Importanti Maioliche Rinascimentali

Pandolfini Casa d'Aste - Borgo degli Albizi (Palazzo Ramirez-Montalvo) 26, 50122 Firenze

Importanti Maioliche Rinascimentali

martedì 28 ottobre 2014 ore 17:00 (UTC +01:00)
Lotti dal 25 al 48 di 62
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  • TONDINO CON STEMMA ARALDICOFaenza, “1524“ Maiolica decorata...
    Lotto 25

    TONDINO CON STEMMA ARALDICO
    Faenza, “1524“
     
    Maiolica decorata in policromia, con blu, giallo chiaro, giallo e turchino con lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 3,4; diam. cm 18,5; diam. piede cm 5
    Sul retro, sotto il piede, cerchio suddiviso in quattro parti da croce con punto in uno dei quadranti; “B” incisa prima della cottura nello smalto, affiancata da una “c”(?) di dimensioni minori.
     
    Intatto; sbeccatura sul bordo in basso a destra; piccole sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in blue, light yellow, yellow, turquoise and white highlights
    H. 3.4 cm; diam. 18.5 cm; foot diam. 5 cm
    On the back, beneath the base, is a crossed ball with a dot in one quarter; ‘B’ mark inscribed before glaze firing, beside a ‘c’(?) mark (smaller)
     
    In very good condition; chip to rim at 5 o’clock; minor chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il tondino presenta un profondo cavetto e una larga tesa orizzontale con bordo orlato di blu. Il corpo ceramico è interamente ricoperto di smalto azzurro-grigio “berettino”. Nel centro del cavetto, racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia decorata a puntini e fioretti in bianco su azzurro, è dipinto uno stemma bipartito con un lupo bianco rampante su fondo blu a sinistra e una mitra papale con chiavi di San Pietro e tre palchi di cervo su fondo rosso a destra. Sulla tesa si estende una decorazione a grottesche con quattro figure appena abbozzate di arpie dal volto di bambino, alternate a pilastri e amorini; ogni arpia è sormontata da una mensola su cui si legge una lettera: le quattro lettere, insieme, vanno a formare la sigla latina “SPQR” (Senatus Populusque Romanus). I volti dei quattro amorini poggiano invece su altrettanti cartigli recanti la data “1524”. Le volute ai lati delle arpie si potrebbero leggere come i classici delfini, in questo caso molto semplificati, quasi stereotipati.
    Sul retro il consueto motivo decorativo a spirali e fioroni a corolla continua circonda il piede, che contiene la caratteristica marca faentina con cerchio suddiviso in quattro parti da croce con cerchietto in uno dei quadranti, per consuetudine utilizzata a definire i prodotti della bottega della Ca’ Pirota, e una “B” forse affiancata da una “c” di dimensioni minori, entrambe incise nello smalto prima che venisse delineata la “marca”.
    Lo stemma, dipinto con abbondanza di materia, tanto da apparire in rilievo, si presenta nella classica forma di alleanza, e cioè bipartito. Trattasi dello stemma Altoviti, un lupo rapace d’argento in campo nero (con riferimento a un leggendario lupo che avrebbe salvato il capostipite della famiglia, sbranando un suo nemico), unito allo stemma Soderini, di rosso a tre teschi di cervo d’argento posti di fronte.
    Il piatto ha un confronto puntuale in un esemplare conservato all’Ashmolean Museum di Oxford, dal quale si distingue per la scelta delle grottesche con le arpie, non presenti nel piatto inglese, e per la mancanza dell’amorino che sormonta lo stemma.
    Per l’esame del piatto londinese e dei confronti ci torna assai utile lo studio di Timothy Wilson, pubblicato in occasione dell’importante mostra sul banchiere fiorentino Bindo Altoviti tenutasi nel 2004 all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston e al Bargello di Firenze. Oltre al nostro sono noti infatti altri pezzi di questo servizio, conservati rispettivamente al Museo di Edimburgo ed all’Allen Me

  • PIATTOFaenza, 1530-1540 circa  Maiolica decorata in policromia con...
    Lotto 26

    PIATTO
    Faenza, 1530-1540 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, verde, blu, bruno manganese e bianco su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 4,4; diam. cm 29; diam. piede cm 9,3
    Sul retro, sotto il piede, alcuni cerchi concentrici delineati in blu.
    Numero “48 1318” delineato in inchiostro rosso
     
    Sbeccature all’orlo, leggera felatura sulla tesa
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in yellow, green, blue, manganese, and white
    H. 4.4 cm; diam. 29 cm; foot diam. 9.3 cm
    On the back, beneath the base, some concentric circles in blue.
    ‘48 1318’ in red ink
     
    Chips to rim; minor hairline crack to broad rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto, integralmente ricoperto da smalto “berettino”, presenta un profondo cavetto e una larga tesa appena obliqua. Al centro della composizione spicca una figura femminile stante, rivolta a sinistra, con un arco nella mano sinistra e una freccia nella destra; una chiesa con campanile turrito è nella parte destra del paesaggio montuoso. Il cavetto è incorniciato da una sottile fascia decorata in bianco su fondo azzurrato. Sulla tesa si estende una decorazione “a grottesche monocrome” in una variante che prevede una disposizione simmetrica centrata, nei punti cardinali, da cariatidi alternate a mascheroni, circondati da nastri sinuosi e delfini.
    Sul verso, all’interno del piede, si registra la presenza di un simbolo con tre cerchi concentrici; tutt’intorno, fino all’orlo, è resente un motivo “alla porcellana” con fioretti a corolla continua e serpentine, tutti realizzati in blu cobalto in una grafia rigida e con disposizione simmetrica.
    Le dimensioni, la scelta del decoro sulla tesa e lo stile accurato nella realizzazione della figura al centro della composizione, caratterizzano l’opera e la distinguono dalle serie più note.
    Lo stile con cui sono realizzati la figure e il paesaggio avvicinano questo esemplare ad altri piatti con decoro “a grottesche” nella tesa, quali ad esempio il noto esemplare del Victoria and Albert Museum di Londra datato 1540 nel quale la figura maschile mostra una posa vicina al personaggio raffigurato nell’oggetto in esame, oppure il piatto con grottesche della collezione Cora, oggi al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, decorato nel cavetto da una figurina di “Fortitudo” stilisticamente affine a quella del nostro. Si veda infine il piatto, di dimensioni minori, con figura allegorica della Giustizia conservato nel Museo di Lione: un perfetto esempio dell’abitudine di raffigurare figure bibliche, storiche e allegoriche su oggetti con fondo berettino.
    Come osserva Timothy Wilson, analizzando un piatto a grottesche con medaglione centrato da figura, avanzare attribuzioni a pittori specifici sulla base di questi piccoli medaglioni sarebbe azzardato.
    In ogni modo le caratteristiche pittoriche permettono di inserire l’oggetto in esame tra i pezzi di maggior qualità prodotti dalle manifatture faentine degli anni trenta del Cinquecento. Esso si distingue dagli altri esemplari proposti in questo catalogo per la particolare qualità nella resa pittorica delle grottesche della tesa, impreziosita dall’uso delle cariatidi, e nella padronanza della lumeggiatura in bianco dei dettagli.
    Il piatto proviene dalla collezione Adda ed è stato venduto da Humphris a Londra nel 1970 come opera faentina del 1530. Anche l’antiquario londinese nell’expertise fa riferimento alla pubblicazione di Bernard Rackh

