Lotto 62 | Lettera di Ferrante d’Aragona Napoli, 16 maggio 1484, Papa Sisto IV della Rovere

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Lettera di Ferrante d’Aragona Napoli, 16 maggio 1484, Papa Sisto IV della Rovere

Lettera di Ferrante d’Aragona Napoli, 16 maggio 1484
Papa Sisto IV della Rovere
Lettera
Una pagina
Firma/data: 16 maggio 1484
Stato di conservazione: buono
Numero componenti del lotto: 1

La lettera si colloca in una delle fasi più delicate del conflitto tra Ferrante d’Aragona (1423-1494) e la Repubblica Veneziana. Come noto infatti sin dal 1482 Ferrante era sceso al fianco del genero, il Duca di Ferrara, minacciato dalle armate della Serenissima; il conflitto sarebbe terminato due anni dopo ma, a pochi mesi dalla conclusione, Venezia era tornata ad attaccare il Regno di Napoli invadendo la costa pugliese ed assediando Gallipoli. Un clima complicato ed instabile che, unito alle riforme fiscali attuate dal Re di Napoli, aveva causato un drastico impoverimento del Tesoro napoletano causando, da lì a pochi mesi, la congiura dei baroni (1485-1487); congiura in cui fu coinvolto anche Antonello Petrucci († 1487), segretario di Re Ferrante di cui troviamo la sottoscrizione in calce a questo documento. La lettera – datata '16 maggio 1484' – costituisce dunque una vivida testimonianza della complessa ed articolata politica di Ferrante d’Aragona sia all’interno che all’esterno del proprio regno, con particolare attenzione ai rapporti con Papa Sisto IV della Rovere (1414-1484), vero protagonista della missiva. La lettera, indirizzata sul verso «ad Comitem Buverelli», muove infatti da alcune accuse che il Pontefice avrebbe espresso di fronte a due oratori circa la politica militare di Re Ferrante («de’ tardità ad fornire de’ dare le prestanze a le gente d’arme [che] divimo tenere per la nostra rata in questa impresa, et che fora del bisogno domandamo dali nostri confederati la distributione in lo armamento de le dete nave») e più in generale sull’operato della Lega Santa; accuse successivamente circostanziate in un breve pontificio inviato a Jacopo Arrivabeni. Il contenuto della lettera è dunque una decisa autodifesa del re aragonese. L’importanza della lettera è per altro sottolineata dal fatto che – come si esplicita nella missiva – volendo chiarire la propria posizione di fronte al Pontefice ed ai membri della Lega, «in quisto dì per altre nostre lettere havimo facto offerire volere mectere in potere de’ nostri colligati tucte le intrate del nostro Regno per la prosecutione di questa guerra», facendo così circolare in tutte le corti italiane un messaggio affine, per contenuto ed intenzioni politiche, a quello qui trascritto. La lettera offre dunque un vivido spaccato della vita politica italiana all’apice del sistema delle signorie, in uno dei suoi momenti più complessi ma anche più vivaci. Ma non solo; la missiva infatti precede di appena un giorno un evento assai significativo per il regno aragonese: l’assedio mosso dai veneziani contro la città di Gallipoli (17-19 maggio 1484), un evento destinato ad imprimere un’ulteriore svolta nelle complesse vicende delle guerre d’Italia. Il documento è redatto in cancelleresca corsiva, vergata in modo chiaro ed accurato, su un bifolio che, in tempi non noti ma verosimilmente molto antichi, è stato raccolto in un volume da cui è stato successivamente spiccata. All’operazione di raccolta si deve la rifilatura del documento, particolarmente evidente nel margine superiore della carta dove è leggibile solo la parte conclusiva dell’intestazione che, originariamente, avrà riportato entrambi i principali titoli di Ferrante d’Aragona «Neapolitani Rex, Rex Siciliae». A questa fase di raccolta si deve la cartulazione (cc. 31 e 32) che è stata qui riportata. Si deve notare come questa missiva facesse parte di un più ampio plico diplomatico a cui erano allegati una lettera del Capitano de’ Sei «de la quale con questa ve mandamo copia» insieme a «li altri avisi [che] ve havimo mandati». Come anticipato il documento è chiuso dalla sottoscrizione di Re Ferrante seguita da quella del segretario Antonello Petrucci; a margine, di altra mano, l’indicazione del destinatario: «ad Comitem Buverelli». Coperta, grafia del XIX sec.: «Ferdinando d’Aragona Re di Napoli e Sicilia. Lettera lunghissima e importantissima sulle cose d’Italia dell’anno 1484» [c.31r] […] Rex Siciliae. Conte, nulla cosa ne haveria possuta dare maiore molestia che la lettera comune de’ viri altri oratori de la nostra Santissima et Serenissima Lega de’ X del presente [mese di maggio] et lo breve de la Santità de’ nostro Signore [Sisto IV] directo ad messer Joanpetro Arrivabene suo oratore, non tanto per intendere parte contenute in quelle penitus aliene da omne nostro merito, ma per comprehendere lo dispiacere et affanno con lo quale dicta Santità parlò ad dui 2 adicti oratori, et indicando cosa aliena dal honore et bene de dicta Santissima Lega: che li potentati de quella steano in alcuna contesa o differentia. Responderrimo solamente a le parte principale et ob [ill.] quanto in questa resposta potessemo dire che in alcuno modo havesse de offendere lo aiuto de’ alcuno de’ nostri Signori colligati. Per dicte lettere et breve simo imputati da nostro Signore de’ due pricipue cose: de’ tardità ad fornire de’ dare le prestanze a le gente d’arme [che] divimo tenere per la nostra rata in questa impresa, et che fora del bisogno domandamo da li nostri confederati la distributione in lo armamento de le dete nave. Quanto alla prima parte, de la tardità, se dice usarse per nui a lo dare de le