Asta 79 - Dipinti, disegni, sculture e oggetti di antiquariato dal XV al XIX secolo
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Lotto 121 PITTORE FIAMMINGO, PRIMA META’ DEL XVII SECOLO
Allegoria dell'Inverno (o La negazione di Pietro)
Olio su tela, cm. 124x151. Con cornice. -
Lotto 122 STEFANO MAGNASCO (Genova, 1635 - 1672), ATTRIBUITO
Maddalena in estasi
Olio su tela, cm. 120x159
Questa plastica rappresentazione di Maddalena distesa tra le rocce di un paesaggio inospitale e accompagnata dagli angeli nella sua estasi, ha alle spalle una vicenda attributiva articolata che l'ha vista dapprima collocata nel catalogo di Valerio Castello per poi trapassare (invero senza particolari sconvolgimenti) all'interno del corpus del giovane Stefano Magnasco, padre di Alessandro e allievo di gran lunga più dotato dello stesso Castello.
PROVENIENZA: Collezione privata.
BIBLIOGRAFIA SPECIFICA: C. Manzitti, Valerio Castello, Genova 1972, p. 172, fig. 96 (Valerio Castello e aiuti); A. Orlando, Stefano Magnasco e la cerchia di Valerio Castello, Cinisello Balsamo (MI) 2001, n. 5, p. 85 (come Stefano Magnasco). -
Lotto 123 CERCHIA DI GIUSEPPE CESARI, DETTO IL CAVALIER D'ARPINO (Arpino, 1568 - Roma, 1640)
Combattimento fra gli Orazi e i Curiazi, copia dell'affresco nel Salone del Palazzo dei Conservatori in Roma
Olio su tela, cm. 103x273. Con cornice
Si tratta di un'eccellente copia antica, inedita, del grandioso affresco eseguito dal Cavalier d'Arpino tra il 1612 e il 1613 per il salone del Palazzo dei Conservatori e dedicato al ben noto episodio di storia romana narrato da Tito Livio nell'Ab Urbe condita. All'interno della produzione dell'Arpino esso costituisce un apice di misurato classicismo, con il suo ponderato equilibrio nella messa in immagine dell'episodio, che, nell'elegante teatralità della scena, approda a una chiarezza, semplicità e ordine compositivo veramente rimarchevoli. Dell'affresco era nota sinora una sola copia, eseguita su tela da Giovanni Battista Pace nel 1664 (cm. 192x292), di proprietà della Galleria Nazionale d'Arte Antica di Roma ma in deposito a Palazzo Chigi, dove si trova esposta nella cosiddetta Sala delle Galere o dei Galeoni. La versione che qui si presenta riveste dunque un particolare interesse come ulteriore testimonianza della fortuna e dell'ammirazione riservata a quest'opera capitale dell'Arpino.
PROVENIENZA: Collezione privata, Roma. -
Lotto 124 ANGELO MARIA ROSSI, già PSEUDO FARDELLA e PITTORE DI CARLO TORRE (attivo a Milano tra il 1662 e il 1675)
Natura morta con mele, funghi, carciofi, cedri, lumache e pesci - Natura morta con cacciagione di penna, Coppia di dipinti.
Olio su tela, cm. 60,7x75,5. Con cornici antiche
La Natura morta di mele reca in basso a destra, sul foglio stropicciato su cui sono poggiati i pesci piccoli, la datazione e qualche lettera di una parola decifrabile: "1675 C[...]d". Al retro entrambi i dipinti recano la firma del pittore trascritta sulla tela di rifodero. Rispettivamente: “FECE MANO DI ANGELO MARIA ROSSI”.