  • PIATTO CON STEMMA ARALDICOFaenza, bottega Bergantini, 1530 circa...
    Lotto 27

    PIATTO CON STEMMA ARALDICO
    Faenza, bottega Bergantini, 1530 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con rosso, giallo, verde, blu, manganese e bianco su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 2,6; diam. cm 24; diam. piede cm 7,7
    Sul retro, sotto il piede, cerchio suddiviso in quattro parti da croce con punto in uno dei quadranti; “BL” incisa prima della cottura nello smalto
     
    Sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in red, yellow, green, blue, manganese, and white
    H. 2.6 cm; diam. 24 cm; foot diam. 7.7 cm
    On the back, beneath the base, is a crossed ball with a dot in one quarter; ‘BL’ mark inscribed before glaze firing
     
    Chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto o tondino, integralmente ricoperto da smalto “berettino”, ha cavetto profondo e larga tesa appena obliqua. Il decoro presenta al centro, racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia decorata in bianco su azzurro, un segugio dormiente in un paesaggio montuoso, sopra il quale campeggia un cartiglio con la scritta “SUM FVI ERO”. Sulla tesa si estende una decorazione a grottesche centrate nei punti cardinali da due cartigli con note musicali e da due riserve circolari contenenti due stemmi. Il primo, dei Martellini del Falcone, di rosso, al monte di sei cime d’oro sostenente un falcone sorante dello stesso (oppure al naturale, sonagliato d’oro), talvolta con la zampa destra alzata, in atto di afferrare il sonaglio con il becco, e alla banda diminuita d’azzurro attraversante sul tutto. Il secondo stemma, su campo giallo con leone rampante e bande blu, è da attribuire alla famiglia Tedaldi.
    Sul retro un motivo decorativo a spirali e fioroni a corolla continua circonda il piede, nel quale è dipinto un cerchio barrato da una croce con cerchio più piccolo in uno dei quartieri, e una “B” incisa nello smalto prima della cottura.
    Il piatto ha un confronto puntuale in un esemplare conservato al Victoria and Albert Museum di Londra, analogo nel decoro sia sul fronte che sul retro e caratterizzato anch’esso da una “B” incisa nello smalto prima della cottura sul retro. Questo stesso sistema di marca compare anche in un altro piatto di questa raccolta (lotto 25). La “B” a volte è tracciata a colore sul retro dei piatti, a volte invece è incisa nello smalto prima della cottura; essa compare anche in frammenti da scavi faentini ed è stata nel tempo variamente interpretata. Attualmente, è unanimemente considerata come il simbolo della bottega Bergantini.
    Il disegno della palla tagliata a croce è stato tradizionalmente considerato come emblema di una delle officine attive a Faenza, quella della Ca’ Pirota: veniva infatti interpretato come una bomba di pece greca o ruota di fuoco (pyros rota). Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso tale attribuzione fu messa in dubbio, e il simbolo venne letto come un pallone da calcio e attribuito pertanto alla bottega faentina Dalle Palle. Attuamente si ritiene che la produzione delle varie botteghe faentine vada ricostruita su altre basi e ci si limita a leggere il simbolo come marchio faentino
    La decorazione con questo tipo di disposizione simmetrica dell’ornato è presente con varianti al centro e negli stemmi anche in altri pezzi del Petit Palais di Parigi del lascito Dutuit e nel piatto con San Marco e due stemmi della collezione de Ciccio al Museo di Capodimonte.
    Nella documentazione che accompagna l’oggetto si fa riferimento ancora alla Ca’ Pirota secondo

  • TONDINO CON STEMMA ARALDICOFaenza, bottega di Pietro Bergantini, circa...
    Lotto 28

    TONDINO CON STEMMA ARALDICO
    Faenza, bottega di Pietro Bergantini, circa 1531
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo chiaro, turchino, verde, rosso e lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 4,5; diam. cm 25,2; diam. piede cm 6,8
    Sul retro, sotto il piede, è delineata al centro una spirale
     
    Restauro alla tesa, con integrazione pittorica prevalentemente sul retro del piatto: la rottura traccia un semicerchio nella parte in basso a destra della tesa, poco sopra una felatura passante; come si verifica di frequente il restauro mimetico con integrazione pare coprire una porzione maggiore rispetto all’entità del danno.
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in light yellow, turquoise, green, red, and white highlights
    H. 4.5 cm; diam. 25.2 cm; foot diam. 6.8 cm
    On the back, beneath the base, is a blue spiral
     
    Restoration to broad rim, with associated repaint mainly on the reverse: the crack forms a semicircle at 5 o’clock on the broad rim, slightly above a heavy hairline crack; as it often happens, mimetic restoration with repaints covers an area larger than the damage
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto o tondino, integralmente ricoperto da smalto “berettino”, ha un profondo cavetto e una larga tesa appena obliqua. Il decoro mostra uno stemma al centro del cavetto racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia decorata in bianco su fondo azzurrato.
    Sulla tesa si estende una decorazione “a grottesche monocrome” su fondo blu, in una variante che prevede una disposizione simmetrica centrata, nei punti cardinali, da mascheroni intervallati da teste di amorini e delfini affrontati, connessi da girali continue. Sul verso, all’interno del piede, si registra la presenza di una spirale blu; tutt’intorno sulla tesa vi è un motivo “alla porcellana” disposto simmetricamente col fioretto a corolla continua, tra serpentine, dipinto in blu.
    Lo stemma, dipinto in piena policromia (d’argento a tre bande doppie merlate di rosso), è quello della famiglia Salviati di Firenze, le cui cariche pubbliche ricoperte nella Repubblica fiorentina furono molto importanti, con il record di 63 priori, 21 Gonfalonieri di Giustizia e 6 alti prelati. La famiglia nel ‘400 e ‘500 era annoverata fra le più importanti del patriziato fiorentino (posizionata al terzo posto fra i maggiori contribuenti della città), ma a partire dalla metà del XVI secolo andò incontro a una graduale trasformazione che la portò ad essere una delle tante casate gravitanti intorno alla corte medicea. I Salviati, che avevano costituito la propria potenza economica soprattutto su attività finanziarie e commerciali, mutarono sia le direzioni degli investimenti sia, più profondamente, il proprio modus vivendi. A partire dal 1532 (anno della trasformazione di Firenze in monarchia ereditaria) la mercatura e il cambio non furono più considerate dai Salviati fra le attività su cui concentrare gli investimenti: essi trovarono nella rendita fondiaria e nelle cariche diplomatiche e di corte introiti più consistenti e sicuri, che permisero loro di far fronte alle ingenti spese per mantenere il lussuoso tenore di vita.
    Il tondino si aggiunge a una serie appartenente a un servizio commissionato dalla famiglia Salviati probabilmente alla bottega Bergantini attorno al 1531. La scelta del decoro della tesa e lo stile dello stemma ci portano alla comparazione con un piatto conservato nelle collezioni del British Museum di Londra, di dimensioni e decorazione

  • TONDINO CON STEMMA ARALDICOFaenza, bottega di Pietro Bergantini, circa...
    Lotto 29

    TONDINO CON STEMMA ARALDICO
    Faenza, bottega di Pietro Bergantini, circa 1531
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo chiaro, turchino, verde, rosso e lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 4,5; diam. cm 25,2; diam. piede cm 6,8
    Sul retro, sotto il piede, è delineata al centro una spirale
     
