ARGENTI, DIPINTI, ICONE ED OGGETTI D'ARTE
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Lot 1 Tobias van Nijmegen o Nymegen (Nimègue 1670 circa - post 1725)
Cortile di reggia con porticato e fontana
Fimato ai piedi della colonna
Olio su tavola
Provenienza: Sotheby's, Londra, 6 novembre 1955, lotto n. 118, Collezione privata italiana
L'opera è registrata presso RDK.NL https://rkd.nl/en/explore/images/283542
Palace courtyard with fountain
Signed on the column lower side
Oil on panel
Provenance:Sotheby's, London 16 november 1955, lot n.118, Italian private collection
The work is registered at RDK.NL https://rkd.nl/en/explore/images/283542
30,5 x 36 cm
Le notizie su Tobias van Nijmegen ci informano che è stato fratello minore e allievo di Elias van Nijmegen ( Nijmegen 1667 - Rotterdam 1755), del quale poi diviene collaboratore. In seguito opera in qualità di pittore di corte per l’Elettore Palatino del Reno
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Lot 2 Pieter Mulier detto il Tempesta o Cavalier Tempesta (Haarlem 1637 - Milano 1701)
Paesaggio con piramide
Paesaggio con fiume e pescatori
Coppia di oli su tela
Provenienza: Galleria Pesaro Milano, Galleria Lavizzari Milano
Etichette al retro
Landscape with pyramid
Landscape with river and fishermen
Pair of oils on canvas
Provenance: Pesaro Gallery Milan, Lavizzari Gallery Milan
Labels on the back
18 x 25 cm
Pieter Mulier, riceve dal padre, Pieter Mulier il Vecchio, la prima formazione.
Nel 1656, il giovane Mulier, è a Roma e vi soggiorna per ben cinque anni, studiando attentamente il complesso e eterogeneo panorama di paesaggisti che la città eterna offre. In seguito si trasferisce a Genova, fra il 1668 e l’anno successivo, ove riscuote successo, tanto che gli viene concesso di dipingere anche in carcere durante gli otto anni di reclusione per aver commissionato l’omicidio della moglie. Nel 1684 grazie all’intercessione di Vitaliano Borromeo, il Tempesta lascia il carcere e si trasferisce a Milano. Città che lascia nel biennio 1688-1690 quando lo ritroviamo a Venezia. Fatto ritorno a Milano, accoglie nel suo atelier Carlo Antonio Tavella, suo discepolo e collaboratore
Pieter Mulier, chiamato il Tempesta per le sue, un tempo molto apprezzate, tempeste marine, è in epoca moderna riconosciuto come uno dei padri del paesaggismo italiano, colui che inserì nella veduta della natura la percezione atmosferica. La sua produzione vanta un linguaggio peculiare, derivato dallo studio e dalla fusione degli stili naturalista di Dughet e di aulico di Claude Lorrain e di Pier Francesco Mola dal quale derivano i suoi blu intensi e i contrasti di macchie colorate. Come dice Roethlisberger, Tempesta è il tramite tra il paesaggio del Seicento romano e quello veneto del Settecento grazie all’influenza su Marco Ricci. Le due opere in esame, di eccezionale stato di conservazione e qualità, vanno riferite al periodo romano quando la componente nordica è ancora percettibile, quando ai paesaggi con aneddoti di vita contadina o pastorale, della sua maturità, prevale una veduta più ampia e rarefatta condita di aspetti proto-romantici come Dughet aveva saputo trasmettergli
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Lot 3 Giovanni Andrea de Magistris (Como o territorio comasco 1460/1475 - 1532 circa) bottega di - workshop
Madonna in trono con Gesù Bambino e due angeli
Tempera su tavola
Madonna enthroned with Child and two angels
Tempera on panel
24 x 17 cm
La tavoletta è riconducibile ad un pittore attivo tra Lombardia e Piemonte, dove si diffuse un’attenzione ai modi umbri proto-classici (vedi per esempio i seguaci di Pinturicchio e Perugino, Andrea d’Assisi o Sinibaldo Ibi) attraverso Macrino d’Alba e altri, nell’ultimo ventennio del secolo XV. Tra questi pittori si può rintracciare in Giovanni Andrea de Magistris e la sua bottega il probabile autore dell’opera.A conforto dell’attribuzione si veda Madonna tra i SS Sebastiano e Rocco, 1508, chiesa di Chiesa di San Fedele a Como, nonchè affreschi nella Chiesa dei SS Nazaro e Celso a Scaria d'Intelvi.Giovanni Andrea nasce tra il 1460 e il 1475 a Como o nel territorio comasco, da una famiglia di mastri: composta dal padre Gian Antonio, dal fratello Gian Giacomo, ai quali si aggiunse Sigismondo, suo figlio, sicuramente il più artisticamente lodevole .La sua prima formazione avviene presso la bottega di Giampietro Malacrida.Opera nel comasco per chiese conventi e i signori locali, producendo affreschi e opere su supporto ligneo, quasi tutte andate perdute. Muore tra il 1529 e il 1532 sempre a Como o dintorni. Opera a Fino Mornasco, a san Fedele a Como, al castello di Galliano, nella Chiesa dei SS. Nazaro e Celso a Scaria d'Intelvi, ciclo datato 1516. Questi dipinti vivono di un cromatismo fresco e vibrante e vivaci, e sono pervenuti in discreto stato di conservazione. Suo figlio Sigismondo è a sua volta pittore, si forma col padre, ma verosimile finisce il suo apprendistato presso Ludovico Alvise De Donati. I De Magistris e i De Donati, questi ultimi già operosi in Piemonte e probabili importatori dei riflessi umbro e centro italiani nel comasco, sono le due famiglie e botteghe artistiche più attive e importanti del tardo Quattrocento lariano
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Lot 4 Jacques Antoine Vallin (Parigi 1760 - 1831)
Ritratto presunto del Conte Tadini Boninsegni Tobler
Firmato e datato sulle scatole sopra il tavolo a destra J.Vallin 1805
Olio su tela
Presumed portrait of Count Tadini Boninsegni Tobler
Signed and dated on the boxes above the table on the right J.Vallin 1805
Oil on canvas
161 x 128 cm
Provenienza: Sotheby's Londra, lotto 308, asta del 14 aprile 2011
