ASTA N.26 Antiquariato, Dipinti Antichi e Moderni, fotografie d'Autore
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Lotto 1 Saraceni, Carlo
(Venezia 1585-Venezia 1625)
134x156 cm 1620 Elia, il profeta della preghiera Dipinto a olio su tela Elia, il profeta della preghiera. Il dipinto in questione è uno dei pochi dell'autore ad essere datato (1620) e siglato con monogrammi. Senz'altro inedito, nuovo tassello nella ricerca della biografia di questo artista e nell'organizzazione della sua bottega, in cui collaborava Jean Le Clerc. Essendo l'opera datata poco prima della morte del pittore, in essa possiamo definire tutti i canoni stilistici del Saraceni che, nonostante la buona conoscenza con il Caravaggio, lo segue ma non lo imita, facendo propria la luce chiarosculare, metabolizzandola e rielaborandola per mezzo della sua formazione artistica veneziana. Permane infatti nei suoi dipinti la coloristica veneta che non giunge mai, come in quest'opera, alla drammaticità plastica dei caravaggisti, per esprimere e trasmettere allo spettatore un pathos che non è mai eccessivamente tragico ma volto tutto ad esprimere il racconto fattuale nella sua globalità e nella sua narrazione. Siglato e datato 1620 in basso al centro. -
Lotto 2
Misure complessive: Lunghezza max profondità 470 cm. Larghezza 456 cm. H 294 cm. Profondità 60 cm XVIII secolo Antico e magnifico mobile di libreria-Boiserie in legno di noce massello di impronta neoclassica rinascimentale Di origini Calatine già sita in palazzo prestigioso di Caltagirone e adesso presso studio di notaio, è un esempio unico di ebanisteria siciliana commissionata da nobile famiglia siciliana. La libreria è composta da sei moduli, tre per lato, di cui l’ultimo curvo che con una trabeazione in testa si concorda con il lato opposto creando una forma semiellittica o a ferro di cavallo. Ogni modulo è costituito da un basamento H cm 90 a doppia anta in legno sormontato da una vetrina a doppia anta H cm 175 a cui fa da cappello una trabeazione a più ordini di modanature, sovrapposte a una cornice dentellata. La forma sovrastante assume un aspetto aggettante, tipica del XVIII secolo,l'altezza è di tutto il cappello è cm 29. Numero otto colonne di ordine corinzio scanalate, quattro per lato H cm 175 di eccellente qualità scultorea, abbelliscono i prospetti laterali dando volume e decoro a tutta la composizione lignea della libreria. Lo stato di conversazione è ottimo, il mobile si smonta in più parti ed è disponibile per il trasporto per qualsiasi destinazione. -
Lotto 3 di Jacopo Franchi, Rossello, Maestro di Montefoscoli (Maestro Ristonchi)
(Firenze 1376/1377-Firenze 1456)
75x42 cm Madonna in trono con bambino e santi Fondo oro e tempera su tavola Pubblicata nella Fototeca Fondazione Federico Zeri al n. 33256 – busta 0136. Fondo oro e tempera per questa pregiatissima tavola manifestazione dell’apprezzamento estetico dell’arte del primo Rinascimento italiano e fiorentino, che ha interessato gli studiosi della metà del XX secolo. Si tratta di iconografia in cui la sintonia amorosa che lega la madre al figlio - tenuto dolcemente per un fianco - e la rigorosa impostazione dei tre santi, in schiera su due lati rispetto alla rappresentazione centrale, offrono l’idea di uno stile che è giunto a maturazione. -
Lotto 4 Mario de' Fiori Mario Nuzzi (attribuito a)
(Roma 1603-Roma 1673)
100x75 cm Trionfo di fiori in vaso di bronzo su piano di pietra Dipinto a olio su tela Le opere singole del pittore realizzate per le committenze più importanti sperimentano un nuovo stile elegantissimo e ricco, teso a svincolarsi da un repertorio strettamente botanico e didattico. In quest'opera il pittore rafforza la propria inventiva raggiungendo il più alto livello qualitativo con raffinate composizioni floreali in vaso singolo. Il nucleo centrale: delfinium, tulipani, garofani, rose ecc emanano una luce centrale che li rende vivi e leggeri come piume a cui fa riscontro la sensibilità e l'estetica caravaggesca del pittore mettendo in ombra chiaroscurale i fiori retrostanti. In tal modo risulta impreziosita la felicità cromatica del primo piano. Tipico di Mario dè Fiori: il caravaggismo ereditato dal Salini, l'impronta espositiva , il dettagliato descrittivismo dei fiori permeato da un cromatismo luministico. Inoltre appare evidente il riferimento alla tradizione dei maestri fiammingi e olandesi della fine del '500. Nonostante l'impostazione frontale del dipinto, l'ariosa disposizione dei fiori conferisce una profondità spaziale ed un'ampiezza di respiro alla composizione floreale. Ovale in cornice coeva in legno dorato.
