MERAVIGLIE ATTO II. LA GIOIA A COLORI. TORNATA FINALE
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Lotto 323 Federigo Andreotti (1847 - 1930)
La lettura, 1900
Olio su tela
190 x 113 cm
Firma: Firma al recto
Provenienza: Finarte, Milano, 1992; Christie's Roma, 2.12.1997, lotto 235
Stato di conservazione. Supporto: 80%
Stato di conservazione. Superficie: 80% (consunzione, un graffio e una piccola foratura) -
Lotto 326 Domenico Maggiotto (1712 - 1794)
Madonna orante
Olio su tela
54 x 51 cm
Elementi distintivi: sul verso, etichetta di vendita della Casa d’Aste Semenzato, n. 461
Provenienza: Raccolta Italico Brass, Venezia; Sotheby's, Firenze, 18 dicembre 1976, l. 96 (come Cappella); Casa d’Aste Semenzato, Venezia (26-27.03.2011, l. 461, stima € 23.000-26.000); Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: A. Ravà, G. B. Piazzetta, Firenze, 1921, p. 60 e fig. 50 (Piazzetta); R. Pallucchini, L'arte di G. B. Piazzetta, Bologna, 1934, p. 112 (Piazzetta, con attribuzione incerta); U. Ruggeri, Francesco Cappella, Bergamo, 1977, p. 174 (attribuzione incerta); A. Mariuz, Piazzetta, Milano, 1982, pp. 127-128, A124 (come opera di scuola)
Stato di conservazione. Supporto: 70% (reintelo)
Stato di conservazione. Superficie: 80% (graffi, cadute di colore, riprese pittoriche)
Nella sua monografia su Piazzetta del 1921, Aldo Ravà ha registrato la tela nella raccolta del rinomato pittore Italico Brass (1870-1943), insieme ad altri 5 dipinti e 15 disegni (pp. 60 e 71, tav. 50). Rodolfo Pallucchini, nella monografia dedicata a Piazzetta nel 1934 considera l'opera di attribuzione incerta (p. 112), così come Ruggeri nella sua monografia su Francesco Cappella (1977, p. 174, riferendo di non aver visto il dipinto dal vero) e A. Mariuz nel catalogo ragionato del 1982 (pp. 127-128, cat. A124). Nonostante alcune similitudini con Piazzetta (cfr per esempio la Vergine col Bambino Gesù già in collezione Viezzoli a Genova, in R. Pallucchini, Piazzetta, 1956, Milano, tav. 93; altra versione testimoniata dalla redazione a stampa di Giuseppe Baroni, in G.B. Piazzetta. Disegni - Incisioni - Libri - Manoscritti, con introduzione di W. Knox, Vicenza, 1983, cat. 120), questa giovane Madonna va ricondotta alla sua complessa scuola, ed in particolare a Francesco Maggiotto.
Il merito della attribuzione va a Roldofo Pallucchini, che la propone in una perizia oggi perduta ma ricordata nel catalogo d'asta Semenzato (2011). La proposta è ritenuta pertinente da Giuseppe Pavanello (comunicazione del 25 novembre 2021) e da Marco Horak, che all'opera ha dedicato una importante scheda critica. Come sottolinea Horak «la formazione del Maggiotto avvenne nell’ambito della bottega di Giovanni Battista Piazzetta dove entrò giovanissimo, all’età di soli 10 anni, e dove si distinse come uno degli allievi dotati di maggior talento. È possibile disegnare la parabola artistica del Maggiotto suddividendola in tre diversi periodi che hanno contraddistinto la sua produzione: una prima lunga fase, fino al 1755, in cui le sue opere si basavano quasi completamente sui dettami stilistici del suo maestro Giovanni Battista Piazzetta, una seconda fase in cui Maggiotto si indirizzò verso soluzioni cromatiche molto più varie, ampliando il proprio bagaglio artistico in virtù delle esperienze che gli derivavano dall’avvicinamento a Giambattista Tiepolo (nell’ambito dell’Accademia veneziana di pittura e scultura, presieduta dal Tiepolo), infine il periodo della vecchiaia di Maggiotto, dopo il 1765, in cui il pittore si riavvicina ai modelli giovanili e quindi alle opere del suo maestro Giovanni Battista Piazzetta. Queste considerazioni ci spiegano le ragioni per