All'età di quindici anni, nel 1779, Vallin entra all’Académie Royale de Peinture sotto la protezione del pittore di storia Gabriel Doyen. Fu poi allievo di Callet e Antoine Renou. Il suo esordio al Salons risale al 1791, quando espone Tempesta e un Piccolo Paesaggio. Attento e curioso, osserva il panorama artistico francese, infatti, le sue opere settecentesche sentono l'influenza del Vernet e di Bidault. Trovando il suo linguaggio espressivo e traendo ispirazione dalla storia antica o dalla mitologia, nascono opere che raffigurano ninfe e baccanti collocati in paesaggi armoniosi, spesso bagnati da una fine luce dorata. Abilissimo e apprezzato ritrattista, il suo ritratto di Giuseppe Forlenza (Joseph Forlenze) è esposto alla National Gallery di Londra
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Lot 5 Francesco Fernandi, o Fernando, o Ferrandi, o Ferrando, o Ferrante, detto l'Imperiali (Milano 1679 - Roma 1740) attribuito - attributed
Strage degli innocenti
Olio su tela
The massacre of the innocents
Oil on canvas
191 x 245 cm
Il biografo e collezionista Nicola Pio (1673 - 1736) lo dice giunto a Roma nel 1705, già al servizio del cardinale Giuseppe Renato Imperiali, dal quale deriva il suo soprannome. Il prelato fece decorare la sua residenza romana di piazza Colonna da pittori seguaci di Carlo Maratta; la presenza di Francesco Fernandi è convalidata dall'inventario dei beni del cardinale, che cita circa venti dipinti dell’artista milanese. La sua prima produzione romana è dedicata a soggetti di genere, animali e nature morte, con matrice naturalistica di area settentrionale. A questo periodo vanno ricondotte le opere delle collezioni del conte di Leicester a Holkham Hall, Norfalk, e del marchese di Linlithgon, a Hopetown House, West Lothian. Con l’inizio del XVIII secolo, Imperiali muta la sua pittura, prediligendo interpretazioni legate alla letteratura classica o temi biblici. Intorno al 1714 esegue, per la cappella dei Ss. Valentino e Ilario nella cattedrale di Viterbo, due tele aventi come soggetto il Martirio dei due santi protettori della città. Emerge lo studio e l’ammirazione e lo studio per Nicolas Poussin: rilettura che in seguito virerà verso una tecnica precisa e un realismo piuttosto pronunciato, talvolta algido. Nel 1720, con D. M. Muratori, G. Triga, M. Benefial, su comando del il cardinale Imperiali, restaura la decorazione del duomo di Vetralla. L'anno dopo, su commissione di Filippo Juvarra, esegue alcune soprapporte per il palazzo reale di Torino. Alternando commissioni reali a quelle ecclesiastiche, intorno al 1726-1727 Fernandi realizza la pala centrale per la chiesa di Sant’ Eustachio. Nel 1733-1734, affiancandosi alle soluzioni del freddo naturalismo accademico del Benefial, dipinse la Morte di S. Romualdo per l'altare dedicato al santo nella chiesa di S. Gregorio al Celio. Nel 1736, ancora una volta grazie a Juvarra, riceve una commissione dalla corte di Spagna. Il suo succeso fu continentale: anche oltremanica la sua arte è stata molto apprezzata, tanto che diverse sue opere sono conservate in collezioni, pubbliche e private, del Regno Unito. Molti furono i giovani artisti inviati dall’Inghilterra a imparare l’arte pittorica a Roma presso di lui: ricordiamo W. Mosman, W. Hoare, J. Russel, A. Clerk e A. Ramsay. La tela in questione, di spettacolare bellezza, va ricondotta alla produzione dell’Imperiali degli anni ’30 del secolo XVIII, quando, forse anche su sollecitazione del mercato estero, ha prodotto opere con tecnica descrittiva puntuale cara all’occhio nordico. Dei confronti si possono fare con l’opera “Ettore e Andromaca", della donazione Lemme, del Museo del Barocco romano, Palazzo Chigi, ad Ariccia; il sopraccitato Martirio di Sant'Eustachio, nella chiesa di Sant'Eustachio di Roma, e “Apollo e Marsya”, presentato il 06/07/2018 da Christie's a Londra
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Lot 6 Gaspard Dughet detto Le Guaspre oppure Gaspard Poussin (Roma 1615 - 1675)
Paesaggio fiume e personaggi
Olio su tela
Landscape with figures at a river
Oil on canvas
60 x 85 cm
Nato a Roma da padre francese e madre italiana, Gaspard Dughet è tra i più importanti pittori italiani del Seicento, e si trova sul podio del paesaggismo barocco. La sua formazione è merito di Nicolas Poussin, suo cognato, che subito si accorse del suo talento. Giunto alla maturità artistica, l'artista era solito perdersi per la campagna romana per cogliere spunti paesaggistici, senza essere mai stato coinvolto dal fascino delle rovine ivi disseminate. La sua pittura si spiega attraverso l’amore per la natura, per il paesaggio laziale e la dimensione favolistica e poetica d’ispirazione arcadica, donata alle sue opere. Egli può essere considerato il nume tutelare di Jan Frans van Bloemen, Andrea Locatelli, Crescenzio Onofri, Johannes Glauber, Albert Meyering: la sua influenza si protrae sino a Marco Ricci. Il dipinto in esame è quindi un affascinante esempio della tarda maturità dell'artista, ove sostituisce contadini e pescatori indaffarati nel loro lavoro quotidiano ai personaggi all’antica abbigliati con stole. Lo schema compositivo ricalca quello di molte sue opere, ove lo zigzagare del fiume gli permette di scandire i diversi piani prospettici che si chiudono sulla catena di monti. L’intonazione dorata del primo spiano si schiarisce in tinte cristalline sullo sfondo; le antiche torri e l’atmosfera autunnale, preferita da Gaspard, hanno determinato l’ammirazione dei paesaggisti romantici del XIX secolo
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Lot 7 Francesco Fidanza (Roma / Città di Castello 1747 - Milano 1819) attribuito - attributed
Paesaggio di campagna con pescatori e viandanti
Olio su tela
Sul retro etichetta circolare "Accorsi Pietro Antichità - Via Po 55 - Torino" ripetuta in due esemplari.