ASORstudio -
Lotto 5 Van Lerius, Joseph Henri François
(Boom 1823-Mechelen 1876)
140x295 cm, in cornice 170x325 cm 1857 Voluptè et dèvouement (Voluttà e devozione) Dipinto a olio su tela Dipinto firmato e datato sulla gondola in basso a sinistra J. Van Lerius 1857. Provenienza salon D.Van Spilbeck, acquistato per la collezione del Duca van Saksen-Coburg-Gotha a Vienna. -
Lotto 6 Mario de' Fiori Mario Nuzzi (attribuito a)
(Roma 1603-Roma 1673)
Cm 140x107 Trionfo di fiori con frutta, selvaggina e gioco di putti Dipinto ad olio su tela "Protagonista assoluto di primo piano, colui il quale affermò il genere fiorante delle nature morte sì da poterne portare di diritto il nome "Mario dei Fiori". Pittore barocco, allievo del pittore caravaggesco Tommaso Salini, maturò una sapienza culturale e scientifica, oltre che artistica, che gli permise di avere le più importanti committenze dell'epoca. I putti in basso sono assegnabili a un ignoto esponente della bottega." ASORstudio -
Lotto 7 Bottega Antonelliana
(XV secolo)
100x117 cm Fine Secolo XV / Inizi Secolo XVI Sant'Anna, la Madonna e il bambino, fondo oro. Dipinto a olio su tavola La tavola in oggetto mostra la figura di Sant’Anna, maestosa nella sua regalità, con la Vergine Maria dalle dimensioni più modeste, sorretta dal ginocchio sinistro della madre. Il bambin Gesù, collocato nella parte centrale della composizione, pur dimostrando una certa rigidità formale, dimostra maggiore dinamismo conferito dall’innocenza di quei movimenti che lo rendono a immagine e somiglianza di ogni altro uomo, ma con l’arduo compito del destino dell’umanità. Il bimbo dell’avvento è qui concepito come creatura consapevole del crudo destino che lo attende; egli è infatti rappresentato con il ventre gonfio, prefigurazione del martirio sulla croce.
E’ chiaro all’interno della composizione il tentativo di introdurre le tre figure in uno spazio definito dalle geometrie del trono, disposto frontalmente nella scena e ornato, lungo la zona centrale, da un arazzo a motivi fitomorfi. In mezzo a tale scranno regale si stagliano, componendo un unico blocco scultoreo, le figure di sant’Anna, poderosa e dall’espressione eloquente; la Vergine Maria, delicatamente sorretta dalle affusolate dita materne e, al centro, il Salvatore, dallo sguardo rivolto alla madre della Vergine.
Alcuni riferimenti stilistici, come il cartaceo manto di sant’Anna, la legnosa restituzione delle dita della mano, consentono di assegnare la tavola alla produzione di una bottega dell’area messinese – certamente intrisa degli stilemi post-antonelleschi – in un arco cronologico che oscilla tra ottavo/ nono decennio del XV secolo e i primi anni del secolo successivo.
Per le motivazioni poste in essere il dipinto è da assegnarsi ad una ignota maestranza della bottega antonelliana, attiva tra il 1479 e il 1530.
ASORstudio -
Lotto 8 Francesco Fracanzano (attribuito a)
(Monopoli 1612-Napoli 1656)
Cm 99X76 San Francesco da Paola in preghiera Dipinto ad olio su tela
Dipinto ad olio su tela raffigurante San Francesco da Paola in preghiera.
Opera priva di cornice.
