with:
    ‘M.M.16’/ MAIOLICA DRUG VASE (Albarello)/ Painted with leafy scrolls &/ the inscription “Dictivio/ Bia(N)cho” Faenza. (Casa/ Pirota) Italian. 15th century./ J.P. Morgan Collection.’; label ‘Humphris C. n° 8/2.’; inventory numbers ‘L. 37.30.18, PM 2199, L.1650.18’ written in red on earthenware
     
    In very good condition; a) wear to rim and shoulder; b) glaze losses
     
    An export licence is available for this lot
     
    Gli albarelli hanno forma cilindrica, con larga imboccatura ad orlo estroflesso e base piana. La superficie è smaltata anche all’interno. La decorazione presenta, al centro del corpo, una corona fogliata che incornicia un emblema, probabilmente quello della farmacia di provenienza, costituito da un garofano su stelo con due foglie stilizzate. Tutt’intorno corre un motivo gotico a larghe foglie accartocciate, tra le quali s’inseriscono sottili spirali e puntini a riempimento delle campiture libere. Nella parte bassa del vaso, entro un nastro orizzontale, corre la scritta apotecaria “COLO qVINTIDA” nel primo albarello, e “DIcTIVIO. BIACHO” nel secondo. Nelle fasce decorative secondarie si scorgono leggere differenze: sulla spalla e nella parte bassa dei vasi è presente un motivo a spina nel primo albarello e a “S“ nell’altro; e, a scendere fino al piede, compaiono un decoro a fioretti e righe parallele nell’albarello a) e uno a nodo ”a groppo” seguito da una riga a spina nell’esemplare b).
    Entrambi gli albarelli conservano ancora il cartellino che ne indica l’appartenenza alla celebre collezione newyorkese Morgan con la tradizionale attribuzione a Faenza.
    Questo tipo di maioliche era considerato opera delle botteghe faentine del secolo XVI: l’attribuzione è riportata da Seymour de Ricci nel 1927, che sposava l’attribuzione proposta da Castellani in occasione del passaggio sul mercato di questi due vasi a Roma nel 1884. La paternità faentina fu confermata da Wallis nella schedatura di un

  • COPPIA DI ALBARELLIMontelupo, 1480-1495 Maiolica decorata in policromia...
    Lotto 9

    COPPIA DI ALBARELLI
    Montelupo, 1480-1495
     
    Maiolica decorata in policromia con rosso, arancio, giallo, verde e blu
    a) alt. cm 22,6; diam. bocca cm 9,8; diam. piede cm 9,9
    b) alt. cm 22,7; diam. bocca cm 10; diam. piede cm 10,4
    Sotto la base numero a china manoscritto: a) 744; b) 741
     
    a) minime sbeccature al piede e usure all’orlo;
    b) minime sbeccature al piede e usure all’orlo
     
    Earthenware, painted in red, orange, yellow, green, and blue
    a) H. 22.6 cm; mouth diam. 9.8 cm; foot diam. 9.9 cm
    b) H. 22.7 cm; mouth diam. 10 cm; foot diam. 10.4 cm
    On the bottom, number hand-written in black ink: a) ‘744’; b) ‘741’
     
    a) minor chips to foot and wear to rim;
    b) minor chips to foot and wear to rim
     
    I vasi presentano corpo cilindrico con base carenata e piede piano. Hanno spalla stretta e alta molto inclinata, bocca ampia con orlo appena estroflesso e orlo a taglio netto.
    La superficie degli albarelli è interamente ricoperta da smalto color crema, su cui è tracciato con ampie pennellate un motivo a “occhio di penna di Paona”.
    Questo decoro, di origine medio-orientale, costituisce insieme al decoro con palmetta persiana uno degli elementi caratterizzanti della fase propriamente rinascimentale della maiolica italiana (1480-1520). Questa tipologia decorativa ebbe un notevole successo nelle botteghe faentine, tanto che spesso molti manufatti di diversa provenienza, sui quali era presente questo motivo, erano attribuiti alla città romagnola. Galeazzo Cora ha poi conferito la classe ceramica qui presentata alle manifatture toscane: in particolare, un piccolo albarello appartenente alla collezione G.C. con caratteristiche stilistiche decorative affini a quelle del nostro esemplare viene ascritto ad area fiorentina. Gli scavi condotti nel territorio di Montelupo hanno permesso di aggiudicare con maggior certezza questo gruppo, anche se i due centri di produzione, Faenza e Montelupo, hanno entrambi utilizzato questo ornato in forme variate e, talvolta, contaminate da altri decori, ma sempre con un diverso equilibrio formale e cromatico. Lo stesso motivo decorativo, che si inserisce nella produzione montelupina come elemento accessorio attorno al 1470, è stato riproposto anche dalle manifatture senesi e derutesi, ma con esiti più contenuti.
    Nell’analisi degli esemplari della raccolta Fanfani Carmen Ravanelli Guidotti propone alcuni esemplari che, per impianto decorativo, si discostano dai nostri albarelli, con un’ornamentazione comunque maggiormente semplificata. Più affine per modalità decorative è il boccale della collezione Cora ora al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza. Esemplari che potremmo definire analoghi sono i due albarelli della collezione Mereghi, anch’essi al museo di Faenza, un altro conservato al Kunstgewerbemuseum di Berlino e un oggetto simile segnalato nella collezione Kahan e venduto in un’asta Sotheby’s negli anni Sessanta del ’900.
    Le campiture tra i decori, nelle quali si possono riconoscere dei rombi riempiti da puntinature e motivi vegetali stilizzati, ci portano a datare i due albarelli tra il 1480 e il 1495.

  • ALBARELLOMontelupo, 1570-1590 Maiolica decorata in policromia con verde,...
    Lotto 10

    ALBARELLO
    Montelupo, 1570-1590
     
    Maiolica decorata in policromia con verde, arancio, giallo, blu e bruno di manganese
    alt. cm 15,4; diam. bocca cm 10,9; diam. piede 10,9
     
    Sbeccature e consunzioni d’uso alla spalla, all’orlo e al piede; restauro e fermatura di una felatura passante che dall’orlo scende fino al piede, passa sotto a questo assottigliandosi e risale sull’altro lato, fermandosi alla spalla
     
    Earthenware, painted in green, orange, yellow, blue, and manganese
    H. 15.4 cm; mouth diam. 10.9 cm; foot diam. 10.9 cm
     
    Chips and wear to shoulder, rim, and foot; a consolidated hairline crack, fixed with a metal clip, running from the rim down to the foot, going up the other side, and extending to the shoulder
     
    Il piccolo vaso apotecario ha corpo di forma cilindrica appena assottigliato al centro; il piede è piano, leggermente svasato all’esterno e con orlo arrotondato. La spalla è arrotondata, il collo breve e stretto con imboccatura larga, svasata con labbro tagliato a stecca.
    La decorazione si ripete in modo continuo sull’intera superficie dell’albarello e vede, sul collo, una seria di linee parallele fino al termine della spalla; il motivo è riproposto, in forma assottigliata, sul piede. Nella fascia centrale, una serie continua di ovali riempiono la superficie, disponendosi verticalmente verso la spalla e verso il piede. Il motivo è a sua volta decorato con linee a scalare, in arancio, blu e giallo, e racchiuso in un ovale blu. Gli spazi vuoti sono interessati da un sottile decoro in manganese che simula un motivo floreale fortemente stilizzato e semplificato.
    Un esemplare molto simile, proveniente dalla donazione Cora, è onservato al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza.
    Fausto Berti nel pubblicare questa tipologia decorativa sottolinea come a partire dalla metà circa del XVI secolo la produzione di maiolica cominci a riproporre i motivi ornamentali con stanchezza e in modo ripetitivo. Questa tendenza è maggiormente evidente proprio nelle maioliche da farmacia destinate a un uso meno prestigioso. L’ornato “ad ovali” del nostro vaso appartiene a questa fase, in cui gli artigiani tendevano a semplificare e a ripetere in modo frettoloso, quasi esasperato, la decorazione commissionata.

  • CRESPINAMontelupo, 1570-1575 Maiolica decorata in policromia con giallo...
    Lotto 11

    CRESPINA
    Montelupo, 1570-1575
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo antimonio, ocra, bruno di manganese nei toni del marrone, blu e verde
    alt. cm 6; diam. cm 32; diam. piede cm 11,7
    Sul retro iscrizione in bruno di manganese “.S. paulo/ Chonverso
     
    Ricomposto da più frammenti; piede mancante (probabilmente tagliato per inserire l’oggetto in una cornice); sbeccature e cadute di smalto
     
    Earthenware, painted in antimony yellow, ochre, brownish manganese, blue, and green
    H. 6 cm; diam. 32 cm; foot diam. 11.7 cm
    On the back, inscription in manganese ‘.S. paulo/ Chonverso’
     
    Recomposed from fragments; missing foot (it has probably been cut away to fit the dish in a frame); chips and glaze losses
     
    La coppa, o crespina, è modellata a stampo nella tipica forma con parete baccellata, orlo mosso con bordo arrotondato e piede svasato, qui mancante. Questa forma ebbe successo presso tutte le manifatture italiane del ’500, con alcune varianti morfologiche. Sul retro cerchi concentrici giallo-verdi, blu e arancio incorniciano la legenda.
    Sul fronte della coppa è raffigurato l’episodio del Nuovo Testamento con la “Conversione di San Paolo”. Paolo, giudeo ormai cittadino romano, cade da cavallo, abbagliato da un raggio luminoso che scende dalla mano di Dio, raffigurato nella parte alta del piatto in un cerchio di nuvole. Intorno a lui alcuni soldati, tra quelli che lo stavano accompagnando a Damasco, fuggono spaventati, altri gli prestano soccorso. Sullo sfondo si apre un paesaggio con una città con torri, cupole e palazzi, probabilmente Damasco, che si specchia in un fiume. Poco lontano, sulla sinistra, nelle vicinanze di alcune grotte arcuate e di una grande erma, due soldati sembrano condurre in catene una terza persona con la barba: forse una prefigurazione dell’arresto di Paolo a Gerusalemme prima del trasferimento a Roma.
    Le caratteristiche stilistiche e pittoriche della crespina ci indirizzano nell’attribuzione alle produzioni delle botteghe di Montelupo in un arco cronologico che va dal 1570 al 1575.
    Infatti la pubblicazione di una crespina molto simile, considerata una pietra miliare nella storia dello studio della maiolica figurata di Montelupo, determina con sicurezza l’attribuzione e costituisce un importante punto di riferimento per facilitare il riconoscimento delle maioliche in stile istoriato prodotte dalle manifatture toscane, in precedenza attribuite a Casteldurante o a Faenza: si tratta infatti di “una delle più straordinarie realizzazioni di ‘figurato canonico’ di Montelupo”. Entrambe le opere presentano sul retro le caratteristiche fasce concentriche, a larghe pennellate, che si alternano nei colori del giallo e del blu, molto diluiti, a sottolinearne la foggia irregolare. Nella tavolozza domina il giallo intenso, ma si osserva anche la caratteristica variante marrone del manganese utilizzata nella definizione dei dettagli e in intere sezioni del decoro, non ultima per la scritta sul retro. In quest’ultima si nota la somiglianza fra il ductus del “Ch” e della “S” e quello riscontrabile in oggetti similari di manifattura montelupina. La scena raffigurata è la medesima, ma lo stile nel nostro esemplare è molto preciso; tuttavia sono molte le variazioni rispetto all’incisione da cui il pittore ha tratto spunto. La figura principale di San Paolo è molto fedele all’incisione in entrambe le crespine; diverso è invece l’uso, nella parte alta del cavetto, della figura del Padreterno al posto del Cristo nel nimbo, come pure il raggio che dà origine alla conversione di Saulo, particolarmente marcato nel nostro esemplare.

  • PIATTOMontelupo, pittore “Istoriatore della Bibbia”,...
    Lotto 12

    PIATTO
    Montelupo, pittore “Istoriatore della Bibbia”, 1575
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, giallo ocra, bruno di manganese nella tonalità del marrone, verde e blu su smalto stannifero molto povero
    alt. cm 5,8; diam. cm 31; diam. piede cm 11
    Sul retro, al centro del cavetto, iscrizione in bruno di manganese nel tono del marrone “Come sollomon/ trouo di chera/ il fanciullo morto/ el il uiuo Dettolle/ ala madre sua
     
    Piccole felature; cadute di smalto fittamente crettato sul retro
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a very poor white tin glaze and painted in yellow, yellowy ochre, brownish manganese, green, and blue
    H. 5.8 cm; diam. 31 cm; foot diam. 11 cm
    On the back, at the centre of the well, inscription in brownish manganese ‘Come sollomon/ trouo di chera/ il fanciullo morto/ el il uiuo Dettolle/ ala madre sua’
     
    Minor hairline cracks; glaze losses; the glaze on the reverse is extensively crackled
     
    An export licence is available for this lot
     
    Piatto con cavetto poco profondo, ampia tesa appena inclinata e basso piede ad anello poco rilevato. Attorno al disco che ospita l’iscrizione è disegnata una doppia corona di petali.
    Sul fronte, ambientata nell’agorà di un’antica città, è rappresentata la drammatica scena biblica del giudizio di Salomone (Re 3, 16-28), descritta poi anche nella lunga frase apposta sul retro.
    Salomone, re d’Israele (961-922) e figlio di David, fu nominato alla successione per le pressioni della madre Betsabea. Eredità uno stato assai ampio, ma rinunciò alle attività militari e perse alcuni territori, mantenendo buoni rapporti con le popolazioni vicine al punto da sposare una figlia del faraone. Nella capitale costruì il palazzo reale e il tempio per cui è famoso. Rimasero proverbiali le sue doti di giustizia e di sapienza, obiettività  e imparzialità assolute. L’episodio descritto nel piatto è la celebre storia del giudizio di Salomone, che narra di due donne che vivevano insieme e avevano partorito negli stessi giorni un bambino: uno dei due morì nella notte e la madre ne scambiò il corpo con il figlio della compagna, la quale per questo motivo portò in giudizio l’altra donna rivolgendosi al re. Salomone ordinòallora di tagliare il bambino conteso in due e di darne una metà all’una e una metà all’altra. La vera madre allora rifiutò, piuttosto di fare del male al bimbo, e quindi il saggio re salvò il piccolo riconsegnandolo alla vera madre.
    Sul piatto, Salomone è raffigurato mentre, seduto sul trono, collocato sotto un porticato antistante la piazza, indica il bambino tenuto in braccio da un soldato incaricato di ucciderlo; le due madri sono sulla destra del piatto, una in piedi e l’altra inginocchiata in segno di preghiera; dei soldati, alcune donne e un giovane appoggiato a una colonna alle spalle del re assistono curiosi alla scena.
    Il disegno rapido e la tavolozza basata sui toni del giallo ocra aranciato, accompagnato dal blu cobalto acquarellato e dal verde ramina, presenta un carattere stilistico originale. Il piatto trova infatti riscontro nella serie prodotta dall’anonimo pittore attivo a Montelupo negli anni 1570-1575 denominato da Fausto Berti “Istoriatore della Bibbia”, il cui corpus di opere è stato recentemente aumentato e riordinato grazie alla pubblicazione dello studio di Carmen Ravanelli Guidotti. Particolarmente interessante è il confronto con uno di quei piatti: coerente è la distribuzione delle figure intorno a un

  • BOCCALEMontelupo, fine del XVI secolo Maiolica decorata in policromia...
    Lotto 13

    BOCCALE
    Montelupo, fine del XVI secolo
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, arancio, verde rame, blu di cobalto e bruno di manganese nei toni del nero-marrone
    alt. cm 21,5; bocca cm 11,5 al beccuccio; diam. piede cm 11,8
     
    Lacuna sul collo; cadute di smalto sul corpo; sbeccature d’uso al piede
     
    Earthenware, painted in yellow, orange, copper green, cobalt blue, and brownish-blackish manganese
    H. 21.5 cm; mouth 11.5 cm (width from handle to spout); foot diam. 11.8 cm
     
    Loss to neck; glaze losses to body; wear chips to foot
     
    Il boccale ha corpo globulare, imboccatura trilobata e ansa a nastro verticale contrapposta al beccuccio; poggia su un basso piede piano poco aggettante, e sul fronte presenta un medaglione profilato in bruno di manganese, circondato da una fascia bianca a risparmio e da una giallo-arancio, a sua volta profilata da linee in bruno di manganese. La cornice del medaglione termina sotto il beccuccio con un motivo decorativo, in cui si riconosce la rappresentazione di un anello con pietra incastonata. All’interno del medaglione è raffigurato un profilo femminile con capigliatura folta e crestina di pizzo bianca. Il ritratto, quasi caricaturale, spicca su un fondo giallo. Il resto del corpo presenta una decorazione a palmette attorniate da spiraline e da trattini a riempimento delle campiture. Una fascia attorno e sotto l’ansa è asciata libera ed è occupata solo dal monogramma ”Z”. L’ansa è a sua volta decorata da due linee verdi parallele.
    Il boccale appartiene a una produzione di Valdarno, che vede l’incontro e l’unione di più elementi datanti. Il ritratto femminile richiama stilemi ancora arcaici, d’ispirazione quattrocentesca (si vedano per esempio i ritratti degli albarelli montelupini più antichi con il profilo accentuato, il mento basso, il naso fortemente pronunciato e la capigliatura a masse sovrapposte), tuttavia i tratti somatici sono qui dipinti in modo rapido, corrivo, quasi disgregato. Il decoro a palmetta persiana, realizzato in versione evoluta, è anch’esso tratteggiato in modo rapido, poco accurato, quasi standardizzato. Ma, oltre a questi elementi, è soprattutto la marca a indurci a datare il pezzo attorno agli anni Settanta del ’500: essa infatti, come segnalato da Galeazzo Cora, caratterizza gli esemplari prevalentemente provenienti dal Borgo di Montelupo.

