Importanti Dipinti Antichi
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Lot 49 Pittore emiliano nella cerchia di Felice Boselli, fine sec. XVII
CACCIAGIONE E FUNGHI IN UN PAESAGGIO
olio su tela, cm 67x126
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Lot 50 Cerchia di Francesco Londonio, inizi sec. XVIII
SATIRO CON CAPRETTE
PASTORELLA CHE MUNGE UNA MUCCA
coppia di dipinti ad olio su tavola, cm 42x54; cm 41,5x52 ciascuno
(2)
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Lot 51 Attribuito a Willem van Herp
(Anversa 1614-1677)
LA FUCINA DI VULCANO
olio su tavola, cm 69,5x89
L'interessante tavola qui proposta raffigura la Fucina di Vulcano, in cui le figure di Vulcano e dei suoi collaboratori vengono rappresentati intenti alla produzione di armi all'interno di una sorta di antro o grotta naturale su uno sfondo di paesaggio. In primo piano trova risalto un elegante tableau di armi, eseguito dall'artista sugli esempi di Jan Brueghel II e di Jan van Kessel, con cui collaborò. Interessante notare come il medesimo soggetto sia stato trattato in maniera molto simile in un dipinto passato in un'asta Sotheby's di New York del 29 gennaio 2010 con un riferimento di attribuzione a un Seguace di Mattheus van Helmont.
Grazie ad alcuni raffronti stilistici é possibile attribuire il nostro dipinto a Willem van Herp pittore specializzato in dipinti di piccolo formato ispirato sugli esempi di Rubens e di David Tenier il Giovane. Noto principalmente per opere di genere e composizioni religiose van Herp eseguì numerose copie e repliche oltre che da Rubens anche da altri artisti come ad esempio Anthony van Dyck, Jacob Jordaens e Gerard Seghers. -
Lot 52 Seguace di Francesco Trevisani, sec. XVIII
MADONNA CON BAMBINO
olio su tela, cm 71x58
Dall'esemplare di Trevisani, Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini, Roma
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Lot 53 Scuola di Rosalba Carriera, sec. XVIII
RITRATTO DI BAMBINO CON COPRICAPO PIUMATO
pastello su carta, cm 44,5x36
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Lot 54 Scuola veneta, sec. XVIII
RITRATTO DI GIOVINETTA CON CAGNOLINO
pastello su carta riportata su cartone pressato, cm 41x32,5
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Lot 55 Pittore veneto, sec. XVIII
RITRATTO DI DAMA CON MASCHERA
olio su vetro, 23,5x19
Dal dipinto di Piazzetta, Thyssen-Bornemisza, Madrid
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Lot 56 Bernardino Mei
(Siena 1612-Roma 1676)
MARTIRIO DI SAN PIETRO
olio su tela ottagonale, cm 68x87
Il dipinto qui offerto é replica autografa e di splendida qualità della tela, anch’essa di formato ottagonale e quasi identica per dimensioni, comparsa per la prima volta nel 1989 presso Pratesi a Firenze e poi acquistata dalla Pinacoteca di Siena insieme al pendant, il Martirio di San Paolo di Raffaello Vanni.
Non conosciamo i motivi per cui Bernardino Mei replicò la composizione apportandovi minime varianti: esse riguardano piccoli dettagli nelle figure ai margini dell’inquadratura e, essenzialmente, una definizione più plastica e sicura di quelle in primo piano, che in questa seconda versione tradiscono un’acquisita maturità e una capacità nuova dell’artista senese di “pensare in grande” anche se in piccole dimensioni.
Una datazione intorno al 1640 o poco prima vale per questo dipinto, che segue a minima distanza l’opera nella Pinacoteca di Siena. L’ottimo stato conservativo consente di apprezzarne in misura forse superiore la splendida gamma cromatica dove squillano, inconfondibili, il giallo dorato che si oppone al bianco e all’azzurro, tipici dei suoi capolavori chigiani.
Bibliografia di confronto: G. Pratesi, Pitture senesi del Seicento. Catalogo della mostra a cura di Giovanni Pagliarulo e Riccardo Spinelli, Firenze 1989, pp. 83-86, n. 26. M. Ciampolini, Pittori Senesi del Seicento, Siena 2010, I, p. 363, non ill.
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Lot 57 Alberto Carlieri
(Roma 1672 circa-post 1720)
PROSPETTIVA ARCHITETTONICA CON ROVINE ANTICHE E CORTEO DI PUTTI
olio su tela, cm 74x99
Nonostante la precoce ricognizione di Hermann Voss che già nel 1959 aveva reso noti i pochi dati biografici del pittore, così come li riportavano fonti coeve, e soprattutto pubblicato un dipinto firmato per esteso e datato da Roma nel 1707, ad esso accostandone altri per indubbie affinità di stile, la figura di Alberto Carlieri é stata “risuscitata” solo di recente, prevalentemente ad opera di David Marshall (The architectural piece in 1700: the paintings of Antonio Carlieri (1672 – c. 1720), pupil of Andrea Pozzo, in “Artibus et Historiae” 50, 2004, pp. 39-126) dopo che il suo pur nutrito catalogo era stato diviso tra nomi più illustri o quanto meno più noti.
Come già suggerito da Voss, ma in modo sempre più evidente nell’ultimo quarto del Novecento, le prospettive di Alberto Carlieri conservate in collezioni pubbliche e private tedesche o inglesi tendevano infatti a passare sotto i nomi di Giovanni Ghisolfi o del malnoto Domenico Roberti, mentre in Italia venivano quasi sempre attribuite a Gian Paolo Panini, e più precisamente al suo primo periodo.
Una volta chiarito l’equivoco grazie al ritrovamento di altre opere firmate, la fisionomia di Carlieri si é imposta con assoluta chiarezza come indipendente dal percorso paniniano, e invece legata agli esempi seicenteschi del tardo Viviano e di Nicolò Codazzi, oltre che del suo maestro, Fratel Pozzo, di cui tuttavia non sembra abbia proseguito l’attività di frescante.
Presente nelle più illustri quadrerie romane, a cominciare dalla collezione di Filippo II Colonna, da quelle dei Rospigliosi e del cardinal Valenti Gonzaga (non a caso protettore di Gian Paolo Panini) Carlieri elaborò ben presto modelli compositivi ben riconoscibili variandoli in funzione del formato, e un repertorio di soggetti ispirato alle Scritture e alla mitologia classica. Frequente il motivo di putti festanti che compare nel nostro dipinto, come pure il grande vaso (privo di riferimenti specifici all’antico) e l’abbondante vegetazione sullo sfondo. Fra i numerosi possibili confronti citiamo in particolare i dipinti nella Walters Art Gallery di Baltimora, già riconosciuti a Carlieri da Federico Zeri, e un dipinto passato a Londra da Sotheby’s (D.R. Marshall, 2004, cit., AC 50, fig. 63 e AC 43, fig. 68).