cui la figura artistica del Maggiotto è stata relegata in passato al mero ruolo di promettente scolaro del Piazzetta e le sue opere frequentemente confuse con quelle del suo mentore. Solo in tempi relativamente recenti e a partire dall'esame di poche sue opere firmate, o comunque basate su fonti documentarie, si è giunti alla formulazione di un catalogo formato da una cinquantina di dipinti di autografia certa, la cui corretta attribuzione è stata pure corroborata dal confronto con incisioni di derivazione. Ed è stato proprio attraverso questo lavoro di ricerca e approfondimento che si è giunti, per merito del già citato Rodolfo Pallucchini, ad assegnare correttamente la pregevole Madonna in preghiera in esame alla mano di Domenico Fedeli detto il Maggiotto. L’opera, pienamente fedele al chiaroscuro piazzettesco dalle tonalità bruno-rossastre, è a mio parere collocabile entro il 1750 e si caratterizza per il rigore di un meccanismo compositivo essenziale, che tende ad enfatizzare l’atteggiamento di sereno misticismo della Vergine, in cui spicca una grande e raffinata delicatezza nelle forme, accompagnate dal già citato forte contrasto in chiaroscuro che, in virtù dell’orientamento della luce spiovente dall’alto conferisce risalto agli incarnati, nei quali si apprezzano le ombre e le morbide e delicate sfumature.». La pregevole lettura di Marco Horak segnala nel dipinto anche il testimone di un cambiamento di gusto nella «grande committenza privata veneziana: infatti le grandi composizioni di genere storico e mitologico, fino ad allora testimonianza di fedeltà ai canoni etici stilistici degli illustri antenati, iniziarono a decadere in favore di un gusto più introspettivo, funzionale ad un ruolo dell’arte più orientato all’intimità».
In subordine a Maggiotto, il dipinto può essere avvicinato a Giuseppe Angeli (1709-1798): si veda per esempio - nella postura e nella resa anatomica e dei panneggi - la figura della Madonna nella pala con l'Immacolata e Santi nella chiesa di San Francesco della Vigna a Venezia (1756) e nella pala con San Felice da Cantalice che riceve Gesù Bambino nella chiesa dello Spirito Santo a Cortona (fototeca Zeri, n. 69021). Meno vicino, Francesco Daggiù detto il Cappella, per esempio nella pala con Santa Margherita e il beato Guido Vagnottelli intercedenti per le anime del Purgatorio", presso l'Oratorio di Villa Tommasi a Metelliano (fototeca Zeri, n. 69064; Ruggeri, 1977, fig. 13; vedi anche figg. 11, 19, 36).
Ringraziamo Marco Horak e Giuseppe Pavanello per il supporto nella catalogazione dell'opera. -
Lotto 334 Ludovico Carracci (1555 - 1619) , attribuito a
Erminia e i pastori, 1592-1593 ca.
Olio su tela
93,5 x 132,5 cm
Elementi distintivi: al verso, inventario d'asta "RV551" in stencil
Provenienza: Osuna Gallery, Washington; Christie's, 24 aprile 1998, l. 141 (Ludovico Carracci); collezione privata
Bibliografia: D. Steven Pepper, "Ludovico Carracci: A new sequence of his works and additions to his catalogue", in «Accademia Clementina. Atti e memorie», Nuova serie, XXXIII-XXXIV, 1994, pp. 63-64, appendice II, tavola IV (pubblicazione revisionata da Andrea Emiliani e Denis Mahon) ("Ludovico Carracci"); Denis Mahon, "Quando conobbi Guercino", "Quadri & Sculture", Roma, gennaio-febbraio 1999, n. 4, anno VII, pp. 32-35, ill. ("Ludovico Carracci"); Carlo Giantomassi e Donatella Zari, "Tasso a colori. I dati del restauro di un capolavoro giovanile di Ludovico Carracci che rappresenta un episodio della Gerusalemme liberata", in Quadri e Sculture, anno IX, n. 37, Roma, 2001, pp. 34-37, ill (Ludovico Carracci); Alessandro Brogi, "Ludovico Carracci", 2 voll, Ozzano Emilia, 2001, R18, p. 256.
