326 - Dipinti Antichi dal XIV al XIX secolo
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Lotto 25 Artista bolognese, XVII secolo
San Giovanni Battista
Olio su tela cm. 107x90,5. Con cornice -
Lotto 26 Peter Paul Rubens (seguace di) (Siegen, 1577 - Anversa, 1640)
La Sacra Famiglia con Sant'Anna XVII-XVIII secolo
Olio su tela cm. 114,5x91,5
Il dipinto costituisce una replica fedele del dipinto di Peter Paul Rubens oggi conservato al Museo del Prado a Madrid. -
Lotto 27 Artista fiorentino, XVII secolo
a) Natura morta di zucche, melagrani, mele e pere; b) Natura morta di verdure, frutta e gigli. Coppia di dipinti
Olio su tela cm. 66x88 cad. Con cornice -
Lotto 28 Pietro da Cortona (cerchia di) (Cortona, 1596 - Roma, 1669)
Natività
Olio su tela cm. 137x100
Il dipinto costituisce una copia Seicentesca della tela eseguita da Pietro da Cortona per l'altare di San Salvatore in Lauro a Roma, ivi conservata. -
Lotto 29 Artista olandese, XVII - XVIII secolo
L'atelier del pittore
Olio su tela cm. 79,5x96. Con cornice -
Lotto 30 Artista napoletano, metà XVII secolo
Cristo inchiodato alla Croce
Olio su tela cm. 75x129
Il presente dipinto mostra un'interessante relazione formale con la tela di analoga iconografia oggi conservata al Museo Puskin di Mosca e ivi riferita a Carlo Coppola, dopo una precedente attribuzione a Micco Spadaro. Entrambe le opere, ma in modo particolare quella qui in oggetto, sono peraltro da mettere in relazione con un'incisione di Jacques Callot raffigurante lo stesso soggetto (vedi G. Sestieri e B. Daprà, Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro, Roma 1994, n. 183, pp. 336-337). -
Lotto 31 Artista fiorentino, XVII secolo
Orazione di Cristo nell’orto degli ulivi
Olio su tela cm. 168x134. Con cornice -
Lotto 32 Il Cavalier Perugino (attribuito a) (Perugia, 1609 - Roma, 1681)
Testa di angelo
Olio su tela cm. 47,5x39. Con cornice antica
Il dipinto reca al retro antica iscrizione a pennello con riferimento inventariale: "1386".
La tela replica il volto dell'angelo dipinto dal Cerrini nel San Pietro liberato dal carcere noto nelle due versioni presso la Galleria Pallavicini di Roma e la Galleria Toschi-Mosca di Pesaro (già asta Finarte-Semenzato, Venezia, 4 luglio 2004). -
Lotto 33 Federico Barocci (attribuito a) (Urbino, 1535 - Urbino, 1612)
Cristo coronato di spine
Olio su tavola cm. 40,5x29,5. Con cornice
L’opera si presenta in stretta connessione con il Cristo crocifisso di Federico Barocci, conosciuto in tre versioni rispettivamente conservate al Museo del Prado a Madrid, nella chiesa dell’Ospedale a Urbania e già presso la Whitfield Fine Arts di Londra. Barocci tenne in particolare considerazione questa immagine del volto di Cristo, che impiegò autonomamente nelle due versioni autografe presso la Chiesa del Gesù a Perugia (tela, cm 41x29) e già in asta Finarte Milano il 16 Maggio 2007, lotto 8 (rame, cm 44x30), con le quali il nostro esemplare mostra chiare affinità stilistiche e qualitative. -
Lotto 34 Neri di Bicci (attribuito a) (Firenze , 1420 ca. - Firenze, 1492)
Madonna in adorazione del Bambino con santo, angelo e committente
Tempera e oro su tavola centinata cm. 66x47x2; cm. 58x38,5. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del prof. Giuliano Briganti (datata 18 maggio 1971).