    Restauro alla tesa, con integrazione pittorica prevalentemente sul retro del piatto: la rottura traccia un semicerchio nella parte in basso a destra della tesa, poco sopra una felatura passante; come si verifica di frequente il restauro mimetico con integrazione pare coprire una porzione maggiore rispetto all’entità del danno
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in light yellow, turquoise, green, red, and white highlights
    H. 4.5 cm; diam. 25.2 cm; foot diam. 6.8 cm
    On the back, beneath the base, is a blue spiral
     
    Restoration to broad rim, with associated repaint mainly on the reverse: the crack forms a semicircle at 5 o’clock on the broad rim, slightly above a heavy hairline crack; as it often happens, mimetic restoration with repaints covers an area larger than the damage
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto o tondino, integralmente ricoperto da smalto “berettino”, ha un profondo cavetto e una larga tesa appena obliqua. Il decoro mostra uno stemma al centro del cavetto racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia decorata in bianco su fondo azzurrato.
    Sulla tesa si estende una decorazione “a grottesche monocrome” su fondo blu, in una variante che prevede una disposizione simmetrica centrata, nei punti cardinali, da mascheroni intervallati da teste di amorini e delfini affrontati, connessi da girali continue. Sul verso, all’interno del piede, si registra la presenza di una spirale blu; tutt’intorno sulla tesa vi è un motivo “alla porcellana” disposto simmetricamente col fioretto a corolla continua, tra serpentine, dipinto in blu.
    Lo stemma, dipinto in piena policromia (d’argento a tre bande doppie merlate di rosso), è quello della famiglia Salviati di Firenze, le cui cariche pubbliche ricoperte nella Repubblica fiorentina furono molto importanti, con il record di 63 priori, 21 Gonfalonieri di Giustizia e 6 alti prelati. La famiglia nel ‘400 e ‘500 era annoverata fra le più importanti del patriziato fiorentino (posizionata al terzo posto fra i maggiori contribuenti della città), ma a partire dalla metà del XVI secolo andò incontro a una graduale trasformazione che la portò ad essere una delle tante casate gravitanti intorno alla corte medicea. I Salviati, che avevano costituito la propria potenza economica soprattutto su attività finanziarie e commerciali, mutarono sia le direzioni degli investimenti sia, più profondamente, il proprio modus vivendi. A partire dal 1532 (anno della trasformazione di Firenze in monarchia ereditaria) la mercatura e il cambio non furono piùconsiderate dai Salviati fra le attività su cui concentrare gli investimenti: essi trovarono nella rendita fondiaria e nelle cariche diplomatiche e di corte introiti più consistenti e sicuri, che permisero loro di far fronte alle ingenti spese per mantenere il lussuoso tenore di vita.
    Il tondino si aggiunge a una serie appartenente a un servizio commissionato dalla famiglia Salviati probabilmente alla bottega Bergantini attorno al 1531. La scelta del decoro della tesa e lo stile dello stemma ci portano alla comparazione con un piatto conservato nelle collezioni del British Museum di Londra, di dimensioni e decorazione pi&ugrav

  • PIATTOFaenza, “1541” Maiolica decorata in policromia in...
    Lotto 30

    PIATTO
    Faenza, “1541”
     
    Maiolica decorata in policromia in giallo chiaro, giallo ocra e turchino, lumeggiature bianche su fondo azzurro-grigio “berettino”
    alt. cm 3,2; diam. cm 24; diam. piede cm 8,5
    Etichetta stampata “SCHUBERT ANTICHITÀ - corso MATTEOTTI 22 MILANO
     
    Intatto; alcune sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered with a ‘berettino’ glaze and painted in light yellow, ochre yellow, turquoise, and white highlights
    H. 3.2 cm; diam. 24 cm; foot diam. 8.5 cm
    Printed label ‘SCHUBERT ANTICHITÀ - corso MATTEOTTI 22 MILANO’
     
    In very good condition; chips to rim
     
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    Il piatto presenta un cavetto poco profondo e un’ampia tesa obliqua a orlo arrotondato sottolineato in blu. Lo smalto “berettino” ricopre tutta la superficie.
    Sul fronte, al centro della composizione decorativa, un profilo maschile in abiti romani con cartiglio recante la dicitura “Lentulo” è racchiuso in un medaglione incorniciato da una fascia a risparmio decorata a puntini e fioroni in bianco su azzurro. Sulla tesa si estende una decorazione a grottesche con mascheroni e delfini, in uno stile pittorico arricchito dalla presenza di cartigli recanti la data “1541” e collocati nei punti cardinali al di sopra dei mascheroni.
    Sul retro si sviluppa un motivo decorativo a linee concentriche, realizzato su fondo berettino in tinta blu, che termina in una spirale al centro del cavetto; tale decoro ricorda i motivi “a calza” spesso utilizzati a Faenza nel secolo precedente.
    Un piatto simile, di minore dimensione, è esposto al Walters Art Museum di Baltimora: il profilo che in esso compare è tratto da un cammeo antico, con l’aggiunta di una corona sul capo del personaggio e di un cartiglio sul retro con il nome “Chassio”; la tesa presenta una variante del decoro con volute fogliate, anch’essa associata al motivo decorativo a calza sul retro.
    Piatti di questa serie, con alcune varianti, si trovano nei principali musei, come per esempio il Claudio e l’Annibale del Museo di Sévres a Parigi.
    Carmen Ravanelli Guidotti nel Thesaurus del 1998 nell’analizzare questa tipologia faentina cita un piatto con “Lentulo”, conservato in una raccolta privata parigina: il probabile riferimento al nostro esemplare è confermato dalla comune datazione (1541).

  • ALZATA O SOTTOCOPPAFaenza, inizio del secolo XVII Maiolica decorata in...
    Lotto 31

    ALZATA O SOTTOCOPPA
    Faenza, inizio del secolo XVII
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, blu, bruno di manganese e giallo su smalto bianco abbondante crettato
    alt. cm 5; diam. cm 25,5; diam. piede cm 11,5
     
    Sbeccature all’orlo; lacuna al piede
     
    Earthenware, covered with a rich, crackled white glaze and painted in orange, blue, manganese, and yellow
    H. 5 cm; diam. 25.5 cm; foot diam. 11.5 cm
     