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Lot 58 Scuola veneta, sec. XVII
EPISODIO BIBLICO
olio su tela, cm 106x132
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Lot 59 Alessandro Varotari detto Il Padovanino
(Padova 1588-Venezia 1649)
VENERE ALLO SPECCHIO CON SATIRO E AMORINO
olio su tela, cm 165x121
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Lot 60 Jacopo Vignali
(Pratovecchio, Arezzo 1592 - Firenze 1664)
MADONNA CON BAMBINO IN UN PAESAGGIO
olio su tela, cm 98x79,5
Corredato da parere scritto di Francesca Baldassari, Firenze, 3 dicembre 2010
Nella bella tela, giunta fin qui inedita, é raffigurata la Vergine che tiene il Bambino in grembo e lo osserva giocare con la croce, simbolo del suo destino. La Madre e il Bambino sono delineati sullo sfondo di un rudere, dietro cui si apre un paesaggio che presenta fronde minute e particolareggiate. I caratteri fisionomici dei protagonisti, la stesura pittorica fluida e soffice, i colori vivaci e la resa del paesaggio, meditata sul Cigoli e su Cristofano Allori, consentono di riconoscere l'autore del dipinto in Jacopo Vignali, uno dei protagonisti della pittura fiorentina del Seicento.
L'influenza ancora predominante del maestro Matteo Rosselli, nella cui bottega fiorentina Jacopo era entrato verosimilmente nel 1614, anno del suo trasferimento dal Casentino al capoluogo mediceo, e le affinità stilistiche con il condiscepolo Lorenzo Lippi consentono di proporre una datazione della tela in esame nella prima attività della lunga e proficua carriera dell'artista.
All'interno del catalogo pittorico di Vignali, il dipinto offre i confronti più significativi con il Battesimo di Cristo già nella collezione Bigongiari a Firenze e oggi presso la Caripit di Pistoia, documentato nel 1627, anno in cui il pittore ricevette il saldo da Giovanni Battista Strozzi per la pala, destinata alla cappella della villa al Boschetto, nel popolo di San Pietro in Monticelli, nei dintorni fiorentini. I tratti teneri e addolciti della Vergine sono simili a quelli adoperati per il Cristo del Battesimo oggi a Pistoia, mentre il volto paffuto, con il nasino appuntito, del Bambino, é ripetuto negli angeli in volo che recano i fiori. Il tono sentimentale sereno della tela corrisponde a quello che caratterizza la produzione di Vignali del secondo decennio del Seicento, prima che la terribile peste fiorentina del 1630 facesse assumere alla sua pittura un timbro più dolente e drammatico.
Queste considerazioni stilistiche inducono a collocare la Madonna con il Bambino intorno alla metà del secondo decennio.
Il formato e il soggetto dell'opera indicano una destinazione alla devozione privata che attualmente sfugge, considerata anche l'assenza di un dipinto con questo tema nella preziosa biografia antica, l'unica disponibile sul pittore, scritta nel 1753 dall'erudito Sebastiano Benedetto Bartolozzi che ebbe l'opportunità di sfogliare il registro di bottega, oggi disperso, di Vignali. -
Lot 61 Scuola Italia centrale, sec. XVII
MADDALENA PENITENTE IN UN PAESAGGIO
olio su tela, 199x132 entro cornice intagliata, dorata e dipinta
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Lot 62 Bottega di Simone Pignoni, sec. XVII
MARIA MADDALENA
olio su tela, cm 121,5x91,5 entro cornice antica dorata e dipinta a motivo fogliato
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Lot 63 Pittore veneto, sec. XVII
IL SACRIFICIO D'ISACCO
olio su tela, cm 173x122, entro cornice riccamente scolpita e dorata
Provenienza: probabilmente già collezione Orsetti, Lucca;
collezione Cittadella, Lucca;
collezione privata, Lucca
La prestigiosa provenienza dell'opera é documentata dall'inventario per successione ereditaria della famiglia Cittadella redatto ai primi dell’Ottocento dai pittori lucchesi Pietro Nocchi, Raffaele Giovanetti e Michele Ridolfi dove il dipinto é ricordato con la seguente descrizione: “Il Sacrificio di Abramo Del Palma vecchio 25/ 50 zecchini”
L'opera, collocabile nell'ambiente artistico veneto, é stata studiata da Patrizia Giusti Maccari alla quale si deve l'attribuzione al pittore veneto Girolamo Forabosco (Venezia 1605 - Padova 1679) in una circostanziata e dettaglia scheda critica redatta in data 3 giugno 2007 della quale riportiamo alcuni passi salienti:
“L'attribuzione a Palma il Vecchio di questo Sacrificio di Isacco, formulata nella prima metà dell'Ottocento da Pietro Nocchi, Raffaele Giovannetti e Michele Ridolfi, per quanto poi rivelatasi imprecisa in riferimento all'identità del suo autore e alla cronologia d'esecuzione, non risulta del tutto fuorviante, costituendo, anzi, un punto di riferimento importante per la definizione della sua corretta paternità . […]
Il dipinto é da intendersi come significativa e qualificante espressione di quella corrente pittorica che a Venezia, nella prima metà del Seicento, riscopre e ripropone formule, cifre compositive e tonalità cromatiche cinquecentesche, ponendosi in alternativa a quella cosiddetta ‘tenebrosa’, frutto dell’ondata naturalistica, postcaravaggesca irradiatasi da Roma. Uno dei più qualificati interpreti di tale corrente, volutamente arcaizzante, risulta essere Girolamo Forabosco (Venezia 1605-Padova 1679), cui deve essere assegnato il dipinto qui in esame. […]
Se il movimento rotatorio e lo scorcio da sotto in su impresso alle figure di Abramo e di Isacco sono di derivazione tardomanieristica, come quella muscolosa e quasi sovradimensionata del più anziano dei due, l’attenzione alla resa psicologica dell’affollarsi dei sentimenti che si palesa sui loro volti, la minuzia descrittiva dei particolari decorativi, anche dal punto di vista coloristico, dell’abbigliamento del patriarca, appartengono indubitabilmente alla metà del Seicento. L’accentuata, realistica puntigliosità nel rappresentare il volto di Abramo, caratterizzato dalla fitta rete di rughe che si dipana come una ragnatela intorno agli occhi, e dalla barba bianca, definita ricciolo per ricciolo, sono elementi che parimenti riconducono al Forabosco, noto e frequentemente impiegato proprio per la sua abilità ritrattistica, specialmente tra il 1630 e il 1650. Appare ugualmente consentaneo al linguaggio stilistico da lui messo a punto il volto di Isacco, per tipologia dei tratti fisionomici assai prossimo a quello di David nel dipinto ora presso il Museo di Vaduz. Il pietismo sentimentale che lo contraddistingue testimonia l’apertura al gusto classicista bolognese diffusosi a Venezia attorno al 1650 grazie alla presenza di Guido Cagnacci, gusto a cui anche il Forabosco si mostra sensibile.