La bella coppia di tele che qui si presenta riveste un ruolo particolarmente significativo nelle vicende che hanno visto il "risorgere" moderno di una personalità di rilievo della natura morta italiana della seconda metà del Seicento: lo specialista da principio identificato con Giacomo Fardella messinese, poi battezzato dapprima come Pseudo-Fardella e in seguito, nella fondamentale monografia di Cirillo e Godi, come "Pittore di Carlo Torre", per essere infine riconosciuto come Angelo Maria Rossi. Il volume di Cirillo e Godi metteva in luce la collocazione geografica e culturale lombarda dell'ancora anonimo artista e precisava la cronologia della sua attività. Veniva infatti pubblicato un gruppo di opere (fra cui la nostra coppia di tela) datate tra il 1662 e il 1675, corrispondenti con ogni probabilità alla sua attività tarda, caratterizzata da un maggiore tenebrismo coloristico e luministico, da una tendenza alla libertà e semplificazione compositiva e da un recupero costante di motivi formali consolidati nelle opere precedenti. Nella nostra coppia, che mostra un significativa affinità con le opere di tema affine di Evaristo Baschenis, ritroviamo in effetti, come una peculiare sigla di stile, i funghi, le mele, il cedro e i pesci posati su un foglio sgualcito, nel quale è iscritta la data di esecuzione del 1675. Ma l'elemento forse di maggiore importanza storica delle nostre due tele è da riconoscere nella presenza della firma per esteso che si trova accuratamente trascritta sul retro della tela di rifodero, che ha consentito infine di riconoscere definitivamente il nome di questo notevole specialista di nature morte: Angelo Maria Rossi, del quale ancora Giuseppe Cirillo aveva già rinvenuto la sigla "A.M.R." su un'altro dipinto. Si tratta di un pittore milanese, che prima di cadere nell'oblio fu ai suoi tempi un nome celebre, spesso presente come illustre specialista di nature morte negli inventari antichi delle collezioni lombarde, compresi i principi Borromeo. Il suo cospicuo catalogo presenta un livello qualitativo di costante eccellenza, pienamente testimoniato anche dalle opere qui in oggetto.
PROVENIENZA: Roma, Collezione privata; Roma, Christie's, 16 maggio 1986, Lot.235 (come "Pseudo Fardella"); Bologna, Collezione Ferdinando Montaguti (come da scritta a tergo);
BIBLIOGRAFIA: G.Cirillo e G.Godi, Le nature morte del "Pittore di Carlo Torre" (Pseudo Fardella)" nella Lombardia del secondo Seicento, Popos Editrice, 1996, p.101, Tavv. 95 e 96. -
Lotto 125 ANDREA VACCARO (Napoli, 1604 - 1670) o GIUSEPPE DI GUIDO, già MAESTRO DI FONTANAROSA (Napoli, 1590 - attivo nella prima metà del XVII secolo)
Visione di San Gaetano da Thiene di Maria Maddalena
Olio su tela, cm. 183x148,5. Con cornice antica
Questa bella tela d'altare costituisce una seconda versione del dipinto del medesimo soggetto eseguito per la chiesa del Monastero di Santa Maria della Sapienza a Napoli e oggi ricoverato presso il locale Arcivescovado. Con quest'ultima opera, la nostra tela condivide le medesime problematiche attributive, come pure una certa ambiguità iconografica, che ha generato la confusione tra S.Maria Egiziaca in estasi con San Zosima e La visione della Maddalena in estasi sorretta dagli angeli da parte di S. Gaetano da Thiene, verso la quale ormai si dovrebbe definitivamente corvergere. Più complesso il nodo relativo all'autore, o agli autori, delle due versioni, a proposito del quale occorre partire dall'esemplare oggi all'Arcivescovado, sovente considerato una delle prove d'esordio di Andrea Vaccaro. Sulla tela si può leggere in basso a sinistra un'iscrizione che recita "GIOS.E DE GUIDA". Pur essendo spuria l'iscrizione costituisce un indizio serio per il riconoscimento della paternità dell'opera, in accordo, peraltro, con l'indicazione delle fonti ottocentesche. Accogliendo per essa il riferimento a Giuseppe di Guido (alias Maestro di Fontanarosa), come ormai parrebbe opportuno, la tela della Sapienza verrebbe a fissare il punto di massima tangenza stilistica di questo maestro con il giovane Andrea Vaccaro, col quale egli fu in effetti in stretti rapporti, se nel 1628 fece da padrino al battesimo della figlia di Andrea, Angela Geronima Vaccaro. Non si può fare a meno di rilevare, peraltro, come entrambe le versioni, e specialmente la nostra, appaiano di più agevole e coerente inserimento nel catalogo giovanile del Vaccaro che non in quello del Maestro di Fonatanarosa, come suggeriscono le affinità con opere come Giuditta e Oloferne in collezione Koelliker, il Martirio di Sant'Agata della Galerie G. Sarti di Prigi o il Martirio di San Sebastiano della Galerie Canesso di Parigi, tutti autografi certi del Vaccaro che non dovrebbero superare, come l'opera qui in oggetto,la soglia del 1640. -
Lotto 126 MARIO BALASSI (Firenze, 1604 - 1667)
Madonna con Bambino
Olio su tela, cm. 65x58,5. Con cornice
Il dipinto è accompagnato dall'expertise del Prof. Sandro Bellesi.