    Chips to rim; loss to foot
     
    L’alzata o presentatoio è costituita da un piatto a fondo liscio con breve bordo rialzato dall’orlo arrotondato, poggiante su piede alto poco svasato.
    La decorazione interessa l’intera superficie del piatto, sul recto, e descrive una scena di caccia. I protagonisti sono un cacciatore con cappello che corre con un archibugio in mano, accompagnato da un cane bianco anch’esso in corsa, e di fronte, quasi a corrergli incontro, un centauro con arco spiegato, anch’esso accompagnato da un cane. La scena si svolge in un ampio paesaggio caratterizzato da un grande albero con chioma larga e suddivisa in ciuffi sovrapposti e da un casolare con tetto a cuspidi, entrambi inseriti in uno scenario di montagna.
    La decorazione è realizzata con sicurezza e rapidità, caratteristica che la distingue dalle opere faentine istoriate, ma con le caratteristiche cromatiche dello stile compendiario. L’ornato è enso, la scena quasi schizzata, ma con uno stile preciso e riconoscibile.
    Una recente pubblicazione per una mostra tematica sulla maiolica italiana di stile compendiario ci aiuta a collocare l’opera in un contesto ben preciso: si tratta infatti di una produzione di alzatine, opera di un'officina faentina dei primi anni del ’600, periodo in cui si enfatizza la corrente istoriata che aveva trovato nuova espressione nella seconda metà del secolo precedente. Si pensi al pittore del “servizio V numerato”, al “maestro dello steccato” e agli altri rappresentanti di questa nuova stagione dell’istoriato.
    Nelle schedature di alcuni esemplari da collezione privata e di sottocoppe del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, Carmen Ravanelli Guidotti ipotizza che questi oggetti possano essere considerati creazioni di una stessa bottega e addirittura – per gli esemplari con i cacciatori, gruppo al quale si aggiunge l’esemplare in esame – opere di una stessa mano. L’impostazione narrativa infatti è simile, come pure i caratteri stilistici: in particolare la foggia del copricapo del cacciatore, il modo di raffigurare l’albero, l’arco, il muso, la posa dei cani da caccia ed altro ancora.

  • COPPA UMBONATA E BACCELLATAGubbio, post 1530 Maiolica decorata in blu di...
    Lotto 32

    COPPA UMBONATA E BACCELLATA
    Gubbio, post 1530
     
    Maiolica decorata in blu di cobalto; lustri rosso e dorato
    alt. cm 4,8; diam. cm 22,2; diam. piede cm 9,6
    Sul retro etichetta di esportazione datata 1962; etichetta con numero “1117” scritto a mano; etichetta con scritta “TAGUA/ SOTH/ CYY/ O
     
    Restauri alla tesa: rotture incollate su tutto il lato sinistro e nella parte alta a destra; sbeccature ricoperte all’orlo.
     
    Earthenware, painted in cobalt blue; red and golden lustre
    H. 4.8 cm; diam. 22.2 cm; foot diam. 9.6 cm
    On theback, exportation label ‘1962’ (hardly readable); hand-written label ‘1117’; hand-written label ‘TAGUA/ SOTH/ CYY/ O’
     
    Restorations to broad rim: some reglued cracks on the left side and on the upper right side; chips to rim, repainted; restoration covers an area larger than the damage
     
    La coppa su basso piede ha il corpo realizzato a stampo e presenta un decoro a rilievo che corre lungo il bordo alternando un melograno ad una foglia d’acanto tra foglie arricciate sormontate da un fruttino. Il motivo è dipinto con lustro dorato e sottolineato con ombre rese a larghe pennellate blu. Sul retro, si osservano tracce di verde e tre ampie spirali a lustro in parte coperte dal restauro.
    Al centro dell’umbone, incorniciato da una sottile fascia rilevata, è dipinta la figura di Santa Apollonia. La martire è raffigurata di profilo, il capo adornato dall’aureola, e di fronte a lei il simbolo del martirio: una grande tenaglia che stringe ancora un dente.
    Il martirio di Apollonia, patrona dei dentisti, avvenne ad Alessandria d’Egitto, dove fu catturata, percossa e privata dei denti, prima di gettarsi volontariamente nel fuoco, pur di non far opera di abiura alla fede.
    Questo tipologia di coppe in maiolica decorata a rilievo ebbe ampia diffusione durante il ’500. Gli esemplari datati si attestano prevalentemente attorno agli anni Trenta, mai conosce anche un esemplare con l’insegna di Giulio II, papa del primo decennio del secolo (1503-1513), e di uno con le insegne di papa Paolo III (1534-1549). Alcuni esemplari noti presentano sul retro la marca “N”, ormai concordemente ritenuta simbolo della bottega urbinate di Vincenzo Andreoli, riconducibile agli anni successivi al 1538 e fino al 1547. La produzione di questi oggetti, vista la richiesta di vasellame a imitazione del metallo e il successo dei lustri di Gubbio prima e di quelli di Deruta poco dopo, fu notevole. Si vedano in merito i numerosi esempi presenti nelle collezioni francesi studiate da Giacomotti, tra i quali due coppe (nn. 735 e 739) con figure di Santa Maddalena, di dimensioni appena maggiori della nostra. Numerosi altri esempi, sempre di dimensioni superiori, sono conservati nella collezione del Museo delle Arti Decorative di Lione.
    Molti esemplari di dimensioni varie sono presenti in collezioni private.
    Tutti gli esempi fin qui citati presentano però la bordura adorna di pigne rilevate e non di melograni. Una coppa conservata al Metropolitan Museum of Art di New York, anch’essa con una figura femminile al centro, presenta nella tesa caratteristiche morfologiche simili nelle foglie a rilievo, ma è priva del melograno.
    Questa coppa appartiene ad una precisa tipologia, dove la preziosità del manufatto non era data tanto dallo stile pittorico, quanto dalla tecnica del lustro e dalla realizzazione morfologica dell’oggetto.
    Il retro della coppa conserva alcune etichette di collezione con numero: l’expertise che accompagna l’oggetto ci svela l’appartenenza alle collezioni Heilbronner prima e Rueff poi; èinoltre presente un’etichetta con timb

  • COPPAGubbio, 1540 circa Maiolica decorata in policromia in rosso,...
    Lotto 33

    COPPA
    Gubbio, 1540 circa
     
    Maiolica decorata in policromia in rosso, arancio, giallo, verde, blu di cobalto, bruno di manganese nei toni del nero, bianco e lumeggiature rosse
    alt. cm 4; diam. cm 18,7; diam. piede cm 8,5
    Sotto la base etichetta stampata “ORLANDO PETRENI/ ARREDAMENTI ARTISTICI/ FIRENZE/ VIA RONDINELLI 7R TEL. 23.782
     
    Sbeccatura al piede; lievi sbeccature di usura all’orlo
     
    Earthenware, painted in red, orange, yellow, green, cobalt blue, blackish manganese, white, and red highlights
    H. 4.8 cm; diam. 18.7 cm; foot diam. 8.5 cm
    On the back, printed label ‘ORLANDO PETRENI/ ARREDAMENTI ARTISTICI/ FIRENZE/ VIA RONDINELLI 7R TEL. 23.782’
     
    Chip to foot; minor wear chips to rim
     
    La piccola coppa, dalla foggia ampia e liscia, ha un bordo dritto e poggia su un piede ad anello basso e svasato, con orlo tagliato a stecca.
    L’ornato a pieno campo è realizzato con grande finezza e raffigura San Girolamo penitente nel deserto mentre, inginocchiato in prossimità di una roccia, si percuote il petto con un sasso reggendo la croce nell’altra mano.
    Il corpo del santo è dipinto con cura e notevole attenzione nella resa della muscolatura, grazie alle ombreggiature in ocra e in smalto bianco. L’uso dei tocchi di bianco per dare forma ad alcuni dettagli si nota anche nella resa del Cristo sul crocifisso, delineato in solo smalto, e nel ciuffo di fiori sulla roccia alle spalle del santo. Il paesaggio con montagne impervie e paesini è invece meno accurato.
    La lumeggiatura è sapientemente dosata e distribuita per dare risalto al personaggio e stesa con maggior densità sul lato destro e nel cielo, quasi a seguire la luce del tramonto. La roccia collocata a incorniciare la figura del santo è anch’essa lumeggiata, evidenziando così il fondo scuro della spelonca, rifugio dell’eremita. La lumeggiatura è presente anche nel retro con una larga fascia a sottolineare l’orlo della coppa.
    Il soggetto ebbe molta fortuna nella produzione ceramica istoriata e si annoverano numerosi esempi dipinti anche da pittori illustri, tra i quali lo stesso Xanto Avelli e i suoi seguaci. Un confronto vicino al nostro esemplare è conservato nella donazione Fanfani del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, la cui fonte è na stampa di Reverdino, incisore seguace del Bonasone, dalla quale anche il decoratore della nostra avrebbe potuto trarre ispirazione.

