Asta N. 14 - Arte Antica, Moderna e Contemporanea
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Lotto 25 ALESSANDRO TURCHI, detto l’Orbetto Verona 1578 - Roma 1649 Cristo e l’Adultera Olio su tela, cm 111,5 x 82 Come noto Alessandro Turchi, detto l’Orbetto, fa parte del gruppo dei pittori veronesi che a Roma si avvicinano al naturalismo caravaggesco passando attraverso il filtro del Borgianni e del Saraceni. Quest’alchimia determina la nascita di un linguaggio che si potrebbe definire una sorta di caravaggismo classicista, depurato dai toni drammatici del Merisi e più orientato a un cromatismo luminoso e netto, ad espressioni pacate. I tre veronesi cominciano a lavorare proprio con il Saraceni nel 1616 presso la Sala Regia del Qurinale, esperienza fondamentale per la maturazione di questa nuova e precoce forma di caravaggismo. Dal 1616 in poi il Turchi soggiornò stabilmemnte nella città papale stabilendosi, come ricorda Marini, nel rione della parrocchia di Santa Maria del Popolo. L’Orbetto diventa subito un maestro molto inserito nel contesto romano, come provano l’elezione a principe dell’Accademia di San Luca nel 1637 e la successiva nomina in qualità di membro dell’Accademia dei Virtuosi al Pantheon. La tela in esame può essere datata secondo Marini tra il 1625 e il 1628, nel periodo quindi maturo dell’Orbetto a Roma e nella fase determinante del rapporto con Ciriaco Mattei; qui il suo stile assume caratteri ben consolidati nei termini di un caravaggismo ossequioso e stemperato. I confronti tra il Cristo e l’Adultera in esame e le opere certe dell’Orbetto sono molteplici: si può citare la stringente assonanza tra l’Adultera del nostro e l’Allegoria della Carità conservata alla National Gallery of Victoria in Australia, o con la bellissima Santa Maria Maddalena penitente alla Pinacoteca di Brera di Milano. La tipologia dolce e solida del volto femminile dell’Adultera si ritrova anche nella straordinaria tela con Ercole ed Onfale conservata presso la Alte Pinakothek di Monaco di Baviera. Il dipinto è in ottimo stato di conservazione.
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Lotto 26 LUCA LONGHI Ravenna 1507 - 1580 Madonna col Bambino, San Giuseppe, san Girolamo e un santo vescovo Olio su tavola, cm 93 x 71,5 La tavola in esame costituisce un raro esempio di cultura figurativa manierista romagnola, dove convivono tratti tipici del lessico umbro raffaellesco assieme a stilemi più locali, come un richiamo alle opere di Francesco Zaganelli. Il Longhi fu abile ritrattista, come ricorda Vasari, e questa peculiarità emerge soprattutto nella figura del vescovo in basso a destra forse identificabile con un committente. Confronti molto efficaci sono con la Madonna e il Bambino tra i Ss. Francesco e Giorgio nel Muinicipio di Sant’Arcangelo di Romagna e con la Circoncisione nella Pinacoteca Nazionale di Ferrara. La tavola si presenta in ottimo stato di conservazione. Perizia autografa di Emilio Negro
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Lotto 27 GIOVANNI BATTISTA SALVI, detto il Sassoferrato Sassoferrato 1609 - Roma 1685 Madonna in preghiera Olio su tela, cm 74 x 60 L’opera è tipica della produzione matura del Sassoferrato, dove come è noto il soggetto della Madonna Orante ricorre molte volte con piccoli scarti nella posa del volto, delle mani, della inquadratura della figura. Il dipinto in oggetto è una delle molte repliche autografe della Madonna Orante conservata alla National Gallery di Londra, di cui vanno segnalate almeno altre due di qualità consimile alla nostra conservate presso la Walters Art Museum di Baltimora e l’Accademia Carrara di Bergamo, quest’ultima tagliata ai quattro lati. Più corsiva la versione conservata a Genova nella Galleria di palazzo Bianco, rispetto alla qualità indubbiamente alta della nostra.
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Lotto 28 LUCA GIORDANO Napoli 1634 - 1705 Allegoria della scrittura Olio su tela, cm 123 x 95 L’opera è da considerare certo autografo del maestro napoletano, tra i maggiori protagonisti della pittura barocca in Italia. Come noto la produzione di Giordano è talmente vasta che risulta talvolta ozioso proporre confronti con opere note, trattandosi il suo di un linguaggio molto riconoscibile. La tela in oggetto è da considerare realizzata dopo i soggiorni veneziani, in particolar modo quello del 1653, risultando quasi palmare il confronto tra il viso molto dolce ma dalla forte presenza scenica di questa allegoria e un opera come Venere, Cupido e Marte del 1663, dipinto molto noto conservato al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli. Il trattamento degli incarnati e dei tratti somatici dei volti costituisce quasi una firma giordanesca; uno sfumato impercettibille riesce a costruire un solido impianto classicheggiante e luministico, trattando i chiaroscuri sfruttando la preparazione rossiccia del fondo. Il dipinto può essere datato agli inizi degli anni sessanta del Seicento. L’opera è in ottimo stato di conservazione.