La bella tela qui proposta mostra nella peculiarità delle pose e della costruzione delle fisionomie la mano del fiorentino Mario Balassi. Particolarmente interessante risulta la postura quasi ruotante del Gesù Bambino e la sua espressione fortemente comunicativa. La mancanza di un interlocutore lascerebbe supporre un’originaria e più ampia composizione, di cui la nostra tela potrebbe costituire il frammento centrale e principale. Tale supposizione trova puntuali conferme nei frammenti di una pala firmata dal Balassi raffigurante San Filippo Neri adorante con cherubini, le quale stabilisce con il nostro dipinto un rapporto di interdipendenza tale da far ipotizzare la comune appartenenza ad una grande tela perduta, della quale ha dato notizia Riccardo Carapelli (Di alcune opere meno note o inedite di Mario Balassi, in “Antichità viva”, 1995, 5-6, pp. 55,57 e 58 figg. 11-13). Stretti i rapporti anche con altre opere del pittore, come l’Apparizione della Vergine e Gesù Bambino a San Domenico del Museo Civico di Prato o l’Assunzione della Vergine e santi in Santo Stefano a Empoli, entrambe databili tra il 1656 e il 1659. -
Lotto 127 THEODOR VAN THULDEN (Hertogenbosch, 1606 - 1669)
Venere e Adone
Olio su tela, cm. 64,5x81. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un'expert del Prof. Didier Bodart.
Questa bella tela mostra uno stile attentamente bilanciato tra la conoscenza di modelli tizianeschi e un gusto spiccatamente rubensiano. L’opera è ascrivibile alla mano di Theodor van Thulden, che fu allievo ad Anversa di Abraham Bryenbergh nel 1621-1622 e più tardi collaboratore di Rubens. Il nostro dipinto è databile intorno al 1640, epoca in cui risulta più intensa l’influenza veneta combinata con quella di Anthony van Dyck. Utili i confronti con altre opere dell’artista come l'Allegoria di Anversa, del Museo Nazionale della Valletta, L'Amore e la Musica del Museo di Noordbrabants, La Fiandra, il Branbant e l’Hainaut venerano la Vergine e il Bambino, conservata presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna. -
Lotto 128 ALESSANDRO MAGNASCO (Genova, 1667 - 1749)
Interno con soldati, vagabondi e mendicanti
Olio su tela, cm. 97x122. Con cornice
Questa affollata composizione, già riconosciuta da Camillo Manzitti come opera autografa del Magnasco, si dipana con articolata sintassi attraverso i vari e ben distinti gruppi di personaggi. Ciascuno di essi è raccolto intorno a uno dei tavoli disposti in un grande ambiente di difficile caratterizzazione, sorta di corte di un palazzo semi-diroccato, parzialmente aperto sullo sfondo a un brano di paesaggio. Fra le molte figure, eseguite con la consueta brevità e spavalda destrezza, si distinguono soldati che giocano a carte, vagabondi e mendicanti, zingari e uomini vestiti di ampie tuniche: un'umanità degrata e dissoluta, assemblata secondo la fantasia sbrigliata, bizzarra e allucinata, tipica del Magnasco, dietro la quale s'intravvede pur sempre il fantasma di Jacques Callot. L'ambiente è disseminato di strumenti bellici apparentemente dismessi (cannoni, armature, fucili), ma anche assi, botti, recipienti, vasellame, stracci, carte e corde. La nostra tela ripropone così, in un montaggio originale, molti dei motivi presenti in altre opere del pittore, quali il Ritrovo di zingari e soldati degli Uffizi e del Museo di Bassano del Grappa, il Cantastorie del Museo di Varsavia, La Gazza ammaestrata del Museo Calvet di Avignone. -
Lotto 129 FRANCESCO SOLIMENA (Serino, 1657 - Napoli, 1747), ATTRIBUITO
Santa Caterina d'Alessandria
Olio su tela, cm. 77,3x63,5. Con cornice