Il primo privo di numeri inventariali è sul verso cornice in basso a sinistra
Il secondo , sul telaio in basso a destra , presenta al centro numeri manoscritti ( n° 12 / 42)
Countryside landscape with fishermen and wayfarers
Oil on canvas
On the back circular label "Accorsi Pietro Antichità - Via Po 55 - Turin" repeated in two copies.
The first one without inventory numbers is on the reverse frame at the bottom left
The second, on the frame at the bottom right, has handwritten numbers in the center (n ° 12/42)
35 x 45,5 cm
Non è certo che sia stato allievo di Claude Joseph Vernet e poi di Charles Francois Lacroix (detto Lacroix di Marsiglia), ma sicuramente ne è stato coinvolto artisticamente dall'arte dei due artisti francesi. Vernet, che per conto di Luigi XV, aveva dipinto una serie di quindici porti francesi è stato il modello di Fidanza. Francesco con le sue atmosfere irrequiete, ricche di suggestioni cromatiche, è da ritenersi l’anello di congiunzione tra il vedutismo di stampo veneziano e il paesaggio romantico che si apre al realismo e allle turbolenze interiori specchiate nella natura. La nostra opera è una dei molti notturni di Francesco Fidanza, l’ambientazione notturna, la luce della luna, il villaggio semi illuminato, il ponte e il falò sono tutti elementi di un paesaggio romantico e simbolista in cui l’artista specchia la sua sensibilità umana nella natura traendone un sentimento di mestizia leopardiana. Per questi stessi dati l’opera va collocata nella fase estrema dell’artista
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Lot 8 Cajetan Roos o Gaetano Rosa (Roma 1690 - Vienna 1770)
Paesaggio con pastorella e gregge
Olio su tela
Landscape with herd and animals
Oil on canvas
65 x 81 cm
Cajetan Roos, insieme al fratello Jacob, detto Rosa da Napoli (1682 - notizie fino al 1730), seguì le orme padre Philipp Peter detto Rosa da Tivoli, in seno al filone pittorico dedicato a soggetti pastorizi che li accumunava anche a Domenico Brandi. Cajetan rilegge le opere paterne con un fare pittorico più sciolto e una paletta rischiarata, tanto che le sue opere, più che scene di genere riconducibili all’ambiente bambocciante, ci appaiono più allineate ad un sentimento poetico e arcadico
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Lot 9 Cajetan Roos o Gaetano Rosa (Roma 1690 - Vienna 1770)
Paesaggio con pastorella e gregge
Olio su tela
Landscape with herd and animals
Oil on canvas
65 x 81 cm
Cajetan Roos, insieme al fratello Jacob, detto Rosa da Napoli (1682 - notizie fino al 1730), seguì le orme padre Philipp Peter detto Rosa da Tivoli, in seno al filone pittorico dedicato a soggetti pastorizi che li accumunava anche a Domenico Brandi. Cajetan rilegge le opere paterne con un fare pittorico più sciolto e una paletta rischiarata, tanto che le sue opere, più che scene di genere riconducibili all’ambiente bambocciante, ci appaiono più allineate ad un sentimento poetico e arcadico
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Lot 10 Gaspar Rem o Gaspare Rem (Anversa 1542 - Venezia dopo 1616)
Salome con la testa di San Giovanni Battista
Olio su tela
Salome with the head of St. John
Oil on canvas
88 x 109 cm
Gaspar Rem è nato ad Anversa, come lui stesso dichiara, qualificandosi “antverpienis” settanduenne, nell’autoritratto del Kunsthistoriches Museum di Vienna datato 1614. La sua prima formazione non ci è conosciuta e nemmeno la data del suo approdo a Venezia. Si può ipotizzare immaginabile che sia giunto negli anni sessanta del XVI secolo, visto che Hans Von Achen, nel 1574, giungendo in laguna va a chiedere lavoro nell’avviata bottega dell’anversese. Rem risulta iscritto alla Fraglia veneziana dal 1584 al 1615: l’ultimo dato in vita ci viene fornito dalle date del gruppo di dipinti eseguiti per il Collegio dei Mervcanti dei vini, datato dal 1611 al 1616. Dopo questa data non abbiamo più sue notizie. in alcune opere egli mostra un accostamento al Tintoretto, "Lavanda dei piedi del Duca d’Alba di Madrid", in un' interpretazione certo più elegante e manierata, soprattutto scevra dell’impatto chiaroscurale del veneziano. Nella figura della “Giuditta con la testa di oloferne”, recentemente scoperta e passata in asta fiorentina, si nota la sua profonda attenzione per il Veronese, soprattutto per la ricercatezza con la quale viene evidenziato il fastoso costume dell’eroina biblica. Per quanto concerne le sue esperienze paesaggistiche, va osservato come egli arrivi a risultati molto simili a Paolo Fiammingo, Pauwels Franck. E’ probabile che essi fossero in buoni rapporti, viste le loro origini comuni e l’attenzione di entrambi per l’arte di Paolo Veronese e Jacopo Tintoretto. La nostra opera palesa tutti gli ingredienti dell’arte di Rem, dalla figura elegante e ingioiellata di Salome, alla tipica pittura ruvida e ombratile usata per definire il servo che ci riconduce convintamente verso quell’ascendenza tintorettiana tante volte denunciata dal Rem. Va segnalata la somiglianza fisiognomica tra il volto della nostra Salome e la Giuditta precedentemente citata e passata in asta da Pandolfini l’11 ottobre 2017. Infine merita una nota il paesaggio che di apre oltre la finestra, tipicamente condotto alla fiamminga