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Lotto 29 BENEDETTO GENNARI Cento 1633 - Bologna 1715 Giuditta con la testa di Oloferne Olio su tela, cm. 124,5 x 118 perizia autografa di Andrea Emiliani La tela è senza dubbio, come sottolinea Andrea Emiliani, opera di Benedetto Gennari, nipote del Guercino ed erede come noto della fiorente bottega del maestro emiliano. Lo stile del Gennari è assai simile ma facilmente riconoscibile dalla mano del ben più celebre zio, del quale riprende l’intonazione drammatica e chiaroscurata senza arrivare però allo straordinario sfumato e alla solennità tipioca del Guercino. Nel caso della tela in esame la constatazione della differenza tra zio e nipote è tanto più evidente quanto semplice è la riconoscibilità delle due mani, presenti entrambe nella composizione. Come giustamente sottolinea l’Emiliani il prototipo che Gennari vide fu senza dubbio la straordinaria Giuditta e Oloferne conservata al Musée des Beaux-Arts de Brest, realizzato dallo zio per lo speziale Giacomo Zanoni, come ricorda il Libro dei conti in data 1 aprile 1651; la differenza stilistica tra la tela oggetto del nostro esame e il prototipo oggi in Francia è netta, tuttavia utile a far capire come nella nostra il volto e le braccia di Giuditta sino senz’altro realizzate dal Guercino. Ciò non toglie freschezza e potenza alla mano del Gennari, che resta più netta nei passaggi cromatici e tagliente nella definizione dei panneggi ma non per questo di secondo piano rispetto a quella del Guercino. Dalla Giuditta e Oloferne di Brest viene meno il senso teatrale e ampio della scena, dove lo scatto di Giuditta con la spada è ancora memore di un retaggio reniano, quella sensibilità ancora barocca come giustamente sottolineato dall’Emiliani. La resa delle figure nella nostra tela è così leggermente più in posa del prototipo ma non per questo meno efficace. La datazione dovrebbe assestarsi a ridosso della tela Francese, attorno al 1655, un Gennari poco più che ventenne. Lo stato di conservazione dell’opera è eccellente, sia nel supporto che nell’adesione del colore all’imprimitura.
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Lotto 30 CALLISTO PIAZZA (attr.) Lodi 1500 - 1561 Cristo alla colonna olio su tavola, cm 48,5 x 34,5 Questa piccola tavola è da considerare un importante ritrovamento in seno alla pittura lombarda della prima metà del XVI secolo. Secondo Emilio Negro diversi sono i contatti con artisti di quel periodo tra cui Giovanni Agostino da Lodi, Ludovico Mazzolino, Dosso Dossi e il Romanino. L’accostamento a Piazza segue un percorso stilistico preciso, che partendo da una base palesemente leonardesca di tutte e tre le figure (lo sfumato della fisionomia del Cristo che resta comunque ben definito, i tratti carricaturali e netti dei due flagellatori) viene filtrato dal linguaggio del Romanino dal quale il Piazza rimase fortemente suggestionato, assieme a quello del Pordenone. Ne risulta una pittura di stampo manierista dai toni pacati ma energica nella stesura pittorica e nell’uso della luce. Molto interessanti i confronti proposti da Emilio Negro (Visitazione nella chiesa di Santa Maria in Calchera a Brescia, polittico con Storie di San Giovanni Battista nella chiesa dell’Incoronata a Lodi), mentre si segnala, soprattutto per i tratti sfumati e decisi del volto di Cristo, un raffronto stringente con un ritratto di gentiluomo, olio su tela cm. 96 x 86 conservato al Metropolitan Museum of Art di New York. La tavola si presenta in ottimo stato di conservazione sia per le condizioni del supporto che per la pellicola pittorica, con le velature sol corpo di Cristo in gran parte intatte. Perizia autografa di Emilio Negro
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Lotto 31 FLAMINIO TORRI (attr.) Bologna 1621 - Modena 1661 San Francesco in meditazione Olio su tela, cm 73,5 x 98 In questa sede si vuole proporre per l’opera in esame un riferimento più che certo al maestro bolognese, note anche come Flaminio Torre, allievo del Cavedoni e del Reni. Del San Francesco esistono molteplici versioni di cui quella in oggetto può essere considertata tra le migliori. Si segnalano per la forte analogia il san Francesco in cillezione privata a Trento (cat.Fondazione Zeri n.54577) e una seconda versione in collezione privata a Bologna (cat.Fondazione Zeri n.54583), In entrambe le versioni succitate la posa del santo è in controparte. Il dipinto è in perfetto stato di conservazione.