Al momento si ignora quando il Sacrificio, che reca sul retro il numero 22 vergato con grafia antica, sia entrato a far parte della quadreria Cittadella. La bellissima cornice coeva che lo custodisce, pregevole esempio della capacità tecnica degli intagliatori e doratori lucchesi, testimonia dell’arrivo in loco della tela in epoca immediatamente posteriore alla sua realizzazione. Del resto, per motivi commerciali ed artistici i c -
Lot 64 Pittore fiammingo da Tintoretto, sec. XVII
RITRATTO VIRILE
olio su tela, cm 46x36,5
Provenienza: asta Christie’s Londra, 9 dicembre 1929, lotto 64 (come van Dyck);
collezione Dr. Hildebrand, Stoccolma;
asta Sotheby’s Londra, 4 novembre 1970 (come van Dyck);
collezione privata, Como
Bibliografia: G. Glück, Notes on van Dyck’s stay in Italy, in“Burlington Magazine”, vol. LXXIV, 1939, pp. 207-208, ill. pl. II B; R. Pallucchini, La giovinezza del Tintoretto, Milano 1950, pp. 163-164; E. Larsen, L’opera completa di VanDyck, Milano 1980, p. 109 n. 339
Il dipinto, tradizionalmente riferito a van Dyck, veniva con tale attribuzione proposto in un'asta Christie's di Londra del 1929, successivamente passato in collezione Hildebrand di Stoccolma come rende noto Glück nel 1939 e nuovamente apparso nel 1970 sul mercato antiquario londinese. Lo studioso nel suo contributo sul Burlington Magazine pubblicando il nostro ritratto come van Dyck lo metteva in relazione con il Ritratto di uomo assegnato a Tintoretto, allora di proprietà di Thomas Harris, considerandolo copia del pittore fiammingo dal ritratto del maestro veneziano.
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Lot 65 Scuola veneta, fine sec. XVII-inizi XVIII
VENERE IN UN PAESAGGIO
olio su tela, cm 118,5x171 entro cornice antica in legno riccamente intagliata a volute e dorata
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Lot 66 Simone Pignoni
(Firenze 1611-1698)
BETSABEA AL BAGNO
olio su tela, cm 146x190
sul retro bollo in ceralacca ed etichetta relativa all'esposizione
Attribuzione confermata da Sandro Bellesi su visione diretta
Provenienza: collezione privata, Firenze
Esposizioni: Mostra della pittura italiana del Sei e Settecento, Palazzo Pitti, Firenze 1922
Bibliografia: Mostra della pittura italiana del Sei e Settecento. Catalogo, Roma 1922, p.92 n. 427 (non riprodotto, come Francesco Furini);
Presentato alla storica mostra del 1922 con un’attribuzione, per l’epoca più che giustificata, a Francesco Furini, il dipinto qui offerto, rimasto per oltre mezzo secolo nella stessa raccolta e quindi del tutto nuovo agli studi oltre che al mercato, é invece opera tipica e assai bella di Simone Pignoni, a cui può essere restituito in virtù di ineccepibili confronti.
Quelli più immediati sono da istituire con la tela di uguale soggetto e simile composizione ma variata in diversi particolari, già presso Voena e Robilant, più volte pubblicata da Francesca Baldassari, cui si devono gli studi più aggiornati sull’artista fiorentino. Catalogata al n. 368 del repertorio (La pittura del Seicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro opere, Torino 2009) é stata nuovamente commentata in occasione del nuovo saggio della stessa studiosa che nel 2012 ha accompagnato una esposizione di Moretti a New York (Seicento fiorentino. Sacred and Profane Allegories, Firenze 2012, p. 122, fig. 2).
In quel dipinto, naturalmente diverso per situazione conservativa, Betsabea svela quasi per intero il bel corpo qui pudicamente velato, se pure parzialmente, e sono invece assenti il cagnolino in primo piano e la figura femminile che a destra nell’ombra appare nel nostro. Eventuali altre discrepanze saranno verosimilmente meglio leggibili a seguito di una pulitura della tela qui offerta.
Inaugurati nel 1964 da un breve saggio di Gerhard Ewald (Simone Pignoni, a little-known Florentine Seicento Painter, in “The Burlington Magazine” 106, 1964, pp. 218-26) gli studi sull’artista hanno dovuto confrontarsi con la quasi totale mancanza di notizie biografiche e di date certe, soprattutto per quanto riguarda le sue opere di committenza privata, senza dubbio le più numerose e significative. Escluso per motivi cronologici dalle Notizie di Filippo Baldinucci, che fa il suo nome solo in quanto allievo di Francesco Furini, Pignoni é però ricordato da fonti settecentesche, e in particolare dall’allievo Giovanni Camillo Sagrestani (Vite dei Pittori, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Ms. Pal. 451) che riporta gli elogi di Luca Giordano per una delle sue più importanti opere pubbliche, la pala dedicata a San Luigi di Francia sull’altare Guicciardini in Santa Felicita, del 1682. Non stupisce peraltro che la pittura luminosa e sensuale del Pignoni, esclusivamente affidata al colore, suscitasse le lodi dell’artista napoletano così lontano dal culto per il disegno dei pittori fiorentini, nè che alla fine del secolo insieme a Livio Mehus, prediletto dal Gran Principe Ferdinando, Pignoni fosse considerato tra i primi pittori di Firenze, come riporta una lettera di Tommaso Redi del 1690.