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Lot 11 Jan o Jean Peter Verdussen (Anversa 1700 circa - Avignon 1763) cerchia di - circle of
Cavallo ferito durante battuta di caccia
Cavalieri a caccia
Coppia di dipinti olio su tela
Horse injured during a hunting trip
Knights on the hunt
A pair of oil on canvas
37 x 31 cm
Allievo e collaboratore del padre Jacob, Jan Peter Verdussen si trasferisce a Marsiglia in giovane età, dove si inserisce nella scena locale, diventando membro dell'Accademia locale. La lunga permanenza in loco gli ha trasferito il senso della piacevolezza decorativa francese e la capacità di escogitare bei fondali paesaggistici per le scene di battaglia, di caccia e galanti. Nelle sue opere si avvertono consonanze con Peter Van Bloemen e Christian Reder, sebbene le loro vite, ergo esperienze pittoriche, non si siano mai incrociate. In Italia opera per i Savoia negli anni ’40 al servizio di Amedeo III. Successivamente si sposa in Inghilterra, per poi ritornare definitivamente in Francia nel 1759
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Lot 12 Tiziano Vecellio (1488 o 1490 - 1576) allievo/seguace di - follower
Ecce Homo
Olio su tavola
Ecce Homo
Oil on panel
75 x 54 cm
Copia dal prototipo tizianesco conservato alla National Gallery of Ireland, che nel tempo ha ottenuto tanta fortuna, l'opera in esame si distingue per l'estrema qualità e la pennellata materica con cui è stata realizzata. La forte capacità espressiva, che cristallizza il solitario dolore di Gesù, lascia intendere che sia stata eseguita da un artista perfettamente e profondamente a conoscenza dell'arte e della tecnica tizianesca e non di un semplice copista. Quindi, in via del tutto prudenziale viste le sopraccitate qualità, l'opera è da assegnare alla produzione della stretta cerchia del Tiziano; probabilmente realizzata nella sua bottega sotto il suo diretto controllo oppure, qualche anno dopo, da uno dei suoi migliori allievi
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Lot 13 Carlo Cignani (Bologna 1628 - Forlì 1719) bottega di - workshop of
Morte di Adone
Olio su tela
Ovale
L’opera si presenta con una bella cornice d’epoca
Death of Adonis
Oil on canvas
Oval
The work has a beautiful period frame
118 x 90 cm
Per un breve periodo, l'apprendistato di Carlo Cignani si svolge da G. B. Cairo, pittore bolognese semi sconosciuto, e successivamente nell’atelier di Francesco Albani. Contemporaneamente frequentava un'Accademia privata d'arte a Bologna, guidata dallo stesso Albani assieme a Alessandro Tiarini e il Guercino. Dopo le prime e fortunate commissioni cittadine lo ritroviamo a Roma per decorare una galleria nel casino Farnese fuori porta S. Pancrazio, commissione mai iniziata e poi passata dal Cardinale Gerolamo Farnese a Filippo Lauri. Sempre all’Urbe, assistito da Emilio Taruffi, gli sono commissionati due e grandi affreschi sulle pareti destra e sinistra dei presbiteri della grande chiesa di S. Andrea della Valle. Nel 1665 il Cignani ritorna a Bologna, dove risiede sino al 1684, anno in cui si trasferisce a Forlì. In questi decenni ha dipinto decorazione a fresco di quattro sovrapporte con Apparizioni dell'arcangelo S. Michele nella chiesa di S. Michele in Bosco, sopra le quadrature illusionistiche dipinte da D. Santi detto il Mengazzini. Questo suo intervento è chiaramente ispirato alla morbida grazia dei putti del Correggio, suo maggior ispiratore, a lui giunto tramite il suo maestro Francesco Albani che, fra tutti gli allievi di Annibale Carracci, fu probabilmente quello più influenzato dalla pittura mitologico-pastorale dell’Allegri. Nell'arte del Cignani, in effetti, oltre al Correggio si avverte la lezione di Guido Reni e la sua anima classicistica; l’arte di Carlo, in effetti, è caratterizzata da uno stile dignitoso delle figure, da forme gentili e tondeggianti, da un'elegante calma compositiva. Negli anni Settanta il suo studio si era ormai affermato e si avvelava di svariati collaboratori, tra i quali spiccano i nomi di Marcantonio Franceschini e Luigi Quaini. Nel 1683 Cignani intraprende la più importante opera della sua carriera, ovvero la decorazione della cupola della cappella della Madonna del Fuoco nella cattedrale di Forlì con la grandiosa Assunzione della Vergine, opera che lo obbliga a stabilirsi in Romagna. Va ricordato il ruolo preminente di Cignani nella fondazione dell'Accademia Clementina, la prima accademia d'arte di Bologna, patrocinata dalla città, organizzata nel primo decennio del Settecento dai più eminenti artisti di Bologna e da vari personalità della nobiltà cittadina. La sua arte ha vissuto oltre la sua morte, avvenuta a Forlì il 6 settembre 1719, grazie all’esorbitante e impressionanante numero di pittori usciti dalla sua bottega: ricordiamo il figlio