  • VASO APOTECARIO BIANSATOMontelupo, 1620-1640 circa  Maiolica decorata in...
    Lotto 14

    VASO APOTECARIO BIANSATO
    Montelupo, 1620-1640 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con azzurro, blu, verde, giallo, giallo-arancio e bruno di manganese nel tono del marrone
    alt. cm 34; diam. cm 12,2; diam. piede cm 11; ingombro massimo con le anse cm 30
     
    Sbeccature d’uso alle anse e al piede; un’ansa presenta una rottura incollata; qualche caduta di smalto al corpo
     
    Earthenware, painted in light blue, green, yellow, yellowy orange, and brownish manganese
    H. 34 cm; diam. 12.2 cm; foot diam. 11 cm; maximum width with handles 30 cm
     
    Wear chips to handles and foot; one handle repaired; some glaze losses to body
     
    Il vaso presenta corpo ovoidale su base stretta con piede distinto, piano e appena estroflesso; l’imboccatura è larga ed estroflessa; dai fianchi si dipartono due anse plastiche a forma di “drago”, dipinte in verde ramina e poggianti su due mascheroni a volto di satiro foggiati a rilievo e colorati di giallo. L’oggetto è privo di beccuccio per la fuoriuscita dei liquidi.
    Il corpo è interamente decorato con un motivo fitoforme, delineato in blu su fondo smaltato bianco: si tratta del decoro denominato “alla foglia blu”, che prevede l’utilizzo della girali “foliate” qui in una versione atipica, sostanzialmente semplificata con un tratto rapido ma sicuro, che delinea le foglie sul fondo bianco con una prima linea sottile per poi riempire le zone a risparmio dando corpo alle ombreggiature della foglia e del frutto con una pennellata più marcata. Sul fronte, entro un medaglione delimitato da pennellate blu, su un fondo giallo mosso da pennellate brune spicca la figura dell’Assunta seduta su una nuvola e sorretta da Angeli con le mani aperte nel segno dell’orante. Al di sotto del medaglione un cartiglio reca la scritta apotecaria, delineata a caratteri capitali, in bruno di manganese nel tono del marrone “AQVa Di CETACcA”. Il cartiglio è incorniciato da un motivo a volute verde ramina centrato nella parte superiore da un amorino e in quella inferiore da mascherone.
    La decorazione “alla foglia blu” è tipica della produzione degli ultimi fornimenti da farmacia di produzione montelupina, e Fausto Berti fa notare come l’opzione decorativa sia stata scelta anche da due forniture farmaceutiche ancora di rilievo, quella dell’Annunciazione e quella di Tobia accompagnato dall’Angelo, forse addirittura eseguite dalla stessa bottega con datazione intorno agli anni Quaranta del ’600.
    Si tratta comunque di un gruppo omogeneo, caratterizzato da una decorazione uniforme e ripetitiva, che denuncia la decadenza delle botteghe montelupine. Dal gruppo si distinguono alcuni esempi destinati a farmacie fiorentine di una certa importanza, trai quali Berti pubblica due orci probabilmente provenienti dalla stessa farmacia del vaso in esame: il primo esemplare è conservato nelle Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano, il secondo in una raccolta privata fiorentina. Gli orci presentano uno smalto meno ricco, ma la stessa decorazione, limitata però alla sola parte a vista dei contenitori, che per loro morfologia sono dotati di beccucci per la fuoriuscita dei liquidi e non dovevano quindi essere mossi dallo scaffale. Entrambi gli orci mostrano la figura dell’Assunta, priva di amorini ma con nembi che incorniciano interamente il medaglione, e il cartiglio con cornice a volute, dei quali uno anepigrafo.
    I due contenitori di confronto recano sotto l’ansa la marca dell’”amo”, la quale ci riconduce a una nota bottega montelupina che contrassegna le proprie maioliche fino al 1622. Secondo Berti la cronologia di questi vasi non dovrebbe distanziarsi tr

  • ALBARELLO BIANSATODeruta, 1460-1490 Maiolica decorata in policromia con...
    Lotto 15

    ALBARELLO BIANSATO
    Deruta, 1460-1490
     
    Maiolica decorata in policromia con blu a zaffera, verde rame e bruno di manganese nei toni del violaceo
    alt. cm 25,6; diam. bocca cm 12,6; diam. piede cm 10,8
     
    Intatto; sbeccature d’uso all’orlo, alle anse e al piede
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in zaffera blue (cobalt blue), copper green, and manganese purple
    H. 25.6 cm; mouth diam. 12.6 cm; foot diam. 10.8 cm
     
    In very good condition; wear chips to rim, handles, and foot
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il vaso apotecario ha bocca larga con orlo piano molto estroflesso che scende su un collo cilindrico basso, il quale a sua volta si congiunge con una spalla carenata dal profilo rigonfio. Il corpo è ilindrico, appena rastremato al centro; il calice è angolato, con profilo arrotondato, e scende con una forte strozzatura fino al piede piano e con orlo appena estroflesso. Le due anse, larghe e a nastro, sono tripartite con cordonatura centrale piana terminante in un bottone concavo e cordonature laterali dal profilo arrotondato che si dipartono dalla spalla per scendere fino quasi al bordo del calice.
    Il decoro del collo mostra una serie continua di tratti ed èreplicato anche lungo il piede. La spalla è decorata da una serie di palmette e palmette a ventaglio, secondo uno schema di gusto tardo-gotico. Il corpo è ornato da due metope principali con decori a foglie stilizzate, delimitate da due fasce verticali. Tra le metope su un lato si legge una lettera gotica “C” affiancata da motivi fogliati e puntinature e racchiusa in una riserva che ne segue il profilo, segnata in azzurro, sull’altro lato è dipinta una pianta di carciofo con due fiori, anch’essa racchiusa in una riserva profilata di azzurro.
    Le anse sono dipinte con tratti orizzontali in ramina e viola manganese nella cordonatura centrale e con pennellate appena arcuate tutt’intorno. L’attacco inferiore, premuto “a pizzico”, è esso in risalto dal colore verde ramina.
    Gli esemplari di confronto sono numerosi, e tra loro un riscontro morfologicamente puntuale si trova in un vaso della raccolta della Cassa di Risparmio di Perugia datato 1460-1490.
    La tipologia è stata per lungo tempo attribuita variamente alle botteghe faentine o alla Toscana, e in seguito ricondotta alla bottega originaria. La produzione di questi albarelli dovette essere cospicua, con grande varietà di forme e decori: gli scavi a Deruta hanno restituito frammenti relativi a esemplari con anse simili a quelle dell’opera in esame, ma prevalentemente a oggetti con anse a torciglione. I decori hanno trovato riscontro in mattonelle di pavimenti coevi e propongono motivi tardo-gotici con foglia accartocciata, fiamme, corde, lettere gotiche e altro. Molti reperti sono conservati nel museo di Deruta.
    Il vaso è accompagnato dalla documentazione relativa al suo passaggio sul mercato – in occasione della vendita della collezione Bak di New York – nella quale viene attribuito a una manifattura faentina del 1470; a conferma di quanto detto qui sopra, viene fatto riferimento, come provenienza, alle collezioni S. von Auspitz prima e Lanna di Praga poi. L’attribuzione si basava probabilmente sugli studi disponibili all’epoca, come per esempio il repertorio di Jeanne Giacomotti, nel quale erano raccolti diversi esemplari di questo genere.

  • COPPIA DI ALBARELLIDeruta, 1500-1510 circa Maiolica decorata in...
    Lotto 16

    COPPIA DI ALBARELLI
    Deruta, 1500-1510 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con rosso, arancio, giallo scuro, blu, verde ramina e bruno di manganese
    a) alt. cm 22,6; diam. bocca cm 10,5; diam. piede cm 11,7
    b) alt. cm 21,8; diam. bocca cm 9,8; diam. piede cm 11
    Sotto la base segni incisi dopo la cottura; numeri incisi e dipinti di bianco: a) “261”; b) “26”. Tracce di cartellini con numerazione
     
    a) cadute di smalto e sbeccature sul fronte; usure alla spalla; sbeccatura al piede
    b) felatura all’orlo; usure alla spalla
     
    Corredato da doppio attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in red, orange, dark yellow, blue, copper green, and manganese
    a) H. 22.6 cm; mouth diam. 10.5 cm; foot diam. 11.7 cm
    b) H. 21.8 cm; mouth diam. 9.8 cm; foot diam. 11 cm
    On the bottom, some marks have been carved in after firing; numbers incised and painted on in white: a) ‘261’; b) ’26’. Remains of paper tags with numbers
     
    a) on the front, glaze losses and chips; wear to shoulder; chip to foot
    b) hairline crack to rim; wear to shoulder
     
    An export licence is available for this lot
     
    I due contenitori apotecari hanno corpo cilindrico rastremato al centro, imboccatura larga con orlo svasato, un collo breve e spalla molto carenata. Il piede piano non smaltato, diviso dal corpo da una breve strozzatura, ha orlo arrotondato. Il corpo ceramico color camoscio scuro è ben visibile all’interno dei vasi, che non sono rivestiti da smalto, ma solo da invetriatura.
    La decorazione dell’albarello a) mostra un busto maschile di profilo, racchiuso in una ghirlanda di foglie e frutti centrata da due fiori racchiusi in un medaglione azzurrato. Nella parte posteriore, si sviluppa un lungo stelo con foglie dalla forma gotica e fruttini trilobati, circondato da piccole spirali a riempitura dei campi. Lungo la base, si articola un motivo a cordone seguito da una corona stilizzata. Sotto il piede, sono visibili dei segni incisi dopo la cottura.
    L’albarello b), fortemente coerente, è decorato da un profilo muliebre con capelli raccolti in una cuffia, abito con bustino e spalle coperte da uno scialle. Il profilo è circondato da una ghirlanda con foglie di quercia e piccole ghiande; anche in questo caso la ghirlanda è centrata da due fiori racchiusi in un medaglione. Il retro del vaso è occupato da un tralcio fitoforme con arricciature, piccole fogliette trilobate e fiori dalla corolla multipetalo, dipinti in verde e arancio. Il fondo vuoto è riempito da pennellature, cerchietti puntinati e spiraline. Lungo la base, un motivo a cordone, seguito da una corona stilizzata, riprende la decorazione del collo.
    Diversi albarelli appartengono alla stessa celebre serie di vasi sfornati a Deruta: ad esempio una coppia di albarelli con profili assai simili  conservata nella raccolta Gillet del Musée des Arts Décoratifs di Lione. Le differenze, rispetto ai nostri esemplari, sono minime: il coprispalle, le ghiande al posto dei fruttini e la scelta decorativa nei retri. Un albarello coerente, decorato con un profilo di giovane con copricapo, è conservato al Metropolitan Museum of Art di New York e databile 1510.
    Due esemplari simili dichiarati come datati 1507, l’uno decorato dal profilo di un giovane con berretto, l’altro da un profilo di donna, si trovavano nella collezione Adda: ad essi si fa generalmente riferimento per la cronologia di questo corredo farmaceutico. L’attribuzione è stata sostenuta per la prima volta da Rackham, che smentisce l’ipotesi di paternità senese sostenuta da Falke.
    Si è ipotizzato che i nostri due al

  • TONDINODeruta, 1500-1520 circa Maiolica decorata in policromia con...
    Lotto 17

    TONDINO
    Deruta, 1500-1520 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, blu, verde rame e bruno di manganese nei toni del nero-marrone su smalto bianco crema crettato
    alt. cm 2,8; diam. cm 25; diam. piede cm 8,2
    Sul retro cartellino di collezione molto usurato, numeri di inventario delle raccolte di provenienza in rosso: “L.37.03.92”, “L.1660.92”, “44459”(?)
     
    Nella parte alta della tesa sbeccatura ricoperta, con felatura passante che scende fino al medaglione; piccola caduta di colore integrata sul fronte a destra in alto vicino al medaglione; sbeccature minime al bordo e usure
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a crackled creamy-white glaze and painted in orange, blue, copper green, and blackish-brownish manganese
    H. 2.8 cm; diam. 25 cm; foot diam. 8.2 cm
    On the back, collection paper tag (worn); old collection inventory numbers in red: ‘L.37.03.92’ and ‘L.1660.92’; ‘44459(?)’
     
    On the upper part of the broad rim, a chip repainted and a heavy hairline crack running down to the central decorative panel; on the front, a minor colour loss, repainted; minor chips to rim; slight wear
    Il tondino presenta un cavetto profondo a larga tesa piana con orlo arrotondato.
     
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    Il decoro vede, al centro del cavetto, un ritratto di paggio con lunghi capelli e copricapo: il fanciullo indossa una casacca chiaroscurata in un color verde molto diluito. Lo sfondo alle spalle del personaggio è suggerito, in alto, da alcune righe azzurre, mentre sul davanti il profilo è fortemente risaltato da pennellate blu scuro che si schiariscono progressivamente, ombreggiando lo sfondo. Il tondo che racchiude la figura è delimitato da un motivo decorativo a cordonatura, cui si sovrappone una fascia a punte, nelle quali sono inscritti piccoli triangoli blu, contornata da semisfere arancio disegnate di blu.
    L’attribuzione alla città umbra di Deruta è ormai generalmente accettata.
    Lo studio di un gruppo di piatti “petal back” associati a monogrammi o lettere pubblicati da Bernard Rackham nel 1915 aveva inizialmente comportato l’attribuzione alle botteghe di Deruta piuttosto che a Faenza, Forlì, Pesaro o Cafaggiolo precedentemente citate. In opposizione a Rackham, Otto Von Falke aveva invece sostenuto l’attribuzione di questo gruppo alla bottega di maestro Benedetto di Siena. Chompret aveva sposato quest’ultima ipotesi, nonostante la scoperta a Deruta di alcuni frammenti.
    Riguardo a questo motivo decorativo, è significativo quanto pubblicato dopo gli scavi nelle vicinanze dell’Istituto d’Arte di Deruta, che hanno portato alla luce resti di fornace: infatti attraverso la pubblicazione dei frammenti sono state chiarite le tipologie e la cronologia di questo genere di motivi.
    Un confronto assai prossimo è costituito da un piatto del Fitzwilliam Museum di Cambridge, con ritratto di San Francesco, che presenta caratteristiche decorative molto simili: si veda per esempio l’uso della fascia dentellata a decoro del medaglione centrale e alcuni dettagli nella decorazione della tesa. Il piatto, attribuito all’Umbria e datato tra il 1500 e il 1520, si distingue dall’esemplare in esame per il retro, nel quale il motivo ornamentale è solo accennato.
    I piatti con ritratti, come quello in oggetto, appartengono alla categoria dei “ritratti amatori”, molto in voga tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500, e prodotti da tutte le manifatture italiane. I piatti amatori ebbero grande fortuna a Faenza e raggiunsero

  • PIATTO DA POMPADeruta, 1500-1520 Maiolica decorata in blu di cobalto e...
    Lotto 18

    PIATTO DA POMPA
    Deruta, 1500-1520
     
    Maiolica decorata in blu di cobalto e lustro dorato
    alt. cm 9,4; diam. cm 42; diam. piede cm 13,9
    Sul retro etichetta brunita di vecchia collezione con manoscritto a china in corsivo: "n. 685./ Inscription/ Un bel morire tutta/ la vita onora/ A beautiful death/ confers illustration/ for a lifetime/ From Chevalier Massa/ Collection...”.
    Sul retro numero 783 in inchiostro rosso
     
    Intatto; lievi consunzioni all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in cobalt blue and golden lustre
    H. 9.4 cm; diam. 42 cm; foot diam. 13.9 cm
    On the back, old collection label hand-written in black ink: "n. 685./ Inscription/ Un bel morire tutta/ la vita onora/ A beautiful death/ confers illustration/ for a lifetime/ From Chevalier Massa/ Collection...”.
    On the back number 783 in red ink
     
    In very good condition; minor wear to rim
     
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    L’esemplare ha un cavetto profondo e largo, la tesa è ampia e termina in un orlo rifinito a stecca appena rilevato. Il piatto poggia su un piede ad anello anch’esso appena rilevato e forato in origine, prima della cottura. La foggia è quella tipica delle produzioni derutesi, che ha fatto la fortuna delle manifatture della città umbra: questa forma era destinata ad accogliere i celeberrimi ritratti di belle donne, stemmi nobiliari o soggetti importanti come le immagini di santi ed eroi dipinti con tecnica mista ottenuta in due cotture: la prima a gran fuoco con blu a due toni, la seconda in riduzione per l’ottenimento del lustro.
    Retro con invetriatura appesantita di bistro che ricopre l’intera superficie
    Al centro del cavetto è raffigurata, di profilo, una giovane donna alla vita, che sostiene nella mano sinistra un garofano dallo stelo lungo e sinuoso. Di fronte al ritratto, si svolge un cartiglio che reca la scritta a caratteri capitali “UMBE/ L MoRIR/ ETU/ TALAVITA·ONO/ R/ A” (un bel morir tutta la vita onora), tratta dal Canzoniere di Petrarca. Il profilo è fortemente sottolineato da pennellate blu scuro che si schiariscono progressivamente, andando ad ombreggiare lo sfondo intorno al cartiglio. Una sottile fascia con un motivo decorativo a corona fogliata separa il cavetto dalla tesa, decorata da una ghirlanda di fiori a bocciolo, collegati da una breve rametto con foglie lanceolate disposte simmetricamente.
    Com’è consuetudine in questa tipologia ceramica, la stessa immagine è ripetuta, in modo sostanzialmente simile, anche in altri piatti con analoga impostazione decorativa, direttamente ispirata dalle figure del Pinturicchio che ornano l’appartamento Borgia in Vaticano o dalla Sibilla Eritrea raffigurata negli affreschi del Perugino che decorano la Sala delle Udienze nel Collegio del Cambio a Perugia. Per confronto si vedano l’esemplare con il motto virgiliano “Omnia vincit amor” del Museo delle Arti Decorative di Lione e quello del British Museum con tesa decorata da una bordura molto simile, databile tra il 1500 e il 1520. Un altro piatto molto vicino all’oggetto in esame, pubblicato da Wilson qualche anno fa, presenta solo lievi differenze nei decori minori dell’abito e nella presenza di fiori arrotondati al posto delle fogliette nella tesa, oltre a un tratto pittorico più evanescente, meno incisivo di quello del nostro esemplare.
    Questo gruppo di piatti è databile grazie al confronto con il piatto del British Museum dalla tesa decorata a ghirlanda recante lo stemma di papa Giulio II, che data l’intera serie tra il 1503 e il 1513, gli anni del suo p