Se la sua produzione pubblica per le chiese della città e del territorio circostante é relativamente ben documentata, non restano invece riferimenti cronologici per le splendide figure femminili che costituiscono l’aspetto prevalente delle sua attività : nelle parole del Sagrestani “Le femmine... le fece con tanta grazie e rilievo di tinte che nel nostro secolo pochi si -
Lot 67 Scuola romana, fine sec. XVII-inizi XVIII
NATURA MORTA CON VASO DI FIORI, LIBRI E TAPPETO
olio su tela, cm 88,5x118,5
al recto iscritto sulla costola del libro e "Morel" sullo spessore del tavolo
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Lot 68 Pittore inglese, fine sec. XVII-inizi XVIII
RITRATTO DI ELISABETH DERING
olio su tela, cm 233x145
al recto iscritto "Elisabeth Dering / Married to Rob.t Southwell. /Born 1648-Dyed 1681
Il nostro dipinto presenta affinità con le opere di Peter Lely (Soest 1618-Londra 1680) e con quelle della sua scuola. Segnaliamo in particolare il confronto con la tela raffigurante la medesima effigiata conservata presso il Kings Weston Action Group di Bristol attribuito a Thomas Pooley (Ipswich 1646-Dublino 1723), che per taluni aspetti quali il tendaggio che fa da sfondo alla figura, la collocazione vicino a vasi o architetture con rilievi classici, il modo di panneggiare i tessuti ed anche per la simile grafia dell'iscrizione riportata al recto, si presenta molto vicino al dipinto qui proposto. -
Lot 69 Pittore lombardo, sec. XVII
RITRATTO DI GENTILUOMO CON FANCIULLO
olio su tela, cm 118,5x94 entro cornice intagliata e dorata
L'inedito dipinto qui presentato, notevole per la superba qualita' e l'ottima conservazione, costituisce una splendida testimonianza della pittura di ritratto fiorita a Milano verso la meta' del secolo, in equilibrio tra le ragioni del naturalismo e le esigenze di rappresentazione sociale che il genere comportava.
Colpisce innanzi tutto la spontaneita' con cui entrambi i soggetti raffigurati si volgono a cercare la complicita' dello spettatore o, nel caso del protagonista, quella di un interlocutore invisibile ma non per questo meno presente: forse la moglie, che immaginiamo in una tela pendant, accompagnata da una o piu' bambine.
Confronti plausibili ci riconducono a Carlo Francesco Nuvolone (Milano 1609-1661) e alle prove migliori della sua ritrattistica, dal Ritratto della famiglia Nuvolone ora a Brera, forse dipinto subito dopo la morte nel padre nel 1651, in collaborazione col fratello Giuseppe, allo straordinario Cavaliere in armatura, identificabile come Giovan Battista Sanmicheli, o ancora il Manfredo Settala tra le curiosita' del suo studio, o il piu' composto Bartolomeo Arese: tutti nati pero' da un'occasione meno intima di quella del nostro dipinto.
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Lot 71 Scuola napoletana, sec. XVII
SANTA CATERINA D'ALESSANDRIA
olio su tela, cm 118x91,5
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Lot 72 Scuola toscana, fine sec. XVII
SANTA ELISABETTA D'UNGHERIA
olio su tela, cm 104x76,5
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Lot 73 Scuola bolognese, sec. XVII
SANTA CATERINA D'ALESSANDRIA
olio su tela, cm 76,5x63
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Lot 74 Scuola veneta, fine sec. XVII-inizi XVIII
L'ANDATA AL CALVARIO
olio su tela, cm 140,5x187
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Lot 75 Scuola veneta, fine sec. XVII-inizi XVIII
L'INCORONAZIONE DI SPINE
olio su tela, cm 141x186,5
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Lot 76 Francesco Montelatici detto Cecco Bravo
(Firenze 1601-Innsbruck 1661)
FIGURA VIRILE CON NATURA MORTA ESTIVA IN UN PAESAGGIO
olio su tela, cm 98x140
Bibliografia: M. Gregori, Appunti su Cecco Bravo, in “Comma” VI, 1970, 4, p. 10 e fig. a p. 7; G. Cantelli, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento, Fiesole 1983, p. 115; A. Barsanti, Cecco Bravo (Francesco Montelatici), in La natura morta in Italia, a cura di Francesco Porzio, II, Milano 1989, p. 577 fig. 686; Cecco Bravo pittore senza regola. Firenze 1601-Innasbruck 1661, catalogo della mostra a cura di Anna Barsanti e Roberto Contini, Milano 1999, p. 74 fig. b
Pubblicato da Mina Gregori in un suo precoce intervento sul pittore fiorentino, il dipinto qui offerto é stato poi riconosciuto da Anna Barsanti come pendant della Figura femminile con natura morta autunnale resa nota indipendentemente da Carlo Del Bravo nel 1971 (Un’osservazione su inediti secenteschi, in “Antichità Viva” 10, 1971, 5, pp. 22-23, fig. 6).
Il recente passaggio in asta del dipinto citato in questa stessa sede (26 novembre 2014, lotto 60) ha poi offerto l’opportunità di verificare la proposta della studiosa, e di confermare la coppia di tele all’esiguo catalogo di Cecco Bravo pittore di natura morta.
Come già evidenziato dagli studi fiorentini, i modelli compositivi per queste invenzioni in cui elementi di “natura in posa”, disposti in apparente disordine su un piano all’aperto, sono accompagnati da una figura vista a metà sullo sfondo di cielo trovano un precedente nelle composizioni di Giovanni Pini (documentato a Firenze nei primi anni Trenta), un nome senza dubbio più pertinente di quello del romano Michelangelo Cerquozzi, talvolta chiamato in causa sebbene mosso da intenzioni naturalistiche e narrative del tutto diverse.
Omaggio raffinato al gusto per l’allegoria che pervade la cultura del Barocco, la coppia di nature morte ricomposta dalla Barsanti sembrerebbe databile al sesto decennio del secolo in virtù dei colori intensi e bruniti che le caratterizzano, interrotti dalle pennellate spumeggianti dei toni più chiari. Precedono quindi di poco il trasferimento dell’artista fiorentino alla corte dei Duchi del Tirolo nel 1660, dove egli morì l’anno successivo lasciando, segno del suo approccio eclettico alla pittura, ritratti di corte e una raffigurazione dell’Aurora.