"La tela è attribuibile al pittore che operò a Napoli nel XVII secolo, Francesco Fracanzano (Monopoli, 9 luglio 1612 – Napoli, 1656) e rappresenta San Francesco di Paola in preghiera, con gli attributi iconografici tipici del Santo costituiti dal saio, dal libro (nel quale si legge in parte “Charitas”) con sopra un teschio, posto in basso e lateralmente rispetto alla figura. Il dipinto ha i caratteri tipici ascrivibili al Fracanzano quali la densità materica piena e grumosa, il colore della pelle e delle mani che vira verso un rossastro, che evidenzia un naturalismo di matrice caravaggesca che in parte fa propri gli insegnamenti della scuola del Ribera ma ai quali aggiunge i valori tonali e del disegno del Guercino, dei Carracci nonché dello stesso Reni. L’opera è ascrivibile al periodo dell’esperienza pittorica del Fracanzano più contigua all’esempio del Ribera. Opera molto simile è esposta presso il Museo di Dubrovinik (Croazia), con alcune differenze (riportate in parallelo nella presente scheda con l’utilizzo dell’immagine per raffronto) che riguardano la posizione del libro, messo in verticale e con le pagine squadernate, il teschio in secondo piano, la composizione che sembra essere divenuta ormai più grumosa, accentuando la struttura riberesca, la figura inginocchiata del santo è vista per intero. Per la opera presa a raffronto, in tutto riferibile allo stesso autore, per un’esigenza meramente filologica, si segnala un dettagliato studio che ha messo in evidenza che “alla seconda metà del Seicento, va riferito il San Francesco di Paola di Dubrovnik, dove la ripresa dei caratteri ribereschi nel volto si placa nella stesura delle morbide e ampie pieghe del saio, che coprono l’intera composizione e consentono proprio per tale abbinamento un valido confronto sia con opere di Francesco Fracanzano, quali con il San Benedetto di San Gregorio Armeno e il San Paolo eremita della chiesa di Sant’Onofrio dei Vecchi a Napoli, sia con la produzione matura di Angelo Solimena e con quella giovanile del figlio Francesco, soprattutto in merito alla ripresa dei modi del Lanfranco” (Sulle tracce della pittura napoletana in Croazia tra Sei e Settecentodi Mario Alberto Pavone – Università di Palermo). Ma è da sottolineare come molte opere riferite a figure di Santi, passate dal mercato antiquario e contenute in collezioni private e museali, realizzate da Francesco Fracanzano, presentano identica impostazione espressiva e analoghe qualità pittoriche e compositive, ciò confermando la validità dell’attribuzione allo stesso pittore. Il quadro conserva il telaio originario del seicento; è stata mantenuta una vecchissima reintelatura della metà dell’ottocento che essendo in buono stato non è stata sostituita (né sollevata per altri scopi). "
Si ringrazia il Dott.Avv. Francesco Amato per l'autorevole parere.
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Lotto 9 Monsù Bernardo Bernardo Keilhau (attribuito a)
(Helsingborg 1624-Roma 1681)
130x101 cm Diogene con lanterna Dipinto a olio su tela Si ringrazia per autorevole parere orale la Dott.ssa Minna Heimbürger di prossima pubblicazione. -
Lotto 10 Dimensioni scatola H cm 5x57x10 anni '40 Stecca da biliardo, in scatola originale con targa "Ernest Hemingway" accompagnata da manoscritto autentico dello scrittore, contenente dedica
Il manoscritto è corredato da perizia calligrafica redatta dal grafologo giudiziario iscritto all'albo del Tribunale di Catania Dott.sa Valentina Mavica
“… al mio giovane amico Arnaldo, in onore della sua bellissima sorella Ornella”, così recita la lettera autentica di E. Hemingway che accompagna la stecca da biliardo a lui appartentuta, donata quale pegno di scommessa al Sig. Arnaldo Zamperetti.
A sessant’anni dalla sua morte (2 luglio 1961), al termine di un’esistenza avventurosa, turbolenta, enigmatica e intensa, Ernest Hemingway rimane una delle personalità più influenti della letteratura americana.
Oltre allo scrittore, oltre al giornalista e cronista di guerra, oltre al Nobel che lo lega alla memoria di tutti, ogni singolo avvenimento della sua vita è stato ben raccolto e documentato da numerosi biografi; l’insofferenza interiore amplificata dall’alcol, l’avventura in Africa come cacciatore, le cicatrici della guerra, gli atterraggi aerei di fortuna, le ferite che lo segnarono lungo il corso dei suoi anni più difficili.
Ma c’è anche un Ernest Hemingway inedito.
È l’uomo dal grande fascino, che ha collezionato quattro mogli e un numero imprecisato di relazioni sentimentali.