Felice Cignani, Clemente Ruta, Antonio Catalani “il Romano”, Giulio Aldrobrandini, Giacomo Alboresi, Giulio Benzi, i veronesi Antonio Calza Sante Prunato, Alessandro Marchesini, i ferraresi Maurelio Scannavini e Giacomo Parolini, Ludovico David, Giovan Camillo Sagrestani, Giuseppe Maria Crespi, Francesco Mancini, Federico Bencovich e Ignazio Stern, oltre ai già citati Franceschini e Quaini. Il riferimento puntuale e convincente a favore della tesi attributiva lo ritroviamo nel giovane protagonista della tela “Agar e Ismaele” della collezione Graf von Schonbornsche Schlossverwaltung, pubblicata a pag 197, foto 68, della monografia redatta da Beatrice Buscaroli Fabbri. Inoltre, come ci indica acutamente il Professor Michele Danieli, è molto probabile che il prototipo per il nostro Ismaele sia la figura in primo piano nel “Martirio di Sant’Agnese" del Domenichino, oggi alla Pinacoteca Nazionale di Bologna
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Lot 14 Carlo Cignani (Bologna 1628 - Forlì 1719) bottega di - workshop of
Narciso
Olio su tela
Ovale
L’opera si presenta con una bella cornice d’epoca
Narcissus
Oil on canvas
Oval
The work has a beautiful period frame
118 x 90 cm
Per un breve periodo, l'apprendistato di Carlo Cignani si svolge da G. B. Cairo, pittore bolognese semi sconosciuto, e successivamente nell’atelier di Francesco Albani. Contemporaneamente frequentava un'Accademia privata d'arte a Bologna, guidata dallo stesso Albani assieme a Alessandro Tiarini e il Guercino. Dopo le prime e fortunate commissioni cittadine lo ritroviamo a Roma per decorare una galleria nel casino Farnese fuori porta S. Pancrazio, commissione mai iniziata e poi passata dal Cardinale Gerolamo Farnese a Filippo Lauri. Sempre all’Urbe, assistito da Emilio Taruffi, gli sono commissionati due e grandi affreschi sulle pareti destra e sinistra dei presbiteri della grande chiesa di S. Andrea della Valle. Nel 1665 il Cignani ritorna a Bologna, dove risiede sino al 1684, anno in cui si trasferisce a Forlì. In questi decenni ha dipinto decorazione a fresco di quattro sovrapporte con Apparizioni dell'arcangelo S. Michele nella chiesa di S. Michele in Bosco, sopra le quadrature illusionistiche dipinte da D. Santi detto il Mengazzini. Questo suo intervento è chiaramente ispirato alla morbida grazia dei putti del Correggio, suo maggior ispiratore, a lui giunto tramite il suo maestro Francesco Albani che, fra tutti gli allievi di Annibale Carracci, fu probabilmente quello più influenzato dalla pittura mitologico-pastorale dell’Allegri. Nell'arte del Cignani, in effetti, oltre al Correggio si avverte la lezione di Guido Reni e la sua anima classicistica; l’arte di Carlo, in effetti, è caratterizzata da uno stile dignitoso delle figure, da forme gentili e tondeggianti, da un'elegante calma compositiva. Negli anni Settanta il suo studio si era ormai affermato e si avvelava di svariati collaboratori, tra i quali spiccano i nomi di Marcantonio Franceschini e Luigi Quaini. Nel 1683 Cignani intraprende la più importante opera della sua carriera, ovvero la decorazione della cupola della cappella della Madonna del Fuoco nella cattedrale di Forlì con la grandiosa Assunzione della Vergine, opera che lo obbliga a stabilirsi in Romagna. Va ricordato il ruolo preminente di Cignani nella fondazione dell'Accademia Clementina, la prima accademia d'arte di Bologna, patrocinata dalla città, organizzata nel primo decennio del Settecento dai più eminenti artisti di Bologna e da vari personalità della nobiltà cittadina. La sua arte ha vissuto oltre la sua morte, avvenuta a Forlì il 6 settembre 1719, grazie all’esorbitante e impressionanante numero di pittori usciti dalla sua bottega: ricordiamo il figlio Felice Cignani, Clemente Ruta, Antonio Catalani “il Romano”, Giulio Aldrobrandini, Giacomo Alboresi, Giulio Benzi, i veronesi Antonio Calza Sante Prunato, Alessandro Marchesini, i ferraresi Maurelio Scannavini e Giacomo Parolini, Ludovico David, Giovan Camillo Sagrestani, Giuseppe Maria Crespi, Francesco Mancini, Federico Bencovich e Ignazio Stern, oltre ai già citati Franceschini e Quaini. Il riferimento puntuale e convincente a favore della tesi attributiva lo ritroviamo nel giovane protagonista della tela “Agar e Ismaele” della collezione Graf von Schonbornsche Schlossverwaltung, pubblicata a pag 197, foto 68, della monografia redatta da Beatrice Buscaroli Fabbri. Inoltre, come ci indica acutamente il Professor Michele Danieli, è molto probabile che il prototipo per il nostro Ismaele sia la figura in primo piano nel “Martirio di Sant’Agnese" del Domenichino, oggi alla Pinacoteca Nazionale di Bologna
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Lot 15 Pietro Labruzzi (Roma 1739 - 1805)
Ritratto di nobiluomo
Olio su tela
Portrait of a nobleman
Oil on canvas
64 x 82 cm