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Lot 77 Pittore veneto, fine sec. XVII-inizi XVIII
PAESAGGIO CON PASTORE E PASTORELLA IN RIPOSO NEI PRESSI DI UNA FONTANA
olio su tela, cm 106,5x88
Il dipinto qui presentato raffigurante una scena pastorale con figure in primo piano dalla pennellata ricca e vibrante mostra tangenze con la cultura veneta di matrice riccesca, in particolare si evidenziano affinità stilistiche con le opere di Bartolomeo Pedon (Venezia 1665-1732). -
Lot 78 Scuola veneta, sec. XVIII
PAESAGGIO FLUVIALE CON PONTE E FIGURE
olio su tela, cm 102x119
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Lot 79 Rutilio Manetti
(Siena 1571-1639)
SAN SEBASTIANO CURATO DALLE PIE DONNE
olio su tela, cm 147x220,5 entro cornice antica intagliata a motivi classici, dipinta nella fascia e dorata
Provenienza: collezione privata, Siena
Bibliografia: M. Ciampolini, Presentazione di Annibale Tegliacci e due inediti del Seicento senese, in "Paragone", 97, 2011, pp. 46-53, cit. pp. 49-50, tav. 48; M. Ciampolini, Pittori senesi del Seicento, Siena 2010, vol. 2, p. 292
Corredato da parere scritto di Vittorio Sgarbi
Recente aggiunta al catalogo di Rutilio Manetti, il dipinto qui offerto – imponente per dimensioni e impreziosito dalla cornice antica, anch’essa di manifattura senese - é stato restituito al protagonista del primo Seicento a Siena da Marco Ciampolini sulla base di una fotografia conservata nell’archivio di Mina Gregori.
Pubblicandolo come opera di ignota ubicazione (e con dimensioni probabilmente inclusive della cornice) in margine a un intervento su un artista minore appena risarcito agli studi, lo studioso ne ha proposto una datazione negli ultimi anni del terzo decennio del secolo, ovvero al periodo in cui l’artista senese appare rinnovare la sua sperimentata maniera affrontando “historie” di maggiore complessità, dove un numero crescente di personaggi é ritratto a figura intera in uno spazio ben definito e misurato dagli oggetti che lo occupano, quasi a commento dei fatti narrati .
Puntuali i confronti con altre e ben note composizioni, come il Concerto nella collezione Chigi Saracini o la Nascita della Vergine in Santa Maria dei Servi a Siena, eseguita dall’artista dopo il 1625, dove figure femminili virtualmente sovrapponibili alle nostre ostentano, come nel nostro caso, gonfi panneggi definiti dalla luce.
Vero pezzo di bravura, nel nostro dipinto, il lino candido e spiegazzato (stranamente privo di ogni traccia del recente martirio) che vela la nudità del giovane soldato ferito.
Ancora più sorprendente, la corazza e lo scudo “da parata”, senz’altro degni di un ufficiale di alto lignaggio, che anticipano motivi tipici della più tarda natura morta fiorentina e romana quando, privati di ogni giustificazione narrativa, gli stessi elementi saranno ritratti come simboli di ricchezza e potere, per quanto vani.
Unici nel catalogo dell’artista che, come si vede, potrebbe tuttavia riservare ulteriori sorprese, essi richiamano però la sapienza mimetica con cui, in altre occasioni, Rutilio Manetti ha conferito assoluta evidenza a strumenti musicali, arredi domestici o accessori di penitenza e di studio.
Come suggerito da Ciampolini, si impone altresì il confronto con la composizione di uguale soggetto dipinta da Francesco Rustici e nota in più esemplari, dipendenti dal probabile prototipo nel museo di Ekaterinburg reso noto da Vittoria Markova (cfr. Ciampolini 2011, cit., p. 53, nota 20): un dipinto che, come é tipico del Rustichino, appare tuttavia più discorsivo del nostro, e certo meno drammatico, oltre che attento a citare nella figura di Sebastiano il riferimento classico di una personificazione fluviale.
Bibliografia di confronto: A. Bagnoli, Rutilio Manetti: 1571-1639, Firenze 1978
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Lot 79a Pittore veronese nella cerchia di Antonio Calza, fine sec. XVII-inizi XVIII
SCENA DI BATTAGLIA
olio su tela, cm 96,5x154,5 entro cornice dorata, riccamente intagliata a motivo di palmette e spighe
Precedentemente riferito all’ambito del Brescianino, il dipinto qui offerto appare piuttosto riconducibile alla cerchia più immediata del veronese Antonio Calza (Verona 1653-1725), battaglista altrettanto noto e prolifico sebbene riscoperto più di recente.
Tra i più immediati riscontri, citiamo la Battaglia davanti a una città fortificata già in collezione privata a Brescia (riprodotto a colori in G. Sestieri, I pittori di battaglie. Maestri Italiani e stranieri del XVII e XVIII secolo, Roma 1999, p. 62, tav. V), simile al nostro per la gamma cromatica tutta giocata su grigi metallici e improvvisamente ravvivata da tocchi di giallo e di rosso. -
Lot 80 Pittore attivo a Roma, sec. XVII
RITRATTO DI UOMO IN ARMI
olio su tela, cm 59,5x44,5 entro cornice ottocentesca in stile cinquecento
tracce di firma e data “GHIS F. 164(1)”
sul retro etichetta con numero 90
Provenienza: collezione privata
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Lot 81 Giovanni Paolo Panini
(Piacenza 1691-Roma 1765)
PROSPETTIVA ARCHITETTONICA DI ROVINE CON DEDALO E ICARO
olio su tela, cm 74,5x100
sul retro del telaio tracce di vecchia etichetta iscritta: “Dedalus and Icarus. G.P. Panini” ed altra etichetta Colnaghi, Londra
Provenienza: Colnaghi, Londra;
asta Christie’s, 24-3-1972, Londra;
collezione privata, Roma;
Galleria Gasparrini (1992), Roma;
collezione privata, Roma
Corredato di parere scritto di Giuliano Briganti, Roma, 30/XII/79 e di Ferdinando Arisi, Piacenza, 9 novembre 1992
Considerato da Briganti opera giovanile di Gian Paolo Panini, il dipinto qui offerto propone in effetti i confronti più pertinenti con rare opere dell’artista piacentino datate del terzo decennio del Settecento, delle quali condivide l’ardito taglio prospettico e la gamma cromatica fortemente contrastata.
La fuga di colonne osservata da un punto di vista eccentrico richiama ad esempio, sebbene semplificato, l’ambiente della Probatica piscina in raccolta privata, opera firmata e riferibile al 1724 grazie al pendant che reca appunto quella data (F. Arisi, Gian Paolo Panini e i fasti della Roma del 700, Roma 1986, p. 306, n. 161), e ancora la prospettiva architettonica con la Cacciata dei mercanti dal Tempio nella Bayerische Staatsgemaeldesammlung di Monaco (Arisi 1992, p. 312, n. 171) che con la nostra condivide la presenza, piuttosto inusuale e certo non accademica, di capitelli ionici su fusti scanalati.