  • PIATTO DA POMPADeruta, 1500-1520 Maiolica decorata in blu di cobalto e...
    Lotto 19

    PIATTO DA POMPA
    Deruta, 1500-1520
     
    Maiolica decorata in blu di cobalto e lustro dorato
    alt. cm 8,4; diam. cm 42; diam. piede cm 13,6
     
    Intatto; lievi consunzioni all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in cobalt blue and golden lustre
    H. 9.4 cm; diam. 42 cm; foot diam. 13.6 cm
     
    In very good condition; minor wear to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    L’esemplare ha un cavetto profondo e largo, la tesa è ampia e termina in un orlo rifinito a stecca appena rilevato. Il piatto poggia su un piede ad anello anch’esso appena rilevato e forato in origine, prima della cottura avvenuta con tecnica mista in due tempi: prima a gran fuoco con blu a due toni, poi in riduzione per l’ottenimento del lustro. Retro con invetriatura color bistro che ricopre l’intera superficie.
    La forma, comunemente destinata ad accogliere i ritratti, è qui utilizzata per un insolito e ricercato ritratto maschile a mezzo busto. Al centro del cavetto spicca il profilo di un uomo barbato con un elmo da parata dalla foggia straordinariamente complessa, riccamente adornato sulla celata con figure di delfino e di sfinge. Il copricapo, che riproduce la lavorazione a sbalzo, è dotato di un vistoso copriorecchie a chiocciola, sul quale si aggrappa un piccolo putto alato vivace. L’uomo indossa un mantello chiuso alla spalla da una fibula. Con la mano destra, non visibile, sostiene un’alabarda decorata da un nastro sinuoso.
    Un motivo a corona di alloro separa il cavetto dalla tesa, decorata da una ghirlanda di fiori a bocciolo collegati da un breve rametto con foglie lanceolate disposte simmetricamente: un ornato del tutto analogo a quello presente sul piatto proposto al lotto 18 di questo stesso catalogo.
    Anche tecnicamente il piatto mostra chiare analogie con quello a figura femminile appena citato. Il decoro è stato realizzato lasciando a risparmio il fondo maiolicato, fortemente distinto dalla parte a lustro grazie a linee di cobalto stese con maggiore o minore densità, così da creare un gradevole effetto di ombreggiatura che dà profonditè all’opera. Un importante esemplare di confronto è il piatto da pompa con busto di guerriero del Museo delle Arti Decorative di Lione: anche in quel caso il decoro e la tecnica sono raffinatissimi. Il giovane protagonista della decorazione è raffigurato di fronte e indossa un elmo alato con una lorica, arricchita da una lavorazione fitta ed elegante, quasi un lavoro di oreficeria. Anche la tesa di quell’esemplare è molto simile alla nostra, per la cui datazione si fa ugualmente riferimento al piatto del British Museum recante lo stemma di papa Giulio II, cioè al decennio che va dal 1503 al 1513.
    Ci piace pensare che la finalità della decorazione sia di celebrazione amorosa, nonostante la serietà del personaggio: ciò s‘intuisce dalla presenza del piccolo Erotino che, chiaramente, non fa parte della decorazione dell’elmo, ma sembra inserirsi nella composizione come se provenisse dall’esterno, quasi fosse latore di un segreto messaggio d’amore.
    La documentazione che accompagna l’oggetto ne testimonia l’acquisto nel 1969 da Humphris di Londra. L’antiquario londinese in essa ricostruisce i passaggi dell’oggetto a partire dalla sua presenza nella raccolta Cook di Londra, dove Rackham alcuni anni dopo afferma che fosse erroneamente catalogato come “maiolica di Gubbio”, e poi nella collezione Adda.

  • PIATTODeruta, 1520 circa Maiolica decorata a policromia in blu, giallo...
    Lotto 20

    PIATTO
    Deruta, 1520 circa
     
    Maiolica decorata a policromia in blu, giallo antimonio, verde ramina e rosso ferro
    alt. cm 4,1; diam. cm 22,2; diam. piede cm 7,9
    Sul retro etichetta stampata “ESPOSTO ALLA MOSTRA NAZ. DELL’ ANTIQUARIATO/ Milano - 19 nov. 11 dic. 1960”; altra etichetta dattiloscritta con “piatto Deruta sec XVI/ (Amatorio)”
     
    Rottura radiale sulla parte alta, restaurata con qualche integrazione alla pittura; piccola lacuna reintegrata sulla tesa; coperture lungo il bordo del cavetto e in prossimità della frattura
     
    Earthenware, painted in blue, antimony yellow, copper green, and iron red
    H. 4.1 cm; diam. 22.2 cm; foot diam. 7.9 cm
    On the back, printed label ‘ESPOSTO ALLA MOSTRA NAZ. DELL’ANTIQUARIATO/ Milano – 19 nov. 11 dic. 1960’; label typewritten with ‘piatto Deruta sec XVI/ (Amatorio)’
     
    On the upper part, a radial crack restored with areas of repaint; a minor loss to broad rim, repainted; some areas of repaint along the edge of the well and close to the crack
     
    Il piatto presenta cavetto profondo, larga tesa piana con orlo arrotondato, piede a fondo leggermente concavo. Il decoro al centro del cavetto raffigura due mani che si stringono sopra una fiamma ardente, sormontate da una corona affiancata dalle iniziali “E.” ed “E.” scritte in blu in caratteri capitali. Il decoro è realizzato in policromia con l’utilizzo del blu di cobalto, del giallo antimonio, del verde ramina e del rosso ferro. Il motivo decorativo centrale è racchiuso da una corniciatura a sottili fasce concentriche decorate da linee parallele, puntinature rosse e tratti decorativi sporgenti sull’ultima linea a simulare dei nodi. La tesa è interessata da un motivo decorativo a tralci incrociati con spine sporgenti, detto a “corona di spine”.
    Il decoro centrale è tipico dei piatti cosiddetti “amatori” e raffigura il motivo della Fede: simboleggia cioè il patto d’amore o la promessa tra i fidanzati. Di origine romana, questo decoro spesso era accompagnato dalla parola “Fides”. Il motivo è frequente anche nella maiolica faentina del ’500. I piatti di questa tipologia erano donati alla persona amata e costituivano talvolta un regalo di fidanzamento. Il decoro ebbe successo e fu poi riprodotto da molte manifatture dell’Italia centro-settentrionale.
    Il motivo della tesa a ”corona di spine”, contemporaneo di altri ornati, è usato dalle manifatture di Deruta dell’epoca. Frequente nei piatti da pompa, è variamente associato a decorazioni principali, che presentano anche figure diverse: al Museo Regionale di Deruta, per esempio, lo troviamo tra gli altri sia con un ritratto amatorio, sia con San Pietro.
    Un piatto, fortemente lacunoso, decorato sulla tesa in maniera molto simile al nostro, databile al periodo tra gli anni Venti e Cinquanta del ’500, è conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge. Il decoro a tralci verdi è utilizzato dalle maestranze derutesi anche in piatti da parata di maggiori dimensioni, talvolta con modalità stilistiche più complesse e con l’aggiunta di rosette: si vedano, per esempio, i piatti di questo tipo, decorati al centro con figure, conservati al Museo del Louvre, datati ai primi anni del secolo XVI. Infine un esemplare da parata con lo stemma di papa Paolo III Farnese (1534-1549) che è considerato datante per le produzioni minori porta sulla tesa la decorazione.
    Il piatto in esame ha uno smalto povero alla derutese, molto crettato e ricco di difetti e bolliture; il decoro sul retro si limita a una serie di archetti appena visibili in prossim

  • BACILE DA ACQUERECCIADeruta, 1530 circa Maiolica decorata in blu di...
    Lotto 21

    BACILE DA ACQUERECCIA
    Deruta, 1530 circa
     
    Maiolica decorata in blu di cobalto, con lumeggiature a lustro dorato
    alt. cm 3,4; diam. cm 33; diam. umbone cm 11
    Sul retro un cartellino cartaceo stampato “ORLANDO PETRENI/ ARREDAMENTI ARTISTICI/ FIRENZE/ VIA RONDINELLI 7R TEL. 23.782
     
    Parte inferiore della tesa interessata da diverse rotture incollate e stuccate con restauro archeologico sul retro e parziale copertura sul fronte
     
    Earthenware, painted in cobalt blue with touches of golden lustre
    H. 3.4 cm; diam. 33 cm; centre diam. 11 cm
    On the back, printed paper tag ‘ORLANDO PETRENI/ ARREDAMENTI ARTISTICI/ FIRENZE/ VIA RONDINELLI 7R TEL. 23.782’
     
    On the lower part of the broad rim, some restored and plastered cracks are visible on the back, with areas of repaint on the front
     
    Il piatto ha un cavetto ampio e concavo centrato da un umbone a fondo piano, circondato da una cornice a rilievo con orlo arrotondato, digradante in una seconda cornice a gola. La tesa è breve e orizzontale, con orlo rilevato. Il retro segue la forma del piatto, con leggere baccellature rilevate e centro concavo.
    La forma è quella del bacile da acquereccia: il piatto doveva cioè sorreggere nel centro un versatoio, a imitazione del vasellame metallico.
    Al centro della composizione decorativa troviamo un ritratto muliebre di profilo, con un cartiglio contenente la scritta “BERRARDINA”. Nella cornice a gola è presente un motivo a nodo delineato in blu su fondo lustrato, mentre nel resto del cavetto si sviluppa un decoro a baccellature arcuate, delimitate da sottili pennellature blu e ombreggiature, anch’esse in blu sul fondo. L’effetto a rilievo è ottenuto grazie all’utilizzo delle ombreggiature e alla riserva lasciata bianca per dar luce. La tesa mostra il caratteristico decoro a piccoli frutti tondeggianti disposti a linea continua.
    Il retro è decorato da linee concentriche gialle con tracce di lustro.
    Questo tipo di bacile fu prodotto a Deruta con alcune varianti nella scelta della decorazione, comunque realizzata a lustro nei modi utilizzati anche nei piatti da parata, in un periodo che oscilla tra il 1500 e il 1530: la gran parte dei bacili da versatore presentano al centro un ritratto femminile di solito accompagnato da un fiore di giglio, con varianti del soggetto raffigurato al centro, in questo caso molto prossimo alla tipologia dei ritratti amatori.
    Un piatto conservato al Victoria and Albert Museum, di produzione derutese e databile al 1520, è morfologicamente affine, con ritratto al centro dell’umbone e decoro intorno alla tesa e sull’orlo, ma mostra una scelta decorativa differente nel motivo a pannelli radiali con decori fitoformi ed embricazioni. Prossimo a quest’ultimo esemplare è anche il bacile con ritratto femminile del Fitzwilliam Museum di Cambridge proveniente dalla collezione Pringsheim, con un ritratto stilisticamente vicino a quello delineato nel nostro oggetto. Da ultimo un bel bacile conservato al British Museum, risalente ai primissimi anni del ‘500, presenta una tesa con decoro a embricazioni e un profilo con caratteristiche molto prossime ai modi del Perugino, dai cui ritratti prendono spunto questi decori.

  • ALBARELLODeruta, ultimo quarto del XVI secolo Maiolica decorata in...
    Lotto 22

    ALBARELLO
    Deruta, ultimo quarto del XVI secolo
     
    Maiolica decorata in policromia con blu di cobalto, verde ramina, giallo antimonio e ocra su smalto stannifero povero
    alt. cm 19,6; diam. bocca cm 9,5; diam. piede cm 9,8
    Sotto la base etichetta stampata “Dott. Serra Milano”; etichetta manoscritta, in corsivo, “6647/ albarello / toscano/ sec XVI”; etichetta stampata, poco leggibile, “... DELLA GHERARDESCA” e, manoscritta, “221
     
    Felature sottili al corpo vicino al piede; sbeccature di usura al piede e all’orlo
     
    Earthenware, covered with a poor tin glaze and painted in cobalt blue, copper green, antimony yellow and ochre
    H. 19.6 cm; mouth diam. 9.5 cm; foot diam. 9.8 cm
    On the bottom, label printed ‘Dott. Serra Milano’; label hand-written ‘6647/ albarello / toscano/ sec XVI’; printed label‘... DELLA GHERARDESCA’ (hardly readable) and, hand-written, ‘221’
     
    Minor hairline cracks to body close to the foot; wear chips to foot and rim
     
    L’albarello ha larga imboccatura con orlo piano appena estroflesso e collo molto breve che scende in una spalla angolata. Il corpo cilindrico è molto rastremato al centro e termina con un calice assai angolato che scende a formare un piede su base piana e aggettante, preceduto da una strozzatura breve.
    Sul fondo del piede è visibile un segno farmaceutico inciso dopo la cottura.
    Il vaso apotecario era stato attribuito a manifattura Toscana, mentre a noi pare, per morfologia e decoro, vicino alle serie prodotte dalle manifatture umbre di Deruta nel corso del secolo XVI.
    Il motivo che incornicia la scritta apotecaria “DIAPRUNIS” riproduce una corona robbiana con modalità pittoriche corrive, quasi di maniera. Lo stesso tipo di corona, ma con stile più fluido, associato al motivo decorativo a girali fiorite caratteristico delle manifatture derutesi, è raffigurato in un albarello della collezione Bayer di Milano.
    Morfologicamente l’opera si avvicina alle produzioni derutesi dei primi anni del ‘500, come per esempio la coppia di albarelli con emblema farmaceutico e decori a trofei conservata nelle raccolte del Castello Sforzesco di Milano. La forma, la scelta cromatica, la qualità dello smalto e la disposizione del decoro con nastri svolazzanti sul retro del vaso hanno poi dei precedenti di qualità nella raccolta Mereghi al Museo Internazionale delle Ceramica di Faenza. L’orciolo da farmacia nella stessa raccolta con decoro “alla porcellana” datato alla seconda metà del XVI secolo costituisce un confronto per il decoro “minore” posto all’interno della fascia: il decoro alla porcellana, steso anch’esso con tratto veloce, richiama l’esemplare del museo faentino e di conseguenza il suo confronto datato e conservato a Sévres.
     

