LA GIOIA A COLORI. VENETO BANCA ATTO II - I CAPOLAVORI Sessione unica
giovedì 29 febbraio 2024 ore 18:00 (UTC +01:00)
Domenico Morone (1442 - 1518) , attribuito a Adorazione dei Magi ("Natus est redemptor Mondi"), 1490-1500 circa
Domenico Morone (1442 - 1518) , attribuito a
Adorazione dei Magi ("Natus est redemptor Mondi"), 1490-1500 circa
Carbone, tempera e olio su tavola
61 x 45,5 cm
Altre iscrizioni: sul recto della tavola, nell’angolo inferiore sinistro, cartiglio con iscrizione nera «NATVS ES / REDEMPTOR / MONDI» a guisa di titolo
Elementi distintivi: sul retro della tavola, nell’angolo superiore destro, con caratteri stampati forse in relazione a inventario d'asta, «2 8 6 W» (?) (parzialmente visibile in UV); segni a gesso bianco
Provenienza: Galleria Moretti, Firenze
Certificati: expertise di Mina Gregori, datato 7 dicembre 2007 (in copia)
Vincoli: l'opera è dotata di libera circolazioneStato di conservazione. Supporto: 80% (due traverse lignee di supporto orizzontali, fissate con vecchi chiodi, apparentemente forgiati; residui di fasce di carta applicate ai margini; tracce di umidità)
Stato di conservazione. Superficie: 75% (ritocchi; riprese pittoriche a sottolineare bordi e dettagli; alcuni sollevamenti con orientamento verticale; abrasioni; vernice protettiva)
La tavola è stata identificata da Mina Gregori nel 2007 come opera sicura di Domenico Morone, esponente di punta del rinascimento veronese: «Tutti gli elementi che arricchiscono la pittura del veronese Domenico Morone vi sono presenti e confermano le doti di fantasia ereditate dal mondo tardogotico e l'intelligenza nell'accogliere le novità rinascimentali che contraddistinsero la sua opera».
Suggerendo una datazione alla maturità dell'artista - di cui una pietra miliare è la prestigiosa commissione, nel 1494 da parte del Marchese di Mantova Francesco II Gonzaga, della tela raffigurante la "Cacciata dei Bonacolsi" (Palazzo Ducale, Mantova) - la studiosa sottolinea la avvenuta acquisizione, nella tavola in esame, delle novità sviluppatesi «a Padova nell'ambiente mantegnesco e a Venezia in direzione del Carpaccio. Tali elementi sono mirabilmente rappresentati in quest'opera. L'architettura dell'edificio con il tetto in rovina è allusivo alla fine del mondo pagano, e lo conferma il bassorilievo spezzato con il nudo privo della testa. In questa struttura il Morone evidenzia la sua appartenenza al mondo rinascimentale nella esatta prospettiva, negli elementi classici realizzati con gusto pittorico, nell'alternanza di colonne bianche e verdi e nel realismo con cui sono descritte le assi rustiche che chiudono alcuni degli archi». E infatti nel «paesaggio sono pure evidenti i ricordi mantegneschi, mentre il corteo è l'occasione perché il Morone sfoggi vestiti e copricapi fantasiosi e rappresenti i cavallini rampanti che spesso ha inserito nei suoi dipinti. In primo piano il giovane paggio che regge la spada è un inserto moderno che si ricollega ai tondi che il Morone ha dipinto in competizione con il Carpaccio».
La minuta analisi dei dettagli - il paesaggio, le figure e gli animali - ha consentito di avvicinare la tavola in esame anche a due tele veronesi, al passaggio tra '400 e '500, pubblicate da Mattia Vinco, con datazione intorno al 1510 (M. Vinco, "Cassoni. Pittura profana del Rinascimento a Verona", Milano, 2018, pp. 346-347, cat. 113): si tratta di episodi della guerra tra romani e sabini, per cui Bernard Berenson aveva suggerito l’attribuzione al veronese Francesco dai Libri (1450-1503/1506) e che, principalmente nella fattura del paesaggio, collimano con l'opera nota di Michele da Verona (1470 – 1535/1544), che, formatosi nella bottega di Morone a fianco al figlio di questi, Francesco (1471-1529), ottiene la qualifica di pittura nel 1492, a 22 anni. In questa ipotesi il gruppo così costituito - la tavola in esame e le due tele - sarebbe da datare ai primi anni del nuovo secolo, nella raggiunta maturità di Michele. Vinco, inoltre, rileva, per le tele, che «una datazione al 1505-1510, che bene si attaglia alle ampie aperture dello sfondo, porta ad escludere dai possibili autori sia il nome di Giovanni Maria Falconetto, all'epoca già influenzato dalla cultura pinturicchiesca, sia quello di Filippo da Verona, autore tra il 1509 e 1511 dell'"Arianna a Nasso" del Rijksmuseum di Amsterdam (cat. 93) e della "Madonna allattante il Bambino" del Museo di Castelvecchio a Verona (inv. 895-1B123)». Ed in effetti con il prendere in considerazione, anche per la nostra tavola, Falconetto (1468-1534/1535) e Filippo da Verona (documentato tra il 1510 e il 1515) per così dire si completa il panorama della pittura veronese del rinascimento, riportando l'attenzione sulla proposta di Mina Gregori in favore di Domenico Morone, o un artista a lui molto vicino, e con una datazione prima del passaggio del secolo.