Ancora, la stessa fuga di archi spezzati fa da sfondo a una Adorazione dei Magi probabilmente identificabile con la tela di uguale soggetto descritta nell’inventario del cardinale Silvio Valenti Gonzaga, che di Panini fu senza dubbio il maggiore e più illustre committente (Arisi 1992, p. 328, n. 193). Opere, tutte, che nel terzo decennio del secolo rivelano la sapienza del quadraturista, quale Panini era appunto per formazione, facendo riferimento a un repertorio architettonico in qualche modo “di maniera” e ancora privo di quei riferimenti alla scultura classica che in breve, ricercati da “antiquari” e appassionati in Grand Tour, diventeranno quasi il marchio dell’artista.
Priva di confronti, e in effetti unica nella produzione paniniana, la scena al centro della navata principale si riferisce al mito di Dedalo e Icaro. Prototipo dello scultore, Dedalo é raffigurato nell’atto di costruire, incollando le piume una ad una, le ali che libereranno il figlio dalla prigione del labirinto da lui stesso progettato. Per terra, le piume da montare, un secondo paio di ali e altre, forse scartate o ancora in preparazione, alludono agli aspetti squisitamente manuali della pratica dello scultore, come del resto la sega e il martello abbandonati in terra: un soggetto così particolare da far credere che Panini lo dipingesse su richiesta specifica di un cliente e che, per questo motivo, restasse unico nella sua ricchissima produzione.
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Lot 82 Scuola emiliana, sec. XVIII
RITRATTO DI GENTILUOMO
olio su tela, cm 77,5x62
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Lot 83 Bottega di Francesco Monti detto il Brescianino, sec. XVIII
SCENA DI BATTAGLIA
olio su tela, cm 36,5x66,5
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Lot 84 Scuola toscana, sec. XVII
NATURA MORTA CON CESTA DI FRUTTA, FUNGHI E VASSOIETTO DI MORE
olio su tela, cm 38,5x82,5
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Lot 85 Collezione indivisibile di undici dipinti provenienti da Palazzo Sansedoni di Siena
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Nucleo notificato con decreto della Direzione Regionale della Toscana n. 321/2014, Firenze, 24 luglio 2014
Il lotto qui proposto, proveniente dallo storico Palazzo Sansedoni di Siena, si compone di undici dipinti che per lo più si possono rintracciare citati nell'inventario dei beni del Cav. Ottavio Sansedoni redatto il 5 luglio 1773, a poco più di un mese dalla sua morte. Nella sua globalità la collezione Sansedoni (iniziatasi a formare fin dal XVI secolo) era composta da dipinti, sculture, bassorilievi, nonchè busti in marmo, tappezzerie, porcellane e disegni anche se a farla da padrona era la scuola pittorica senese cinque-seicentesca grazie a dipinti attribuiti a Baldassarre Peruzzi, Beccafumi, Francesco Rustici e Rutilio Manetti. (cfr: L. Bonelli, Palazzo Sansedoni, a cura di Fabio Gabbrielli, Siena 2004, pp. 479-480)
a) Giovanni Domenico Ferretti
(Firenze 1692-1768)
I COMMENTATORI DI CICERONE
olio su tela, cm 171x139
firmato e datato "Gio Ferretti Fe / 1748"
Bibliografia: L. Bonelli, op. cit., pp. 479-486
L'importante dipinto qui proposto risulta citato nell'inventario del 1773: "Due quadri un poco più grandi (di "circa braccia tre") con cornici dorate e gialle uno esprimente li Commentatori di Seneca, copia del Ferretti dall'originale di Rubens, l'altra li Commentatori di Cicerone originali del Ferretti".
La tela in questione, come indicato nella relazione storico-artistica a cura di Alessandro Bagnoli, che era a pendant con la copia dal Rubens, riveste un particolare interesse sia per l'aspetto artistico sia per il soggetto. Si tratta di un dipinto di alta qualità del pittore fiorentino, che vi ha lasciato la firma e la data sul piccolo calamaio nero posto sopra un libro poggiato sul tavolo. La commissione di quest'opera rivela la cultura classicista del committente, che chiese al pittore di copiare il famoso quadro di Rubens, oggi conservato nella Galleria Palatina a Firenze, per affiancargli un dipinto di analogo soggetto con quattro "commentatori di Cicerone". Questa preziosa indicazione antica porta un utile contributo per definire meglio il soggetto del quadro di Rubens, comunemente indicato come i Quattro filosofi, anche se oggi sappiamo che rappresenta lo stesso Rubens, suo fratello Philippe e gli umanisti Juste Lipse e Jan Woverius. I quattro "commentatori" riuniti attorno al tavolo, analogamente a quanto fanno gli "intellettuali" immaginati da Rubens sotto il busto di Seneca, potrebbero essere identificati come segue: il personaggio in manto rosso e corona di alloro dovrebbe essere Francesco Petrarca, che ottenne l'ambito riconoscimento della laurea poetica in Campidoglio nel 1340 e di cui é noto l'interesse per la prosa di Cicerone e per la riscoperta di gran parte del suo Epistolario. Il 'commentatore' con sopraveste rossa secondo la moda del primo Quattrocento, che é intento a leggere, dovrebbe identificarsi con l'umanista Poggio Bracciolini che recuperò importanti orazioni di Cicerone e lo ritenne uno dei suoi modelli ispiratori. Per il robone ornato di pelliccia e la gorgiera si direbbe che il serio personaggio a sinistra con lo sgardo attento sia uno studioso della fine del Cinquecento; mentre quello con la rigida lattuga bianca potrebbe essere del primo Seicento. E' noto che Ferretti fu uno dei pittori preferiti da alcuni membri di casa Sansedoni, che gli affidarono in vari tempi gli incarichi di affrescare molte stanze del palazzo di famiglia. Il rapporto col pittore iniziò nel 1743. Il dipinto in questione, essendo datato 1748, assieme al suo disperso pendant copiato dal Rubens e a una terza tela di cu -
Lot 86 Scuola emiliana, sec. XVIII
CUPIDO
olio su tela, cm 65x55 entro cornice antica incisa, intagliata e dorata
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Lot 87 Mario Balassi
(Firenze 1604-1667)
SAN PIETRO LIBERATO DALL'ANGELO
olio su tela, cm 141x113 entro antica e bella cornice incisa nella fascia a motivo di volute e perlinature nel riquadro interno
sul retro timbro a ceralacca e numeri 13 e III.
Provenienza: collezione privata
Attribuzione confermata da Sandro Bellesi
Il dipinto qui presentato ripete in formato leggermente ridotto ma senza varianti significative la nota paletta del Balassi firmata e datata del 1653, un tempo nella collezione Rucellai e ora in una raccolta privata fiorentina.