  • VASO OVOIDALEFaenza, 1490-1510 circa Maiolica decorata in policromia con...
    Lotto 23

    VASO OVOIDALE
    Faenza, 1490-1510 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con verde, arancio, blu, turchino su smalto stannifero bianco e spesso
    alt. cm 29; diam. bocca cm 11; diam. piede cm 11
     
    Felatura passante alla base a partire dalla parte inferiore del corpo
     
    Earthenware, covered with a thick white tin glaze and painted in green, orange, blue, and turquoise
    H. 29 cm; mouth diam. 11 cm; foot diam. 11 cm
     
    Heavy hairline crack to base extending from the lower part of the body
     
    Il vaso ha un’imboccatura larga con orlo appena estroflesso e labbro piano tagliato a stecca. Il collo cilindrico si congiunge alla spalla, dalla forma arrotondata, che si apre in un corpo ovoidale; questo si restringe per chiudersi in un piede largo a base piana.
    Lo smalto ricopre l’intera superficie e si presenta spesso, molto bianco e di ottima qualità. La decorazione è disposta a fasce concentriche che, alternando i colori verde, blu e giallo-arancio, interessano il collo e la porzione superiore e inferiore del corpo. La fascia principale del decoro si estende lungo il punto di massima espansione del corpo: qui campeggia un elegante tralcio fogliato sul quale s’innestano dei motivi a “palmetta persiana” che, arricciandosi, corre sopra una fitta ornamentazione a piccole spirali. Sul fronte del vaso compare il simbolo di San Bernardino in lettere gotiche, circondato da un rosario, il tutto racchiuso in un medaglione circolare incorniciato da una cordonatura dipinta in arancio. Sul fondo del vaso, all’altezza della strozzatura che precede la base, si apre nuovamente in una fascia con motivi che possiamo definire a “fiamme bernardiniane”.
    Il decoro a “palmetta persiana” trova riferimento nel pavimento Vaselli in San Petronio a Bologna. Ravanelli Guidotti sottolinea come questo decoro sia in genere poco documentato sulle forme chiuse e presenta come confronti alcuni esemplari con questo tipo di ornamentazione, tra i quali un bel vaso globulare conservato nel Herausgegeben vom Kunstgewerbemuseum di Berlino, in cui l’ornato “a palmetta” più prossimo alle forme vaselliane è associato a motivi decorativi simili a quelli del nostro esemplare, che però mostra una variante fiorita con inusuali tocchi di verde. Anche nell’esemplare di confronto lo smalto risulta impeccabile e il decoro mostra colori accesi. Un altro vaso con caratteristiche morfologiche simili e appartenente alla raccolta della Cassa di Risparmio di Perugia è stato studiato da Wilson: qui il motivo a palmetta è presente in una versione verticale, più vicina a quella del pavimento Vaselli, ed è associato a uno stemma. Wilson sottolinea come questo tipo di decoro fosse diffuso in tutta la Romagna e anche in Toscana, dove perdura in forme attardate per tutto il ’500, associandolo a un altro contenitore, questa volta con decoro a trofei, conservato nella collezione Strozzi Sacrati e datato 1506. Nella stessa raccolta toscana si trova anche un vaso piriforme che mostra un decoro a palmetta persiana su girali molto ben delineato, già definito da Liverani come “un po’ calligrafico”.
    In base alla forma, il vaso si può con miglior approssimazione assegnare a un periodo cronologicamente più avanzato rispetto al manifestarsi del motivo decorativo; possiamo quindi considerare il decoro come un’evoluzione dell’ornato originario. Nel libro dei conti di maestro Gentile Fornarini, pubblicato da Ballardini e analizzato da Ravanelli Guidotti, troviamo un aggancio cronologico assai utile, soprattutto per le forme chiuse: nel 1470 il Fornarini elenca le “bocce da spiciale con brieve in su”, probabilmente bocce con iscrizioni farmaceutiche; quelle s

  • PIATTO CON STEMMA ARALDICOFaenza, 1520-1525 Maiolica decorata in...
    Lotto 24

    PIATTO CON STEMMA ARALDICO
    Faenza, 1520-1525
     
    Maiolica decorata in policromia con blu, bianco, verde, giallo e arancio
    alt. cm 2,5; diam. cm 26; diam. piede cm 8,3
    Sul retro, al centro del piede, delineata in blu di cobalto, la sigla paraffata “SB
     
    Piccola rottura e incollatura sulla tesa a sinistra; due grosse sbeccature sulla tesa in alto a destra e una in alto a sinistra
     
    Earthenware painted in blue, white, green, yellow and orange
    H. 2.5 cm; diam. 26 cm; foot diam. 8.3 cm
    The back is painted with a mark in cobalt blue: ‘S’ crossed by a paraph and ‘B’
     
    Small crack and restoration to broad rim at 9 o’clock; chip to broad rim at 11 o’clock; two big chips to broad rim at 2 o’clock
     
    Il piatto, poggiante su piede ad anello appena accennato, è piano e con cavetto basso. Il cavetto è separato dalla tesa da due sottili bande decorate da nastri sinuosi e da un motivo “a cordonatura” intervallate da una fascia con decoro bianco su bianco a piccoli fioretti. Esso è occupato da uno stemma su fondo verde, formato da uno scudo circondato da piume e sormontato da un elmo con cimiero in forma di grifo alato rampante con corona a cinque punte. Lo scudo, a tacca, non è stato identificato, ma si tratta probabilmente di uno scudo tedesco inquartato, che al primo e al terzo quadrante mostra un leoncino rampante d’argento, al secondo e al quarto un fondo rosso con quattro bande merlate in giallo; lo stemma al centro è caricato di uno scudetto con aquila bicipite.
    La tesa è interamente occupata da un motivo a grottesche con sfingi accucciate, erotini, cornucopie, tralci fogliati e conchiglie. Il decoro è delineato in modo anomalo in blu con tocchi di bianco su fondo bianco a risparmio.
    Il retro mostra un fitto motivo petal back su doppia fila concentrica in arancio e blu. Al centro la sigla paraffata “SB”.
    Pur essendo pochi gli esempi di raffronto, tuttavia il motivo sul retro, variamente interpretato dagli studiosi, è stato attribuito da Rackham alle manifatture faentine – basandosi proprio su questo oggetto e su un esemplare a lui vicino – nel suo studio sulla collezione Adda, dove l’opera fu conservata fino al 1948, anno della vendita della raccolta. Il piatto è stato poi pubblicato da Cyril Humphris nel catalogo della mostra organizzata nel 1967 proprio con alcuni pezzi della collezione Adda, attribuito alla manifattura della “Casa Pirota” con datazione attorno al 1520.
    Le modalità decorative, l’uso del bianco sopra bianco e talune caratteristiche stilistiche della tesa, ci portano ad attribuire il piatto a una manifattura faentina della prima metà del ’500.
    La tesa mostra, seppure con una scelta cromatica differente e assai rara, una declinazione decorativa simile a quella usata in altri piatti di questo catalogo: nel 29 per i volti degli amorini e nel 25 per le arpie con volto infantile di profilo. Riteniamo pertanto che si possa proporre un'attribuzione alla Bottega Bergantini nella sua fase iniziale. L'opera potrebbe quindi essere stata prodotta da un pittore attivo nella bottega faentina sita nella cappella di S. Vitale, vicina alle case dei Pirotti, e ivi impiantata dal Maestro Pietro in unione col fratello Paolo già a partire dal 1508 e che prosegue l'attività per più di un cinquantennio, come dimostrano i documenti pubblicati da Grigioni. Per la presenza della sigla "SB", l'opera in studio costituisce un punto fermo per le ricerche orientate al riconoscimento di più precise personalità attive nelle botteghe della città romagnola.

  • TONDINO CON STEMMA ARALDICOFaenza, “1524“ Maiolica decorata...
    Lotto 25

    TONDINO CON STEMMA ARALDICO
    Faenza, “1524“
     
    Maiolica decorata in policromia, con blu, giallo chiaro, giallo e turchino con lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 3,4; diam. cm 18,5; diam. piede cm 5
    Sul retro, sotto il piede, cerchio suddiviso in quattro parti da croce con punto in uno dei quadranti; “B” incisa prima della cottura nello smalto, affiancata da una “c”(?) di dimensioni minori.
     
    Intatto; sbeccatura sul bordo in basso a destra; piccole sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in blue, light yellow, yellow, turquoise and white highlights
    H. 3.4 cm; diam. 18.5 cm; foot diam. 5 cm
    On the back, beneath the base, is a crossed ball with a dot in one quarter; ‘B’ mark inscribed before glaze firing, beside a ‘c’(?) mark (smaller)
     
    In very good condition; chip to rim at 5 o’clock; minor chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il tondino presenta un profondo cavetto e una larga tesa orizzontale con bordo orlato di blu. Il corpo ceramico è interamente ricoperto di smalto azzurro-grigio “berettino”. Nel centro del cavetto, racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia decorata a puntini e fioretti in bianco su azzurro, è dipinto uno stemma bipartito con un lupo bianco rampante su fondo blu a sinistra e una mitra papale con chiavi di San Pietro e tre palchi di cervo su fondo rosso a destra. Sulla tesa si estende una decorazione a grottesche con quattro figure appena abbozzate di arpie dal volto di bambino, alternate a pilastri e amorini; ogni arpia è sormontata da una mensola su cui si legge una lettera: le quattro lettere, insieme, vanno a formare la sigla latina “SPQR” (Senatus Populusque Romanus). I volti dei quattro amorini poggiano invece su altrettanti cartigli recanti la data “1524”. Le volute ai lati delle arpie si potrebbero leggere come i classici delfini, in questo caso molto semplificati, quasi stereotipati.
    Sul retro il consueto motivo decorativo a spirali e fioroni a corolla continua circonda il piede, che contiene la caratteristica marca faentina con cerchio suddiviso in quattro parti da croce con cerchietto in uno dei quadranti, per consuetudine utilizzata a definire i prodotti della bottega della Ca’ Pirota, e una “B” forse affiancata da una “c” di dimensioni minori, entrambe incise nello smalto prima che venisse delineata la “marca”.
    Lo stemma, dipinto con abbondanza di materia, tanto da apparire in rilievo, si presenta nella classica forma di alleanza, e cioè bipartito. Trattasi dello stemma Altoviti, un lupo rapace d’argento in campo nero (con riferimento a un leggendario lupo che avrebbe salvato il capostipite della famiglia, sbranando un suo nemico), unito allo stemma Soderini, di rosso a tre teschi di cervo d’argento posti di fronte.
    Il piatto ha un confronto puntuale in un esemplare conservato all’Ashmolean Museum di Oxford, dal quale si distingue per la scelta delle grottesche con le arpie, non presenti nel piatto inglese, e per la mancanza dell’amorino che sormonta lo stemma.
    Per l’esame del piatto londinese e dei confronti ci torna assai utile lo studio di Timothy Wilson, pubblicato in occasione dell’importante mostra sul banchiere fiorentino Bindo Altoviti tenutasi nel 2004 all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston e al Bargello di Firenze. Oltre al nostro sono noti infatti altri pezzi di questo servizio, conservati rispettivamente al Museo di Edimburgo ed all’Allen Me

  • PIATTOFaenza, 1530-1540 circa  Maiolica decorata in policromia con...
    Lotto 26

    PIATTO
    Faenza, 1530-1540 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, verde, blu, bruno manganese e bianco su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 4,4; diam. cm 29; diam. piede cm 9,3
    Sul retro, sotto il piede, alcuni cerchi concentrici delineati in blu.
    Numero “48 1318” delineato in inchiostro rosso
     
    Sbeccature all’orlo, leggera felatura sulla tesa
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in yellow, green, blue, manganese, and white
    H. 4.4 cm; diam. 29 cm; foot diam. 9.3 cm
    On the back, beneath the base, some concentric circles in blue.
    ‘48 1318’ in red ink
     
    Chips to rim; minor hairline crack to broad rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto, integralmente ricoperto da smalto “berettino”, presenta un profondo cavetto e una larga tesa appena obliqua. Al centro della composizione spicca una figura femminile stante, rivolta a sinistra, con un arco nella mano sinistra e una freccia nella destra; una chiesa con campanile turrito è nella parte destra del paesaggio montuoso. Il cavetto è incorniciato da una sottile fascia decorata in bianco su fondo azzurrato. Sulla tesa si estende una decorazione “a grottesche monocrome” in una variante che prevede una disposizione simmetrica centrata, nei punti cardinali, da cariatidi alternate a mascheroni, circondati da nastri sinuosi e delfini.
    Sul verso, all’interno del piede, si registra la presenza di un simbolo con tre cerchi concentrici; tutt’intorno, fino all’orlo, è resente un motivo “alla porcellana” con fioretti a corolla continua e serpentine, tutti realizzati in blu cobalto in una grafia rigida e con disposizione simmetrica.
    Le dimensioni, la scelta del decoro sulla tesa e lo stile accurato nella realizzazione della figura al centro della composizione, caratterizzano l’opera e la distinguono dalle serie più note.
    Lo stile con cui sono realizzati la figure e il paesaggio avvicinano questo esemplare ad altri piatti con decoro “a grottesche” nella tesa, quali ad esempio il noto esemplare del Victoria and Albert Museum di Londra datato 1540 nel quale la figura maschile mostra una posa vicina al personaggio raffigurato nell’oggetto in esame, oppure il piatto con grottesche della collezione Cora, oggi al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, decorato nel cavetto da una figurina di “Fortitudo” stilisticamente affine a quella del nostro. Si veda infine il piatto, di dimensioni minori, con figura allegorica della Giustizia conservato nel Museo di Lione: un perfetto esempio dell’abitudine di raffigurare figure bibliche, storiche e allegoriche su oggetti con fondo berettino.
    Come osserva Timothy Wilson, analizzando un piatto a grottesche con medaglione centrato da figura, avanzare attribuzioni a pittori specifici sulla base di questi piccoli medaglioni sarebbe azzardato.
    In ogni modo le caratteristiche pittoriche permettono di inserire l’oggetto in esame tra i pezzi di maggior qualità prodotti dalle manifatture faentine degli anni trenta del Cinquecento. Esso si distingue dagli altri esemplari proposti in questo catalogo per la particolare qualità nella resa pittorica delle grottesche della tesa, impreziosita dall’uso delle cariatidi, e nella padronanza della lumeggiatura in bianco dei dettagli.
    Il piatto proviene dalla collezione Adda ed è stato venduto da Humphris a Londra nel 1970 come opera faentina del 1530. Anche l’antiquario londinese nell’expertise fa riferimento alla pubblicazione di Bernard Rackh

  • PIATTO CON STEMMA ARALDICOFaenza, bottega Bergantini, 1530 circa...
    Lotto 27

    PIATTO CON STEMMA ARALDICO
    Faenza, bottega Bergantini, 1530 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con rosso, giallo, verde, blu, manganese e bianco su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 2,6; diam. cm 24; diam. piede cm 7,7
    Sul retro, sotto il piede, cerchio suddiviso in quattro parti da croce con punto in uno dei quadranti; “BL” incisa prima della cottura nello smalto
     
    Sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in red, yellow, green, blue, manganese, and white
    H. 2.6 cm; diam. 24 cm; foot diam. 7.7 cm
    On the back, beneath the base, is a crossed ball with a dot in one quarter; ‘BL’ mark inscribed before glaze firing
     
    Chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto o tondino, integralmente ricoperto da smalto “berettino”, ha cavetto profondo e larga tesa appena obliqua. Il decoro presenta al centro, racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia decorata in bianco su azzurro, un segugio dormiente in un paesaggio montuoso, sopra il quale campeggia un cartiglio con la scritta “SUM FVI ERO”. Sulla tesa si estende una decorazione a grottesche centrate nei punti cardinali da due cartigli con note musicali e da due riserve circolari contenenti due stemmi. Il primo, dei Martellini del Falcone, di rosso, al monte di sei cime d’oro sostenente un falcone sorante dello stesso (oppure al naturale, sonagliato d’oro), talvolta con la zampa destra alzata, in atto di afferrare il sonaglio con il becco, e alla banda diminuita d’azzurro attraversante sul tutto. Il secondo stemma, su campo giallo con leone rampante e bande blu, è da attribuire alla famiglia Tedaldi.
    Sul retro un motivo decorativo a spirali e fioroni a corolla continua circonda il piede, nel quale è dipinto un cerchio barrato da una croce con cerchio più piccolo in uno dei quartieri, e una “B” incisa nello smalto prima della cottura.
    Il piatto ha un confronto puntuale in un esemplare conservato al Victoria and Albert Museum di Londra, analogo nel decoro sia sul fronte che sul retro e caratterizzato anch’esso da una “B” incisa nello smalto prima della cottura sul retro. Questo stesso sistema di marca compare anche in un altro piatto di questa raccolta (lotto 25). La “B” a volte è tracciata a colore sul retro dei piatti, a volte invece è incisa nello smalto prima della cottura; essa compare anche in frammenti da scavi faentini ed è stata nel tempo variamente interpretata. Attualmente, è unanimemente considerata come il simbolo della bottega Bergantini.
    Il disegno della palla tagliata a croce è stato tradizionalmente considerato come emblema di una delle officine attive a Faenza, quella della Ca’ Pirota: veniva infatti interpretato come una bomba di pece greca o ruota di fuoco (pyros rota). Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso tale attribuzione fu messa in dubbio, e il simbolo venne letto come un pallone da calcio e attribuito pertanto alla bottega faentina Dalle Palle. Attuamente si ritiene che la produzione delle varie botteghe faentine vada ricostruita su altre basi e ci si limita a leggere il simbolo come marchio faentino
    La decorazione con questo tipo di disposizione simmetrica dell’ornato è presente con varianti al centro e negli stemmi anche in altri pezzi del Petit Palais di Parigi del lascito Dutuit e nel piatto con San Marco e due stemmi della collezione de Ciccio al Museo di Capodimonte.
    Nella documentazione che accompagna l’oggetto si fa riferimento ancora alla Ca’ Pirota secondo

  • TONDINO CON STEMMA ARALDICOFaenza, bottega di Pietro Bergantini, circa...
    Lotto 28

    TONDINO CON STEMMA ARALDICO
    Faenza, bottega di Pietro Bergantini, circa 1531
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo chiaro, turchino, verde, rosso e lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 4,5; diam. cm 25,2; diam. piede cm 6,8
    Sul retro, sotto il piede, è delineata al centro una spirale
     
    Restauro alla tesa, con integrazione pittorica prevalentemente sul retro del piatto: la rottura traccia un semicerchio nella parte in basso a destra della tesa, poco sopra una felatura passante; come si verifica di frequente il restauro mimetico con integrazione pare coprire una porzione maggiore rispetto all’entità del danno.
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in light yellow, turquoise, green, red, and white highlights
    H. 4.5 cm; diam. 25.2 cm; foot diam. 6.8 cm
    On the back, beneath the base, is a blue spiral
     