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Lotto 32 ERCOLE DE MARIA San Giovanni in Persiceto (notizie nella prima metà del XVII secolo) Profeta che legge Olio su tela, cm 66 x 50 Perizia autografa di Andrea Emiliani Come noto Ercole De Maria fu tra i più stretti collaboratori e copisti di Guido Reni, dove ebbe a formarsi dopo un alunnato presso la scuola di Giovan Francesco Gessi. Il Malvasia diceva di lui che: “...non fu egli grand’uomo e da se poco far seppe, ma copiava ben poi le cose di quest’ultimo (Guido Reni) in modo che nissuno di quella gran scuola da quelle del maestro distinguerle talor sapea...”. Emiliani giustamente mette in risalto la somiglianza tra questa testa e alcuni notissimi prototipi Reniani come il San Girolamo della National Gallery di Londra o il Mosè alla Galleria Borghese di Roma, entrambe opere collocabili tra gli anni venti e trenta del XVII secolo. Il confronto più stringente resta comunque con un San Giuseppe conservato nei depositi della pinacoteca nazionale di Bologna, dove il ductus pittorico reniano potrebbe appartenere alla mano del De Maria stesso.
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Lotto 33 SCUOLA EMILIANA metà del XVII sec. San Marco Evangelista con un angelo Olio su tela, cm 56,5 x 75
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Lotto 34 SCUOLA TOSCANA Seconda metà del XVI secolo Ritratto di giovane donna con guanti e fazzoletto Olio su tavola, cm 87 x 68
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Lotto 35 SCUOLA ROMANA Prima metà del XVIII secolo Giuseppe nella fosse dei leoni olio su tela, cm 36 x 30 La scena deriva da un noto dipinto murale di Pier Leone Ghezzi realizzato per la navata centrale della basilica di San Clemente a Roma, raffigurante Sant’Ignazio di Antiochia nell’anfiteatro con i leoni. la mano è riconducibile ad un pittore romano della cerchia Ghezzi stesso.
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Lotto 36 Scuola Veneta Seconda metà del XVIII secolo Bozzetto con la Madonna e il Bambino e un santo domenicano Olio su tela, cm 32 x 45
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Lotto 37 SCUOLA BOLOGNESE Prima metà del XVII secolo La Maddalena in estasi Olio su tela, cm 73,5 x 93,5 Questa Maddalena rimanda a stilemi tipici della prima maniera reniana, ancora incline al caravaggismo, e agli esiti del primo Lanfranco. L’opera è in discreto stato di conservazione.
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Lotto 38 SCUOLA SICILIANA Prima metà del XVII secolo San Pietro con le chiavi in mano giunte in preghiera Olio su tela, cm. 66,5 x 87
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Lotto 39 MARCO BENEFIAL (attr.) Roma 1684 - 1764 Ovale con busto maschile Olio su tela, cm 56,5 x 75 Questa preziosa tela, probabile studio preparatorio per un affresco o particolare di una pala d’altare, è accostabile a diverse opere del maestro.
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Lotto 40 SCUOLA TOSCANA Seconda metà del XVII secolo Santa Caterina da Siena Olio su tela, cm 50 x 62
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Lotto 41 SCUOLA VENETA Prima metà del XVIII secolo Ritratto d’uomo con parrucca olio su tela, cm 45,5 x 61
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Lotto 42 TRUMEAU VENETO INIZI XVIII SECOLO placcato in radica di noce a due corpi, parte superiore a parallelepipedo con fronte a due ante con specchi sagomati, tenute da otto cerniere a fascietta in bronzo dorato e cesellato. Sotto gli sportelli due pianetti estraibili per candele con fascia inferiore a tre piccoli cassetti. Mobile sottostante con piano a ribalta, rientrante ed estraibile sotto il pianetto dell’ interno. Fronte inferiore a quattro cassetti continui con rientranza centrale “spazio gambe”. Interni del sopra e del sotto con piccoli cassetti placcati in noce e mogano con scomparti a giorno. Ambito di produzione Venezia 1730 ca. con stilemi di ebanisti inglesi e olandesi presenti a Venezia. Misure cm 200 x 130 x 160 Provenienza Elisa Napoleone Baciocchi Villa Vicentina Collezione Silvia Ciardi Villa Baciocchi, Villa Vicentina Collezione privata Villa Baciocchi, Villa Vicentina
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Lotto 43 TRUMEAU VENETO XVIII SECOLO a due corpi, placcato in ulivo, noce e radica di noce, con parte superiore a tabernacolo con tre cassetti laterali. Parte inferiore a ribalta con tre cassetti mossi con intarsi decorativi. Gambe a cipolla Miisure cm 190 x 90 x 60