Nel bel dipinto che qui si presenta si riconosce agevolmente l'immagine di Santa Caterina d'Alessandria, vergine e martire di origine regale che qui viene presentata con i suoi attributi principali: la corona, la palma e la ruota dentata strumento del suo martirio. L'opera è un interessante prodotto della fase giovanile di Francesco Solimena, probabilmente nel nono decennio del Seicento, ancora legato allo stile intensamente chiaroscurato del padre Angelo e ben memore del maestro di lui Francesco Guarino e di Massimo Stanzione, ma già non immune dall'esempio di Luca GIordano. Un pittore già capace di esercitare un pieno controllo classico della composizione e in possesso di mezzi coloristici assai raffinati. In questo senso si possono istituire confronti piutosto eloquenti fra la nostra tela e, tra gli altri, la Santa Rosalia in collezione Pisani a Napoli, Sansone e Dalila dell'Herzog Anton Ullrich Museum di Braunschweig, il Ritratovamento di Mosè dell'Ermitage di San PIetroburgo. -
Lotto 130 GIOVANNI ANTONIO PELLEGRINI (Venezia, 1675 - 1741), ATTRIBUITO
Alessandro Magno trova il corpo di Dario morente
Olio su tela, cm. 127x169. Con cornice
Quest'immagine potente raffigura il corpo di Dario, re dei persiani, che secondo la narrazione di Plutarco viene rinvenuto da Alessandro Magno, suo acerrimo nemico, riverso in fin di vita su un carro dopo essere stato ucciso dalle sue stesse milizie. Il dipinto si impone per l'arditezza della composizione, con la scorciatura esasperata del corpo di Dario, per l'elaborato impianto luministico e per la finezza drammaturgica dell'impianto narrativo, col gesto pietoso di Alessandro che sembra accoglierere il ringraziamento del nemico per la benevolenza mostrata verso i suoi congiunti. Non meno notevole risulta la densità di riferimenti pittorici che si trovano originalmente condensati nel dipinto. In esso si distingue un incrocio di elementi veneti (da Tintoretto ai tenebrosi Loth, Zanchi e Langetti, ma anche Sebastiano Ricci), lombardi (Paolo Pagani) e romani (Cortona, Baciccio).
Una cultura pittorica così articolata orienta l'attribuzione, in via di ipotesi, verso la produzione giovanile di Antonio Pellegrini all'altezza dei primi anni del Settecento, subito dopo la giovanile esperienza di formazione romana. A sostegno di questa proposta attributiva si possono istituire confronti con dipinti quali l'Allegoria della Congregazione della morte, eseguito nel 1701 per la Scuola del Crsto di San Marcuola a Venezia (oggi nel Museo Diocesano di Sant'Apollonia), Alessandro davanti al cadavere di Dario (Musée Municipal di Soissons e Museo di Dusseldorf), Spartaco spinge gli schiavi alla rivolta, Padova, Museo Civico.
PROVENIENZA: Collezione privata, Centro-Italia. -
Lotto 131 JAN FRANS VAN BLOEMEN (Anversa, 1662 - Roma, 1749)
Paesaggio con figure e borgo fortificato sullo sfondo
Olio su tela, cm. 87,5x114. Con cornice
Il dipinto è accompagnato da un expertise del Prof. Ferdinando Arisi.
Il bel dipinto qui proposto raffigura una veduta di fantasia della valle dell’Aniene ai piedi di Tivoli. Nell’impianto compositivo, nel trattamento luministico e cromatico, nella descrizione degli elementi vegetali e delle figure, la tela rivela il raffinato linguaggio pittorico di Jan Frans van Bloemen, detto l’Orizzonte. L’impostazione scenica ripropone qui talune delle sue soluzioni più tipiche, come lo specchio d’acqua in primo piano, animato da piccole figurine realizzate con un tratto sciolto e veloce, e lo sviluppo di una profonda visuale sul brano di paesaggio retrostante. Anche la leggerissima quinta scenica arborea sulla destra nei dettagli del fogliame e nello sviluppo dei tronchi si conforma ai modi del pittore, in particolare per il perfetto bilanciamento compositivo tra spazi pieni e vuoti. -
Lotto 132 PAOLO DE MATTEIS (Piano del Cilento, 1662 - Napoli, 1728)
San Giovanni Battista
Olio su tavola, cm. 109x75. Con cornice
Al retro la tavola reca un bollo in ceralacca e una vecchia iscrizione: "MORILLO".
Questo bella effige del giovane San Giovanni Battista, accompagnato dai suoi attributi canonici del crocifisso e dell'agnello, fu riconosciuto come opera sicura di Paolo de Matteis da Riccardo Lattuada e Giuseppe Napoletano. Esso costituisce una rarissima prova realizzata dal pittore su tavola. L'opera, di particolare eleganza e compostezza formale, presenta un'evidente vicinanza ai modi maturi di Luca Giordano ed è collocabile nell'ultimo decennio del Seicento.