Nonostante la data avanzata, Balassi vi si mostra tuttora legato al naturalismo e ai contrasti di lume di ascendenza caravaggesca sperimentati a Roma nel corso del terzo decennio del secolo, ma qui temperati da un comporre sobrio e monumentale aggiornato sugli esempi di Giovanni Martinelli e Vincenzo Dandini. Inciso da Lastri nell’Etruria Pittrice, il San Pietro fu senza dubbio uno dei dipinti di maggior successo dell’artista fiorentino.
Bibliografia di confronto: Luce e ombra. Caravaggismo e naturalismo nella pittura toscana del Seicento. Catalogo della mostra a cura di Pierluigi Carofano, Pisa 2005, pp. 84-85, n. 29. -
Lot 88 Pier Dandini
(Firenze 1646-1712)
ERMINIA E I PASTORI
olio su tela, cm 122x173
Opera notificata con decreto del Ministro per i Beni Culturali e Ambientali, Firenze, 4 luglio 1991
Bibliografia: S. Bellesi, Ottaviano Dandini o l’epilogo di una dinastia di pittori fiorentini, in Paragone, 51, 33/34, 2001, pp. 87-118, cit. p. 88; F. Baldassari, La pittura del Seicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro opere, Torino 2009, p. 286 (non riprodotto)
Il dipinto qui presentato fu ricondotto alla mano di Pier Dandini da Bruno Santi che nella relazione storico-artistica del decreto ministeriale ne evidenziava il modo franco e veloce della tecnica pittorica e le fisionomie tondeggianti.
Il soggetto della tela, tratto da un episodio di Torquato Tasso della Gerusalemme Liberata (VII, 5-7), che ebbe ampia diffusione nella pittura italiana del Seicento, viene utilizzato dal pittore, che rappresenta la figura di Erminia con elmo, corazza e scudo da un lato e dall'altro il gruppo dei pastori, per effigiare alcuni membri della sua famiglia quasi come una sorta di "ritratto di famiglia".
Tale importanza del dipinto grazie alla presenza di questi ritratti é stata messa in luce da Sandro Bellesi in un contibuto sul pittore Ottaviano Dandini, figlio primogenito del pittore e di Maria Brigida Ciocchi nato nel 1681. L'unica effige dell'artista in età adolescenziale é da riconoscersi infatti nel nostro dipinto, eseguito all'inizio degli anni novanta, in cui il grazie al supporto di documenti d'archivio e fonti bibliografiche, é stato identificato con il giovane con mandolino. Al centro i ritratti di Piero e della moglie Brigida, nella bimba con tamburello é stata riconosciuta la sorella Anna Maria mentre più incerto appare il riconoscimento del bambino più piccolo con il con il piffero, raffigurante il figlio Valentino o Vincenzo nati rispettivamente nel 1684 e nel 1686.
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Lot 89 Bernardo Canal
(Venezia 1674-1744)
VEDUTA DI PIAZZA SAN MARCO VERSO LA CHIESA DI SAN GERMINIANO
VEDUTA DELLA PIAZZETTA DI SAN MARCO VERSO SUD, CON LE COLONNE DI S.MARCO E DI S. TEODORO
coppia di dipinti ad olio su tela, cm 55x80 ciascuno
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La coppia di vedute qui presentate possono senz’altro ascriversi al catalogo di Bernardo Canal, padre e, curiosamente, seguace di Antonio, universalmente noto come “il Canaletto”.
Pittore di scenografie teatrali, e come tale ricordato dai documenti come dalle principali fonti settecentesche a partire da Anton Maria Zanetti, che nel 1777 lo nomina come “pittore di teatro”, Bernardo Canal si arrese anche lui al nuovo genere della veduta di soggetto veneziano, inaugurato alla fine del Seicento da Gaspar van Wittel e rinnovato in maniera geniale da suo figlio Antonio, che per amore della veduta dichiarò di avere “scomunicato” il teatro.
Si deve a Rodolfo Pallucchini una prima ricostruzione dell’esiguo catalogo di Bernardo Canal, tutto appoggiato alla firma e alla data “Bernardo Canal fecit 1735” presenti al verso di due vedute veneziane, il Molo e Piazza San Marco, esposte a Venezia nel 1947. Alla stessa serie di cinque vedute, un tempo in palazzo Salom a Venezia e poi presso un erede della medesima famiglia nei pressi di Lucca, appartenevano altri soggetti veneziani indipendenti nella loro composizione dalle vedute del Canaletto sebbene costruite sul suo rigoroso telaio prospettico.
Come i dipinti qui offerti, le tele documentate di Bernardo Canal sono caratterizzate da una gamma cromatica vivace ma fredda e da un’attenzione per le “macchiette” che animano la scena quasi ridondante, e in qualche modo reminiscente dell’esempio di Luca Carlevarijs. Come nelle tele firmate, nuvole sfrangiate solcano il cielo nelle nostre vedute, anch’esse caratterizzate dagli stessi colori vivaci e in qualche modo discordanti, comuni anche a quelle del Richter.
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Lot 90 Pittore veronese, sec. XVII
SAN SEBASTIANO CURATO DALLE PIE DONNE
olio su tela, cm 74,5x122
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Lot 91 Attribuito a Pietro Liberi
(Padova 1605-1687)
FIGURA FEMMINILE ALLEGORICA CON PUTTI
olio su tela, cm 67,5x163 entro cornice in legno intagliato a festoni di frutta e foglie
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Lot 92 Giovanni Ghisolfi
(Milano 1632-1683)
CAPRICCIO CON ROVINE
olio su tela, cm 75x61
Bibliografia: A. Busiri Vici, Giovanni Ghisolfi (1623-1683). Un pittore milanese di rovine romane, Roma 1992, p. 140, n. 96 ill
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Lot 93 Adriaen van der Cabel
(Rijswijk 1630/31-Lione 1705)
MARINE
coppia di dipinti ad olio su rame, cm 17,5x26,5 ciascuno
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Lot 94 Fabrizio Boschi
(Firenze 1572-1642)
CRISTO SPOGLIATO DELLE VESTI
olio su tela, cm 187x112
Esposizioni: Fabrizio Boschi, pittore di “belle idee” e di “nobiltà di maniera”. Firenze, Casa Buonarroti, 26 luglio – 13 novembre 2006, n.8.