Figlio e allievo di Bicci di Lorenzo, Neri di Bicci è un esponente emblematico della fase della pittura fiorentina che si sviluppa nei decenni centrali del Quattrocento, ponendosi a cavallo tra gli ultimi fuochi tardo-gotici (di cui rimarrà sempre traccia evidente nei suoi colori sgargianti, nell'attenzione ornamentale, nella preziosità dei tessuti e nell'indifferenza alle regole matematiche della prospettiva) e un prudente ma inevitabile aggiornamento alla cultura figurativa più propriamente rinascimentale, mediata da Beato Angelico, Benozzo Gozzoli e Filippo Lippi. Ritroviamo questa combinazione di caratteri stilistici anche nel notevole dipinto di destinazione devozionale che qui si presenta, giudicato "opera tipica di Neri di Bicci" da Giuliano Briganti: attribuzione che ancora oggi appare puntuale e condivisibile, se si considerino le strette relazioni formali che uniscono la nostra Vergine in preghiera di fronte a Gesù Bambino all'Annunciazione con Dio Padre, Profeti e santi della Galleria dell'Accademia di Firenze, all'Annunciazione della chiesa di S. Lucia al Borghetto di Tavernelle Val di Pesa, o ancora alla Madonna con Bambino e santi del Museo di San Miniato (PI). -
Lotto 35 Pittore caravaggesco attivo a Roma, prima metà XVII secolo
Apollo e Marsia
Olio su tela cm. 99x143,5 -
Lotto 36 Artista caravaggesco attivo a Napoli, prima metà XVII secolo
La lapidazione di Zaccaria
Olio su tela cm. 78x104,5. Con cornice
Il primo aspetto complesso di questo bel dipinto, di forte impronta napoletana caravaggesca, riguarda il suo soggetto. Come ha riconosciuto Angelo Loda, il tema della lapidazione e le vesti sacerdotali della vittima indirizzano l'iconografia verso la figura veterotestamentaria del profeta Zaccaria, figlio del Sommo Sacerdote Joiadà, che fu lapidato per aver criticato i costumi del re e del popolo ebraico (2 Cronache 24, 20-22). L'impianto scenico del dipinto dipende chiaramente dal Martirio di San Matteo di Caravaggio in San Luigi dei Francesi a Roma, al quale rimandano, seppure liberamente, le due figure principali della vittima e del suo aguzzino che occupano la gran parte della composizione, compressa e molto semplificata rispetto al sublime prototipo.
Come è stato opportunamente segnalato in modo indipendente da Nicola Spinosa e Viviana Farina i contrasti chiaroscurali così netti e violenti, come pure la pennellata energica e gli impasti di colore densamente materici, rimandano inequivocabilmente alla galassia di artisti attivi a Napoli nel secondo quarto del Seicento variamente raggruppabili intorno al nome del Maestro dell'Annuncio ai pastori: da Bartolomeo Passante a Pietro Beato, da Juan Do a Francesco Fracanzano. Un tema dal fascino irresistibile che, a dispetto della copiosità degli studi e dei passi avanti compiuti, mantiene ancora un'aura di mistero non completamente risolto. -
Lotto 37 Artista francese attivo a Roma, XVII secolo
Paesaggio con archi in rovina, figure e la guarigione del cieco di Gerico
Olio su tela cm. 117x150. Con cornice -
Lotto 38 Carlo Cignani (attribuito a) (Bologna, 1628 - Forlì , 1719)
Bacchino ebbro
Olio su tela cm. 70x89. Con cornice antica
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Andrea Emiliani.
Il dipinto, raffigurante un Bacco bambino ebbro, con una ciotola in mano e la testa appoggiata su un otre pieno di vino, fu riferito da Andrea Emiliani alla mano di Carlo Cignani. La tela probabilmente presentava in origine un formato ottagonale. Il soggetto e la composizione si ispirano liberamente a un particolare di uno degli estremi capolavori di Guido Reni, l'Incontro tra Arianna e Bacco, accompagnato dal suo corteo, sull'isola di Nasso, eseguito tra il 1638 e il 1640: una tela di grande formato, andata perduta, di cui esistono almeno due copie oggi conservate a Roma presso l'Accademia di San Luca e il Palazzo di Montecitorio. La figura di Bacco e il suo movimento si richiamano con molte varianti all'analoga figura in basso a destra delle tele menzionate, presente anche nella stampa realizzata intorno al 1640 da Giovan Battista Bolognini, allievo di Reni, che documenta il dipinto prima della sua conclusione.