    Restoration to broad rim, with associated repaint mainly on the reverse: the crack forms a semicircle at 5 o’clock on the broad rim, slightly above a heavy hairline crack; as it often happens, mimetic restoration with repaints covers an area larger than the damage
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto o tondino, integralmente ricoperto da smalto “berettino”, ha un profondo cavetto e una larga tesa appena obliqua. Il decoro mostra uno stemma al centro del cavetto racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia decorata in bianco su fondo azzurrato.
    Sulla tesa si estende una decorazione “a grottesche monocrome” su fondo blu, in una variante che prevede una disposizione simmetrica centrata, nei punti cardinali, da mascheroni intervallati da teste di amorini e delfini affrontati, connessi da girali continue. Sul verso, all’interno del piede, si registra la presenza di una spirale blu; tutt’intorno sulla tesa vi è un motivo “alla porcellana” disposto simmetricamente col fioretto a corolla continua, tra serpentine, dipinto in blu.
    Lo stemma, dipinto in piena policromia (d’argento a tre bande doppie merlate di rosso), è quello della famiglia Salviati di Firenze, le cui cariche pubbliche ricoperte nella Repubblica fiorentina furono molto importanti, con il record di 63 priori, 21 Gonfalonieri di Giustizia e 6 alti prelati. La famiglia nel ‘400 e ‘500 era annoverata fra le più importanti del patriziato fiorentino (posizionata al terzo posto fra i maggiori contribuenti della città), ma a partire dalla metà del XVI secolo andò incontro a una graduale trasformazione che la portò ad essere una delle tante casate gravitanti intorno alla corte medicea. I Salviati, che avevano costituito la propria potenza economica soprattutto su attività finanziarie e commerciali, mutarono sia le direzioni degli investimenti sia, più profondamente, il proprio modus vivendi. A partire dal 1532 (anno della trasformazione di Firenze in monarchia ereditaria) la mercatura e il cambio non furono più considerate dai Salviati fra le attività su cui concentrare gli investimenti: essi trovarono nella rendita fondiaria e nelle cariche diplomatiche e di corte introiti più consistenti e sicuri, che permisero loro di far fronte alle ingenti spese per mantenere il lussuoso tenore di vita.
    Il tondino si aggiunge a una serie appartenente a un servizio commissionato dalla famiglia Salviati probabilmente alla bottega Bergantini attorno al 1531. La scelta del decoro della tesa e lo stile dello stemma ci portano alla comparazione con un piatto conservato nelle collezioni del British Museum di Londra, di dimensioni e decorazione

  • TONDINO CON STEMMA ARALDICOFaenza, bottega di Pietro Bergantini, circa...
    Lotto 29

    TONDINO CON STEMMA ARALDICO
    Faenza, bottega di Pietro Bergantini, circa 1531
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo chiaro, turchino, verde, rosso e lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 4,5; diam. cm 25,2; diam. piede cm 6,8
    Sul retro, sotto il piede, è delineata al centro una spirale
     
    Restauro alla tesa, con integrazione pittorica prevalentemente sul retro del piatto: la rottura traccia un semicerchio nella parte in basso a destra della tesa, poco sopra una felatura passante; come si verifica di frequente il restauro mimetico con integrazione pare coprire una porzione maggiore rispetto all’entità del danno
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in light yellow, turquoise, green, red, and white highlights
    H. 4.5 cm; diam. 25.2 cm; foot diam. 6.8 cm
    On the back, beneath the base, is a blue spiral
     
    Restoration to broad rim, with associated repaint mainly on the reverse: the crack forms a semicircle at 5 o’clock on the broad rim, slightly above a heavy hairline crack; as it often happens, mimetic restoration with repaints covers an area larger than the damage
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto o tondino, integralmente ricoperto da smalto “berettino”, ha un profondo cavetto e una larga tesa appena obliqua. Il decoro mostra uno stemma al centro del cavetto racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia decorata in bianco su fondo azzurrato.
    Sulla tesa si estende una decorazione “a grottesche monocrome” su fondo blu, in una variante che prevede una disposizione simmetrica centrata, nei punti cardinali, da mascheroni intervallati da teste di amorini e delfini affrontati, connessi da girali continue. Sul verso, all’interno del piede, si registra la presenza di una spirale blu; tutt’intorno sulla tesa vi è un motivo “alla porcellana” disposto simmetricamente col fioretto a corolla continua, tra serpentine, dipinto in blu.
    Lo stemma, dipinto in piena policromia (d’argento a tre bande doppie merlate di rosso), è quello della famiglia Salviati di Firenze, le cui cariche pubbliche ricoperte nella Repubblica fiorentina furono molto importanti, con il record di 63 priori, 21 Gonfalonieri di Giustizia e 6 alti prelati. La famiglia nel ‘400 e ‘500 era annoverata fra le più importanti del patriziato fiorentino (posizionata al terzo posto fra i maggiori contribuenti della città), ma a partire dalla metà del XVI secolo andò incontro a una graduale trasformazione che la portò ad essere una delle tante casate gravitanti intorno alla corte medicea. I Salviati, che avevano costituito la propria potenza economica soprattutto su attività finanziarie e commerciali, mutarono sia le direzioni degli investimenti sia, più profondamente, il proprio modus vivendi. A partire dal 1532 (anno della trasformazione di Firenze in monarchia ereditaria) la mercatura e il cambio non furono piùconsiderate dai Salviati fra le attività su cui concentrare gli investimenti: essi trovarono nella rendita fondiaria e nelle cariche diplomatiche e di corte introiti più consistenti e sicuri, che permisero loro di far fronte alle ingenti spese per mantenere il lussuoso tenore di vita.
    Il tondino si aggiunge a una serie appartenente a un servizio commissionato dalla famiglia Salviati probabilmente alla bottega Bergantini attorno al 1531. La scelta del decoro della tesa e lo stile dello stemma ci portano alla comparazione con un piatto conservato nelle collezioni del British Museum di Londra, di dimensioni e decorazione pi&ugrav

  • PIATTOFaenza, “1541” Maiolica decorata in policromia in...
    Lotto 30

    PIATTO
    Faenza, “1541”
     
    Maiolica decorata in policromia in giallo chiaro, giallo ocra e turchino, lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 3,2; diam. cm 24; diam. piede cm 8,5
    Etichetta stampata “SCHUBERT ANTICHITÀ - corso MATTEOTTI 22 MILANO
     
    Intatto; alcune sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in light yellow, ochre yellow, turquoise, and white highlights
    H. 3.2 cm; diam. 24 cm; foot diam. 8.5 cm
    Printed label ‘SCHUBERT ANTICHITÀ - corso MATTEOTTI 22 MILANO’
     
    In very good condition; chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto presenta un cavetto poco profondo e un’ampia tesa obliqua a orlo arrotondato sottolineato in blu. Lo smalto “berettino” ricopre tutta la superficie.
    Sul fronte, al centro della composizione decorativa, un profilo maschile in abiti romani con cartiglio recante la dicitura “Lentulo” è racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia a risparmio decorata a puntini e fioroni in bianco su azzurro. Sulla tesa si estende una decorazione a grottesche con mascheroni e delfini, in uno stile pittorico arricchito dalla presenza di cartigli recanti la data “1541” e collocati nei punti cardinali al di sopra dei mascheroni.
    Sul retro si sviluppa un motivo decorativo a linee concentriche, realizzato su fondo berettino in tinta blu, che termina in una spirale al centro del cavetto; tale decoro ricorda i motivi “a calza” spesso utilizzati a Faenza nel secolo precedente.
    Un piatto simile, di minore dimensione, è esposto al Walters Art Museum di Baltimora: il profilo che in esso compare è tratto da un cammeo antico, con l’aggiunta di una corona sul capo del personaggio e di un cartiglio sul retro con il nome “Chassio”; la tesa presenta una variante del decoro con volute fogliate, anch’essa associata al motivo decorativo a calza sul retro.
    Piatti di questa serie, con alcune varianti, si trovano nei principali musei, come per esempio il Claudio e l’Annibale del Museo di Sévres a Parigi.
    Carmen Ravanelli Guidotti nel Thesaurus del 1998 nell’analizzare questa tipologia faentina cita un piatto con “Lentulo”, conservato in una raccolta privata parigina: il probabile riferimento al nostro esemplare è confermato dalla comune datazione (1541).

  • ALZATA O SOTTOCOPPAFaenza, inizio del secolo XVII Maiolica decorata in...
    Lotto 31

    ALZATA O SOTTOCOPPA
    Faenza, inizio del secolo XVII
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, blu, bruno di manganese e giallo su smalto bianco abbondante crettato
    alt. cm 5; diam. cm 25,5; diam. piede cm 11,5
     
    Sbeccature all’orlo; lacuna al piede
     
    Earthenware, covered with a rich, crackled white glaze and painted in orange, blue, manganese, and yellow
    H. 5 cm; diam. 25.5 cm; foot diam. 11.5 cm
     
    Chips to rim; loss to foot
     
    L’alzata o presentatoio è costituita da un piatto a fondo liscio con breve bordo rialzato dall’orlo arrotondato, poggiante su piede alto poco svasato.
    La decorazione interessa l’intera superficie del piatto, sul recto, e descrive una scena di caccia. I protagonisti sono un cacciatore con cappello che corre con un archibugio in mano, accompagnato da un cane bianco anch’esso in corsa, e di fronte, quasi a corrergli incontro, un centauro con arco spiegato, anch’esso accompagnato da un cane. La scena si svolge in un ampio paesaggio caratterizzato da un grande albero con chioma larga e suddivisa in ciuffi sovrapposti e da un casolare con tetto a cuspidi, entrambi inseriti in uno scenario di montagna.
    La decorazione è realizzata con sicurezza e rapidità, caratteristica che la distingue dalle opere faentine istoriate, ma con le caratteristiche cromatiche dello stile compendiario. L’ornato è enso, la scena quasi schizzata, ma con uno stile preciso e riconoscibile.
    Una recente pubblicazione per una mostra tematica sulla maiolica italiana di stile compendiario ci aiuta a collocare l’opera in un contesto ben preciso: si tratta infatti di una produzione di alzatine, opera di un'officina faentina dei primi anni del ’600, periodo in cui si enfatizza la corrente istoriata che aveva trovato nuova espressione nella seconda metà del secolo precedente. Si pensi al pittore del “servizio V numerato”, al “maestro dello steccato” e agli altri rappresentanti di questa nuova stagione dell’istoriato.
    Nelle schedature di alcuni esemplari da collezione privata e di sottocoppe del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, Carmen Ravanelli Guidotti ipotizza che questi oggetti possano essere considerati creazioni di una stessa bottega e addirittura – per gli esemplari con i cacciatori, gruppo al quale si aggiunge l’esemplare in esame – opere di una stessa mano. L’impostazione narrativa infatti è simile, come pure i caratteri stilistici: in particolare la foggia del copricapo del cacciatore, il modo di raffigurare l’albero, l’arco, il muso, la posa dei cani da caccia ed altro ancora.

  • COPPA UMBONATA E BACCELLATAGubbio, post 1530 Maiolica decorata in blu di...
    Lotto 32

    COPPA UMBONATA E BACCELLATA
    Gubbio, post 1530
     
    Maiolica decorata in blu di cobalto; lustri rosso e dorato
    alt. cm 4,8; diam. cm 22,2; diam. piede cm 9,6
    Sul retro etichetta di esportazione datata 1962; etichetta con numero “1117” scritto a mano; etichetta con scritta “TAGUA/ SOTH/ CYY/ O
     
    Restauri alla tesa: rotture incollate su tutto il lato sinistro e nella parte alta a destra; sbeccature ricoperte all’orlo.
     
    Earthenware, painted in cobalt blue; red and golden lustre
    H. 4.8 cm; diam. 22.2 cm; foot diam. 9.6 cm
    On theback, exportation label ‘1962’ (hardly readable); hand-written label ‘1117’; hand-written label ‘TAGUA/ SOTH/ CYY/ O’
     
    Restorations to broad rim: some reglued cracks on the left side and on the upper right side; chips to rim, repainted; restoration covers an area larger than the damage
     
    La coppa su basso piede ha il corpo realizzato a stampo e presenta un decoro a rilievo che corre lungo il bordo alternando un melograno ad una foglia d’acanto tra foglie arricciate sormontate da un fruttino. Il motivo è dipinto con lustro dorato e sottolineato con ombre rese a larghe pennellate blu. Sul retro, si osservano tracce di verde e tre ampie spirali a lustro in parte coperte dal restauro.
    Al centro dell’umbone, incorniciato da una sottile fascia rilevata, è dipinta la figura di Santa Apollonia. La martire è raffigurata di profilo, il capo adornato dall’aureola, e di fronte a lei il simbolo del martirio: una grande tenaglia che stringe ancora un dente.
    Il martirio di Apollonia, patrona dei dentisti, avvenne ad Alessandria d’Egitto, dove fu catturata, percossa e privata dei denti, prima di gettarsi volontariamente nel fuoco, pur di non far opera di abiura alla fede.
    Questo tipologia di coppe in maiolica decorata a rilievo ebbe ampia diffusione durante il ’500. Gli esemplari datati si attestano prevalentemente attorno agli anni Trenta, mai conosce anche un esemplare con l’insegna di Giulio II, papa del primo decennio del secolo (1503-1513), e di uno con le insegne di papa Paolo III (1534-1549). Alcuni esemplari noti presentano sul retro la marca “N”, ormai concordemente ritenuta simbolo della bottega urbinate di Vincenzo Andreoli, riconducibile agli anni successivi al 1538 e fino al 1547. La produzione di questi oggetti, vista la richiesta di vasellame a imitazione del metallo e il successo dei lustri di Gubbio prima e di quelli di Deruta poco dopo, fu notevole. Si vedano in merito i numerosi esempi presenti nelle collezioni francesi studiate da Giacomotti, tra i quali due coppe (nn. 735 e 739) con figure di Santa Maddalena, di dimensioni appena maggiori della nostra. Numerosi altri esempi, sempre di dimensioni superiori, sono conservati nella collezione del Museo delle Arti Decorative di Lione.
    Molti esemplari di dimensioni varie sono presenti in collezioni private.
    Tutti gli esempi fin qui citati presentano però la bordura adorna di pigne rilevate e non di melograni. Una coppa conservata al Metropolitan Museum of Art di New York, anch’essa con una figura femminile al centro, presenta nella tesa caratteristiche morfologiche simili nelle foglie a rilievo, ma è priva del melograno.
    Questa coppa appartiene ad una precisa tipologia, dove la preziosità del manufatto non era data tanto dallo stile pittorico, quanto dalla tecnica del lustro e dalla realizzazione morfologica dell’oggetto.
    Il retro della coppa conserva alcune etichette di collezione con numero: l’expertise che accompagna l’oggetto ci svela l’appartenenza alle collezioni Heilbronner prima e Rueff poi; èinoltre presente un’etichetta con timb

  • COPPAGubbio, 1540 circa Maiolica decorata in policromia in rosso,...
    Lotto 33

    COPPA
    Gubbio, 1540 circa
     
    Maiolica decorata in policromia in rosso, arancio, giallo, verde, blu di cobalto, bruno di manganese nei toni del nero, bianco e lumeggiature rosse
    alt. cm 4; diam. cm 18,7; diam. piede cm 8,5
    Sotto la base etichetta stampata “ORLANDO PETRENI/ ARREDAMENTI ARTISTICI/ FIRENZE/ VIA RONDINELLI 7R TEL. 23.782
     
    Sbeccatura al piede; lievi sbeccature di usura all’orlo
     
    Earthenware, painted in red, orange, yellow, green, cobalt blue, blackish manganese, white, and red highlights
    H. 4.8 cm; diam. 18.7 cm; foot diam. 8.5 cm
    On the back, printed label ‘ORLANDO PETRENI/ ARREDAMENTI ARTISTICI/ FIRENZE/ VIA RONDINELLI 7R TEL. 23.782’
     
    Chip to foot; minor wear chips to rim
     
    La piccola coppa, dalla foggia ampia e liscia, ha un bordo dritto e poggia su un piede ad anello basso e svasato, con orlo tagliato a stecca.
    L’ornato a pieno campo è realizzato con grande finezza e raffigura San Girolamo penitente nel deserto mentre, inginocchiato in prossimità di una roccia, si percuote il petto con un sasso reggendo la croce nell’altra mano.
    Il corpo del santo è dipinto con cura e notevole attenzione nella resa della muscolatura, grazie alle ombreggiature in ocra e in smalto bianco. L’uso dei tocchi di bianco per dare forma ad alcuni dettagli si nota anche nella resa del Cristo sul crocifisso, delineato in solo smalto, e nel ciuffo di fiori sulla roccia alle spalle del santo. Il paesaggio con montagne impervie e paesini è invece meno accurato.
    La lumeggiatura è sapientemente dosata e distribuita per dare risalto al personaggio e stesa con maggior densità sul lato destro e nel cielo, quasi a seguire la luce del tramonto. La roccia collocata a incorniciare la figura del santo è anch’essa lumeggiata, evidenziando così il fondo scuro della spelonca, rifugio dell’eremita. La lumeggiatura è presente anche nel retro con una larga fascia a sottolineare l’orlo della coppa.
    Il soggetto ebbe molta fortuna nella produzione ceramica istoriata e si annoverano numerosi esempi dipinti anche da pittori illustri, tra i quali lo stesso Xanto Avelli e i suoi seguaci. Un confronto vicino al nostro esemplare è conservato nella donazione Fanfani del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, la cui fonte è na stampa di Reverdino, incisore seguace del Bonasone, dalla quale anche il decoratore della nostra avrebbe potuto trarre ispirazione.