Stato di conservazione. Supporto: 80% (rintelo, forse a seguito di uno o due sfondamenti risarciti)
Stato di conservazione. Superficie: 70% (numerose cadute, svelature e ridipinture distribuite in particolare nella selva, ma anche sui personaggi)
Il dipinto, in prestito alla Pinacoteca Nazionale di Bologna dal 1999 al 2014, rappresenta "Erminia tra i pastori", un tema caro a Ludovico Carracci, mutuato dal libro VII, ottave 1-22, della "Gerusalemme liberata" di Torquato Tasso. Dopo aver assistito al duello fra Tancredi e Argante dalle mura di Gerusalemme, la principessa Erminia, segretamente e infelicemente innamorata del guerriero cristiano, esce dalla città con indosso l'armatura di Clorinda, nel tentativo di recarsi al campo crociato per curare il suo amato, ma viene avvistata dalle sentinelle e messa in fuga, mentre Tancredi la insegue credendo che si tratti della donna da lui amata. Dopo una fuga precipitosa che ricorda in parte quella di Angelica nel "Furioso", Erminia raggiunge un villaggio abitato da pastori, uno spazio idilliaco, dove viene ospitata per qualche tempo nella speranza di dimenticare il suo amore infelice. La scena rappresentata da Carracci nella nostra tela è, in particolare, descritta, nelle ottave 6-8:
Risorge, e là s'indirizza a passi lenti
e vede un un uomo canuto a l'ombre amene
tesser fiscelle a la sua greggia a canto
ed ascoltar di tre fanciulli il canto.
Vedendo quivi comparir repente
l’insolite arme, sbigottír costoro;
ma li saluta Erminia e dolcemente
gli affida, e gli occhi scopre e i bei crin d’oro:
«Seguite,» dice «aventurosa gente
al Ciel diletta, il bel vostro lavoro,
ché non portano già guerra quest’armi
a l’opre vostre, a i vostri dolci carmi.»
Soggiunse poscia: «O padre, or che d’intorno
d’alto incendio di guerra arde il paese,
come qui state in placido soggiorno
senza temer le militari offese?»
«Figlio,» ei rispose «d’ogni oltraggio e scorno
la mia famiglia e la mia greggia illese
sempre qui fur, né strepito di Marte
ancor turbò questa remota parte.
La versione in asta, pubblicata per la prima volta da Steven Pepper nel 1994, venne confermata autografa separatamente da Denis Mahon, Andrea Finaldi, Andrea Emiliani e Yadranka Bentini, con visione dal vero, nonostante lo stato conservativo apparentemente precario, mentre incontrò, nel 1998, il parere negativo di Babette Bohn, espresso sulla base dell'immagine pubblicata in Pepper 1994 (comunicazioni orali). Nel 1998-1999 è stata sottoposta ad un accurato intervento di restauro da parte di Carlo Giantomassi e Donatella Zari che è riuscito a restituire la magistrale qualità dell'anziano pastore. Nel restauro è inoltre emerso che il dipinto non è finito: «La stesura pittorica è particolarmente interessante perché si tratta di un dipinto non finito: la tecnica esecutiva e la successione delle stesure sono per questo motivo percepibili più facilmente: in particolare, del dipinto sono compiutamente realizzati il cielo con le sue nuvole corpose, gran parte del paesaggio, gli alberi e erbe in primo piano. La figura di Erminia è completata in gran parte così come il pastore in primo piano; mancano alcune finiture nei pastori in secondo piano appoggiati a massi che sono ancora al primo stato di abbozzo. Il gregge è delineato da vivide pennellate bianche, le cascatelle e i riverberi dell'acqua nel fiume sono appena accennati con colori limpidissimi. Le figure sono costruite con lievi linee chiaroscurali, di colore bruno che disegnano le parti in ombra ed i panneggi; immediatamente successiva è la delineazione delle parti in luce degli incarnati, dipinti con pennellate corpose che creano rilievi materici nelle sovrammissioni, mentre le ombre affiorano appena dalla preparazione, che assume una precisa valenza pittorica. I colori usati sono bianco e giallo di piombo, nero avorio, terre ed ocre, cinabro, lapislazzuli, azzurrite e bruni trasparenti. [...] La preparazione ad olio, bruno rossiccia, contenente bolo, è quella tipicamente usata dai pittori emiliani alla fine del cinquecento e nei primi anni del seicento, stesa a pennello in strato abbastanza sottile, lascia leggermente in evidenza la trama della tela» (Giantomassi-Zari 2001, pp. 35-36). Ha trovato altresì conferma un danno alla superficie pittorica, da ascriversi principalmente alle due foderature subite dalla tela, di cui la prima «con colla di pasta senza aver prima adeguatamente impermeabilizzato la preparazione ha prodotto rigonfiamenti e cadute di colore localizzati soprattutto sul gruppi di alberi sulla destra e lungo i bordi» mentre a seguito della seconda, che «non consolidava adeguatamente lo strato pittorico, che di conseguenza, appariva corrugato e viziato da sollevamenti e piegature; la superficie era quasi totalmente sfigurata da vernici ossidate, recenti ridipinture e grossolane stuccature» (Giantomassi-Zari 2001, p. 37).