Le analisi tecniche, condotta sull'opera da Gianluca Poldi nell'ottobre 2023 (riprese fotografiche in luce diffusa, radente o semiradente, riflettografia in infrarosso in 2 bande spettrali, infrarosso in falso colore, spettrometria di riflettanza e microscopia ottica digitale), hanno infatti pienamente confermato la datazione alla seconda metà del Quattrocento, mettendo in luce «un accurato disegno soggiacente di contorno, svolto a pennello o penna e inchiostro nero di tipo carbonioso, assai dettagliato e, almeno in varie zone, a mano libera, sintomo di un disegnatore sicuro. Poche linee vengono riprese e precisate graficamente prima di passare alla coloritura. Più complessa era la struttura del manto della Vergine, a base di azzurrite, oggi blu scuro, quasi nero, con l’ordinamento delle pieghe attentamente disegnato. E pure degna di nota appare la definizione grafica delle rocce sullo sfondo. Sottili incisioni sono state praticate per la costruzione delle architetture, sia a riga sia a compasso, e seguite con poche varianti in fase pittorica. Mentre per i sacri attori principali lo spazio nelle architetture è riservato, altre figure sono state invece tracciate sopra l’edificio già disegnato: è il caso dei due pastori a sinistra, uno dei quali volto a intercettare lo sguardo dell’osservatore, i quali sono aggiunti a penna, con curata grafica, insieme al parapetto su cui poggiano, escamotage compositivo che permette di inserire il cartiglio con la scritta, che le analisi certificano come originale». L'uso del disegno in fasi successive, sin dalla prima strutturazione dell'opera, con modi e finalità diverse, nonché la sovrapposizione delle forme (appunto, per esempio, il parapetto in mattoni e i personaggi a sinistra sovrapposti al basamento di una colonna), confermano che la tavola è di invenzione.
L'esame dei pigmenti suggerisce inoltre di anticipare la datazione ai primi anni ottanta, in consonanza con una osservazione svolta da Mina Gregori secondo la quale «il Morone si presenta già in fase evoluta nella 'Madonna col Bambino' del 1483». Infatti, rileva Gianluca Poldi, tra «i pigmenti si segnala la presenza diffusa di azzurrite nelle campiture azzurre (cielo e abiti). Nello sfondo scuro delle due nicchie con statue nell’ordine superiore dell’architettura, come pure nelle colonne azzurre, è presente un pigmento dalla risposta rossa intensa in IR falso colore, compatibile nel caso in esame con indaco (miscelato con parti di giallo nelle colonne), pigmento usato, sebbene di rado, in area veneta tra 1450 e 1480 circa, più frequentemente in mescolanza per ottenere peculiari toni di verde e violetto, ma qualche volta anche da solo o con biacca, come azzurro». E ancora: «La struttura delle pennellate, sottili e parallele, suggerisce l’impiego di tempera, almeno in varie finiture, ma anche in qualche parte è compatibile con stesure a olio». Proprio l'uso combinato di olio e tempera è un elemento di transizione, tra la pittura a tempera su tavola ancora in voga nella prima metà del Quattrocento e l'imporsi dell'olio su tela, che rafforza l'ipotesi di una datazione precoce. Cosicché, conclude Poldi, alla «luce delle indagini svolte, l’opera risulta coerente con l’epoca indicata», cioè «il XV secolo, seconda metà».
La stessa resa pittorica, spigliata e sicura, indice di una velocità di pensiero, accostata a un disegno costruito sia a mano libera sia molto dettagliatamente, unitamente all'uso di una "tecnica mista" pone la tavola nel pieno dell’umanesimo attardato della ricca provincia veneta. Tra i segnali di questa cultura, oltre ai richiami classici e alla stessa morfologia del paesaggio e delle montagne in particolare - che agiscono come fattori innovatori rispetto alla impostazione tardo-gotica del corteo - sono le pareidolie inserite tra i reperti archeologici antichi murati nell’architettura: per esempio, la pietra angolare (a destra del ginocchio della statua di profilo al primo piano, al centro del dipinto), di ascendenza mantegnesca (si veda, ex multis, la conformazione delle nuvole nel "San Sebastiano" del Musée du Louvre, inv. RF 1766) e frequente anche in pittori coevi come Giorgione o Pinturicchio ("Martirio di San Sebastiano", Appartamento Borgia, Città del Vaticano).
Ringraziamo il Dottor Gianluca Poldi per il prezioso supporto dato alla catalogazione dell'opera.