  • COPPA SU ALTO PIEDEGubbio, lustro firmato da Mastro Giorgio Andreoli,...
    Lotto 34

    COPPA SU ALTO PIEDE
    Gubbio, lustro firmato da Mastro Giorgio Andreoli, “1526”
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, blu, turchino, verde, rosso, arancio e bruno di manganese; lustro rosso e oro
    alt. cm 6; diam. cm 31,5; diam. piede cm 12,6
    Sul retro, in lustro dorato, è dipinta la sigla “1526/M°G°
    Sul retro piccola etichetta di carta con stampa “ON LOAN FROM” e iscritta a china “The Rev.o S Berney”; grande etichetta, poco leggibile, con la seguente scritta a china “Berney collection/ The Taddea da Carrara Della Scala/ Giorgio/ After Marc Antonio from Raphael/ The portrait of Taddea della Scala (who is being led/ to the Saviour in token of her great charity as foundress/ of the great Casa di Pietà at Verona) is taken from/ a grotesque picture which is over the altar in the/ church as S. Anastasia in Verona which represents/ Mastino II (prince of Verona) Della Scala & Taddea/ da Carrara, his wife kneeling before the Virgin./ The landscape […] the bridge to the fortress of Verona/ the Castellum Vetus, the old castle & the further parts of/ the tower seen in the distance to the right/ the Episcopal palace with its […]/ are […] visible/ R.S.Berney”
     
    Intatta
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in yellow, blue, turquoise, green, red, orange, and manganese; red and golden lustre
    H. 5.3 cm; diam. 31.5 cm; foot diam. 12.6 cm
    On the back, ‘1526/M°G°’ painted in golden lustre
    Small paper printed label ‘ON LOAN FROM’ with hand-written in black ‘The Rev.o S Berney’; small label hand-written in black ink ‘In Rev.o S Bernay’/ ‘18’; larger label (hardly readable) hand-written in black ink ‘Berney collection/ The Taddea da Carrara Della Scala/ Giorgio/ After Marc Antonio from Raphael/ The portrait of Taddea della Scala (who is being led/ to the Saviour in token of her great charity as foundress/ of the great Casa di Pietà at Verona) is taken from/ a grotesque picture which is over the altar in the/ church as S. Anastasia in Verona which represents/ Mastino II (prince of Verona) Della Scala & Taddea/ da Carrara, his wife kneeling before the Virgin./ The landscape […] the bridge to the fortress of Verona/ the Castellum Vetus, the old castle & the further parts of/ the tower seen in the distance to the right/ the Episcopal palace with its ” […]/ are […] visible/ R.S.Berney”
     
    In very good condition
     
    An export licence is available for this lot
     
    La coppa, dalla foggia ampia e liscia, è orlata da un bordo appena rialzato e poggia su un piede ad anello basso e svasato.
    Sul retro, la coppa presenta delle decorazioni a lustro con spirali fogliate e la marca “M°G°” della bottega di Mastro Giorgio Andreoli, associata alla data 1526.
    Sul fronte in primo piano, su una ripida scalinata sale Marta che accompagna la giovane Maria Maddalena introducendola al Cristo. Questi, benedicente, siede su un trono dai braccioli di forma leonina, collocato tra due colonne. Molti spettatori assistono alla scena mostrando perplessità: i quattro apostoli attorno al Cristo, e – in basso - due gruppi di figure ne discutono animatamente. A sinistra, una quinta è formata da una libera composizione di elementi architettonici, con archi spezzati, portali e finestre. Lo sfondo presenta un complesso gioco paesaggistico: a sinistra un’altura con strade, porte urbane ed edifici disordinatamente collocati a diverse altezze, sormontata da una figura di erma. A destra, dietro un

  • COPPAUrbino, pittore vicino a Nicola di Gabriele Sbraghe, 1526-1528...
    Lotto 35

    COPPA
    Urbino, pittore vicino a Nicola di Gabriele Sbraghe, 1526-1528 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, arancio, blu, verde, bianco e bruno di manganese
    alt. cm 4,5; diam. cm 27,1; diam. piede cm 11,9
    Sul retro della coppa, sotto il piede, iscrizione dipinta in blu “Come io sefe die chiari/ linsonia afarauone/ desete uache magre/ e sete grase
    Numero “79” e simbolo inciso nello smalto
     
    Intatta, fatta eccezione per alcune sbeccature all’orlo del piede
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in yellow, orange, blue, green, white, and manganese
    H. 4.5 cm; diam. 27.1 cm; foot diam. 11.9 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘Come io sefe die chiari/ linsonia afarauone/ desete uache magre/ e sete grase’
    Number ‘79’ and symbol incised in the glaze
     
    In very good condition, with the exception of some chips to foot rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    La coppa mostra un cavetto dalla foggia ampia e liscia orlato da un bordo appena rialzato, e poggia su un piede ad anello basso e svasato.
    La scena è tratta puntualmente dal dipinto di Raffaello per le Logge Vaticane raffigurante Giuseppe che spiega il sogno al faraone. La fonte incisoria al momento non ci è nota, e poiché le uniche incisioni che raffigurano tale episodio sono datate già alla fine del ’500 si potrebbe pensare a una visione diretta, da parte dell’artista, delle Logge o dei disegni di Raffaello.
    L’episodio è descritto nella Bibbia (Genesi 41, 25-31): poiché il faraone aveva fatto ben due sogni senza che i suoi consiglieri fossero riusciti a interpretarli in modo plausibile, fu introdotto a corte l’ebreo Giuseppe quale esperto. Quando il faraone raccontò di aver sognato sette vacche magre che divoravano sette vacche grasse e sette spighe aride che consumavano altrettante spighe grasse, Giuseppe spiegò che stava per scatenarsi sul paese una carestia: a sette anni di abbondanza, ne sarebbero seguiti altrettanti di carestia, ed era dunque il caso di preparare i magazzini per far fronte a questa sciagura.
    La scena mostra il faraone seduto e, in alto, sopra la sua testa, due riserve circolari con le immagini dei sogni. Di fronte Giuseppe, e alle sue spalle tre dignitari di corte che discutono animatamente.
    Lo stile del pittore è quello di Nicola Gabriele Sbraghe detto Nicola da Urbino. I volti allungati, i profili sottolineati in bruno di manganese, i piccoli occhi resi in nero con un piccolo tocco di bianco, lo scorcio di paesaggio visto attraverso la finestra: ogni cosa ricorda il maestro urbinate, anche se il raffronto con gli esemplari firmati, senza dubbio a lui attribuibili, non convince del tutto.
    Questo piatto è esemplare per una rapida rilettura della storia degli studi sulla maiolica marchigiana del ’500. Nella collezione Charles Damiron l’opera era attribuita all’artista, chiamato allora Nicola Pellipario, e datata verso il 1530. Bernard Rackham, nel suo studio sulla collezione Adda, per il modo di dipingere i volti e di stendere i colori l’uno sopra l’altro ipotizzava la mano di Francesco Xanto Avelli, sotto l’influenza di Nicola Pellipario.
    E' probabile che l’oggetto sia passato in asta nel 1965, dal momento che lo ritroviamo poi pubblicato nel catalogo della collezione dell’antiquario londinese Humphris nel 1967 con la stessa proposta attributiva di Rackham, anche riguardo alla scritta sul retro del piatto, vicina ai modi di Xanto Avelli.
    Oggi, alla luce dei nuovi studi riguardo all’esistenza di altre impor