Un'altra versione di questo soggetto, di minori dimensioni e più aulica, datata al 1603, ma riferita da parte della critica a Francesco Brizio per ragioni di stile e di iconografia(Clovis Whitflied, comunicazione del 4 ottobre 2004; Alessandro Brogi, "Francesco Brizio: il “paesare di penna” e altre cose", in «Studi di Storia dell’Arte», IV, 1993, pp. 85-127, pp. 90-91; Alessandro Brogi, "Ludovico Carracci (1555-1619), Bologna, 2 voll, 2001, vol. 1, pp. 255-256, R16 e pp. 285-286, P37; Alessandro Brogi, "Ludovico Carracci. Addenda", in "Nuovi Diari di lavoro", n. 2, 2016, Bologna, p. 52; ), è conservata presso il Real Palacio de la Granja de San Ildefonso, in Spagna. Questa versione è stata messa in relazione con la committenza da parte di Giovanni Battista Agucchi. «Monsignor Agucchi aveva letto con attenzione il Tasso, ed era rimasto particolarmente colpito da alcuni episodi, come quello di Erminia che arriva tra i pastori, ed il contrasto tra locus terribilis e locus amoenus che vi si verifica. Vi trovava una corrispondenza con la sua situazione, che il prelato descrive in numerose lettere, di permanenza travagliata e quasi forzata nella corte, mentre la sua inclinazione personale era verso la quiete e la contemplazione. Così Giovanni Battista Agucchi commissiona una sua impresa dipinta, con tema Erminia tra i pastori, a Ludovico Carracci, durante il breve soggiorno a Roma di questo alla fine della primavera del 1602. Agucchi invierà al pittore anche il programma iconografico preciso, intitolato Impresa per dipingere la storia di Erminia, capace di esprimere anche il «sentimento» del suo anelito di cambiamento a una vita maggiormente contemplativa. Ludovico non esiterà a interpretare in modo maturo le richieste del committente, aggiungendo un carattere di «conversione filosofica» alla scena». (Daniela Silvana Astro, "Anticipazioni della Poetica degli Affetti di Pomponio Torelli nel pensiero di Torquato Tasso", in Bollettino Telematico dell'Arte, 19 Novembre 2018, n. 858).
Alessandro Brogi - che non ha visto il dipinto dopo il restauro - non concorda con l'attribuzione a Carracci neppure della tela in esame, «senza mezzi termini» [...] «prodotto di tutt'altra area culturale. Dalle tipologie figurali alla luminosità della tavolozza, tutto rimanda inequivocabilmente ad un artista attivo a Roma nel pieno Seicento, toccato dagli esiti della cosiddetta corrente neoveneta cui fanno capo, per fare alcuni nomi - il giovane Poussin, Pier Francesco Mola, Pietro Testa e altri» (Brogi, 2001, I, p. 256).
In realtà, la costruzione dell'orizzonte richiama, per esempio, l'affresco con Simone imprigionato dipinto da Ludovico a Palazzo Fava, o, pur nella più chiara cromia, il suo "Martirio di Sant'Orsola e san Leonardo" conservato alla Pinacoteca Nazionale di Bologna; la figura del pastore ricorda le figure di anziani della Adorazione dei Magi già nella chiesa di San Bartolomeo di Reno, a Bologna, databile alla metà degli anni ottanta degli Cinquecento; le figure di secondo piano, pur svelate, richiamano, per il forte contrasto chiaroscurale dei volti, quelle del "Martirio di Sant'Orsola e delle compagne" (Imola, Chiesa dei Santi Nicola e Domenico).