  • COPPA SU ALTO PIEDEGubbio, lustro firmato da Mastro Giorgio Andreoli,...
    Lotto 34

    COPPA SU ALTO PIEDE
    Gubbio, lustro firmato da Mastro Giorgio Andreoli, “1526”
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, blu, turchino, verde, rosso, arancio e bruno di manganese; lustro rosso e oro
    alt. cm 6; diam. cm 31,5; diam. piede cm 12,6
    Sul retro, in lustro dorato, è dipinta la sigla “1526/M°G°
    Sul retro piccola etichetta di carta con stampa “ON LOAN FROM” e iscritta a china “The Rev.o S Berney”; grande etichetta, poco leggibile, con la seguente scritta a china “Berney collection/ The Taddea da Carrara Della Scala/ Giorgio/ After Marc Antonio from Raphael/ The portrait of Taddea della Scala (who is being led/ to the Saviour in token of her great charity as foundress/ of the great Casa di Pietà at Verona) is taken from/ a grotesque picture which is over the altar in the/ church as S. Anastasia in Verona which represents/ Mastino II (prince of Verona) Della Scala & Taddea/ da Carrara, his wife kneeling before the Virgin./ The landscape […] the bridge to the fortress of Verona/ the Castellum Vetus, the old castle & the further parts of/ the tower seen in the distance to the right/ the Episcopal palace with its […]/ are […] visible/ R.S.Berney”
     
    Intatta
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in yellow, blue, turquoise, green, red, orange, and manganese; red and golden lustre
    H. 5.3 cm; diam. 31.5 cm; foot diam. 12.6 cm
    On the back, ‘1526/M°G°’ painted in golden lustre
    Small paper printed label ‘ON LOAN FROM’ with hand-written in black ‘The Rev.o S Berney’; small label hand-written in black ink ‘In Rev.o S Bernay’/ ‘18’; larger label (hardly readable) hand-written in black ink ‘Berney collection/ The Taddea da Carrara Della Scala/ Giorgio/ After Marc Antonio from Raphael/ The portrait of Taddea della Scala (who is being led/ to the Saviour in token of her great charity as foundress/ of the great Casa di Pietà at Verona) is taken from/ a grotesque picture which is over the altar in the/ church as S. Anastasia in Verona which represents/ Mastino II (prince of Verona) Della Scala & Taddea/ da Carrara, his wife kneeling before the Virgin./ The landscape […] the bridge to the fortress of Verona/ the Castellum Vetus, the old castle & the further parts of/ the tower seen in the distance to the right/ the Episcopal palace with its ” […]/ are […] visible/ R.S.Berney”
     
    In very good condition
     
    An export licence is available for this lot
     
    La coppa, dalla foggia ampia e liscia, è orlata da un bordo appena rialzato e poggia su un piede ad anello basso e svasato.
    Sul retro, la coppa presenta delle decorazioni a lustro con spirali fogliate e la marca “M°G°” della bottega di Mastro Giorgio Andreoli, associata alla data 1526.
    Sul fronte in primo piano, su una ripida scalinata sale Marta che accompagna la giovane Maria Maddalena introducendola al Cristo. Questi, benedicente, siede su un trono dai braccioli di forma leonina, collocato tra due colonne. Molti spettatori assistono alla scena mostrando perplessità: i quattro apostoli attorno al Cristo, e – in basso - due gruppi di figure ne discutono animatamente. A sinistra, una quinta è formata da una libera composizione di elementi architettonici, con archi spezzati, portali e finestre. Lo sfondo presenta un complesso gioco paesaggistico: a sinistra un’altura con strade, porte urbane ed edifici disordinatamente collocati a diverse altezze, sormontata da una figura di erma. A destra, dietro un

  • COPPAUrbino, pittore vicino a Nicola di Gabriele Sbraghe, 1526-1528...
    Lotto 35

    COPPA
    Urbino, pittore vicino a Nicola di Gabriele Sbraghe, 1526-1528 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, arancio, blu, verde, bianco e bruno di manganese
    alt. cm 4,5; diam. cm 27,1; diam. piede cm 11,9
    Sul retro della coppa, sotto il piede, iscrizione dipinta in blu “Come io sefe die chiari/ linsonia afarauone/ desete uache magre/ e sete grase
    Numero “79” e simbolo inciso nello smalto
     
    Intatta, fatta eccezione per alcune sbeccature all’orlo del piede
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in yellow, orange, blue, green, white, and manganese
    H. 4.5 cm; diam. 27.1 cm; foot diam. 11.9 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘Come io sefe die chiari/ linsonia afarauone/ desete uache magre/ e sete grase’
    Number ‘79’ and symbol incised in the glaze
     
    In very good condition, with the exception of some chips to foot rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    La coppa mostra un cavetto dalla foggia ampia e liscia orlato da un bordo appena rialzato, e poggia su un piede ad anello basso e svasato.
    La scena è tratta puntualmente dal dipinto di Raffaello per le Logge Vaticane raffigurante Giuseppe che spiega il sogno al faraone. La fonte incisoria al momento non ci è nota, e poiché le uniche incisioni che raffigurano tale episodio sono datate già alla fine del ’500 si potrebbe pensare a una visione diretta, da parte dell’artista, delle Logge o dei disegni di Raffaello.
    L’episodio è descritto nella Bibbia (Genesi 41, 25-31): poiché il faraone aveva fatto ben due sogni senza che i suoi consiglieri fossero riusciti a interpretarli in modo plausibile, fu introdotto a corte l’ebreo Giuseppe quale esperto. Quando il faraone raccontò di aver sognato sette vacche magre che divoravano sette vacche grasse e sette spighe aride che consumavano altrettante spighe grasse, Giuseppe spiegò che stava per scatenarsi sul paese una carestia: a sette anni di abbondanza, ne sarebbero seguiti altrettanti di carestia, ed era dunque il caso di preparare i magazzini per far fronte a questa sciagura.
    La scena mostra il faraone seduto e, in alto, sopra la sua testa, due riserve circolari con le immagini dei sogni. Di fronte Giuseppe, e alle sue spalle tre dignitari di corte che discutono animatamente.
    Lo stile del pittore è quello di Nicola Gabriele Sbraghe detto Nicola da Urbino. I volti allungati, i profili sottolineati in bruno di manganese, i piccoli occhi resi in nero con un piccolo tocco di bianco, lo scorcio di paesaggio visto attraverso la finestra: ogni cosa ricorda il maestro urbinate, anche se il raffronto con gli esemplari firmati, senza dubbio a lui attribuibili, non convince del tutto.
    Questo piatto è esemplare per una rapida rilettura della storia degli studi sulla maiolica marchigiana del ’500. Nella collezione Charles Damiron l’opera era attribuita all’artista, chiamato allora Nicola Pellipario, e datata verso il 1530. Bernard Rackham, nel suo studio sulla collezione Adda, per il modo di dipingere i volti e di stendere i colori l’uno sopra l’altro ipotizzava la mano di Francesco Xanto Avelli, sotto l’influenza di Nicola Pellipario.
    E' probabile che l’oggetto sia passato in asta nel 1965, dal momento che lo ritroviamo poi pubblicato nel catalogo della collezione dell’antiquario londinese Humphris nel 1967 con la stessa proposta attributiva di Rackham, anche riguardo alla scritta sul retro del piatto, vicina ai modi di Xanto Avelli.
    Oggi, alla luce dei nuovi studi riguardo all’esistenza di altre impor

  • COPPAUrbino, bottega di Nicola di Gabriele Sbraghe, 1530-1535...
    Lotto 36

    COPPA
    Urbino, bottega di Nicola di Gabriele Sbraghe, 1530-1535 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bianco e bruno di manganese nei toni del marrone e del nero
    alt. cm 3,5; diam. cm 25,5; diam. piede cm 10,9
    Sul retro sotto il piede iscrizione in corsivo “Circero Glaucho. In./ Cantatricie” e simbolo
    Numero manoscritto “5335” ripetuto due volte sul lato del piede
     
    Sbeccatura sull’orlo in alto a destra
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, white, and brownish and blackish manganese
    H. 3.5 cm; diam. 25.5 cm; foot diam. 10.9 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘Circero Glaucho. In./ Cantatricie’ and a symbol
    Two numbers ‘5335’ hand-written on the side of the foot
     
    Chip to rim at 1 o’clock
     
    An export licence is available for this lot
     
    La coppa, poggiante su piede ad anello molto basso, ha cavetto largo, tesa alta e stretto bordo estroflesso. La decorazione istoriata interessa l’intera superficie del cavetto. Sul verso, decorato da linee concentriche gialle a sottolineare i profili, è elineata all’interno del piede la scritta “Circero Glaucho. In./ Cantatricie”.
    La scena mostra Circe seduta davanti al suo palazzo, raffigurato secondo i dettami dell’architettura rinascimentale, a colloquio con Glauco, appoggiato al fusto di un albero. Alle spalle dell’uomo un albero dal tronco ricurvo chiude la scena. Sullo sfondo, un paesaggio marino con una scogliera e una città turrita: lo stretto è quello che sorveglia il confine tra la Sicilia e la terraferma, e la città potrebbe essere l’antica Zancle (Messina) o Reggio Calabria.
    In Ovidio (Ov., Met., XIII-XIV) lo scenario è familiare: il palazzo di Circe, figlia del Sole, si leva su colli erbosi nelle acque del Tirreno, e Glauco, un pescatore, ha percorso un lungo tratto di mare per venire a colloquio con la maga: in questa raffigurazione egli è ncora umano, non si è ancora mutato in divinità marina. Glauco ama Scilla, che però non si lascia persuadere a cedergli: per il “dio-pescatore”, alla ricerca di una formula d’amore, la soluzione è quella di rivolgersi a Circe. A questo punto, però, è la dea figlia del Sole che desidera Glauco: per questo gli offre di assecondare con un solo gesto chi lo ama e, contemporaneamente, di vendicarsi di chi lo disprezza. Il giovane rifiuta e ciò fa infuriare la maga, che mormorando un sortilegio muta la rivale in un mostro. Questo però non gli serve a ottenere il favore di Glauco, che invece fugge piangendo la perdita dell’amata.
    Il soggetto è dipinto con una copiosa quantità di materia: il manganese abbonda ed è quasi a rilievo, ma anche il blu del mare che si fonde con le montagne è abbondante, steso con pennellate parallele. Il verde dell’erba è invece diluito e mosso da sottilissime pennellate scure, mentre il terreno è reso in ocra, come pure i capelli delle figure e il manto di Circe. Il tendaggio che chiude la scena sulla sinistra è realizzato in verde ramina scuro, lumeggiato con giallo antimonio. Su un tale sfondo le figure risultano quasi eteree, dalle forme elegantemente allungate, di colore chiaro, con muscolatura lumeggiata in bianco e con lievi ombreggiature ocra; i volti e i tratti fisiognomici sono invece sottolineati da una sottile linea scura. Il cielo sullo sfondo è movimentato da una nuvola scura sagomata con piccole volute a chiocciola. Protagonisti, insie

  • COPPACastel Durante o Urbino, 1520-1525 Maiolica decorata in policromia...
    Lotto 37

    COPPA
    Castel Durante o Urbino, 1520-1525
     
    Maiolica decorata in policromia con blu, giallo, arancio, rosso, bianco e bruno di manganese nei toni del nero
    alt. cm 4,7; diam. cm 21; diam. piede cm 9
    Sul retro etichetta lacunosa con scritta in inchiostro “…-94… ART.30/ ...BIO...CENTUR/ BARON DE ROTHC.../ COLLECTION”; altra etichetta stampata, con numeri in inchiostro “S.B. Lot No. 947/ Art. No. 30
     
    Intatto; sbeccature da usura all'orlo con cadute di smalto che lasciano intravedere la terracotta color camoscio scura e i segni di lavorazione al tornio
     
    Earthenware, painted in blue, yellow, orange, red, white, and blackish manganese
    H. 4.7 cm; diam. 21 cm; foot diam. 9 cm
    On the back, label hand-written in ink ‘…-94... ART.3/ ...BIO...CENTUR/ BARON DE ROTH.../ COLLECTION’; printed label with hand-written in ink ‘S.B. Lot No. 947/ Art. No. 30’


     
    In very good condition; wear chips to rim with some glaze losses through which one can see the dark buff earthenware body and the wheel marks
     
    La coppa, su basso piede, presenta sul recto una decorazione che interessa l’intera superficie: essa ritrae un condottiero con un elmo da parata ornato da volute fogliate e dotato di una visiera a forma di mascherone: il ritratto maschile è di un giovane, raffigurato di profilo, che indossa, sopra una camiciola pieghettata, una lorica sulla quale s’intravvede un decoro a rilievo. Tutt’intorno corre un nastro, ad andamento sinuoso, sul quale si legge il nome “ASTOLFO” in lettere capitali.
    Il volto è reso in bianco sopra bianco per rendere l’incarnato chiaro, quasi traslucido; lo sguardo pacato e la bocca semiaperta danno l’impressione di una quiete che contrasta con la figura di guerriero. L’elmo, la lorica e la camiciola emergono grazie a sapienti pennellate e ad un’accorta sovrapposizione dei colori che rendono perfettamente il chiaroscuro. La figurina spicca su un fondo interamente dipinto di blu. Si ritiene che l’elmo indossato dal personaggio sia stato inventato da Verrocchio o da Leonardo: era un copricapo diffuso sulle monete o sulle medaglie con ritratti “all'antica”, ma anche in incisioni e nielli. Poiché ci piace pensare che il pittore, nel dipingere il personaggio qui raffigurato, si sia ispirato al paladino di Carlo Magno protagonista di imprese memorabili nelle grandi opere epiche del Rinascimento, la fonte d’ispirazione letteraria sarebbe da ricondurre agli anni tra il 1483 e il 1532, arco cronologico in cui sono compresi sia l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo che l’Orlando il Furioso di Ludovico Ariosto: Astolfo personaggio dal carattere impulsivo, è protagonista di imprese memorabili in entrambe le opere.
    Le coppe di questa tipologia sono numerose e si presentano con caratteri morfologici e stilistici differenti, a conferma della diffusione e del successo di questa foggia con ritratti maschili e femminili: oggetti analoghi sono presenti in molti musei italiani e stranieri.
    Il lavoro di confronto ci porterebbe ad avvicinare l’opera alla coppia di coppe con “Ruggero” e “Filomena” conservata al Metropolitan Museum of Art di New York databili al primo quarto del XVI secolo e ricondotte alle botteghe artigiane attive in particolare a Castel Durante, l’attuale Urbania.
    Jorg Rasmussen nel 1989 ha individuato e attribuito al Maestro Giovanni Maria Vasaro dodici piatti decorati con ritratti di profilo di tipo analogo, conservati in importanti collezioni private e museali, rigettando la tradizionale attribuzione a Nicola di Urbino, e retrodatando la serie agli anni 1510-

  • PIATTOUrbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli,...
    Lotto 38

    PIATTO
    Urbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli, 1528-1529
     
    Maiolica decorata in policromia, con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola
    alt. cm 3,4; diam. cm 28; diam. piede cm 10
    Sul retro, sotto il piede, iscrizione “morte di Egieo Y
     
    Sul retro tracce di un antico restauro con graffe metalliche a fermatura di una felatura profonda, risolta con restauro archeologico
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
    H. 3.4 cm; diam. 28 cm; foot diam. 10 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘morte di Egieo Y’
     
    On the back, remains of old restoration of a heavy hairline crack fixed with metal clips, now consolidated using archaeological restoration
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filetti incisi circolari. Poggia su un basso piede privo di anello.
    Nel nostro piatto Francesco Xanto Avelli interpreta il mito con grande maestria narrativa: al centro campeggia Pizia, che tiene in mano la patera delle offerte; a sinistra appare la nave di Teseo, riconoscibile perchè vestito di verde; a destra lo stesso Teseo assiste alla caduta del padre, raffigurato nella parte alta del piatto mentre compie il tragico gesto.
    Come spesso avviene nei lavori del pittore rodigino, anche in questo caso si riconosce l’uso di più incisioni. La nave è tratta da un particolare dell’incisione del Ratto di Elena di Marco Dente (1493-1527) da Raffaello Sanzio. Per la figura della Pizia si potrebbe pensare a una delle figure derivate dalla Cappella Sistina e divulgate per stampa; ci pare però di riscontrare una somiglianza nel corpo della Pizia con quello di Vulcano raffigurato in un piatto del Walters Museum of Art di Baltimora, assegnabile al periodo compreso tra il 1528 e il 1532. Carmen Ravanelli Guidotti nel suo saggio su alcune opere inedite o poco note di Xanto Avelli, presentando il piatto in esame aveva già ipotizzato che la figura potesse essere stata tratta dall’incisione del Maestro del Dado con Ercole che scaccia l’invidia dal Parnaso: la posizione della figura che assiste alla scena seduta in basso richiama molto da vicino quella della nostra. La studiosa suggerisce inoltre una certa vicinanza con il piatto con il suicidio di Porzia, presentato nello stesso saggio: entrambe le opere andrebbero datate cioè attorno agli anni 1528-1529. Per la figura di Teseo, Ravanelli Guidotti pensa che si possa accostare a quella di uno dei pastori che assistono al rapimento di Ganimede in una stampa di Gian Battista Palumba e alla figura di Dedalo della coppa del gruppo “F.R.” del Gardiner Museum.
    Egeo divenne re di Atene alla morte del padre Pandione. In assenza di un erede maschio, pur essendosi sposato più volte, si recò a consultare la Pizia, oracolo di Delfi, che gli disse: “Tieni chiuso il tuo otre di vino finchè non avrai raggiunto il punto più alto della città di Atene, altrimenti un giorno ne morirai di dolore”. Recatosi a Trezene incontrò Eta, figlia del re Pitteo, che gli fu presentata dopo averlo fatto ubriacare. Dall’incontro che ne seguì nacque Teseo; dopo qualche tempo Egeo decise di far ritorno ad Atene. Un giorno, durante una gara con il figlio di Minosse in visita ad Atene, Egeo fu colto da rabbia e uccise l’ospite. Il figlio Teseo, che nel frattempo si era riavvicinato al padre, dovette allora r

  • PIATTOUrbino, Francesco Xanto Avelli, firmato, 1532 circa Maiolica decorata...
    Lotto 39

