Asta di Antiquariato e Arte Orientale
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Lot 0922 Tre piatti in argento, bordo decorato con palmette
diam.cm.19, gr.550 -
Lot 0923 MAURO GANDOLFI (1764-1834)
La Madonna di San Girolamo (da Correggio)
Acquaforte e bulino
598 x 414 mm. -
Lot 0924 JACQUES CALLOT (1592-1635)
IL GRANDE ECCE HOMO
Bulino (1613)
314 x 246 mm.
Lieure, 77. Firmato sulla lastra in basso a sinistra. IV stato su 5 con il privilegio reale e prima dell'excudit di Mariette.
Bellissima impressione stampata su sottile carta vergellata con filigrana "Armi unite di Francia e Navarra su cartiglio di lettere" (cfr. Lanfiuti Baldi, 34). Al verso timbro di collezione non identificata. Sottile margine oltre la linea di inquadramento, lieve piega orizzontale visibile soltanto al verso, ottima conservazione. -
Lot 0925 Giovanni Battista BRUSTOLON (Venezia, 1726-1796)
Venezia - S. Jeminiani Templum
Acquaforte
320 x 455 mm. -
Lot 0926 Giovanni Battista BRUSTOLON (Venezia, 1726-1796)
Venezia - San Giorgi Majoris
Acquaforte
321 x 455 mm. -
Lot 0927 TIEPOLO GIANDOMENICO (1727-1804)
LA FUGA IN EGITTO
Acquaforte
200 x 272 mm.
E' parte della serie di ventisette incisioni dal titolo "Idee pittoresche sopra la fuga in Egitto" di Giandomenico Tiepolo Questa raccolta è forse la più incantevole delle sue realizzazioni ad acquaforte. All'interno la storia di scene a stampa della vita di Cristo, che ha avuto inizio nel XV secolo, questa serie è probabilmente unica in formato non c'è altra rappresentazione conosciuta della fuga in Egitto in una sequenza così estesa. La serie rivela l'ispirazione di Venezia con i suoi cieli soleggiati e scintillanti, la laguna nativa del Tiepolo, la passione per le rappresentazioni e gli spettacoli teatrali. Gli effetti gioiosi di luce, spazio e aria in queste acqueforti riflettono il raggiungimento degli incisori veneti nel diciottesimo secolo, le cui caratteristiche linee spezzate hanno catturato l'atmosfera brillante della società veneziana del XVIII secolo. -
Lot 0928 FAUCCI (Firenze, 1729 - 1784)
MADONNA COL BAMBINO, 1752
Lastra in rame, mm 337x245 ed esemplare a stampa dalla stessa.
Bulino. mm 335x243. Foglio: mm 470x325.
Inventario stampe staccate (GDSU), c.18,T.V. Nel margine inferiore iscrizione su cinque righe dove si legge che il dipinto rappresentato è attribuito a Raffaello o a Giulio Romano o a Francesco Penni, e che risulta di proprietà di Louis Siries (orefice e intagliatore di gemme francese,Figeac-en-Quercy 1686 c. - Firenze post 1778). A partire dal 1729 lavorò a Firenze e dal 1749 fu a capo della manifattura di pietre dure del granducato. Il suo capolavoro è il cammeo di onice con Francesco I e la sua famiglia,Vienna, Kunsthistori ches Museum). Al di sotto da sinistra "Joseph Magni delin:" e all'estrema destra 2CarloCarol: Fauccj sculp: Flor.an:1752. ap: C. Gregorj".
La lastra è perfettamente conservata e l'incisione, in tiratura coeva, nitidissima e ben impressa su carta vergellata con filigrana lettere "A G C". Margini originari ed intonsi con lievi fioriture. Conservazione ottima. -
Lot 0929 TIEPOLO GIANDOMENICO (1727-1804)
VIA CRUCIS
14 tavole + frontespizio
Acquaforte
209 x 185 mm.
La Via Crucis è tra le prime opere incise da Giandomenico TIEPOLO e traduce in controparte all'acquaforte la serie omonima di dipinti eseguiti nel 1747 per l'oratorio del Crocifisso della chiesa di San Polo in Venezia su committenza del parroco Bartolomeo Carminati. I rami furono incisi a partire dal 1748, data apposta sul foglio della Stazione IX, e pubblicati nel 1749 come recita la scritta del frontespizio, unico foglio in cui compare il nome dell'autore.
