Lotto 104 | Orazio Solimena (1690 - 1792) , attribuito a Santa

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LA GIOIA A COLORI. VENETO BANCA ATTO II - PARTE PRIMA Sessione unica
martedì 27 febbraio 2024 ore 18:00 (UTC +01:00)

Orazio Solimena (1690 - 1792) , attribuito a Santa

Orazio Solimena (1690 - 1792) , attribuito a
Santa
Olio su tela
19,8 x 13,3 cm
Stato di conservazione. Supporto: 90% (rintelo non verificabile)
Stato di conservazione. Superficie: 90% (ridipinture)

Figlio di Tommaso Solimena, Orazio è nipote di Francesco Solimena, detto l'Abbate Ciccio (4 ottobre 1657- 5 aprile 1747), e del padre Angelo Solimena (1629-1716), e con lui che chiude la dinastia dei grandi pittori nocerini. La sua opera si differenzia da quella dei famosi parenti perché, seppur di formazione barocca, sente profondamente i dettami del nascente gusto neoclassico.
Francesco Solimena indirizzò il nipote agli studi di legge, ed egli effettivamente conseguì il titolo di dottore in diritto ecclesiastico, tuttavia per giungere presto alla pittura su consiglio di Gaspare Traversi ed infine venir delegato dal celebre zio alla conduzione e continuazione della bottega. L'opera principale di Orazio si svolge nella sua città, soprattutto per commissioni nei monasteri di Santa Chiara e Sant'Anna.
Il principale studio sull'artista si deve a Mario Alberto Pavone ("Precisazioni su Orazio Solimena", in "Prospettiva", Firenze, n. 20, Gennaio 1980, pp. 80-87). Come ricorda Pavone, il «numero limitato di opere note di Orazio Solimena ed il ritardo con cui sono emerse alla attenzione della critica sono stati senz'altro tra le cause principali della mancanza di una sua adeguata considerazione nell'ambito della pittura del Settecento napoletano. Eppure la lode senza dubbio più interessante nei riguardi della pittura di Orazio venne espressa dallo stesso Francesco Solimena nel sonetto che il De Dominici ricorda 'dettato' sul '44, allorché venne ad essergli 'per vecchiezza assai scemata la virtù visiva, e non potendo dipinger più quelle nell'opere, che tuttavia con mente chiara, concepisce nella sua grande idea'. In tale componimento poetico, che costituiva un consapevole testamento spirituale dell'artista, l'Abate Ciccio manifestava la propria speranza che i suoi 'cari' pennelli potessero trovare degna continuità 'nelle mani a colui, che senno, e mente / ebbe dal Cielo, e dal mio sangue scese'. Il De Dominici precisò sollecitamente, con una postilla a lato del sonetto (presente nell'edizione settecentesca, ma eliminata in sede tipografica nell'edizione del 1840-1846, che pure ha avuto maggiore circolazione) che il Solimena intendeva riferirsi al 'Sig. D. Orazio, suo degno Nipote, il quale sebbene dottorato in legge, spinto da naturale genio dipinge con molta lode» (Pavone 1980, p. 80).
La bella teletta in asta richiama molto strettamente i modi di Orazio, lasciando un margine di dubbio soltanto in ragione della esiguità dei paragoni.