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Lotto 44 Maestri ebanisti e bronzisti romani Dal prototipo di Gian Lorenzo Bernini per la Basilica di San Pietro in Vaticano Crocifisso Bronzo dorato e palissandro, allezza cm. 135 Questa stupenda croce d’altare, recante lo stemma cadinalizio dei Conti Negroni ai lati, deriva, come espresso da Alvar Gonzalez-Palacios, da uno dei due tipi di crocifissi realizzati dal Bernini per gli altari della basilica di San Pietro. I crocifissi vennero palasmati in cera da Ercole Ferrata nel 1659 sotto la supervisione del Bernini stesso e ancora oggi si trovano al loro posto. Se il crocefisso è diretta derivazione berniniana le caratteristiche della base rientrano nel pieno settecento romano, sia nel lavoro di ebanisteria in bois de violette e bois de rose sia nelle raffinatissime rifiniture in bronzo dorato. L’opera è in perfetto stato di conservazione
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Lotto 45 MAESTRI FIORENTINI Seconda metà del XVIII secolo Crocifisso bronzo dorato, argento e lapislazzuli h. cm 74,4
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Lotto 46 MAESTRO BRONZISTA ROMANO seconda metà del XVII secolo Acquasantiera con Assunzione della Vergine tra angeli Bronzo e Breccia Corallina, cm 68 x 52
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Lotto 47 ARGENTIERI SICILIANI prima metà del XVIII secolo Repositorio in argento sbalzato, siglato Omedeo Palermo 1726, h cm 48 x 49
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Lotto 48 Placido Costanzi (Roma, 1702 - 1759) L’Immacolata Concezione Olio su tela, cm. 130 x 90 L’opera si può collocare nell’ambito dell’attività matura del noto maestro romano Placido Costanzi. Costanzi fu tra i maestri più fini della Roma nella prima metà del Settcento, probabile allievo di Filippo Trevisani e con molte vicinanze alle morbide stesure tardo barocche di Sebastiano Conca. La pala in esame è tratta in modo letterale dall’ovale con medesimo soggetto eseguito dal Costanzi come pièces de réception per l’Accademia di San Luca, assieme ad un altro ovale con un Cristo in gloria, entrambi datati al 1741. La nostra derivazione, tranne la scelta del formato rettangolare e non ovale, è in tutto simile al prototipo di San Luca. La posizione della Vergine sulla nuvola e la mezzaluna, con la corona di stelle, il cerchio di putti alati disposti sotto di essa, come a sorreggerla, e sulle nuvole di sfondo con una gamma cromatica più tenue, si ritrovano citati letteralmente nella nostra pala. La disposizione delle figure non è casuale: la Vergine, con gli angeli sottostanti, forma una composizione piramidale che occupa quasi tutto il campo visivo e rimanda con evidenza al simbolismo trinitario. Da sottolineare che il soggetto in esame non era ancora, nel Settecento, completamente condiviso all’interno della Chiesa Cattolica Romana; il dogma dell’Immacolata Concezione venne infatti promulgato oltre un secolo dopo, da papa Pio IX, con la bolla Ineffabilis Deus datata al 1854, che sancì come la Vergine fu concepita da Gioacchino ed Anna priva del peccato originale. A livello linguistico la pala in esame mostra il maestro nella sua matura fase classicista, scelta che non caratterizzò sempre la sua attività, sovente espressa in forme di più acceso gusto rocaille. Il giovane Costanzi, esperto anche di pittura murale, fu infatti capace di imprese colossali come la grande volta della chiesa di San Gregorio al Celio a Roma (La gloria dei Santi Gregorio e Romualdo e il trionfo della Religione Cristiana, circa 1727) dove la macchina scenica deve molto alla suggestione degli apparati effimeri assai in voga nella città papale nel corso del XVIII secolo. Il Costanzi che traspare dalla mostra pala, che è logico datare in prossimità dell’esecuzione del prototipo dell’Accademia di San Luca, è quello che troviamo nel medesimo soggetto, realizzato però ad affresco, nell’abside della chiesa di Santa Maria in Campo Marzio a Roma, datata a 1731. Qui la concezione della scena (che d’altronde non lascia molto spazio a sperimentazioni iconografiche) è in tutto un’anticipazione di quella di San Luca, con l’unica differenza della posa delle mani e del viso della Vergine. La gamma cromatica smaltata della nostra pala pone i presupposti del Costanzi quasi pre-neoclassico che troviamo in opere come Clelia davanti a Persenna, tela oggi conservata al Palazzo Reale di Torino e datata al 1749. La disposizione delle figure regolare, con rimandi bilanciati ed espressioni serene, di ascendenza classico-reniana, è quella che in nuce troviamo nell’Immacolata concezione in esame.