Nel 1742 Papa Benedetto XIV aveva stabilito il numero definitivo delle Stazioni e l'episodio in ciascuna ricordato, sostenendo questa nuova devozione ed esortando i parroci "ad arricchire le loro chiese di un così grande tesoro".
La Via Crucis di S. Polo è la prima in assoluto eseguita a Venezia, quindi Giandomenico, poco più che ventenne, si trovò di fronte a un'impresa del tutto inedita per la quale solo in parte poteva attingere ad una consolidata tradizione iconografica. Decide quindi di eseguire questa prima importante committenza in chiave di vivace réportage, come se egli stesso si fosse unito alla folla che accompagna il condannato, conferendo alle scene un ritmo narrativo serrato ed inserendo audaci inquadrature di una folla pittoresca di spettatori acconciati alla moda veneziana di metà '700 o in travestimenti esotici, figure che predominano sulle altre sebbene di fatto estranee al racconto. In ogni scena perno della composizione è comunque sempre la figura spoglia e sofferente del Cristo, che contrasta con l'opulenza degli abiti degli astanti e l'opera corrisponde con efficacia al proposito di esprimere un sentimento religioso "moderno", patetico e intimo.
Con questa serie giovanile della Via Crucis si pongono in stretta relazione diversi disegni preparatori conservati alla National Gallery of Art di Washington, alla Bibliothèque Municipal di Rouen, all'Ermitage di Leningrado e nel "Quaderno Gatteri" del Museo Correr di Venezia.
Fu probabilmente l'opportunità di assicurarsi la protezione di qualche membro influente dell'aristocrazia che indusse Giandomenico a riprodurre all'acquaforte la serie dei dipinti in una raccolta che egli dedicò al patrizio Alvise Cornaro, modestamente definendone il contenuto «primos immaturosque meae picturae ac caelaminis fructus».
Le comparse "moderne e contemporanee" al Tiepolo di questa Via Crucis hanno una funzione pittorica tutta speciale, sono chiare su sfondo scuro o scure su sfondo chiaro e fra il bianco e il nero si scala una grande varietà di passaggi che determina una generale intonazione grigio-argentea.
Vi sono personaggi in controluce modellati con l'ombra ottenuta incrociando i segni a "maglia" più o meno fitta, mentre nelle zone chiare i contorni sono delimitati con una linea sottile e un po' tremula, talvolta un tratteggio ad andamento orizzontale dilata prospetticamente le figure. -
Lot 0930 Cristofano ROBETTA (Firenze, 1462 - 1535)
ADORAZIONE DEI MAGI
Bulino
312 x 305 mm.
Condizioni perfette, stampa antica
Sono poche le notizie relative alla vita di Cristofano Robetta, nato a Firenze nel 1462, divenuto orafo intorno al 1498 e ancora in vita nel 1535. Si conoscono molte sue incisioni, che trattano i soggetti più svariati, da quelli di carattere religioso fino alle allegorie dell'amore ed ai temi di natura erotica. Questa stampa, per le anatomie delle figure piuttosto incerte, viene considerata opera del periodo iniziale. Essa è un chiaro esempio dell'abilità dell'incisore di riprendere temi da più fonti e riversarli su un'unica lastra. L'idea generale deriva dall'"Adorazione dei Magi" di Filippino Lippi, tavola commissionata dal monastero di S. Donato agli Scoperti. L'incisione è in controparte rispetto alla tavola e si differenzia soltanto per il paesaggio sullo sfondo che Bellini (1973, p. 35) considera derivato dall'"Adorazione dei Magi" di Perugino conservata a Verona, mentre Levenson (in Levenson J.A./ Oberhuber K./ Sheenan J.L., 1973, p. 296 n. 118) vi scorge l'influsso di Dürer per la presenza degli angeli che cantano al di sopra della Sacra Famiglia è evidente l'influsso di Schongauer nel cappello sopra la firma che ritorna identico nella sua "Adorazione dei Magi". -
Lot 0931 Cristofano ROBETTA (Firenze, 1462-1535)
ALLEGORIA DELL'AMOR PROFANO
Bulino
301 x 280 mm.