La qualità del dipinto e l'andamento fluido e felicemente sbrigliato della pennellata rivelano un talento di prim'ordine della generazione successiva a Reni, che sembra già anticipare il pittoricismo che si affermerà nella pittura bolognese nel XVIII secolo: caratteri ben compatibili con l'attribuzione a Carlo Cignani. -
Lotto 39 Giuseppe Bartolomeo Chiari (Roma, 1654 - 1727)
Santo che resuscita un fanciullo
Olio su tela cm. 212x278,5
Siamo grati al Dott. Francesco Petrucci che ha riconosciuto il dipinto come opera di Giuseppe Bartolomeo Chiari.
Considerato già in vita il miglior allievo di Carlo Maratti e, anzi, pur tra tanti egregi artisti usciti dal suo operoso atelier, il suo vero erede, Giuseppe Chiari fu in realtà pittore dalla vasta cultura figurativa e non univocamente orientato in senso marattesco. Nella pittura di Chiari, infatti, si rinvengono, accanto alla produzione direttamente ispirata al suo maestro (peraltro, com'è noto, autorità assolutamente dominante e normativa sulla scena capitolina dagli anni Sessanta del Seicento fino alla sua morte nel 1713), anche altri modelli, riconducibili alla corrente barocca romana e in primis a Pietro da Cortona. Dotato di una tecnica rifinitissima, pressoché senza lacune, Chiari fu apprezzato da alcune fra le personalità di maggiore rilievo nel contesto artistico romano, come Urbano Barberini, il cardinale Ottoboni, Filippo II Colonna e ovviamente Papa Clemente XI Albani.
Il monumentale e sontuoso dipinto che qui si presenta ci permette di apprezzare la ben calibrata combinazione di elementi che caratterizza la pittura di Chiari. L'iconografia è imperniata sull'intervento miracoloso di un santo, condotto da una schiera di angeli dal cielo verso una madre affranta che sorregge tra le braccia il figlioletto morto. E' difficile individuare con certezza l'episodio, e quindi il santo protagonista dell'azione miracolosa, giacché la letteratura agiografica segnala moltissime vicende analoghe ad opera di molteplici figure di santi (tra gli altri Antonio da Padova e Nicola di Bari): certamente il pittore riesce a infondere un pathos eloquente e teatrale alla scena, rendendola potentemente coinvolgente a prescindere della puntuale individuazione dell'iconografia. Riscontriamo un'analoga interazione di controllato rigore compositivo di stampo marattesco e magniloquente dinamismo di matrice cortonesca in altre opere di Giuseppe Chiari come la Natività della Vergine e l'Adorazione dei Magi eseguite nella seconda metà del nono decennio del Seicento per la chiesa di Santa Maria del Suffragio a Roma, o il S. Antonio resuscita un morto nella chiesa romana di S. Silvestro in Capite. -
Lotto 40 Mattia Preti (Taverna, 1613 - La Valletta, 1699)
Sant'Ambrogio
Olio su tela cm. 84x65,5
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Nicola Spinosa.
Il dipinto qui presentato, raffigurante un santo vescovo, è stato attribuito a Mattia Preti da Nicola Spinosa. Sebbene l'identificazione con Sant'Ambrogio, vescovo di Milano, sia suggerita dalla presenza del bastone vescovile, per le evidenti affinità iconografiche con altre composizioni di Preti potrebbe anche trattarsi di Sant'Agostino. Indipendentemente dall’identità del santo, la preziosità delle stesure cromatiche, l'impaginazione monumentale, l'intensa espressività e l'elevata qualità pittorica inducono a datare il dipinto tra la fine del soggiorno napoletano di Mattia Preti e gli inizi della sua lunga attività a Malta, subito dopo il 1660. La tela ripropone, infatti, soluzioni tecniche e stilistiche già adottate dal pittore alla fine del soggiorno romano e durante gli anni trascorsi a Napoli, caratterizzate da esiti compositivi particolarmente felici. -
Lotto 41 Francesco de Mura (attribuito a) (Napoli, 1696 - 1782)
San Giacomo Matamoros (uccisore di mori) nella battaglia di Clavijo
Olio su tela cm. 76x102. Con cornice
Secondo la tradizione, il 23 maggio 844 si svolse la battaglia di Clavijo, nella quale l'esercito spagnolo guidato da Ramiro di Castiglia, ormai prossimo alla disfatta, riuscì a sconfiggere le truppe saracene grazie all'intervento miracoloso di San Giacomo Maggiore (Santiago), che in sella a un cavallo bianco si pose alla testa delle truppe spagnole. Da questa leggenda prese avvio l'iconografia di San Giacomo "Matamoros" (ammazza mori), strenuo difensore della cristianità. Il bel dipinto qui in oggetto rappresenta efficacemente il momento in cui il santo semina terrore e morte nell'esercito avverso conducendo fieramente alla vittoria gli spagnoli.