prestanze dicimo essere mal contenti che per alcuno modo se ne dave tale imputatione, possendo veramente affirmare nullo più de’ nui desiderare che questa impresa se prosegua et debia ultimare gloriosamente, et per ciò da nui più desiderarse satisfare ad omne cosa necessaria per la ultimatione de’ dicta impresa non [g]ià per alcuna privata nostra utilità ma solum per lo honore et bene comune et particulare de li Illustrissimi signor Duca di Milano et Duca de’ Ferrara et altri de’ li nostri Signori colligati, a li quali, ultra lo comune, ce corre lo interesse particulare. Et benché in qualunca impresa siamo intervenuti, mai habiamo procurato o sperato haverne da conseguire alcuna particulare nostra utilità, ma solum satisfare al honore, desiderio et necessità de li nostri colligati, del che ne p[u]ò esser testimonio nostro Signore et tucti li nostri confederati. Confessamo però in nulla de le altre imprese essere stati tanto voluntari quanto in la presente. [c.31v] In la quale va la libertà de tucta Italia, et però in nostra particularità ce havimo lo interesse de’ generi, figlioli et nepoti et perciò chi se persuadesse [che] nui devere mancare in alcuna parte quanto le nostre facultà se extenderebbero, seria in grandissima heresia. Vero è che, come per altre havemo scripto, per avere voluto obtemperare in omne cosa, come è nostro debito a li comandamenti de nostro Signore et requeste de’ nostri confederati, in fare guerra per mare ad Venetiani et prohibirli lo comertio del nostro Regno, el che per li altri non è stato facto, ultra lo danno grandissimo ne hanno patito li nostri subditi a le intrate nostre è stato tanto detrimento che per questa sola cosa non haviamo possuto così celermente, come haveriamo voluto, satisfare ad tucto quello [che] seria il desiderio nostro, però questo se ne deveria imputare ad altro che quello che è, né perciò era conveniente se ne devessero fare tale ambasciate o comminatione, le quali, ut eamque, pigliamo in bona parte per lo ardentissimo desiderio che have nostro Signore che le cose succedano prosperamente et con gloria de la Santità sua et de tucta la Santissima Lega. Et piacesse a nostro Signore Dio che con qualsevoglia nostro interesse havessemo possuto trovar modo ad supplire de presente per mare et per terra, come lo bisogno et periculo imminente requede che nullo più de’ nui ne seria contento. Quanto tocca a la parte de le dete nave dicimo che per lettera del Capitano de’ Sei del presente, de la quale con questa ve mandamo copia ultra li altri avisi [che] ve havimo mandati, intenderete si è expediente et necessario de armare le dicte nave, et essere potentissimo in mare et niente de meno, come havimo scripto, nui non volimo stare più in queste contese et deliberamo omnino armare dece grosse nave in [ill.] de le XX galee de bona voglia, qual volimo ob [c.32r] [ill.] de armare per lo bisogno se have de le nave, considerato che li nostri inimici haveno ultra le galee armate nave 2 galeazze contra nui et con le XXX galee non possiamo prohibire la offensione [che] se ne faria con le nave et galeaze, ma con le X nave grosse et XI galee de bona voglia armate in Puglia et XV de forza attenderemo ad fare quel che serà posibile. Licet in dicte dece nave se spenda molto più che in le XX galee de bona voglia, et speramo [che] la Santità de nostro Signore et li altri signori nostri colligati non voleranno consentire [che] se stia ad discretione de’ dui potentati inimici comuni preparati in tal forma contra nui per havere voluto obedire et satisfare a nostro Signore et a li altri signori nostri colligati non ce mancaranno de quello [che] sarà necessario, tanto per lo respecto nostro, come comune. Et piacesse ad nostro Signore se potesse trovare mezzo conto qual potesseno essere securi de non essere offesi per mare, sì per essere liberi de’ tale suspecto et spesa et liberarne li Signori nostri confederati, come per possere attendere a la prosecutione de la guerra de terra _ lo comune desiderio. Havimo facto spatiare de la prestanza del servito et de le paghe per tucto maio, lo Signore de’ Arimine, quello de’ Pesaro de la prestanza et messer Lorenzo de’ Castello de la prestanza et quanto tucto lo servito, lo signor Duca de Urbino de la metà della prestanza et de presente farimo dare lo complimento, et così lo facevimo dare al Illustrissimo Prefecto et al Signore de’ Faenza et ultra questo lo sforzarimo satisfare a li bisogni de Illustrissimo Duca de’ Calabria nostro primogenito, adeo che nullo ne pozza imputare non havere facta la rata nostra et con lo Illustrissimo Duca de Ferrara restavimo ben de acordio et seguano le cose come se voglia non ce pozzimo mai dolere che per ambitione nostra o per alcuno nostro mancamento nullo de li potentati de la nostra Santissima et Serenissima Lega pozza dire havere havuta una minima lesione, et possimo con verità affirmare ad nullo mai per nui essere stato mancato de’ cosa [che] ne fosse requesta, purché le facultate nostre lo habiano comportato, et ad questo fine, et perché tutti potessero videre per effecto lo nostro bono aiuto, in quisto dì per altre nostre lettere havimo facto offerire volere [c.32v] mectere in potere de’ nostri colligati tucte le intrate del nostro Regno per la prosecutione di questa guerra, acciò che fossero certi che non solamente sino contenti fare quanto tocca a la parte nostra, ma quanto le facultà nostre comportassero. Data in Castello novo Napoli, die XVI maii MCCCCLXXXIII. Seguono le sottoscrizioni di Re Ferrante seguita da quella «A Secret.» identificabile con la sigla di Antonello Petrucci.