Stampa "Vallardi" -
Lot 0932 CASTIGLIONE GIOVANNI BENEDETTO detto GRE (1610-1665)
PAN DISTESO A TERRA DAVANTI A UN GRANDE VASO, 1645
Acquaforte
inciso: mm. 112x209
lastra: mm. 114x212
Unico stato, con la scritta in alto a sinistra: CASTILIONE
Nel 1640 Castiglione realizza un gruppo di incisioni che riportano in vita il mondo degli 'Idilli' di Teocrito e delle 'Egloghe' di Virgilio, in cui Pan è spesso invocato come signore delle greggi e patrono della poesia pastorale. In questa incisione, il dio riposante, che indossa la sua consueta corona di pino, riceve una seconda corona di foglie di vite. Il vulcano deve essere l'Etna, perché il verso rustico sia del greco Teocrito (ca. 300-260 a.C.) che del romano Virgilio (70-19 a.C.) è ambientato in Sicilia. -
Lot 0933 CASTIGLIONE GIOVANNI BENEDETTO detto GRE (1610-1665)
LA RESURREZIONE DI LAZZARO, 1648
Acquaforte
inciso: mm. 224x316
lastra: mm 234x319
Alla fine del 1630, Castiglione iniziò a studiare le acqueforti di Rembrandt. È il primo artista in Italia noto ad aver studiato ed appreso direttamente dal lavoro del maestro olandese. Castiglione probabilmente venne a conoscenza di Rembrandt dagli artisti-mercanti fiamminghi Lucas e Cornelis de Wael, attivi anche a Genova. Castiglione era particolarmente attratto dalle scene notturne di Rembrandt, dal suo uso di singole fonti di luce, dal suo tono e dalle ombre oscure che avvolgono le scene attraverso incredibili reti di linee incise. -
Lot 0934 CASTIGLIONE GIOVANNI BENEDETTO detto GRE (1610-1665)
TOBIT SEPPELLISCE I MORTI
Acquaforte
inciso: mm. 203x296
lastra: mm. 208x299
Unico stato: a sinistra, a mezza altezza, sopra il cane, è scritto: "GIO. BENEDETO / CATGLIONE / P.".
Foglio integro con ampi margini, lievemente sgualcito.
La storia dì Tobit, padre di Tobia, che seppellisce i morti, è narrata nell'Antico Testamento (Tobia, 1, 17-18 2, 4-7) ed è legata all'agitazione antiassira manifestatatasi sotto il regno di Sennacherim all'inizio del VII sec. . Questa acquaforte è databile intorno al 1647-51, cioè nel periodo in cui con maggior insistenza il Castiglione si addentrò in ricerche di effetti luministici notturni. Allo stesso periodo possono essere assegnate anche La Resurrezione di Lazzaro e Il Ritrovamento dei corpi dei SS. Pietro e Paolo.
Alla fine del 1630, Castiglione iniziò a studiare le acqueforti di Rembrandt. È il primo artista in Italia noto ad aver studiato ed appreso direttamente dal lavoro del maestro olandese. Castiglione probabilmente venne a conoscenza di Rembrandt dagli artisti-mercanti fiamminghi Lucas e Cornelis de Wael, attivi anche a Genova. Castiglione era particolarmente attratto dalle scene notturne di Rembrandt, dal suo uso di singole fonti di luce, dal suo tono e dalle ombre oscure che avvolgono le scene attraverso incredibili reti di linee incise. Sebbene quest'opera non sia una delle scene del libro di Tobia illustrate da Rembrandt, Castiglione scelse di concentrarsi sul giusto tentativo di Tobit di seppellire gli israeliti morti, a dispetto del re assiro, fornendo il quadro perfetto per raffigurare un atto nascosto intrapreso dal copertura della notte. -
Lot 0935 CASTIGLIONE GIOVANNI BENEDETTO detto GRE (1610-1665)
Testa d'uomo volto a destra (B. 24).
Acquaforte
105 x 80 mm.
Unico stato: in alto a destra si trova il monogramma e più sotto CASTILIONE - GENOVESE
Incisione appartenente alla serie detta dei Piccoli Ritratti e si ispira ad analoghe acqueforti di Rembrandt e Lievens. Secondo l'ipotesi di A. Blunt, la serie è stata probabilmente iniziata a Genova e poi continuata durante il soggiorno romano, ed è quindi databile negli anni 1645-1650 . Ciò spiegherebbe, nelle varie opere della serie, la presenza non regolare dell'attributo GENOVESE nella firma. Talvolta si trova stampata su un unico foglio con Testa di vecchia volta a sinistra oppure Testa di vecchio volto a sinistra. -
Lot 0936 CASTIGLIONE GIOVANNI BENEDETTO detto GRE (1610-1665)
IL RITROVAMENTO DEI CORPI DI SAN PIETRO E SAN PAOLO (B. 14),
Acquaforte
290 x 210 mm.