L'opera ben s'inquadra nella matura produzione di Francesco De Mura, quando l'acceso solimenismo che caratterizza la sua produzione giovanile è venuto declinando in favore di una maggiore luminosità di toni e leggerezza di pennellata, conferendo alle sue composizioni una raffinata teatralità. Il termine di paragone più stringente per la nostra composizione è il dipinto di De Mura raffigurante Giosuè ferma il sole nella battaglia contro i gabaoniti, in collezione privata napoletana, in cui le figure ai due angoli del primo piano e il cavallo bianco al centro della scena appaiono quasi sovrapponibili a quelle della nostra tela (vedi N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento. Dal Barocco al Rococò, Napoli 1999, n. 271, pp. 165 e 355, fig. 328). -
Lotto 42 Artista attivo a Roma, seconda metà XVII secolo
Mosè e il serpente di bronzo
Olio su tela cm 237x290
Questo monumentale dipinto inedito raffigura efficacemente l'epilogo dell'episodio del serpente di bronzo narrato nell'Antico Testamento (Numeri, 21, 4-9). A seguito delle critiche che erano state espresse contro di lui e contro Mosè, Dio aveva infatti inviato una feroce punizione contro il popolo ebraico, sotto forma di letali serpenti velenosi. Mosè chiese perdono per il suo popolo e Dio gli ordinò di costruire un serpente che avrebbe guarito chiunque lo avesse osservato: Mosè realizzò quindi un serpente di bronzo e lo pose sopra un'asta a forma di Tau: in tal modo risorsero miracolosamente tutti coloro che erano stati uccisi dai serpenti.
Nella nostra tela la scena è dominata dalla mole maestosa di Mosè in piedi accanto al tronco, sulla cui cima ha posto il serpente da lui costruito, e circondato dal suo popolo, che partecipa incredulo a quanto sta accadendo. Il pittore adotta un registro narrativo di alta oratoria, enfatizzando teatralmente posture ed espressioni delle molte figure disposte a corona attorno al tronco col serpente, in linea con gli orientamenti stilistici della pittura classicista, promossa sulla scena romana soprattutto da artisti di formazione emiliana. -
Lotto 43 Alberto Carlieri (attribuito a) (Roma , 1672 - post 1720)
Capriccio costiero con marina in tempesta, edificio con portico, imbarcazioni e figure
Olio su tela cm. 103x129. Con cornice -
Lotto 44 Nicolas De Largillière (attribuito a) (Parigi, 1656 - Parigi, 1746)
Ritratto di gentiluomo
Olio su tela 90x73,5. Con cornice
Il dipinto è stato al centro di un interessante dibattito attributivo che ha coinvolto due grandi artisti francesi: Charles-Joseph Natoire e Nicolas de Largillière. L’opera è stata esposta recentemente alla Galleria Biffi di Piacenza con l'attribuzione a Natoire, che fu amico personale di Panini, d'accordo con l'opinione di Ferdinando Arisi, che aveva identificato il soggetto con il celebre pittore piacentino.