Suggestivi sono anche i richiami ad un altro bolognese, Lorenzo Garbieri (1580–1654), detto il "nipote dei Caracci", allievo di Ludovico, che la tela in esame ricorda per la resa del bosco, l'orizzonte e, in modo limitato a causa delle svelature, le fisionomie (per esempio, "San Paolo Eremita e sant'Antonio Abate", già Amburgo, collezione Scholz-Forni, in Brogi, 2001, I, R52, e II, cat. 289), che pure sembra complessivamente più legnoso e rigido. -
Lotto 341 Emma Ciardi (1879 - 1933)
Paesaggio con sfilata di carrozze, 1903
Olio su tela
51,6 x 98,6 cm
Firma: Firma, parzialmente leggibile al recto
Data: Data, parzialmente leggibile, al recto
Provenienza: Sotheby's, New York, 5.5.1999, lotto 347
Stato di conservazione. Supporto: 80% (tela e telaio sostituiti)
Stato di conservazione. Superficie: 90% -
Lotto 350 Giuseppe Cesetti (1902 - 1990)
Paesaggio
Olio su tela applicata su tavola
31 x 45,5 cm
Firma: “Cesetti” al recto
Altre iscrizioni: sul verso, “2232/CG”
Elementi distintivi: sul verso della cornice, etichetta della Galleria del Secolo, Roma, con indicazioni relative alla cornice
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lotto 364 Giuseppe Uncini (1929 - 2008)
Composizioni astratte (recto verso), 1978-1980
Acquerello su carta
56 x 76,2 cm
Firma: “Uncini” a matita, al recto
Data: “1980” a matita al recto
Elementi distintivi: sul verso, etichetta Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana
Provenienza: Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana; Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95%
Il lavoro del 1978 fa parte della serie “Interspazi” e il lavoro del 1980 fa parte della serie “Dimora delle cose”. Entrambi i lavori sono Senza titolo: infatti, tutte le carte e disegni di Uncini non avevano titolo, a differenza delle opere scultoree. Il titolo sull’etichetta “Composizione astratta" è probabilmente posticcio. Rare, nella produzione di Uncini, le opere disegnate recto verso.
Ringraziamo l’Archivio Opera Giuseppe Uncini per il supporto nella redazione della scheda di catalogo, cortesemente concessoci in base all’esame delle immagini digitali e con riserva di verificare l’opera dal vero in sede di archiviazione. -
Lotto 368 Enrico Benetta (1977 circa)
In alto a sinistra si affacciano le stelle, 2005
Acrilico, smalto e sabbie su carta applicata su tela
60 x 180 x 5,5 cm
Firma: “Enrico Benetta”’ “EB” sul verso
Data: “Dicembre 2005” sul verso
Altre iscrizioni: “In alto a sinistra si affacciano le stelle… un cielo dipinto di viola intenso…: Silenzio! Si gioca la partita dell’amore! Né vinti, né vincitori… ho fatto la mia mossa… ora tocca te!” sul verso
Provenienza: Galleria d’Arte Martinazzo, Montebelluna; Veneto Banca SpA in LCA
Certificati: sul verso, certificato di originalità della Galleria d’Arte Martinazzo di Montebelluna
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lotto 370 Enrico Benetta (1977 circa)
Ho respirato il profumo del vento, 2004
Acrilico, smalto e sabbie su carta applicata su tela
100 x 180 cm
Firma: “E Benetta” al recto; “EB” ed “Enrico Benetta” sul verso
Data: “aprile 2004” al verso
Altre iscrizioni: “Ho respirato il profumo del vento/ ne ho rubato il colore / giallo… blu… verde… (impressione di luce vibrante di emozioni) / LA TOSCANA”, “per autentica “ sul verso
Provenienza: Veneto Banca SpA in LCA
Stato di conservazione. Supporto: 95%
Stato di conservazione. Superficie: 95% -
Lotto 373 Virgilio Guidi (1891 - 1984)
Paesaggio veneto, 1927 circa (recto); Paesaggio, 1928 circa (verso)