La formazione artistica di Pietro Labruzzi resta a tutt'oggi ancora poco chiara per la mancanza di precisi dati cronologici. Risale al 1753 la prima precoce opera documentata raffigurante la Madonna con i SS. Anna e Gioacchino, eseguita per la chiesa romana di S. Maria della Luce, nell'ambito degli interventi di decorazione voluti dai padri minimi e affidati a un gruppo di artisti di cultura napoletana, fra i quali figuravano Sebastiano e Giovanni Conca e Onofrio Avellino; ciò lascerebbe supporre, vista anche l'affinità stilistica, che Pietro sia cresciuto seguendo l’accademismo partenopeo frequentando Conca e arricchita però dall'influenza di Pompeo Batoni e da richiami del Cortona. Negli anni Settanta, con la riforma classicista dello stile, il suo linguaggio va a semplificarsi assumendo i toni severi e l'essenzialità. In occasione dell’intervento decorativo patrocinato da Pio VI per il duomo di Spoleto, affidato a Corvi, Cristoforo Unterperger, Bernardino Nocchi e Cavallucci, Pietro esegue una serie di dipinti. Labruzzi opera con successo anche in ambito ritrattistico seguendo le orme dettate da Batoni nel secondo Settecento. Il nostro dipinto va attribuito a Pietro Labruzzi per la pertinenza al gusto neoclassico romano, alimentato da Pompeo Batoni, Anton Raphael Mengs e Anton von Maron. Il personaggio, posizionato con elegante imponenza, è colto con la massima cura e raffinatezza del suo vestire. Un utile confronto lo ritroviamo nel celeberrimo ritratto Giovanni Battista Piranesi del Museo di Roma, oppure il ritratto datato 1783 “Ritratto di gentiluomo con sfondo di ninfeo” pubblicato da Giancarlo Sestieri, figura 562, in “Repertorio della Pittura Romana della fine del Seicento e del Settecento
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Lot 16 Cesare Fracanzano (Bisceglie 1605 - Barletta 1651) Cerchia di - circle of
San Francesco di Paola
Olio su tela
St. Francis of Paola
Oil on canvas
91 x 74 cm
L'impostazione dell’opera in questione rimanda a diversi influssi desunti dai modelli ribereschi per l’accentuato naturalismo del volto e delle belle mani. La luminosità, invece, ci porta a riflettere sull’influenza svolta nel sud Italia da Pietro Novelli, detto il monrealese Anton Van Dyck. Non mancano citazioni bolognesi, di Guido Reni in particolare. Questa fitta rete di indizi porta alla scuola pittorica dell'Italia meridionale, che ha visto a Napoli la sua capitale. La cerchia o un seguace di Cesare Fracanzano potrebbe essere realisticamente l’autore dell’opera, ispirato alla fase ultima dell’artista, quando ammorbidì il suo naturalismo riberesco e il chiaroscuro, producendo una pittura più solare ed estasiata, sulla linea di Guido Reni
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Lot 17 Scuola romana del XVIII secolo da Guido Reni
Madonna col Bambino dormiente
Olio su vetro
Roman School of the 18th century from Guido Reni
Madonna with sleeping Child
Oil on glass
43 x 35 cm
L’immagine originale di questa dolce scena spetta al maestro bolognese Guido Reni, da cui è stata tratta quest'opera di assoluta qualità. Questo motivo reniano ha avuto ampio e duraturo successo, tanto da essere replicato da Francesco Gessi e da Sassoferrato. Fu anche fonte di ispirazione per i pittori del primo settecento romano che rivisitavano la lezione reniana, come Francesco Trevisani, Sebastiano Conca, Benedetto Luti, Carlo Maratta, Ignazio Stern, Francesco Mancini, per citare i nomi più importanti
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Lot 18 Agostino Scilla (Messina 1629 - Roma 1700) attribuito - attributed
Cartesio
Olio su tela
Descartes
Oil on canvas
67 x 56 cm
Dopo i primi studi umanistici nella sua città, è apprendista nella bottega di Antonino Barbalonga Alberti.
Agostino Scilla si trasferisce a 17 anni Roma, dove ha modo di studiare i grandi maestri del Rinascimento e frequentare la scuola di Andrea Sacchi. Nel 1651 torna a Messina, operando come pittore. La sua fama e le conseguenti commissioni gli hanno permesso di aprire una sua bottega, dove tra i molti si sono formati Giuseppe Balestriero, Placido Celi, Antonio Madionai. Su commissione del Principe Antonio Ruffo ha decorato la terza camera del palazzo “Alla Marina”, dipingendo l’affresco intitolato “Sposalizio del Merito e della Virtù che scaccia Invidia e Avarizia“. A causa della sua partecipazione alla rivolta anti spagnola del 1674 a Messina, fugge in Francia, dove dipinge il quadro “La conversione della Maddalena” nella chiesa di Bouliac. Quattro anni più tardi, rientrando verso Roma, soggiorna a Torino, decorando il Salone del Palazzo Reale con figure allegoriche rappresentanti la Fortezza e la Giustizia. Giunto all’Urbe fa parte dell’Accademia di San Luca per cui dipinse un “Autoritratto” e un “San Gerolamo”. L’opera si caratterizza per una pittura di tocco e inquadrata nella corrente “neoveneziana” presente a Roma e portata in auge da Pier Francesco Mola e Salvator Rosa, che trova emuli e seguaci in vari artisti soprattutto di estrazione nordica, come Monsù Bernardo, Daniel Seitter ma anche gli italiani Gerolamo Troppa o Antonio Gherardi. Un confronto edificante lo si ritrova nell’opera “Tolomeo” (già mercato francese, pubblicata a pag. 206 de “Mola e il suo tempo- pittura di figura a Roma dalla Collezione Koelliker” a cura di Francesco Petrucci) poi passato in asta presso Hampel, il 5 luglio 2017