Unico stato: in basso a sinistra, nel margine, è scritto CASTIGLIONE GENOVESE / Inven. -
Lot 0937 Michael Willmann (Attr.) (Leida, 1630 - Amsterdam, 1706)
Ritratto di tre quarti di uomo anziano con grande barba, con lo sguardo rivolto verso il basso.
dopo Rembrandt in controparte
ca. 1660/70
166 x 144 mm all'impronta
bulino
Copia al contrario da un'acquaforte di Rembrandt (B. 260, Nuova Ho. 84). L'acquaforte era indicata come opera della scuola di Rembrandt (Rovinski Elèves 31, Bartsch-Claussin II. 111.31) da New Hollstein il foglio è ora attribuito a Michael Willmann, che fu collaboratore dello studio Rembrandt. Molto rara.
Michael Willmann (per intero: Michael Leopold Lukas Willmann)
(Konigsberg, 27 settembre 1630 - Leubus, 26 agosto 1706)
È stato uno dei pittori di maggior successo del barocco tedesco, anche chiamato il Rembrandt della Slesia, Willmann ha acquisito la sua prima esperienza di pittura con suo padre, Christian Peter Willmann. All'età di circa vent'anni, Willmann junior si recò nei Paesi Bassi per conoscerne l'arte Rembrandt, Rubens e Antoon van Dyck. Questo viaggio, durato circa due anni, è stato una fonte di ispirazione per tutta la vita per Willmann. Tuttavia, a causa della mancanza di denaro, non poteva davvero essere apprendista presso i grandi olandesi. -
Lot 0938 Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Copia da)
(Leida, 1606 - Amsterdam, 1669)
Cristo disputa con i Dottori della Legge: un bozzetto
(B., Holl. 65 H. 257)
142 x 211 mm all'impronta
Bulino e puntasecca, 1652
Il giovane Gesù in piedi tra i dottori. Albertina, Vienna. Quest'opera è collegata a Luca 2:46
Rembrandt ha realizzato almeno tre incisioni e un disegno su questo argomento.
Il dodicenne Gesù e i suoi genitori si recano a Gerusalemme per celebrare la Pasqua. Sulla via del ritorno, Mary e Joseph notano che il loro figlio non è con loro. Ritornano a Gerusalemme, dove dopo tre giorni lo trovano nel tempio. Gesù era andato lì per ascoltare i dottori, per fare domande e per discutere la Scrittura. I vecchi rimasero colpiti dalle sue intuizioni. -
Lot 0939 Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Copia da)
(Leida, 1606 - Amsterdam, 1669)
Tre Figure Orientali (Giacobbe e Labano ?) ca.1641
145 x 110 mm all'impronta
bulino e puntasecca
Secondo il libro della Genesi, Giacobbe si rifugia presso lo zio Labano ad Arran per fuggire la collera del fratello Esaù al quale aveva sottratto la primogenitura. Egli lavora per lo zio sette anni per ottenere in moglie la figlia minore Rachele. Ma nella notte di matrimonio Labano gli dà in moglie la figlia maggiore Lia.
Allora Giacobbe resta presso lo zio altri sette anni e sposa anche la figlia minore Rachele. (cfr Genesi 29,15-30).
Dopo essersi arricchito molto Giacobbe lascia lo zio Labano per tornare in terra di Cananea con le mogli e con i figli che nel frattempo sono nati. -
Lot 0940 Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Copia da)
(Leida, 1606 - Amsterdam, 1669)
L'Orafo
ca. 1655
77 x 55 mm all'impronta
bulino e puntasecca
Nella singolare incisione L'Orafo, Rembrandt sembra sintetizzare nell'immagine dell'artista all'opera le due funzioni della mano, esprimere amore e dipingere. La piccola incisione del 1655 raffigura un orafo nella sua bottega intento a rifinire un gruppo di figure: una donna (la Carità o Caritas) con due bambini. Mentre con la mano destra lavora con il martello per saldare il metallo alla base, con la sinistra, molto grande, abbraccia amorevolmente la donna. Le sue dita premono sulla coscia di lei. Nel caso dubitassimo che questo gesto è un abbraccio, troviamo una conferma nella guancia dell'orafo piegata per accostarsi a quella della donna. Di fronte a questa scena siamo portati a pensare all'abbraccio che lega una famiglia, al ritratto di un uomo insieme con la moglie e i figli. Ma il tenero amore dell'uomo, l'abbraccio che si manifesta nella carezza della mano, è rivolto alla statua che ha prodotto. L'artista insomma rivolge il suo amore non già a una famiglia reale, ma a un surrogato di cui egli stesso è autore. Un topos dell'epoca era che l'impegno dell'artista verso la sua arte fosse come l'amore di un uomo per la sua musa, la sua amante o, in alcune varianti, per sua moglie. Sia in poesia che in pittura veniva così conferita una certa autorità al pittore e allo scrittore innamorato. Dal piano dell'analogia si passava sovente a quello della sostituzione: l'amore dell'artista per la sua arte tendeva a sostituire, nella vita, quello per le donne. Tale confronto si estendeva al paragone tra l'esecuzione di un'opera e il concepimento di un bambino. In risposta a un prete che aveva deplorato la mancanza di figli a cui Michelangelo avrebbe potuto lasciare il frutto delle sue fatiche, l'artista replica - racconta Vasari - che la sua arte è già una moglie di troppo e che le sue opere sono i suoi figlioli. -
Lot 0941 Ignace Joseph DE CLAUSSIN
(Luneville 1795 - 1844 Paris)
Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Copia da)
(Leida, 1606 - Amsterdam, 1669)
Autoritratto (?)