Olio su tavola
59,5 x 70 cm
Firma: “V Guidi” e “Virgilio Guidi” al recto
Elementi distintivi: sul telaio, etichetta stampata con nome, titolo “Paesaggio veneto”, tecnica, misure e anno 1932; sul verso della cornice, etichetta con numero 28540
Provenienza: collezione A. Giovanardi, Milano; Rigato Arte, Conegliano; collezione privata, Veneto, (fino al 2011); Veneto Banca SpA in LCA
Bibliografia: 300 Dipinti e disegni di Maestri contemporanei, Milano, 1962, ripr. n. 21; Giovanni Granzotto, Alessandro Rosa, De Chirico - Guidi. Due idee della metafisica, Sacile, Studio D'Arte G.R., 14 marzo - 18 aprile 1992, ripr. p. 55 n. 33; Franca Bizzotto, Dino Marangon, Toni Toniato, Virgilio Guidi. Catalogo generale dei dipinti. Volume primo, Milano, 1998, p. 83 n. 1918 4, p. 142 n. 1927 67
Esposizioni: 300 Dipinti e disegni di Maestri contemporanei, Milano, Galleria Brera, 19-30 maggio 1962; De Chirico - Guidi. Due idee della metafisica, Sacile, Studio d'arte G.R., 14 marzo - 18 aprile 1992
Stato di conservazione. Supporto: 95% (segni di chiodi lungo il bordo)
Stato di conservazione. Superficie: 95%
Il 25 aprile 1927 Virgilio Guidi si trasferisce da Roma a Venezia, dove viene chiamato per chiara fama a ricoprire la cattedra di pittura che era stata di Ettore Tito. Nella città lagunare, in cui non aveva mai dipinto fino a quel momento, l'artista approfondisce le sue ricerche sulla luce, centrali sin dai suoi esordi. Già nei paesaggi realizzati negli anni romani Guidi era stato mosso dall'esigenza di cogliere, nell'osservazione en plein air, una luce zenitale, unitaria e totalizzante, capace di dare unità a tutti gli elementi della composizione. Si trattava di una ricerca che, partita dalla riflessione sull'unità di forma-colore presente in maniere diverse in Cézanne e Matisse, si era andata poi nutrendo di stimoli quattrocenteschi e segnatamente pierfrancescani.
L'opera appartiene al nutrito gruppo di paesaggi realizzati lungo la strada verso Stra datati nel catalogo generale al 1927 (Bizzotto, Marangon, Toniato, 1988, pp. 137-142, nn. 1927 53 – 1927 68). Proprio nella cittadina di Stra l'artista nel 1929 darà vita, in polemica con l'Accademia, con la quale i rapporti furono spesso critici, a una scuola del paesaggio occupando con i suoi allievi per un breve periodo la villa Pisani.
Rispetto ai paesaggi romani, caratterizzati da una volumetria semplice e solida, i paesaggi veneti – sia quelli lagunari, sia quelli dell'entroterra – complice certamente il contatto con la luce locale, rarefatta e trasparente, sono caratterizzati da una pennellata più mossa che tende a sfaldare la consistenza formale per far emergere la vibrazione luminosa. Una luce che, come in quest'opera, appare tutta intrinseca alla materia pittorica, alleggerendo i semplici volumi delle case e conferendo una consistenza soffice al cielo e alle fronde degli alberi. Un'esperienza, quella della luce veneta, che condurrà Guidi negli anni verso una progressiva sintesi astrattiva in cui il paesaggio tenderà sempre più a divenire lirica apparizione.
Sul verso il dipinto mostra un abbozzo di paesaggio con fiume e case e, sul telaio, un’etichetta stampata che reca il titolo “Paesaggio veneto” e la data 1932; si tratta in realtà di una pittura ascrivibile con molta probabilità al 1928, anno in cui Guidi realizza simili vedute lungo la riva del Brenta (Bizzotto, Marangon, Toniato, 1988, p. 161 n. 1928 29 – p. 166 n. 1928 41).
Sabrina Spinazzè
Ringraziamo Toni Toniato per il supporto dato alla catalogazione dell'opera.