    PIATTO
    Urbino, Francesco Xanto Avelli, firmato, 1532 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola
    alt. cm 4,6; diam. cm 27,5; diam piede cm 7,3
    Sul retro, al centro del piede, la scritta “fra: Xanto, Avelli/ da Rovigo pinse Urbini/ In Sathir’ Giove d’amor converso/ favola Y” delineata in blu.
    Sul retro etichetta stampata “SCHUBERT ANTICHITA' - corso MATTEOTTI 22 MILANO
     
    Intatto; lievi sbeccature dovute all’applicazione di sostegni sull’orlo; sbeccature d’uso sul bordo
     
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
    H. 4.6 cm; diam. 27.5 cm; foot diam. 7.3 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘fra: Xanto, Avelli/ da Rovigo pinse Urbini/ In Sathir’ Giove d’amor converso/ favola Y’
    On the back printed label ‘SCHUBERT ANTICHITA'- corso MATTEOTTI 22 MILANO’


     
    In very good condition; minor chips to rim; wear chips to rim
     
    Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filettature concentriche incise. Poggia su un basso piede privo di anello.
    La scena è racchiusa tra un vecchio albero spoglio e disadorno e una rupe alta, coperta da zolle erbose; sullo sfondo, un paesaggio fluviale con alte colline squadrate e un borgo con un ponte su un fiume. Lo scenario è abitato da tre gruppi di figure: al centro, Eros avanza portando sulle spalle una saetta: il personaggio è tratto da un’incisione di Marco Dente che riproduce il fregio della chiesa di San Vitale a Ravenna; a destra, seduto su una roccia, è raffigurato Apollo, divinità che s’incontra spesso nelle opere di questo pittore e la cui rappresentazione è tratta dall’incisione di Marcantonio Raimondi del Parnaso di Raffaello Sanzio; a sinistra, infine, è collocata una scena erotica tra un satiro e una ninfa: il corpo della donna deriva probabilmente da una delle figure delle Pieridi tratte dall’incisione di Jacopo (o Gian Giacomo) Caraglio (1500-1565 circa) ripresa da Rosso Fiorentino raffigurante Il convegno tra le Muse e le Pieridi, mentre per il satiro al momento non è stata individuata alcuna fonte. Anche per la figura maschile che compare alle spalle di Apollo non è stato possibile, fino ad ora, identificare la fonte incisoria: ipotizziamo che il corpo, parzialmente coperto, possa essere stato ricavato da una delle incisioni con scene di battaglia o da quella che raffigura la Strage degli innocenti di Marcantonio Raimondi da Raffaello, utilizzate in molte occasioni dal pittore rovigense, mentre il volto potrebbe essere stato ispirato da quello dell’Invidia nell’incisione Invidia cacciata dal tempio delle Muse del “Maestro del Dado” e successivamente assemblato dal pittore che, come già in altre sue opere, lo ha dotato della capigliatura a ciuffi scomposti dipinti in un colore fulvo.
    Anche in questo caso, come nel piatto presentato al lotto 38 di questo catalogo, vediamo come Francesco Xanto Avelli, secondo la tecnica che gli è consueta, abbia saputo mescolare figure tratte da più incisioni utilizzandole a suo piacimento.
    L’opera è complessa e solo la frase “In Sathir’ Giove d’amor converso” sul retro ci aiuta nella sua comprensione. Vi leggiamo anche la firma per esteso del pittore, delineata con grafia rapida in blu scuro: “fra: Xanto, Avelli / da Rovigo pinse Urbini / In Sathir’ Giove d’amor converso / favola Y”.
    La scena narra l’episodio di Antiope sedotta da Zeus, il quale le si presentò con le sembianze di un satiro: la conseguente gravidanza comportò una serie di sciagure: la morte del padre Nitteo, la nascita e l’abbandono dei due gemelli Anfione e Zeto, la cattura e la vessazione di

  • PIATTOUrbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli,...
    Lotto 40

    PIATTO
    Urbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli, 1528-1530 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola
    alt. cm 4,5; diam. cm 26,6; diam. piede cm 7,3
    Sul retro, sotto il piede, la scritta “A dann’p’el reo tesc iio/ anmiratino/ fabula y
     
    Intatto; sobbollitura dello smalto in basso a sinistra
     
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
    H. 4.5 cm; diam. 26.6 cm; foot diam. 7.3 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘A dann’p’el reo tesc iio/ anmiratino/ fabula y’
     
    In very good condition; on the front, firing defect at 7 o’clock
     
    Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filetti incisi concentrici. Poggia su un basso piede privo di anello.
    La scena figurata si svolge in primo piano tra un edificio, a sinistra, e due alberelli dal tronco sinuoso, a destra; al centro è resente un’alta rupe coperta da zolle erbose. Sullo sfondo un paesaggio costiero con un borgo circondato da mura e un’alta collina squadrata; un fiume lo separa dalla scena in primo piano.
    Con la consueta capacità pittorica, il pittore rodigino sintetizza la vicenda di Perseo (Ovidio, Met. IV, 769-803), uno dei miti più articolati della grecità, unendo, come spesso accade, in una stessa narrazione i personaggi mutuati da più incisioni. Il momento topico è nell’esergo in primo piano: la morte di Medusa, il mostro femminile, con il capo coperto di vipere il cui sguardo era in grado di pietrificare il nemico, che giace con il capo mozzato su un prato erboso in prossimità di uno specchio d’acqua; il modello del corpo è tratto da un’incisione di Jacopo (o Gian Giacomo) Caraglio (1500-1565 circa) ripresa da Rosso Fiorentino raffigurante Il convegno tra le Muse e le Pieridi. A destra, Perseo – il capo coperto dall’elmo che rende invisibili e ai piedi i calzari alati dono di Ermes – avanza brandendo la spada e portando con sè la testa di Medusa; la figura qui utilizzata per rappresentare l’eroe è stata spesso usata dal pittore ed è presente anche in altre opere, e si tratta di un adattamento dall’incisione raffigurante il Martirio di Santa Felicita di Marcantonio Raimondi tratta da Raffaello. Al centro, un giovane personaggio spunta da dietro una roccia portando un sacco sulle spalle; il personaggio, anch’esso utilizzato di frequente da Xanto Avelli, è derivato dall’incisione di Marcantonio Raimondi raffigurante Isacco che benedice Giacobbe, ugualmente tratta da Raffaello. Riteniamo che si tratti di un episodio successivo: Perseo trasporta la testa della Gorgone all’interno di un sacco di cui Atena gli ha fatto dono insieme allo scudo utilizzato per ingannare Medusa, allo scopo di evitare lo sguardo del mostro, il cui potere pietrificante non sarebbe venuto meno neanche dopo la morte della stessa.
    A sinistra, vicino a un palazzo, un uomo si copre il volto con un mantello. L’episodio potrebbe essere quello in cui Perseo, di ritorno dalle sue avventure, reca la testa promessa a Polittete per le nozze con la madre e per vendicarsi dei torti subiti la estrae per l’ultima volta dalla sacca pietrificando il re e i suoi cortigiani: “a danno per il reo”.
    Anche quest’opera, come già detto per il lotto 38, va accostata a quelle prodotte prima dell’arrivo dell’Avelli a Urbino e si aggiunge alla serie cosid

  • COPPAPesaro, 1540 circa Maiolica decorata in policromia con giallo,...
    Lotto 41

    COPPA
    Pesaro, 1540 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, giallo-arancio, blu, verde rame, bianco e bruno di manganese nei toni del violaceo e del nero; tracce di verde sul retro
    alt. cm 6,6; diam. cm 27,5; diam. piede cm 12,5
    Sul retro etichetta ovale stampata “ANTICHITA' Petreni VIA RONDINELLI 7R FIRENZE
     
    Intatta; sbeccature e usure al piede; piccole sbeccature all’orlo
     
    Earthenware, painted in yellow, yellowy orange, blue, copper green, white, manganese purple, and blackish manganese; on the back, remains of green colour
    H. 6.6 cm; diam. 27.5 cm; foot diam. 12.5 cm
    On the back, oval printed label ‘ANTICHITA' Petreni VIA RONDINELLI 7R FIRENZE’
     
    In very good condition; chips and wear to foot; minor chips to rim
     
    La coppa, dal piede basso e leggermente svasato presenta un ampio cavetto piano con orlo appena rilevato. La decorazione, su smalto sottile bianco leggermente azzurrato, interessa l’intera superficie e rappresenta una battaglia; sullo sfondo, incorniciato tra un albero e una roccia, un paesaggio lacustre con colline è entrato da una città fortificata.
    Le scene di battaglia sono spesso raffigurate sulle ceramiche istoriate, ma le modalità pittoriche rapide e corrive non ci hanno permesso fino ad ora di individuare una precisa iconografia di riferimento. Tuttavia proprio le modalità pittoriche e aiutano nel confronto con una coppa di manifattura pesarese che presenta caratteristiche stilistiche molto simili: si vedano, oltre alla resa pittorica, alcuni dettagli nel modo di raffigurare i corpi e le armi, come ad esempio lo scudo ellittico in primo piano, disegnato in modo molto ingenuo, presente in entrambi gli oggetti. La coppa di confronto, raffigurante la caccia al cinghiale calidonio e conservata nei Musei Civici di Pesaro, presenta architetture in lontananza dipinte in modo approssimativo, sproporzionate rispetto alle montagne poste a ridosso dei paesi. In primo piano le rocce color ocra hanno profili arrotondati e il terreno è reso pittoricamente con un’alternanza di ocra e di verde rame intenso, mentre i dettagli sono sottolineati con abbondanti pennellate di manganese.
    Riteniamo corretto, dunque, assegnare il nostro esemplare alla stessa mano della coppa di Pesaro, in più occasioni citata dalla letteratura alla ricerca di un’attribuzione differente dalla bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Ci piace proporre una sua immagine com’era stata pubblicata nel catalogo dell’originaria collezione di Charles Damiron.
    Si ha traccia di un passaggio della coppa in esame alla casa d’aste Christie’s, con l’attribuzione a Urbino e una datazione agli anni attorno al 1545.

  • COPPAUrbino o Ducato di Urbino, 1540 circa Maiolica decorata in...
    Lotto 42

    COPPA
    Urbino o Ducato di Urbino, 1540 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, giallo-arancio, blu, turchino, verde, bruno di manganese e bianco
    alt cm 4,5; diam. cm 26,5; diam. piede cm 12,5
     
    Sotto il piede, iscrizione dipinta in blu “L”, e, più in basso, come a seguito di un ripensamento, “La Visione di Jacob
     
    Intatta; lievi sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in yellow, yellowy orange, blue, turquoise, green, manganese, and white
    H. 4.5 cm; diam. 26.5 cm; foot diam. 12.5 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘L’ and further down ‘La Visione di Jacob’
     
    In very good condition; minor chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Coppa con ampio cavetto, bordo rilevato e orlo appena svasato, arrotondato e listato in giallo. Il piede è basso e ad anello, con orlo arrotondato. Il decoro è realizzato con colori tenui, molto diluiti, e ritocchi sottili a punta di pennello estremamente curati a sottolineare i lineamenti, i capelli con riccioli, i piedi, le mani e i contorni degli occhi lumeggiati in bianco. Tratti sottili rimarcano anche alcuni dettagli del paesaggio.
    La scena riproduce il passo della Bibbia (Genesi 28, 10-18) che narra come Giacobbe, in viaggio per Betsabea, stesse dirigendosi verso Carran. Fermatosi per trascorrere la notte, prese una pietra e la pose come guanciale. Fece quindi un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa e il Signore gli diceva che la terra su cui si era coricato sarebbe stata della sua discendenza. Allora Giacobbe, destatosi dal sonno, riconobbe quel luogo come la sua patria, si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità.
    La coppa, decorata sull’intera superficie, era stata attribuita a una bottega faentina vicina a Baldassare Manara. Oggi non ci pare che quest’attribuzione possa essere ancora ritenuta valida. La disposizione del decoro e le modalità compositive e stilistiche fanno pensare piuttosto che si tratti di un’opera di bottega marchigiana.
    Si tratta di una foggia variamente utilizzata in tutto il ducato, e molte sono le affinità con opere pesaresi. A questo proposito colpisce la somiglianza con la coppa con Vulcano e Venere attribuita alla bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce conservata alla Galleria Estense di Modena, in cui si nota la presenza di rami delineati in bruno di manganese e di un volo di uccelli che ricordano quelli presenti sul nostro esemplare. Ci pare poi interessante anche il confronto con una coppa con Gesù nel Giardino degli Ulivi presente nel 1974 nella collezione del Museo di Cluny a Parigi, in cui ci sembra di poter ravvisare qualche affinità con l’oggetto in esame: la coppa non ha attribuzione, ma viene assegnata a un arco cronologico attorno alla metà del secolo XVI.
    Altro confronto può essere fatto con un piatto raffigurante la morte di Narciso e conservato al Museo di Philadelfia ascritto ad area metaurense e datato tra gli anni 1530 e 1540. Sono molto simili il modo di rendere i volti rivolti verso l’alto, in cui il naso diventa un segno triangolare, le mani dalle dita allungate, alcune sproporzioni nel rappresentazione di spalle delle figure, la presenza di grossi blocchi di pietra nel paesaggio e di sottili steccati realizzati con un leggero tratto, il paesaggio con casette dal tetto rosso unite tra loro da ponti sottili, e la presenza di stradicciole dall’andamento sinuoso coperte da c

  • TONDINOUrbino, bottega di Guido di Merlino, “1543” Maiolica...
    Lotto 43

    TONDINO
    Urbino, bottega di Guido di Merlino, “1543”
     
    Maiolica decorata in policromia con blu, verde, arancio, giallo-arancio, bianco di stagno e bruno di manganese
    alt. cm 5,2; diam. cm 23,9; diam. piede cm 8
    Sul retro iscrizione “del porcho Cali/ donio 1543“ (la data in cartiglio)
     
    Felatura in basso a sinistra con incollatura di una piccola porzione; sbeccature all’orlo; segni di usura al piede
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in blue, green, orange, yellowy orange, tin white, and manganese
    H. 5.2 cm; diam. 23.9 cm; foot diam. 8 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘del porcho Cali//donio 1543’ (the date in a cartouche)
     
    Hairline crack at 7 o’clock with a small part reglued; chips to rim; wear to foot
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto, che presenta un profondo cavetto e una larga tesa appena inclinata, poggia su un piede basso privo di anello: questa forma è generalmente definita “tondino”.
    La decorazione istoriata raffigura Meleagro, re dell’Etolia, mentre, insieme ai più celebri cacciatori, uccide il cinghiale Calidonio inviato da Artemide per distruggere i raccolti: la dea aveva inflitto questo castigo per essere stata dimenticata dal re nei sacrifici agli dèi dell’Olimpo.
    La scena è racchiusa tra un albero e una rupe, che fanno da quinte a un paesaggio lacustre con alte colline rocciose e piccoli borghi. A sinistra la dea cacciatrice assiste all’uccisione del feroce animale, posto al centro della scena mentre azzanna un cacciatore a terra. Tutt’intorno i cacciatori, tra i quali Atalanta, l’amata di Meleagro, colpiscono con animosità il cinghiale. Al centro della tesa, in alto, uno stemma gentilizio non ancora identificato è come appeso a un ramo.
    Il mito è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Met. VIII, 260-545): il soggetto ebbe molto successo nel corso del ’500 e venne spesso utilizzato dai pittori urbinati per le loro decorazioni, ma la stampa utilizzata dall’autore come riferimento iconografico del decoro non è stata ancora identificata.
    Il piatto trova un confronto diretto nel lotto 44 di questo catalogo, sia per lo stile pittorico sia per la presenza di uno stemma gentilizio simile, ma non uguale. Anche lo stemma, per il momento, non è ancora stato individuato.
    Le caratteristiche tecniche vedono uno smalto grasso uniformemente distribuito, mentre sul retro l’orlo, l’attacco del cavetto e la bordura del piede sono sottolineati di giallo. Sul fronte si osserva l’uso del verde in tutte le gradazioni, l’impiego dell’arancio soprattutto nelle vesti delle figure, e i tronchi scuri lumeggiati da tocchi di bianco, tecnica questa utilizzata con la stessa finalità anche nei volti, nelle armature e per marcare le onde del ruscello. Il modo di delineare le gambe delle figure – caratterizzate da polpacci grossi e muscolosi, da piedi piccoli e sottili, nonché da ginocchia rigonfie – e la capacità di porre prospetticamente i gruppi di personaggi, ci portano verso un pittore capace, in grado di dominare con finezza la materia.
    L’accostamento con alcuni esemplari dalle caratteristiche stilistiche simili è molto utile: il raffronto fra l’espressione del volto di Diana e quella dei visi delle figure delineate in un piatto della raccolta del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, nonché la somiglianza con altri esemplari firmati, ci avevano suggerito una possibile a Francesco Durantino, proprio agli inizi della sua collaborazione con

  • TONDINOUrbino, bottega di Guido di Merlino, “1543” Maiolica...
    Lotto 44

    TONDINO
    Urbino, bottega di Guido di Merlino, “1543”
     
    Maiolica decorata in policromia in blu, verde, arancio, giallo-arancio, bianco di stagno e bruno di manganese
    alt. cm 5,2; diam. cm 23,9; diam. piede cm 8
    Sul retro iscrizione “di ioue mutato/ in Toro 1543” (la data in cartiglio)
    Etichetta con numero “30” stampato; coppia di etichette dell’antiquario “Bossi et Fils, Genes-Nice”;
     