ca. 1634
130 x 105 mm all'impronta
Acquaforte
De CLAUSSIN, nacque a Luneville, in Francia, e morì a Parigi nel 1844. Era un collezionista ardente ed eccentrico e un artista di talento a pieno titolo. Nel 1824 de Claussin pubblicò un catalogo ragionato che all'epoca costituiva un importante contributo allo studio accademico delle stampe di Rembrandt. Era un copista di grande talento delle opere di Rembrandt, producendo più di 200 incisioni dopo le opere di Rembrandt e di altri artisti. Molti musei, inclusa la National Gallery of Victoria, conservano esempi di stampe di De Claussin, un'indicazione della loro qualità e fedeltà alla tecnica e alle immagini di Rembrandt.
Pubblicazioni di de Claussin: "Catalog raisonné" di tutte le stampe che formano l'opera di Rembrandt, e le opere principali dei suoi allievi, Impr. di Firmin Didot, tipografo del re, 1824. Supplemento al Catalogo Rembrandt, Impr. di Firmin Didot, tipografo del Re, 1828. -
Lot 0942 Ninfa che tiene per il collare un grosso cane, o 'La belle chasseresse', ca. 1654
189x146 mm
secondo stato di due
Alexandre de Vesme, Phyllis D. Massar Stefano della Bella. Catalogue Raisonné. New York, 1971, cat. no. 80.208.ii. -
Lot 0943 La caccia al cinghiale, 1654
147 x 252 mm
Acquaforte e puntasecca
Incisore e disegnatore, si dedicò sporadicamente alla pittura. Il padre Francesco, scultore allievo di Giambologna, morì prematuramente ma riuscì ad avviare tutti i suoi figli a mestieri d'arte. Stefano fu il solo ad eccellere, ebbe i primi insegnamenti presso botteghe di dimenticati orefici i quali ebbero tuttavia il pregio di fargli prender dimestichezza con il bulino. Fu sostanzialmente un autodidatta. La vocazione di Della Bella fu sicuramente l'incisione e già le sue prime opere rivelano i temi a lui più cari: scene di vita contemporanea, feste, battaglie e le decorazioni. Lo studio delle incisioni e dei disegni di maestri antichi, la conoscenza e il confronto con i maestri fiorentini e fiamminghi a lui contemporanei allora presenti alla corte medicea furono di grande stimolo. Egli è considerato un grafico puro, grazie ai suoi numerosi viaggi tra Roma e Parigi e grazie alla protezione dei Medici maturò un proprio linguaggio grafico, in vita e per tutto il XVIII secolo fu ricercato e collezionato in Francia e in Italia .
In questa stampa, che fa parte della serie Cacce a diversi animali, composta da 9 incisioni, viene raffigurato un complesso episodio di caccia. Partendo dalla sinistra vediamo un cavaliere sul suo cavallo che armato di lancia cavalca con forza e veemenza verso la sua preda. Ha lo sguardo fisso, la bocca aperta come in un urlo e i capelli mossi dal vento. In primo piano un grosso mastino morde l'orecchio destro di un ben più grosso cinghiale, per rallentare la sua fuga. Entrambi gli animali sono descritti con cura e i giochi chiaroscurali rendono il loro pelo vivo e reale. Dietro di loro, in secondo piano a destra, un daino è inseguito da un altro cavaliere e dal suo cane. Sullo sfondo, prima degli alberi dalle abbondanti fronde, sono accennati gruppi di diversi cavalieri con le loro prede. Il cielo, che occupa metà della rappresentazione, è realizzato mediante linee parallele ed è solcato da nubi. Inciso a puntasecca oltre l'immagine, in basso a destra, "Stef. Della Bella".