È l’Hemingway corteggiatore e amante, sensibile alla bellezza femminile, che nel 1948 si scontrò con Antonio De Curtis, il nostro Totò, a Stresa, per il tanto contestato verdetto di Miss Italia.
La maschera tragicomica più rappresentativa d’Italia faceva parte della giuria del Concorso di Bellezza che allietava gli anni del Dopoguerra sulle rive del Verbano.
Al Regina Palace Hotel sfilavano i canoni estetici di una femminilità che non c’è più: tra bikini castigati e taglie morbide, vinse quell’edizione la triestina Fulvia Franco: 1 metro e 66 centimetri per sessanta chili di beltà, il vantaggio legato all’appartenenza di una città al confine con la Jugoslavia divenuta “territorio libero” e l’avallo politico di un’Italia tutta da ricostruire.
Hemingway era sbarcato il giorno prima a Genova e scelse di recarsi proprio lì, per un viaggio amarcord tra le stanze del Des Iles Borromées, dove aveva ambientato alcune delle pagine di “Addio alle armi”, ispirato alla sua esperienza di militare in Italia.
Fu lui che la sera prima della finale del Concorso, decise di scommettere sulla bolognese Ornella Zamperetti, poi arrivata seconda tra polemiche, querelle giudiziarie e intentate richieste d’indennizzo.
Nella sala da biliardo del suo hotel, tra superalcolici e partite di carambola, dopo aver scommesso ai microfoni dei giornalisti, proprio col fratello dell’aspirante Miss Italia lo scrittore nordamericano mise in gioco la sua stecca da biliardo, quella che lo aveva accompagnato lungo tutta la sua giovinezza, puntando però tutto sulla scelta perdente. Accadimento citato anche tra le pagine del libro di Andrea Di Robilant: “Autunno a Venezia. Hemingway e l’ultima musa” (Corbaccio editore).
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Lotto 11 Restaldi
XIX secolo Tavolo da Biliardo a 6 buche e pregevoli bronzi di raccolta agli angoliFornito di portastecche. Datato 1821.
Misure: 270 cm x 160 cm
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Lotto 12 Ghisolfi, Giovanni
(Milano 1623-Milano 1683)
cm 130X94 XVII sec Capriccio architettonico Dipinto ad olio su tela "Figlio dell’architetto piacentino Giuseppe, studiò a Milano pittura presso il lombardo Girolamo Chignoli. Nel 1649 gli fu affidato l’importante incarico di collaborare alla realizzazione degli allestimenti, degli archi trionfali e delle decorazioni pittoriche, per l’accoglienza dell’Arciduchessa Marianna d’Austria, in occasione di una sua visita in città.Nel 1650 è documentata la sua presenza a Roma, impegnato nello studio dell’architettura antica e nella riproduzione grafica di frammenti architettonici, sembra in compagnia dell'amico pittore Antonio Busca. Secondo il racconto del biografo e storico dell’arte Filippo Baldinucci, Ghisolfi a Roma si trattenne a lungo, imparando anche a “dipingere le figure” e a realizzare le prospettive architettoniche, trovandosi a stretto contatto con il più esperto partenopeo Salvator Rosa. Nel 1659 era certamente già rientrato a Milano. Infatti la decorazione ad affresco della terza cappella a destra della certosa di Pavia, eseguita nel 1661 è la sua prima opera documentata in Lombardia, dopo il proficuo soggiorno romano, mentre negli anni successivi sarà attivo anche nel Veneto.Sugli ultimi anni di vita, l’Orlandi ci racconta del suo decadimento fisico e della cecità che lo colpì sul finire. Morì a Milano nel 1683 e fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni in Conca. L’opera in esame riproduce uno scorcio di rovine classiche, riconducibili alla sua formativa esperienza romana, ed esprime un saldo impianto architettonico: le figure, dai pochi gesti misurati, sono vestite di drappeggi, berretti e calzari, particolari di abbigliamento che sembrano tratti anche dal repertorio di Salvator Rosa, mentre la scena si presenta di severa compostezza.Infatti il classicismo che emerge dai suoi dipinti, reso attraverso composizioni lineari, colori chiari, luce diffusa e la solida impostazione architettonica, rendono Giovanni Ghisolfi anticipatore del vedutismo settecentesco e battistrada di nuove tendenze espressive. Alcuni tra i paesaggi, le vedute e le prospettive realizzate in questo periodo costituiranno un fondamentale modello di ispirazione per il più celebrato emiliano Giovanni Paolo Pannini." STUDIO ASOR