Tuttavia una versione pressoché identica del nostro dipinto è conservata alla Galleria degli Uffizi, dov'è da sempre riferita a Nicolas de Largillière al pari di un'altra redazione del ritratto, in tutto simile alle altre e di altissima qualità, conservata alla National Gallery di Londra. La scheda del catalogo generale degli Uffizi ripercorre la storia attributiva del dipinto a partire dall'acquisizione da parte del Granduca nel 1779, quando fu identificato come Ritratto del poeta Jean-Baptiste Rousseau. Sebbene l'attribuzione a Largilliére sia stata a volte messa in discussione, il dipinto presenta caratteristiche stilistiche perfettamente compatibili con lo stile sontuoso e raffinato del pittore francese, e talora è stato indicato come suo possibile autoritratto. -
Lotto 45 Artista veneto, XVIII secolo
a) Paesaggio lacustre con armenti e cittadina sullo sfondo; b) Paesaggio con villaggio e chiesa sulle rive di un lago. Coppia di dipinti
Olio su tela cm. 42x59 cad. Con cornice
In questa coppia di squisiti ed elaborati paesaggi, eseguiti su lastre di rame di grande misura, si riconoscono con chiarezza i caratteri distintivi che il genere assunse nella pittura veneta del Settecento, per come esso si sviluppò da Marco Ricci fino a Zais e Zuccarelli. In particolare, meritano di essere segnalate le affinità con la produzione paesaggistica di Giovan Battista Cimaroli. Ritroviamo nei nostri due dipinti l'atmosfera brumosa, i gruppi in primo piano di pastori alla guida dei loro armenti, i gruppi di caseggiati accuratamente descritti e le sporadiche barchette adagiate sugli specchi d'acqua che compaiono in tanti suoi paesaggi, soprattutto nella sua attività giovanile, come ben documenta la monografia dedicata al pittore da Francesca Spadotto (Giovan Battista Cimaroli, Rovigo 2011, nn. 5 e 5a, 15 e 15a). -
Lotto 46 Alessio De Marchis (attribuito a) (Napoli, 1684 - Perugia, 1752)
Veduta del deambulatorio del Colosseo con figure
Olio su tela cm. 46x64,5. Con cornice antica
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Andrea Emiliani, disponibile in fotocopia.
Le due vedute dell'interno del Colosseo, qui presentate in due lotti successivi, si inseriscono nel vivace interesse per le rovine archeologiche e la storia romana che caratterizzò la metà del XVIII secolo, legato sia alla pratica del Grand Tour sia ai lavori di restauro promossi da Papa Benedetto XIV. Questo contesto culturale, che univa l’archeologia alla storia romana e cristiana, influenzò profondamente la produzione artistica dell’epoca.
La matrice di questa immaginazione pittorica, che unisce l’archeologia al racconto della storia romana – intesa sia come storia sacra sia come storia sociale – è riconducibile ad Alessio De Marchis, artista particolarmente legato al cardinale Annibale Albani e attivo soprattutto tra Roma, Urbino e Perugia. La rappresentazione del Colosseo non si limita a una mera riproduzione topografica, ma evoca il fascino delle rovine come simbolo del passato glorioso e della decadenza, un tema centrale nel gusto del Settecento. -
Lotto 47 Alessio De Marchis (attribuito a) (Napoli, 1684 - Perugia, 1752)
Veduta dell'interno del Colosseo con figure
Olio su tela cm. 46x64,5. Con cornice antica
Il dipinto è accompagnato da un'expertise del Prof. Andrea Emiliani, disponibile in fotocopia.
Le due vedute dell'interno del Colosseo, qui presentate in due lotti successivi, si inseriscono nel vivace interesse per le rovine archeologiche e la storia romana che caratterizzò la metà del XVIII secolo, legato sia alla pratica del Grand Tour sia ai lavori di restauro promossi da Papa Benedetto XIV. Questo contesto culturale, che univa l’archeologia alla storia romana e cristiana, influenzò profondamente la produzione artistica dell’epoca.
La matrice di questa immaginazione pittorica, che unisce l’archeologia al racconto della storia romana – intesa sia come storia sacra sia come storia sociale – è riconducibile ad Alessio De Marchis, artista particolarmente legato al cardinale Annibale Albani e attivo soprattutto tra Roma, Urbino e Perugia. La rappresentazione del Colosseo non si limita a una mera riproduzione topografica, ma evoca il fascino delle rovine come simbolo del passato glorioso e della decadenza, un tema centrale nel gusto del Settecento. -
Lotto 48 Artista veneto, seconda metà XVIII secolo
Ritratto a figura intera di Cesare Orazio Benaleus (Benaglio?)
Olio su tela cm. 214x118
Il dipinto reca iscrizione, con data di esecuzione e identità del ritrattato, sul bordo della balaustra in basso a destra: "MDCCLXVIII / CES. HORATs. BENALEUS / AETATIS. LXXII.".
Il personaggio effigiato in questo notevole ritratto di chiara impronta veneziana potrebbe riconoscersi nel conte Orazio Benaglio, membro di un'importante famiglia patrizia bergamasca che nel 1739 fu iscritto, assieme al fratello Carlo, nel Libro Veneto dei Titolati.