Impressione eccellente, ben contrastata. Il foglio è applicato ai soli angoli su cartoncino moderno. Ottimo stato di conservazione. Esemplare rifilato lungo la battuta del rame.
Bibliografia: De Vesme-Massar 270, pag. 141 -
Lot 0944 STEFANO DELLA BELLA (1610-1664)
Il viaggio di Giacobbe in Egitto, 1647 ca.
273×184 mm
Incisione all'acquaforte Stato: III/IV
Giacobbe è a cavallo, guida un corteo con tutta la sua famiglia di settanta persone e tutto il suo bestiame, cammelli, cani e gatti. Ha appena ricevuto la notizia che suo figlio Giuseppe, scomparso da tempo, è ancora vivo e lavora al servizio del Faraone. Giacobbe è determinato a vedere il suo figlio prediletto almeno un'ultima volta prima di morire e si prepara immediatamente a viaggiare in Egitto (Genesi 46). Nel margine inferiore sinistro sotto la parte incisa si legge "Stef. Della Bella In. et fe.", e nella parte destra 2Cum priuil. Regis". Al centro la descrizione della raffigurazione "Jacob sur ses vieux jours quitte sans fascherie pour voir son filz Joseph, sa terre et sa patrie". Nitida e ben impressa, stampata a Parigi nel 1647, buona inchiostratura, con evidenti chiaro scuri. Prova nitida e contrastata, rifilata a filo margine con alcune macchie e bruniture per altro in buono stato di conservazione. -
Lot 0945 STEFANO DELLA BELLA (1610-1664)
La morte e il vecchio, 1648 ca
175 x 143 mm
Acquaforte e puntasecca
Incisore e disegnatore, si dedicò sporadicamente alla pittura. Il padre Francesco, scultore allievo di Giambologna, morì prematuramente ma riuscì ad avviare tutti i suoi figli a mestieri d'arte. Stefano fu il solo ad eccellere, ebbe i primi insegnamenti presso botteghe di dimenticati orefici i quali ebbero tuttavia il pregio di fargli prender dimestichezza con il bulino. Fu sostanzialmente un autodidatta. Le fonti bibliografiche affermano che egli si esercitava a disegnare figure curiosamente partendo dai piedi e a copiare le incisioni di Jacques Callot avendo come unico confronto l'incisore Remigio Cantagallina. Fu notato poi dal pittore Giovan Battista Vanni che lo prese nella sua bottega e gli diede i primi insegnamenti di pittura e del disegno. La vocazione di Della Bella fu sicuramente l'incisione e già le sue prime opere rivelano i temi a lui più cari: scene di vita contemporanea, feste, battaglie e le decorazioni. Lo studio delle incisioni e dei disegni di maestri antichi, la conoscenza e il confronto con i maestri fiorentini e fiamminghi a lui contemporanei allora presenti alla corte medicea furono di grande stimolo. Egli è considerato un grafico puro, grazie ai suoi numerosi viaggi tra Roma e Parigi e grazie alla protezione dei Medici maturò un proprio linguaggio grafico, in vita e per tutto il XVIII secolo fu ricercato e collezionato in Francia e in Italia.
Questa stampa è la quinta della serie Les cinq Morts, incisioni in ovale su lastra rettangolare, eseguite nel 1648 circa. In basso a destra la figura scheletrica della morte con in mano la clessidra mostra la fine del tempo l'uomo ancora forte ma appoggiato ad un bastone è afferrato da uno spettro dal volto smunto e urlante che con forza cerca di trascinarlo verso la morte. Il gesto è enfatizzato anche dal panneggio che avvolge la lotta da cui esce il braccio dell'uomo che impugna una fragile canna che non è più un valido sostegno verso il baratro. Alle loro spalle una figura di uomo è afferrata da uno scheletro come su un sentiero al margine di una selva di tratti oscuri.
Impressione buona. Piccoli strappi sulla figura dell'uomo, alcune pieghe della carta altrimenti buono stato di conservazione. Minimi margini oltre la battuta del rame su carta vergellata. Stato: II/III prima dell'indicazione dell'indirizzo di M. Vincent.
Bibliografia: De Vesme-Massar