    Intatto, salvo lievi sbeccature all’orlo e segni di usura al piede
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in blue, green, orange, yellowy orange, tin white, and manganese
    H. 5.2 cm; diam. 23.9 cm; foot diam. 8 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘di ioue mutato/ in Toro 1543’ (the date in a cartouche)
    Printed label ‘30’; two antique dealer’s printed labels ‘Bossi et Fils, Genes-Nice’
     
    In very good condition, with the exception of some minor chips to rim and some wear to foot
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto, che presenta un profondo cavetto e una larga tesa appena inclinata, poggia su un piede basso privo di anello: questa forma è generalmente definita “tondino”.
    La scena è inserita in un paesaggio roccioso con un albero e una rupe a fare da quinte. In basso, al centro della tesa, Europa, colpita dalla bellezza e dalla mansuetudine di un toro bianco comparso nella mandria del padre, vi monta a cavalcioni, voltandosi a guardare verso una figura, probabilmente Mercurio in veste di pastore o il padre Agenore. Sul lato destro tre fanciulle, le amiche con le quale era solita accompagnarsi, assistono alla scena. Al centro è raffigurata la seconda parte della narrazione, con Europa che si allontana nel mare a cavallo del toro in un paesaggio ricco di porti e insenature. Al centro della tesa, in alto, uno stemma gentilizio non identificato e molto simile a quello presentato al lotto 43 di questo catalogo, sembra appeso ad un ramo. Sul retro, orlato di cerchi concentrici gialli, al centro del piede è delineata in blu la scritta “di ioue mutato/ in Toro 1543” con la data inserita in un cartiglio.
    Il soggetto del Ratto di Europa, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Ov., Met. II, 858-875), fu uno dei temi maggiormente utilizzati nella maiolica istoriata grazie alla diffusione delle incisioni con questo soggetto. Si vedano ad esempio i piatti conservati nei Musei Civici di Pesaro, e in modo particolare quello attribuito a Sforza di Marcantonio e datato 1549 come esempio dell’utilizzo delle fonti iconografiche nella maiolica urbinate.
    Un oggetto che interpreta il mito capovolgendo la prospettiva, con modalità tecniche e decorative molto simili al piatto in esame, probabilmente dovute ad una scelta iconografica simile, è una coppa conservata ancora nei Musei Civici di Pesaro e attribuita al “Pittore del Pianeta Venere”, vicino a Lanfranco delle Gabicce, anch’essa con la protagonista seduta di spalle.
    Il confronto diretto con il piatto presentato al lotto 43 di questo stesso catalogo ci fa pensare ad un'opera della medesima bottega, ma alla mano di due pittori, anche per la presenza di uno stemma gentilizio simile ma non uguale. Una prima ipotesi attributiva a Francesco Durantino nella bottega di Guido di Merlino è da respingere, anche se alcuni caratteri stilistici del pittore si intuiscono al centro del piatto.
    Si veda per completezza il confronto stilistico con altri pezzi affini assegnati allo stesso artista: un piatto con alcune varianti nella scena, sormontato da uno stemma non identificato e d

  • PIATTOPesaro, bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce (nei modi del...
    Lotto 45

    PIATTO
    Pesaro, bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce (nei modi del “Pittore del Pianeta Venere”), “1545”
     
    Maiolica decorata in policromia con blu, verde, arancio, giallo-arancio, bianco di stagno e bruno di manganese su fondo di smalto corposo; i colori sono stesi con abbondanza
    alt. cm 2,8; diam. cm 23; diam. piede cm 8,9
    Sul retro, sotto il piede, iscrizione in blu “orfeo 1545
     
    Intatto
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered by a rich glaze and painted in blue, green, orange, yellowy orange, tin white, and manganese, with lavishly applied colours
    H. 2.8 cm; diam. 23 cm; foot diam. 8.9 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘orfeo 1545’
     
    In very good condition
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto ha un cavetto largo e poco profondo, un’ampia tesa piana poco obliqua, orlo arrotondato e piede basso ad anello, al centro del quale è leggibile la scritta “Orfeo 1545”. Il retro è orlato da tre anelli gialli concentrici.
    Al centro del cavetto il protagonista, Orfeo, suona la lira da gamba con un archetto; tutt’attorno sono raffigurate le creature dei boschi, reali e fantastiche, mentre si avvicinano a Orfeo, incantate dalla musica. La figura principale è incorniciata da una roccia voluminosa dall’insolita forma ramificata; alle sue spalle si apre sul fondo un paesaggio lacustre con alte montagne a cuspide e piccoli paesini.
    Orfeo è figlio della musa Calliope e di Eagro, re della Tracia, regione nota fin dall’antichità per l’esistenza di sciamani capaci di provocare uno stato di trance per mezzo della musica e in grado di fare da tramite tra il regno dei vivi e quello dei morti. Il giovane è rappresentato nell’atto di incantare gli animali secondo un’iconografia che ha derivazioni antiche e ricorre in numerose versioni diverse. Le modalità pittoriche sono alquanto corrive e molto legate al tratto, mentre le caratteristiche fisiognomiche sono ben precise e riconoscibili: occhi con pupilla a punta di spillo, naso marcato solo alle narici, bocca leggermente aperta, mento piccolo; gli animali hanno musi allungati dallo sguardo antropomorfo.
    La disposizione della scena prevede la consueta presenza di un paesaggio lacustre alle spalle della rappresentazione principale. Anche in questo caso il paesaggio ha connotazioni ben precise, sia nelle alte montagne dal profilo acuminato, a torre, sia nei paesini, caratterizzati da alte torri e tetti acuti e spioventi, colorati di un rosso intenso. Prevale il disegno: le campiture di colore sono stese a strati, con parti che debordano dall’orlo giallo, come si osserva per esempio nella zolla erbosa in basso a destra. Si scorge tuttavia un sapiente uso del bianco di stagno nelle lumeggiature utilizzate a sottolineare i contorni dei volti o in alcuni dettagli minuti, quali la sottile linea che orla il manto di Orfeo o i piccoli fiori che scendono dalla roccia.
    I confronti stilistici più prossimi si riscontrano in ambito pesarese, come ad esempio nel piatto datato 1545 del British Museum di Londra con Orfeo che riceve la notizia della morte di Euridice, attribuito alla bottega pesarese di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Un confronto a nostro giudizio più pertinente è con un piatto su cui è rappresentata “la morte di Procri”, conservato nella collezione della Cassa di Risparmio di Perugia, anch’esso datato 1545 e attribuito alla mano del “Pittore del Pianeta Venere”, attivo probabilmente nella bottega pesarese di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Il piatto di Perugia mostra molte ca

  • COPPADucato di Urbino o Urbino, “1549” Maiolica decorata in...
    Lotto 46

    COPPA
    Ducato di Urbino o Urbino, “1549”
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, ocra, arancio, turchino, blu, verde e bruno di manganese; sbavature di verde ramina sul retro
    alt. cm 8,8; diam. cm 32,4; diam. piede cm 12,9
    Sul retro, sotto il piede iscrizione “Ovidio narra/ del parto de Mirra. 1549
    Sul retro, sotto il piede parte di cartellino con manoscritto il numero “5386
     
    Rotture della tesa in alto, felature e incollature stabilizzate con restauro archeologico
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in yellow, ochre, orange, turquoise, blue, green, and manganese; on the back, remains of green colour
    H. 8.8 cm; diam. 32.4 cm; foot diam. 12.9 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘Ovidio narra/ del parto de Mirra. 1549’
    On the back, beneath the base, remains of a hand-written paper tag ‘5386’
     
    Cracks, hairline cracks, and reglued damages, consolidated using archaeological restoration
     
    An export licence is available for this lot
     
    La coppa poggia su un basso piede ad anello poco svasato, listato in giallo sulla parte esterna; il cavetto è ampio, concavo e ha un bordo obliquo appena rilevato, con labbro arrotondato. Sul retro, al centro del piede, è visibile in corsivo la scritta “Ovidio Narra/ del parto de Mirra. 1549”.
    Sul fronte la decorazione si sviluppa su tutta la superficie della coppa: in basso a sinistra, davanti ad architetture rinascimentali, Cinira, un cipriota nativo di Pafo, insegue la figlia Mirra per ucciderla, dopo aver scoperto che la stessa, aiutata dalla nutrice Lucina, qui raffigurata mentre esce dal palazzo sorreggendo una fiaccola, l’ha sedotto con l’inganno. Al centro della scena, inserito in un paesaggio lacustre con montagne rocciose e paesini, è appresentato il soggetto principale della narrazione: la nascita di Adone o, come recita la scritta sul retro, “il parto di Mirra”: Mirra, infatti, trasformata in albero per sfuggire alla vendetta del padre, partorisce Adone tra le braccia di Lucina e delle Naiadi. Adone è quindi ritratto, in primo piano a sinistra, mentre riposa con Venere all’ombra di un albero, a raffigurare un’altra parte del mito.
    Il cielo è reso con pennellate larghe e diluite, mentre il paesaggio è caratterizzato da diverse colline; le figure hanno corpi massicci e muscolosi, con polpacci arrotondati, piedi lunghi e sottili e tratti fisiognomici ben marcati; gli elementi architettonici sono realizzati con cura.
    La decorazione istoriata presenta una narrazione simultanea di più episodi del mito narrato, quello di Mirra e Cinira (Ov., Met., X, 298-502) e quello di Venere e Adone (Ov., Met., X, 503-559; 681-739). Le fonti incisorie del piatto, non ancora identificate, sembrano essere diverse, ma comunque, almeno per l’episodio del parto, sono probabilmente derivate dalle versioni in volgare del testo di Ovidio.
    Il soggetto ebbe un buon successo nel ’500 e lo troviamo riprodotto con diverse interpretazioni in numerose opere, come ad esempio nella coppa con Cinira e Mirra del Victoria and Albert Museum, attribuita al “Pittore del servizio della Rovere” e databile al 1540, che raffigura la stessa scena con modalità stilistiche scenografiche meno pacate.
    In base al confronto stilistico con alcune opere coeve e concentrando la ricerca nell’ambito urbinate, ci pare di poter attribuire la coppa alla bottega dei Fontana e nella fase iniziale di attività, cioè al periodo in cui, sotto la guida di Guido Durantino, vi lavorarono numerosi pittori.
    Il

  • COPPA O "SCUDELLA"Pesaro, Sforza di Marcantonio,...
    Lotto 47

    COPPA O "SCUDELLA"
    Pesaro, Sforza di Marcantonio, “1551”
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, turchino, blu, verde ramina, bruno di manganese nei toni del nero e del marrone e bianco
    alt. cm 4,2; diam. cm 22,6; diam. piede cm 10
    Sul retro, sotto il piede, iscrizione “De Alcione la vision/ tremenda: e vera 1551
     
    Intatto, salvo lievi sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in orange, yellow, turquoise, blue, copper green, blackish and brownish manganese, and white
    H. 4.2 cm; diam. 22.1 cm; foot diam. 10 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘De Alcione la vision / tremenda: e vera 1551’
     
    In very good condition, with the exception of some minor chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    La coppa ha ampio cavetto e tesa breve molto alta con orlo aggettante. Il piede è basso, ad anello e con profilo concavo. Il retro del piatto non presenta decorazioni, salvo la scritta corsiva in blu di cobalto all’interno del piede.
    Sul fronte è raffigurato il momento in cui Alcione, distesa sul letto posto al margine destro del piatto, vede in sogno la morte del marito sotto gli occhi della dea Diana, sua acerrima nemica; sul lato sinistro si sviluppa la scena che mostra il naufragio di Ceice, in un paesaggio marino con un porto sullo sfondo. In alto, seduta su una corona di nuvole a chiocciola, la divinità ostile è raffigurata accompagnata da un pavone, suo simbolo distintivo.
    Una mattina, durante una passeggiata nel bosco, la giovane Alcione si distese sull'erba soffice per asciugarsi al sole. La sua bellezza attirò i molti abitatori del bosco, che la scambiarono per Diana. Alcione, mossa da vanità, accettò gli elogi senza rivelare chi fosse veramente, e non lo fece neppure dopo la comparsa della vera dea, evitando di chiarire l’equivoco. La dea scatenò allora la sua ira implacabile, inviando sciagure al popolo di Trascina. Ceice, sposo di Alcione, per placare l’ira della dea andò quindi a interrogare l’oracolo di Apollo. Tre mesi dopo la partenza del marito apparve in sogno ad Alcione un messaggero alato, Morfeo, che le annunziò la morte dello sposo avvenuta tra le onde, durante la traversata. Alcione, svegliatasi di soprassalto, corse al mare e salì sullo scoglio più alto per scrutare lontano: ad un tratto le parve di veder galleggiare un corpo, e disperata si gettò in mare. In quello stesso momento Giove si mosse a pietà e, proprio mentre Alcione si lanciava nel vuoto, le donò due ali che le permisero di librarsi dolcemente nell’aria. Come per incanto, spuntarono due ali anche sul corpo galleggiante di Ceice, che fu visto sollevarsi dalle acque e andare incontro alla sua sposa. Fu così che nacquero nel mondo gli alcioni, uccelli che con il privilegio di fare il nido sulle stesse onde del mare.
    Il soggetto, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Ov., Met. XI, vv. 592-749), non è tra quelli più frequentemente riprodotti nelle opere in maiolica, ma si conosce tuttavia un bellissimo piatto con il medesimo soggetto e la stessa frase dipinto da Francesco Xanto Avelli.
    La forma e le caratteristiche stilistiche del decoro, quali l’attenzione nella resa dei particolari architettonici – come i vetri delle finestre, i mattoni, il cornicione e la cupola sul letto a baldacchino – e la cromia, con il sapiente uso delle lumeggiature bianche, ci portano a pensare ad una buona mano e comunque ad una bottega importante in ambito urbinate o nei confini del Ducato.
    La forma è attestata come

  • PIATTOPesaro, “1553”  Maiolica decorata a policromia in...
    Lotto 48

    PIATTO
    Pesaro, “1553”
     
    Maiolica decorata a policromia in turchino, verde, rosso ferro, arancio, ocra, bianco e bruno di manganese nei toni del nero e del marrone
    alt. cm 2,6; diam. cm 22,3; diam. piede cm 9,5
    Sul retro, sotto il piede in caratteri corsivi in blu di cobalto, una scritta poco leggibile con alternanza di lettere e punti “N[.]rc[Â…]s[..](?)alf[..][..]n / f[..](?)[..]t [..]cch[..][..](?) [Â…]ns[.]s[..][..] / 1553
    Sul retro, sotto il piede etichetta rotonda manoscritta “FL40/11 (4)”; altra etichetta con scritta a mano “8/842/£100
     
    Intatto; lievi sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in turquoise, green, iron red, orange, ochre, white, and blackish and brownish manganese
    H. 2.6 cm; diam. 22.3 cm; foot diam. 9.5 cm
    On the back, beneath the base, hardly-readable inscription in cobalt blue (with an alternation of letters and dots): ‘N[.]rc[Â…]s[..](?)alf[..][..]n / f[..](?)[..]t [..]cch[..][..](?) [Â…]ns[.]s[..][..] / 1553’
    Round hand-written label ‘FL40/11 (4)’; hand-written label ‘8/842/£100’
     
    In very good condition; minor chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto, poggiante su un anello appena accennato, presenta un cavetto poco profondo, una larga tesa orizzontale e un orlo arrotondato listato di giallo. La superficie è interamente smaltata con abbondanza di materia interamente occupata dalla decorazione.
    Sul retro, privo di decori, si legge una scritta in caratteri corsivi delineati in blu di cobalto, che vede alternare lettere e punti, utilizzati al posto delle vocali: “N[.]rc[Â…]s[..](?)alf[..][..]n / f[..](?)[..]t [..]cch[..][..](?) [Â…]ns[.]s[..][..] / 1553”. Ne proponiamo la lettura come segue: “Narcise al fon fecet Ecco in saso 1553”.
    Al centro della composizione campeggia un’alta roccia da cui sembra emergere una fanciulla con gli arti che si trasformano in pietra; ai suoi piedi è raffigurato un giovane accucciato nell’atto di rimirarsi in uno specchio d’acqua. Sullo sfondo si scorge, parzialmente coperto da un albero, un paesaggio lacustre con paesini e montagne dal profilo arrotondato.
    Protagonista del mito narrato da Ovidio è Narciso, figlio di Cefiso e della ninfa Liriope; alla nascita del bimbo ella aveva consultato il profeta Tiresia, il quale predisse che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia “se non avesse mai conosciuto se stesso”. Il giovane era così bello che chiunque lo vedesse s’innamorava di lui, ma ne veniva respinto. Un giorno la ninfa Eco lo seguì furtivamente, desiderosa di rivolgergli la parola, ma non potendo attirarne l’attenzione in altro modo, corse ad abbracciare il bel giovane, il quale però l’allontanò immediatamente in malo modo. La ninfa, delusa, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, finché di lei rimase soltanto la voce. Nemesi, uditi i suoi lamenti, decise di punire Narciso: il ragazzo, imbattutosi in una pozza d’acqua profonda, si accucciò su di essa per bere, ma non appena, per la prima volta nella vita, vide la propria immagine riflessa se ne innamorò perdutamente. Solo dopo un po' si accorse che quell’immagine riflessa gli apparteneva e, rendendosi conto che si trattava di un amore impossibile, si lasciò morire struggendosi invano. Si compiva così la profezia di Tiresia.
    In questo piatto, come pure in quello che segue in questo c

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Importanti Maioliche Rinascimentali

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  • 28 ottobre 2014 ore 17:00 Sessione Unica - lotti 1 - 62 (1 - 62)