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Lot 19 Daniel Vertanghen (Amsterdam o L'Aia 1601 - Amsterdam 1681/1684) e aiuti
Diana e Callisto
Olio su tela
Diana and Callisto
Oil on canvas
104 x 158
Daniel Vertanghen è da sempre ritenuto allievo di Cornelis van Poelenburch o Poelenburgh, condivide l’esperienza d’apprendistato assieme a Dirck van der Lisse, Jan van Haensbergen e Abraham van Cuylenborch. Versatile artista, egli si è dedicato ai più disparati temi pittura di genere, paesaggistica, ritratti, dipinse soggetti storici, mitologici e religiosi. I suoi paesaggi erano ambientazioni naturalistiche per episodi mitologi o biblici. La sua produzione di questo genere trova affinità con quanto realizzato da Poelenburch, del quale col tempo è diventato collaboratore. Puntuali riscontri stilistici per l’opera presentata li ritroviamo in “Ninfa e satiri” del Museo Nazionale di Budapest, “Diana e le ninfe al bagno” del Finnish National Gallery di Helsinki in “Diana e ninfe” del National Gallery of Denmark di Copenhagen
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Lot 20 Francesco Salvatore Fontebasso (Venezia 1707 - 1769) bottega di - workshop
Aman si getta ai piedi di Ester chiedendo pietà
Olio su tela
Haman throws himself at Esther's feet asking for mercy
Oil on canvas
73 x 54 cm
Francesco Fontebasso si forma nella bottega di Sebastiano Ricci, anche se la sua pittura denuncia un’influenza di Giambattista Tiepolo, come testimoniano lo Sposalizio di Santa Caterina e l'Adorazione dei pastori. Intorno alla metà del Settecento opera a "Ca' Zenobio”, nei pressi di Treviso, ove dipinge a fresco raffinate decorazioni a stucco le allegorie della Giustizia, della Pace e delle Virtù. Sempre sulle orme del Tiepolo dipinse anche la sala da ballo della villa. Lavora anche a Padova, Treviso e a Trento, per poi recarsi a San Pietroburgo tra il 1761 ed il 1762, dove realizza tele e affreschi per il Palazzo d'Inverno. Va segnalato che Domenico Fontebasso dipinse secondo lo stile paterno. La tela in questione porta i segni indelebili dello stile di Fontebasso e in certi passaggi raggiunge vette pittoriche ( come nel caso dell'abito della regina e il tessuto che scende dalla base del trono, nonché la bandiera e lo scudo in primo piano) che fanno supporre che vi sia l’intervento, seppur limitato, del maestro. L’opera non compare nella monografia, quindi può essere una libera invenzione di bottega su schemi del maestro, oppure tratta da qualche opera andata perduta. I riferimenti puntuali a cui far riferimento sono “Ester e Assuero”, collezione Lord Sherborne, “Salomone e la regina di Saba” del Museo Diocesano Tridentino di Trento, e “Il giudizio di Salomone” del Kumstmuseum di Basilea
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Lot 21 Bartolomeo Pedon (Venezia 1665 - 1733)
Veduta lacustre
Olio su tela
Lake view
Oil on canvas
68 x 102 cm
Nato a Venezia il 15 ottobre del 1665 nella parrocchia di San Bartolomeo, Pedon è con Antonio Marini e Marco Ricci uno dei migliori protagonisti del paesaggio barocco veneto tra Sei e Settecento. Il suo stile elabora quanto giunto tra le lagune da Johann Anton Eismann, Hans de Jode, Ernest Daret, Cornelio Dusman, Jan e Andries Both e Pieter Mulier detto il Cavalier Tempesta, tutti pittori paesaggisti nordici operanti a Venezia o nella sua terraferma. Uomo di cultura, oltre alla pittura Pedon era un fine letterato sebbene conducesse una vita piuttosto sregolata e dedita al vizio, motivo, forse, del fatto che la Fraglia dei Pittori lo vede iscritto per un solo anno, nel 1716. Dopo secoli di oblio la sua opera è stata rivalutata nel corso del ‘900 e grazie ad un primo nucleo di dipinti monogrammati. Dopo un’iniziale impostazione nordica, contrassegnata da scoscese rupi, quasi onnipresenti, nel corso della sua maturazione artistica, Pedon scorge nel Ricci il suo nuovo mentore: la sua pittura si fa così più dolce e colorata, e diventa piacevolmente arcadico, nel complesso, il suo modo di fare paesaggio. E’ utile ricordare come egli inizialmente fosse stato convenzionalmente chiamato “Maestro delle foglie bugnate” per il suo modo di dipingere le foglie picchettando gli alberi con l’ocra al fine di realizzare le foglie, particolare presente anche nell'opera in questione.
La tela in esame è da assegnare alla seconda fase del maestro veneziano, cioè a cavallo dei secoli, quando il suo graduale ma continuo allontanamento dai modi nordici è ben avviato, ma non completato, in favore di un’esposizione più pacata di ampie vedute paesaggistiche popolate di genti intente al loro lavoro umile e intenso, di rosiana memoria. Per quest’opera, che possiamo tranquillamente dir veneta, il confronto più utile lo troviamo in Hans de Jode e il suo “Paesaggio con porto” del Museo di Castelvecchio a Verona.
