Meraviglie Atto II. La Gioia a colori. II Sessione unica
mercoledì 15 maggio 2024 ore 15:30 (UTC +01:00)
Caspar van Wittel, Vanvitelli (1653 - 1736) Veduta di Verona, l’Adige a San Giorgio in Braida, 1710-1720 ca.
Caspar van Wittel, Vanvitelli (1653 - 1736)
Veduta di Verona, l’Adige a San Giorgio in Braida, 1710-1720 ca.
Olio su rame
37,6 x 41,5 cm
Firma: «CASPAR VAN WITTEL» su un masso in basso a sinistra
Elementi distintivi: al verso, al centro, capovolto in inchiostro rosso «8174»; in alto a destra, in gesso bianco «OMP» e al centro "4"; scritta in corsivo di difficile interpretazione seguita da un «8»
Provenienza: Sestieri, Roma; Collezione privata, Roma; mercato antiquario, Londra; Sotheby’s, London, 07.12.2005, l. 57 (€ 756.389); collezione privata, Londra
Bibliografia: G. Briganti, "Gaspar van Wittel e l’origine della veduta settecentesca", Roma, 1966, p. 243, cat. 185 ill. (con supporto e dimensioni erronee); G. Briganti, "Gaspar van Wittel", a cura di L. Laureati e L. Trezzani, Milano, 1996, p. 251 cat. 323, ill. (con supporto e dimensioni erronee); G. Marini, in G. Marini a cura di, "Bernardo Bellotto un ritorno a Verona. L’immagine della città nel Settecento", catalogo della mostra (Verona, Museo di Castelvecchio), Venezia, 2002, pp. 18-20 (con supporto erroneo), ill. p. 19; L. Laureati, in L. Laureati e L. Trezzani, a cura di, "Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo", catalogo della mostra (Roma, Chiostro del Bramante), Roma, 2003, p. 196.
Vincoli: l'opera è in importazione temporanea in Italia.Stato di conservazione. Supporto: 90% (lievi deformazioni e alterazioni agli angoli, in particolare nella parte destra)
Stato di conservazione. Superficie: 90% (sporadici ritocchi a seguito di cadute e consunzione di colore, specialmente nel cielo e ai margini)
Come ricorda Laura Laureati in un magistrale studio del 2005 su quest'opera, «Cinque, compresa questa, sono le vedute di Verona di Gaspar van Wittel (due su tela, due su rame e una su tavola), tutte diverse tra loro e tutte derivate da un unico disegno preparatorio del pittore conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma (Briganti 1996, pp. 251-252 nn. 322-325 e pp. 407- 408 e 410 n. D344; "Bernardo Bellotto" 2002, pp. 40-43 nn.1-2; "Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo", catalogo delle opere a cura di L. Laureati e L. Trezzani, Roma 2002, pp. 196-197 n. 63 scheda di Laura Laureati). Stranamente sono tutte e cinque datate, o databili, tra il primo e il secondo decennio del Settecento come se Gaspar van Wittel che pure in terra veneta doveva aver soggiornato fin dal 1694-95, in occasione del viaggio a Venezia, avesse atteso almeno un decennio per sviluppare quel disegno che probabilmente aveva già eseguito fin da allora. Il disegno preparatorio quadrettato, conservato, come tutto quell’importante nucleo di studi vanvitelliani, alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele di Roma, risale, quasi certamente, all’ultimo decennio del Seicento. Rispetto ai dipinti presenta una visione più ristretta del luogo raffigurato. Sul lato sinistro è tagliato all’altezza della cupola di San Giorgio in Braida e inoltre la veduta dell’Adige si interrompe sul davanti, laddove è ancorato il mulino galleggiante. Lo studio omette cioè tutto il primo piano a sinistra, la strada che parte dalle mura scaligere, prosegue fino alla casa affiancata dal bel portale d’ingresso che apre su un giardino alberato e si conclude con il muro di cinta della stessa proprietà. Possiamo quindi supporre che dal fondo fino al mulino la veduta, già tracciata dal pittore nel disegno preparatorio, sia reale e che il primo piano con il viale fiancheggiato dal muraglione sia invece frutto dell’invenzione vanvitelliana e della volontà di costruire una composizione pittoricamente equilibrata, un espediente questo frequente nell’opera del maestro olandese. Di diversa opinione è Flavia Pesci che, nella scheda di catalogo della recente mostra delle vedute veronesi di Bellotto ed altri artisti, a proposito della "Veduta di Verona" di Gaspar van Wittel conservata nella Galleria Palatina di Firenze, scrive che l’esistenza della casa a portale bugnato è confermata, in linea generale, da un gruppo di edifici documentati in stampe topografiche della città (in Bernardo Bellotto.. 2002, p.42).»