Bibliografia: R. Spinelli, Fabrizio Boschi (1572-1642) pittore barocco di "belle idee" e di "nobilità di maniera", catalogo della mostra, Firenze 2006, pp. 78-79, n.8
Reso noto da Riccardo Spinelli in occasione dell’ esposizione monografica dedicata al pittore fiorentino, il dipinto qui offerto é stato datato dallo studioso intorno alla metà del primo decennio del Seicento, e posto in relazione, per quanto ipotetica, con un passo di Filippo Baldinucci che, nella “vita” di Fabrizio Boschi, citava una serie di tele da lui eseguite dedicate ai diversi episodi della Passione.
Come riferito oralmente da Carlo Del Bravo, cui si deve l’attribuzione, il presente dipinto era un tempo in serie con un Cristo alla colonna siglato, comparso sul mercato antiquario negli anni Settanta, che della tela qui offerta costituiva per l’appunto l’immediata prosecuzione sotto il profilo narrativo. Il nostro dipinto mostra infatti un episodio raramente, o forse mai proposto in queste dimensioni dalla pittura seicentesca, Gesù Cristo spogliato in vista appunto della sua flagellazione: e una scelta così inconsueta e specifica rafforza senz’altro l’ipotesi di appartenenza a un ciclo dedicato alla Passione, quasi si trattasse della versione ingrandita della serie dei Misteri Dolorosi.
Con una partecipazione emotiva in qualche modo eccezionale a Firenze, e un pathos che richiama piuttosto la devozione dei pittori lombardi di primo Seicento, Fabrizio Boschi sottolinea il contrasto tra il volto dolente del Cristo e le fisionomie caricate e quasi bestiali dei suoi tormentatori, il pallore della sua figura emaciata e il bagliore rosato della veste sfilata con prepotenza. La drammaticità della scena é dunque il principale motivo dell’abbandono, da parte del Boschi, dei colori squillanti e degli accordi raffinati che solitamente lo distinguono. Anche in questo senso, i confronti più convincenti devono stabilirsi con la nota pala nella Certosa di Galluzzo, che in modo altrettanto drammatico raffigura la separazione dei Santi Pietro e Paolo, avviati ai rispettivi martiri. La data del 1606 documentata per questo dipinto può quindi senza dubbio valere quale riferimento cronologico per il nostro.
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Lot 95 Giovanni o Nicolò Stanchi
(Roma 1608 - dopo il 1673; 1623 – 1690 circa)
FIORI IN UN VASO IN METALLO, CON MAZZO DI ANEMONI SU UN PIATTO
VASO DI ANEMONI, GIGLI E TULIPANI, CON ROSE SU PIANO DI PIETRA
coppia di dipinti ad olio su tela ottagonale, cm 53,5x89,5 ciascuno
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Provenienza: asta Londra, Phillip’s, 5 luglio 1994, n. 50 a-b
Bibliografia: G. Sestieri (a cura di), Dipinti italiani ed europei del XVII e XVIII secolo. Galleria Cesare Lampronti, Roma 1996, pp. 40-41, nn. 23-24; L. Ravelli, Stanchi dei fiori, Bergamo 2005, p. 87, nn. 79-80; S. Proni, La famiglia Stanchi, in G. Bocchi - U. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630-1750, Viadana 2005, p. 257, figg. FS 16-17
Passati in asta a Londra come opera di Giacomo Recco e ricondotti più correttamente all’ambiente romano, sebbene sotto il nome di Abraham Brueghel, in occasione della mostra tenuta a Roma da Cesare Lampronti, i dipinti qui esaminati sono stati restituiti da Lanfranco Ravelli alla produzione dell’atelier della famiglia Stanchi, come successivamente confermato da Silvia Proni.
Il lungo saggio della Proni, corredato da un regesto di documenti e da citazioni inventariali, ricostruisce in maniera capillare e del tutto convincente la produzione di una delle principali botteghe romane del Seicento, specializzata in dipinti di fiori e frutta (occasionalmente, anche di animali e selvaggina) ricercati dalle più importanti famiglie dell’aristocrazia, dai Colonna, ai Chigi, ai Rospigliosi, e presenti fin dalla fine del secolo nelle raccolte medicee.
Punto di partenza per la ricostruzione del corpus riferito agli Stanchi, le magnifiche specchiere eseguite da Giovanni nel 1670 per la galleria di palazzo Colonna in collaborazione con Carlo Maratta (Ghirlanda di fiori con quattro putti; e Vaso di fiori con cinque putti), in competizione con Mario dei Fiori, autore delle altre a due; per quanto riguarda Nicolò, il fratello minore titolare della bottega dopo la morte di Giovanni, gli specchi in palazzo Borghese, eseguiti nel 1675 in collaborazione con Ciro Ferri. A questi si aggiungono la coppia di festoni di fiori nella Pinacoteca Capitolina, dalla collezione Sacchetti, pagati a Pietro da Cortona, e per lui a “Stanchi”, nel 1651 (replicate in due tele a palazzo Pitti), e una serie di sei piccole tele documentate di Nicolò per il cardinale Flavio Chigi, oggi presso la famiglia Incisa, oltre ad alcune nature morte documentate fin dall’inizio del Settecento nella collezione Pallavicini, ove ancora si trovano.
Estremamente varia per tipologia ma stilisticamente coerente, la produzione degli Stanchi é stata poi suddivisa dalla Proni a seconda dei soggetti proposti: innanzi tutto le ghirlande, legate al modello fiammingo reso celebre a Roma da Daniel Seghers (di cui si conservava un esemplare nella collezione Ludovisi, censito nell’inventario del 1618) e probabilmente in gran parte riferibili al solo Giovanni; i sontuosi bouquets entro vasi in metallo istoriato, sull’esempio di quelli, celebri, di Mario dei Fiori; composizioni di fiori e frutta su sfondo di paesaggio, talvolta con la presenza di figure femminili come nelle scene di vita all’aperto di Michelangelo Cerquozzi, a cui in passato sono state attribuite; ricostruzioni ideali di giardini che riproponevano, in tele di grande formato documentate anche negli inventari delle raccolte del cardinal Flavio Chigi e del cardinal Benedetto Panfili, la ricchezza e la varietà dei giardini delle ville romane di quegli stessi committenti, così come possiamo oggi ricostruirne l’aspetto a partire dai documenti e dalle rare illustrazioni.
Tipiche della “bottega Stanchi” nella precisione smaltata dei singoli fiori e nella costante presenza delle rose “antiche”, quasi una sigla dell’atelier, le tele in esame appaiono particolarmente vicine a qu -
Lot 96 Scuola genovese, sec. XVII
FUGA IN EGITTO
olio su tela, cm 108,5x137