Pedon ha aperto l’angolo visivo e trasformato una visione concentrata in un piccolo anfratto in una visione di ampio respiro, che abbraccia l’intero specchio lacustre. L’intonazione cromatica è grigia, come si può riscontrare in de Jode. I pescatori hanno atteggiamenti pesanti che ricordano quanto proposto da Magnasco e Ricci e il loro paesaggio eroico, ma in generale la tragicità barocca è superata: la piacevolezza del paesaggio prevale su ogni altro elemento. Infine, interessante notare come le imbarcazioni disperse nello specchio d’acqua abbiano curiose vele “a dente” non dissimili da quelle che Noel Cochin, detto Monsù Cussin o Cochin de Venise, pittore francese presente a Venezia sul finire del Seicento, dipingeva e che si possono ritrovare nello splendido paesaggio conservato al Museo Civico di Treviso
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Lot 22 Bartolomeo Pedon (Venezia 1665 - 1733)
Paesaggio con fiume e ponte romano
Olio su tela
Landscape with river and roman bridge
Oil on canvas
54 x 86 cm
Nato a Venezia il 15 ottobre del 1665 nella parrocchia di San Bartolomeo, Pedon è, con Antonio Marini e Marco Ricci, uno dei migliori protagonisti del paesaggio barocco veneto tra Sei e Settecento. Il suo stile elabora quanto giunto tra le lagune da Johann Anton Eismann, Hans de Jode, Ernest Daret, Cornelio Dusman, Jan e Andries Both e Pieter Mulier detto il Cavalier Tempesta, tutti pittori paesaggisti nordici operanti a Venezia o sulla terraferma. Uomo di cultura, oltre a dedicarsi alla pittura Pedon era un fine letterato sebbene conducesse una vita piuttosto sregolata e dedita al vizio, motivo, forse, del fatto che la Fraglia dei Pittori lo vede iscritto per un solo anno, nel 1716. Dopo secoli di oblio, la sua opera è stata rivalutata nel corso del ‘900, grazie ad un primo nucleo di dipinti monogrammati. Dopo un’iniziale impostazione nordica, contrassegnata da scoscese rupi, quasi onnipresenti, nel corso della sua maturazione artistica Pedon scorge nel Ricci il suo nuovo mentore. La sua pittura si fa più dolce e colorata, ed è piacevolmente arcadico, nel complesso, il suo modo di fare paesaggio. E’ utile ricordare come all'inizio egli fosse stato convenzionalmente chiamato “Maestro delle foglie bugnate” per il suo originalissimo modo di dipingere le foglie picchettando gli alberi con l’ocra al fine di realizzare le foglie, particolare presente anche nell'opera in questione.
La tela in esame è da assegnare alla fase estrema del maestro veneziano, quando oramai ha completamente lasciato ogni asperità nordica, le turbolenze atmosferiche a vantaggio di una narrazione posata e arcadica ove descrive il fare di contadini, pastori e pescatori disseminati tra i campi e i corsi d’acqua. L’opera si contraddistingue per la presenza, centrale, del ponte romano a tre arcate. Esempi di manufatti simili erano disseminati nel contado veneto, di questi, oggi rimangono Ponte Molino a Padova e Ponte Pietra a Verona. Lo splendido paesaggio per l’equilibrata composizione, bilanciata dalle grandi querce laterali, per la complessità espositiva e il bellissimo degradare prospettico sino ai lontani monti, nonché per la cura e la vivacità scenica dei personaggi, è da annoverare tra le massime espressioni del paesaggismo di Pedon nella sua fase tarda al pari del “Paesaggio fluviale con pescatori” della collezione Crédit Agricole FriulAdria, oppure il “Paesaggio con lavori agricoli”, Fototeca Zeri, numero scheda 68550
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Lot 23 Giuseppe Ghezzi (Comunanza 1636 - Roma 1721)
La guarigione miracolosa di Tobia per mano dell'Arcangelo Raffaele
Olio su tela
The miraculous healing of Tobias by the hand of the Archangel Raphael
Oil on canvas
99 x 135 cm
Nato a Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, è stato allievo del padre Sebastiano Ghezzi. Giunto a Roma matura nell’orbita di Pietro da Cortona, allargandola all’influenza di Carlo Maratta e il Baccicia anche se non manca da parte sua un’attenzione per la pittura veneta al Guercino e Lanfranco. Ne determina una pittura di forte impatto, caratterizzata da una paletta cromatica accesa e vivida prestata a raffigurazioni dove coesistono attenzioni naturalistiche ed effetti barocchi.
La tela trova precisa corrispondenza con le due opere della Fototeca Zeri: Ghezzi Giuseppe, Tobia ridona la vista al padre (Entry number 48640); Ghezzi Giuseppe, Guarigione di Tobia (Entry number 48641)
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Lot 24 Alessandro Tiarini (Bologna 1657 - 1668) e collaboratori - and workshop
Compianto del Cristo deposto
Olio su tela
Lamentation of the deposed Christ
Oil on canvas
94 x 127 cm
L’opera è accompagnata da uno studio del dottor Emilio Negro disponibile su richiesta
La formazione di Alessandro Tiarini avviene presso Prospero Fontana, successivamente si lascia influenzare da Bartolomeo Cesi. Tornato a Bologna dopo un soggiorno di lavoro a Firenze, inevitabilmente si accosta alla scuola dei Carracci, facendo proprie le loro istanze naturalistiche, avvicinandosi specialmente all'opera di Ludovico Carracci, di cui denuncia il forte e sofferto sentire religioso. Le sue opere si caratterizzano per come le sue figure s’impongono entro composizioni scure, di impressionante gravità, illuminate con luce altamente drammatica. Di questo periodo il capolavoro esemplificativo è da ritenersi la “Deposizione di Cristo nel sepolcro”, opera realizzata per la chiesa di Sant'Antonio del Collegio Montalto, ora alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, a cui la nostra tela fa evidente riferimento.
Successivamente, entra in contatto con gli ambienti pittorici di Parma, Venezia e Ferrara, dedicandosi alla riscoperta dell’opera del Correggio. In questa seconda fase schiarisce la tavolozza, mentre le figure acquistano monumentalità e perdono la loro estremizzazione drammatica, godendo maggiore naturalezza