Questa «Veduta di Verona di Gaspar van Wittel» - sottolinea la studiosa - è «documento fondamentale per un’ideale ricostruzione dell’aspetto originario della cinta delle mura, costruite da Cangrande della Scala, e precisamente per quel tratto che va dal bastione delle Boccare al bastione di San Giorgio, tratto demolito dagli austriaci alla fine dell’Ottocento. La Veduta è presa da un punto poco più a monte dell’attuale ponte Garibaldi, sulla riva sinistra dell’Adige, guardando verso oriente. Si notano, sulla sinistra, l’ultimo tratto delle mura scaligere e le due torri della porta San Giorgio che è nascosta dietro gli alberi che ombreggiavano lo spazio fuori dalle mura della città. Dietro i bastioni compare la parte superiore della facciata di San Giorgio in Braida con la cupola del Sammicheli e l’imponente annesso monastero quattrocentesco che si affaccia lungo il fiume, presente nella veduta vanvitelliana e demolito, a più riprese, nel 1816 e nel 1837. Al di là della cinta muraria si intravede, posto trasversalmente rispetto alla facciata di San Giorgio, il corpo e il campanile della perduta chiesetta del Cristo, ampliata nel Seicento con un oratorio per ospitare la Confraternita della Disciplina e distrutta nel 1832-33. Al centro, dopo il bastione delle Boccare, si vede il proseguimento delle mura che s’inerpicano su per il colle e limitano quella parte della città, sulla riva sinistra del fiume. Sul colle, a destra, compaiono le torri e le mura del castello visconteo demolito dai francesi nel 1801 e, all’estrema destra, sulla riva opposta, il corpo laterale della fabbrica del Duomo. Il mulino galleggiante sull’Adige, al centro del dipinto è preso dal vero, come mostra anche il disegno preparatorio, e appartiene a quel gruppo di mulini che caratterizzavano il paesaggio fluviale veronese fino all’inizio del Novecento. Puntuale, come scrive Flava Pesci, è... la descrizione della sequenza del tratto di case in destra d’Adige e del punto di approdo per il battello all’altezza del duomo...utilizzato almeno fino all’Ottocento inoltrato, ricordato oggi dal toponimo di riva Battello presso il ponte Garibaldi (in Bernardo Bellotto.. 2002, p. 42).»
«Gaspar van Wittel dipinge Verona come se ritraesse Roma, la sua Roma e un tratto del Tevere. L’Adige popolato da barche e mulini, abitato da gentiluomini e popolani seduti su rocchi di colonna e frammenti lapidei di antichi edifici, potrebbe facilmente confondersi con un’ansa del Tevere, all’altezza di San Giovanni dei Fiorentini o di Castel Sant’Angelo. La vita della città lungo il fiume doveva senz’altro affascinare un pittore olandese come Gaspar van Wittel che quegli aspetti li conosceva bene e proprio su quelle immagini “acquatiche” si era, probabilmente, formato guardando, tra gli altri, i dipinti di un altro olandese, Gerrit Berkheide, che di Amsterdam amava raffigurare proprio la vita lungo i canali».
A questo proposito, svolge una acuta osservazione Giorgio Marini, ricordando come «le versioni dipinte sono accomunate da una luce chiara mattutina che equilibra la natura e la veduta urbana ancora secondo matrici del paesaggismo "eroico" del Seicento romano. E un ricordo romano può essere anche l'inserto, arbitrario, della quinta architettonica a sinistra in primo piano, col portale in bugnato e il grande pino a ombrello, presente in tutte le redazioni. [...] la qualità pittorica risulta sempre molto elevata, come conferma anche una redazione su tela [rectius, su rame, si tratta della versione oggi in asta] firmata dall'artista dove oggi in collezione privata, dove con inusitato taglio costruttivo l'inquadratura lascia più della metà del campo a un cielo apertissimo. Piuttosto che ripetizioni seriali, le molteplici versioni, ognuna in qualche modo diversificata nell'impianto luministico o nell'inserto delle macchiette, attestano invece un allargata richiesta collezionistica di questo felice scorcio fluviale veronese. Ripresa con la visuale attenta del topografo, la veduta documenta il ruolo vitale dell'ampia via d'acqua in corrispondenza di un accesso alla città da nord e presso il punto di approdo di un battello che traversava il fiume all'altezza del duomo - ancora ricordato oltre un secolo dopo nei taccuini di Pietro Ronzoni - e il fervore dei traffici di barcaioli, pescatori, trasportatori, lavandaie e mugnai. Essa conferma il merito fondamentale di Van Wittel nell'aver ampliato, nei suoi viaggi per la penisola, il repertorio dell'Italia da vedere e da ritrarre: segno evidente di un radicale mutamento delle abitudini visive verso forme di più razionale applicazione e nel formarsi di un più promettente mercato - ma, ahimè, non ancora a Verona - per i pittori di vedute» (Marini 2002, p. 18).
Così come Giorgio Marini, Laura Laureati segnala per la "Veduta di Verona" in asta una datazione tra il primo e il secondo decennio del Settecento: «Nonostante l’uso di questo supporto non sia frequente nell’opera dell’artista olandese, curiosamente, proprio della veduta di Verona esiste anche un’altra versione su rame, datata 1719, all’incirca delle stesse dimensioni di questa, ma diversa sia nel formato che nella scelta delle figure. A proposito dell’uso vanvitelliano di questo prezioso supporto dobbiamo ricordare che, nel 1844, nella collezione napoletana dei principi Caracciolo d’Avellino si trovavano ben nove vedute di Gaspar van Wittel su rame (tre di Roma, due di Napoli, due di Firenze, e due di Venezia) che oggi abbiamo quasi interamente identificato (Laura Laureati, Note sul collezionismo vanvitelliano, in Giuliano Briganti 1996, p.13)».
La scheda è in larga parte estratta dallo studio dedicato da Laura Laureati all'opera nel 2005, nel quale la studiosa corregge e integra anche la bibliografia esistente che riporta l'opera come su tela e di dimensioni 50x40 cm, ripetendo a cascata un errore di catalogazione occorso nel volume di Briganti del 1966 ("Gaspar van Wittel e l’origine della veduta settecentesca", Roma 1966, p.243 n.185), tempo in cui il dipinto era conosciuto soltanto attraverso una foto in bianco e nero ancora conservata nell'archivio Briganti-Laureati.
La Professoressa Laureati, che ringraziamo per il prezioso supporto, ha riconfermato i contenuti dello studio con comunicazione del 25 ottobre 2023.