  • COPPAUrbino, bottega di Nicola di Gabriele Sbraghe, 1530-1535...
    Lotto 36

    COPPA
    Urbino, bottega di Nicola di Gabriele Sbraghe, 1530-1535 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bianco e bruno di manganese nei toni del marrone e del nero
    alt. cm 3,5; diam. cm 25,5; diam. piede cm 10,9
    Sul retro sotto il piede iscrizione in corsivo “Circero Glaucho. In./ Cantatricie” e simbolo
    Numero manoscritto “5335” ripetuto due volte sul lato del piede
     
    Sbeccatura sull’orlo in alto a destra
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, white, and brownish and blackish manganese
    H. 3.5 cm; diam. 25.5 cm; foot diam. 10.9 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘Circero Glaucho. In./ Cantatricie’ and a symbol
    Two numbers ‘5335’ hand-written on the side of the foot
     
    Chip to rim at 1 o’clock
     
    An export licence is available for this lot
     
    La coppa, poggiante su piede ad anello molto basso, ha cavetto largo, tesa alta e stretto bordo estroflesso. La decorazione istoriata interessa l’intera superficie del cavetto. Sul verso, decorato da linee concentriche gialle a sottolineare i profili, è elineata all’interno del piede la scritta “Circero Glaucho. In./ Cantatricie”.
    La scena mostra Circe seduta davanti al suo palazzo, raffigurato secondo i dettami dell’architettura rinascimentale, a colloquio con Glauco, appoggiato al fusto di un albero. Alle spalle dell’uomo un albero dal tronco ricurvo chiude la scena. Sullo sfondo, un paesaggio marino con una scogliera e una città turrita: lo stretto è quello che sorveglia il confine tra la Sicilia e la terraferma, e la città potrebbe essere l’antica Zancle (Messina) o Reggio Calabria.
    In Ovidio (Ov., Met., XIII-XIV) lo scenario è familiare: il palazzo di Circe, figlia del Sole, si leva su colli erbosi nelle acque del Tirreno, e Glauco, un pescatore, ha percorso un lungo tratto di mare per venire a colloquio con la maga: in questa raffigurazione egli è ncora umano, non si è ancora mutato in divinità marina. Glauco ama Scilla, che però non si lascia persuadere a cedergli: per il “dio-pescatore”, alla ricerca di una formula d’amore, la soluzione è quella di rivolgersi a Circe. A questo punto, però, è la dea figlia del Sole che desidera Glauco: per questo gli offre di assecondare con un solo gesto chi lo ama e, contemporaneamente, di vendicarsi di chi lo disprezza. Il giovane rifiuta e ciò fa infuriare la maga, che mormorando un sortilegio muta la rivale in un mostro. Questo però non gli serve a ottenere il favore di Glauco, che invece fugge piangendo la perdita dell’amata.
    Il soggetto è dipinto con una copiosa quantità di materia: il manganese abbonda ed è quasi a rilievo, ma anche il blu del mare che si fonde con le montagne è abbondante, steso con pennellate parallele. Il verde dell’erba è invece diluito e mosso da sottilissime pennellate scure, mentre il terreno è reso in ocra, come pure i capelli delle figure e il manto di Circe. Il tendaggio che chiude la scena sulla sinistra è realizzato in verde ramina scuro, lumeggiato con giallo antimonio. Su un tale sfondo le figure risultano quasi eteree, dalle forme elegantemente allungate, di colore chiaro, con muscolatura lumeggiata in bianco e con lievi ombreggiature ocra; i volti e i tratti fisiognomici sono invece sottolineati da una sottile linea scura. Il cielo sullo sfondo è movimentato da una nuvola scura sagomata con piccole volute a chiocciola. Protagonisti, insie

  • COPPACastel Durante o Urbino, 1520-1525 Maiolica decorata in policromia...
    Lotto 37

    COPPA
    Castel Durante o Urbino, 1520-1525
     
    Maiolica decorata in policromia con blu, giallo, arancio, rosso, bianco e bruno di manganese nei toni del nero
    alt. cm 4,7; diam. cm 21; diam. piede cm 9
    Sul retro etichetta lacunosa con scritta in inchiostro “…-94… ART.30/ ...BIO...CENTUR/ BARON DE ROTHC.../ COLLECTION”; altra etichetta stampata, con numeri in inchiostro “S.B. Lot No. 947/ Art. No. 30
     
    Intatto; sbeccature da usura all'orlo con cadute di smalto che lasciano intravedere la terracotta color camoscio scura e i segni di lavorazione al tornio
     
    Earthenware, painted in blue, yellow, orange, red, white, and blackish manganese
    H. 4.7 cm; diam. 21 cm; foot diam. 9 cm
    On the back, label hand-written in ink ‘…-94... ART.3/ ...BIO...CENTUR/ BARON DE ROTH.../ COLLECTION’; printed label with hand-written in ink ‘S.B. Lot No. 947/ Art. No. 30’


     
    In very good condition; wear chips to rim with some glaze losses through which one can see the dark buff earthenware body and the wheel marks
     
    La coppa, su basso piede, presenta sul recto una decorazione che interessa l’intera superficie: essa ritrae un condottiero con un elmo da parata ornato da volute fogliate e dotato di una visiera a forma di mascherone: il ritratto maschile è di un giovane, raffigurato di profilo, che indossa, sopra una camiciola pieghettata, una lorica sulla quale s’intravvede un decoro a rilievo. Tutt’intorno corre un nastro, ad andamento sinuoso, sul quale si legge il nome “ASTOLFO” in lettere capitali.
    Il volto è reso in bianco sopra bianco per rendere l’incarnato chiaro, quasi traslucido; lo sguardo pacato e la bocca semiaperta danno l’impressione di una quiete che contrasta con la figura di guerriero. L’elmo, la lorica e la camiciola emergono grazie a sapienti pennellate e ad un’accorta sovrapposizione dei colori che rendono perfettamente il chiaroscuro. La figurina spicca su un fondo interamente dipinto di blu. Si ritiene che l’elmo indossato dal personaggio sia stato inventato da Verrocchio o da Leonardo: era un copricapo diffuso sulle monete o sulle medaglie con ritratti “all'antica”, ma anche in incisioni e nielli. Poiché ci piace pensare che il pittore, nel dipingere il personaggio qui raffigurato, si sia ispirato al paladino di Carlo Magno protagonista di imprese memorabili nelle grandi opere epiche del Rinascimento, la fonte d’ispirazione letteraria sarebbe da ricondurre agli anni tra il 1483 e il 1532, arco cronologico in cui sono compresi sia l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo che l’Orlando il Furioso di Ludovico Ariosto: Astolfo personaggio dal carattere impulsivo, è protagonista di imprese memorabili in entrambe le opere.
    Le coppe di questa tipologia sono numerose e si presentano con caratteri morfologici e stilistici differenti, a conferma della diffusione e del successo di questa foggia con ritratti maschili e femminili: oggetti analoghi sono presenti in molti musei italiani e stranieri.
    Il lavoro di confronto ci porterebbe ad avvicinare l’opera alla coppia di coppe con “Ruggero” e “Filomena” conservata al Metropolitan Museum of Art di New York databili al primo quarto del XVI secolo e ricondotte alle botteghe artigiane attive in particolare a Castel Durante, l’attuale Urbania.
    Jorg Rasmussen nel 1989 ha individuato e attribuito al Maestro Giovanni Maria Vasaro dodici piatti decorati con ritratti di profilo di tipo analogo, conservati in importanti collezioni private e museali, rigettando la tradizionale attribuzione a Nicola di Urbino, e retrodatando la serie agli anni 1510-

  • PIATTOUrbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli,...
    Lotto 38

    PIATTO
    Urbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli, 1528-1529
     
    Maiolica decorata in policromia, con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola
    alt. cm 3,4; diam. cm 28; diam. piede cm 10
    Sul retro, sotto il piede, iscrizione “morte di Egieo Y
     
    Sul retro tracce di un antico restauro con graffe metalliche a fermatura di una felatura profonda, risolta con restauro archeologico
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
    H. 3.4 cm; diam. 28 cm; foot diam. 10 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘morte di Egieo Y’
     
    On the back, remains of old restoration of a heavy hairline crack fixed with metal clips, now consolidated using archaeological restoration
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filetti incisi circolari. Poggia su un basso piede privo di anello.
    Nel nostro piatto Francesco Xanto Avelli interpreta il mito con grande maestria narrativa: al centro campeggia Pizia, che tiene in mano la patera delle offerte; a sinistra appare la nave di Teseo, riconoscibile perchè vestito di verde; a destra lo stesso Teseo assiste alla caduta del padre, raffigurato nella parte alta del piatto mentre compie il tragico gesto.
    Come spesso avviene nei lavori del pittore rodigino, anche in questo caso si riconosce l’uso di più incisioni. La nave è tratta da un particolare dell’incisione del Ratto di Elena di Marco Dente (1493-1527) da Raffaello Sanzio. Per la figura della Pizia si potrebbe pensare a una delle figure derivate dalla Cappella Sistina e divulgate per stampa; ci pare però di riscontrare una somiglianza nel corpo della Pizia con quello di Vulcano raffigurato in un piatto del Walters Museum of Art di Baltimora, assegnabile al periodo compreso tra il 1528 e il 1532. Carmen Ravanelli Guidotti nel suo saggio su alcune opere inedite o poco note di Xanto Avelli, presentando il piatto in esame aveva già ipotizzato che la figura potesse essere stata tratta dall’incisione del Maestro del Dado con Ercole che scaccia l’invidia dal Parnaso: la posizione della figura che assiste alla scena seduta in basso richiama molto da vicino quella della nostra. La studiosa suggerisce inoltre una certa vicinanza con il piatto con il suicidio di Porzia, presentato nello stesso saggio: entrambe le opere andrebbero datate cioè attorno agli anni 1528-1529. Per la figura di Teseo, Ravanelli Guidotti pensa che si possa accostare a quella di uno dei pastori che assistono al rapimento di Ganimede in una stampa di Gian Battista Palumba e alla figura di Dedalo della coppa del gruppo “F.R.” del Gardiner Museum.
    Egeo divenne re di Atene alla morte del padre Pandione. In assenza di un erede maschio, pur essendosi sposato più volte, si recò a consultare la Pizia, oracolo di Delfi, che gli disse: “Tieni chiuso il tuo otre di vino finchè non avrai raggiunto il punto più alto della città di Atene, altrimenti un giorno ne morirai di dolore”. Recatosi a Trezene incontrò Eta, figlia del re Pitteo, che gli fu presentata dopo averlo fatto ubriacare. Dall’incontro che ne seguì nacque Teseo; dopo qualche tempo Egeo decise di far ritorno ad Atene. Un giorno, durante una gara con il figlio di Minosse in visita ad Atene, Egeo fu colto da rabbia e uccise l’ospite. Il figlio Teseo, che nel frattempo si era riavvicinato al padre, dovette allora r

  • PIATTOUrbino, Francesco Xanto Avelli, firmato, 1532 circa Maiolica decorata...
    Lotto 39

    PIATTO
    Urbino, Francesco Xanto Avelli, firmato, 1532 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola
    alt. cm 4,6; diam. cm 27,5; diam piede cm 7,3
    Sul retro, al centro del piede, la scritta “fra: Xanto, Avelli/ da Rovigo pinse Urbini/ In Sathir’ Giove d’amor converso/ favola Y” delineata in blu.
    Sul retro etichetta stampata “SCHUBERT ANTICHITA' - corso MATTEOTTI 22 MILANO
     
    Intatto; lievi sbeccature dovute all’applicazione di sostegni sull’orlo; sbeccature d’uso sul bordo
     
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
    H. 4.6 cm; diam. 27.5 cm; foot diam. 7.3 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘fra: Xanto, Avelli/ da Rovigo pinse Urbini/ In Sathir’ Giove d’amor converso/ favola Y’
    On the back printed label ‘SCHUBERT ANTICHITA'- corso MATTEOTTI 22 MILANO’


     
    In very good condition; minor chips to rim; wear chips to rim
     
    Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filettature concentriche incise. Poggia su un basso piede privo di anello.
    La scena è racchiusa tra un vecchio albero spoglio e disadorno e una rupe alta, coperta da zolle erbose; sullo sfondo, un paesaggio fluviale con alte colline squadrate e un borgo con un ponte su un fiume. Lo scenario è abitato da tre gruppi di figure: al centro, Eros avanza portando sulle spalle una saetta: il personaggio è tratto da un’incisione di Marco Dente che riproduce il fregio della chiesa di San Vitale a Ravenna; a destra, seduto su una roccia, è raffigurato Apollo, divinità che s’incontra spesso nelle opere di questo pittore e la cui rappresentazione è tratta dall’incisione di Marcantonio Raimondi del Parnaso di Raffaello Sanzio; a sinistra, infine, è collocata una scena erotica tra un satiro e una ninfa: il corpo della donna deriva probabilmente da una delle figure delle Pieridi tratte dall’incisione di Jacopo (o Gian Giacomo) Caraglio (1500-1565 circa) ripresa da Rosso Fiorentino raffigurante Il convegno tra le Muse e le Pieridi, mentre per il satiro al momento non è stata individuata alcuna fonte. Anche per la figura maschile che compare alle spalle di Apollo non è stato possibile, fino ad ora, identificare la fonte incisoria: ipotizziamo che il corpo, parzialmente coperto, possa essere stato ricavato da una delle incisioni con scene di battaglia o da quella che raffigura la Strage degli innocenti di Marcantonio Raimondi da Raffaello, utilizzate in molte occasioni dal pittore rovigense, mentre il volto potrebbe essere stato ispirato da quello dell’Invidia nell’incisione Invidia cacciata dal tempio delle Muse del “Maestro del Dado” e successivamente assemblato dal pittore che, come già in altre sue opere, lo ha dotato della capigliatura a ciuffi scomposti dipinti in un colore fulvo.
    Anche in questo caso, come nel piatto presentato al lotto 38 di questo catalogo, vediamo come Francesco Xanto Avelli, secondo la tecnica che gli è consueta, abbia saputo mescolare figure tratte da più incisioni utilizzandole a suo piacimento.
    L’opera è complessa e solo la frase “In Sathir’ Giove d’amor converso” sul retro ci aiuta nella sua comprensione. Vi leggiamo anche la firma per esteso del pittore, delineata con grafia rapida in blu scuro: “fra: Xanto, Avelli / da Rovigo pinse Urbini / In Sathir’ Giove d’amor converso / favola Y”.
    La scena narra l’episodio di Antiope sedotta da Zeus, il quale le si presentò con le sembianze di un satiro: la conseguente gravidanza comportò una serie di sciagure: la morte del padre Nitteo, la nascita e l’abbandono dei due gemelli Anfione e Zeto, la cattura e la vessazione di

  • PIATTOUrbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli,...
    Lotto 40

    PIATTO
    Urbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli, 1528-1530 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola
    alt. cm 4,5; diam. cm 26,6; diam. piede cm 7,3
    Sul retro, sotto il piede, la scritta “A dann’p’el reo tesc iio/ anmiratino/ fabula y
     
    Intatto; sobbollitura dello smalto in basso a sinistra
     
    Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
    H. 4.5 cm; diam. 26.6 cm; foot diam. 7.3 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘A dann’p’el reo tesc iio/ anmiratino/ fabula y’
     
    In very good condition; on the front, firing defect at 7 o’clock
     
    Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filetti incisi concentrici. Poggia su un basso piede privo di anello.
    La scena figurata si svolge in primo piano tra un edificio, a sinistra, e due alberelli dal tronco sinuoso, a destra; al centro è resente un’alta rupe coperta da zolle erbose. Sullo sfondo un paesaggio costiero con un borgo circondato da mura e un’alta collina squadrata; un fiume lo separa dalla scena in primo piano.
    Con la consueta capacità pittorica, il pittore rodigino sintetizza la vicenda di Perseo (Ovidio, Met. IV, 769-803), uno dei miti più articolati della grecità, unendo, come spesso accade, in una stessa narrazione i personaggi mutuati da più incisioni. Il momento topico è nell’esergo in primo piano: la morte di Medusa, il mostro femminile, con il capo coperto di vipere il cui sguardo era in grado di pietrificare il nemico, che giace con il capo mozzato su un prato erboso in prossimità di uno specchio d’acqua; il modello del corpo è tratto da un’incisione di Jacopo (o Gian Giacomo) Caraglio (1500-1565 circa) ripresa da Rosso Fiorentino raffigurante Il convegno tra le Muse e le Pieridi. A destra, Perseo – il capo coperto dall’elmo che rende invisibili e ai piedi i calzari alati dono di Ermes – avanza brandendo la spada e portando con sè la testa di Medusa; la figura qui utilizzata per rappresentare l’eroe è stata spesso usata dal pittore ed è presente anche in altre opere, e si tratta di un adattamento dall’incisione raffigurante il Martirio di Santa Felicita di Marcantonio Raimondi tratta da Raffaello. Al centro, un giovane personaggio spunta da dietro una roccia portando un sacco sulle spalle; il personaggio, anch’esso utilizzato di frequente da Xanto Avelli, è derivato dall’incisione di Marcantonio Raimondi raffigurante Isacco che benedice Giacobbe, ugualmente tratta da Raffaello. Riteniamo che si tratti di un episodio successivo: Perseo trasporta la testa della Gorgone all’interno di un sacco di cui Atena gli ha fatto dono insieme allo scudo utilizzato per ingannare Medusa, allo scopo di evitare lo sguardo del mostro, il cui potere pietrificante non sarebbe venuto meno neanche dopo la morte della stessa.
    A sinistra, vicino a un palazzo, un uomo si copre il volto con un mantello. L’episodio potrebbe essere quello in cui Perseo, di ritorno dalle sue avventure, reca la testa promessa a Polittete per le nozze con la madre e per vendicarsi dei torti subiti la estrae per l’ultima volta dalla sacca pietrificando il re e i suoi cortigiani: “a danno per il reo”.
    Anche quest’opera, come già detto per il lotto 38, va accostata a quelle prodotte prima dell’arrivo dell’Avelli a Urbino e si aggiunge alla serie cosid

  • COPPAPesaro, 1540 circa Maiolica decorata in policromia con giallo,...
    Lotto 41

    COPPA
    Pesaro, 1540 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, giallo-arancio, blu, verde rame, bianco e bruno di manganese nei toni del violaceo e del nero; tracce di verde sul retro
    alt. cm 6,6; diam. cm 27,5; diam. piede cm 12,5
    Sul retro etichetta ovale stampata “ANTICHITA' Petreni VIA RONDINELLI 7R FIRENZE
     
    Intatta; sbeccature e usure al piede; piccole sbeccature all’orlo
     
    Earthenware, painted in yellow, yellowy orange, blue, copper green, white, manganese purple, and blackish manganese; on the back, remains of green colour
    H. 6.6 cm; diam. 27.5 cm; foot diam. 12.5 cm
    On the back, oval printed label ‘ANTICHITA' Petreni VIA RONDINELLI 7R FIRENZE’
     
    In very good condition; chips and wear to foot; minor chips to rim
     
    La coppa, dal piede basso e leggermente svasato presenta un ampio cavetto piano con orlo appena rilevato. La decorazione, su smalto sottile bianco leggermente azzurrato, interessa l’intera superficie e rappresenta una battaglia; sullo sfondo, incorniciato tra un albero e una roccia, un paesaggio lacustre con colline è entrato da una città fortificata.
    Le scene di battaglia sono spesso raffigurate sulle ceramiche istoriate, ma le modalità pittoriche rapide e corrive non ci hanno permesso fino ad ora di individuare una precisa iconografia di riferimento. Tuttavia proprio le modalità pittoriche e aiutano nel confronto con una coppa di manifattura pesarese che presenta caratteristiche stilistiche molto simili: si vedano, oltre alla resa pittorica, alcuni dettagli nel modo di raffigurare i corpi e le armi, come ad esempio lo scudo ellittico in primo piano, disegnato in modo molto ingenuo, presente in entrambi gli oggetti. La coppa di confronto, raffigurante la caccia al cinghiale calidonio e conservata nei Musei Civici di Pesaro, presenta architetture in lontananza dipinte in modo approssimativo, sproporzionate rispetto alle montagne poste a ridosso dei paesi. In primo piano le rocce color ocra hanno profili arrotondati e il terreno è reso pittoricamente con un’alternanza di ocra e di verde rame intenso, mentre i dettagli sono sottolineati con abbondanti pennellate di manganese.
    Riteniamo corretto, dunque, assegnare il nostro esemplare alla stessa mano della coppa di Pesaro, in più occasioni citata dalla letteratura alla ricerca di un’attribuzione differente dalla bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Ci piace proporre una sua immagine com’era stata pubblicata nel catalogo dell’originaria collezione di Charles Damiron.
    Si ha traccia di un passaggio della coppa in esame alla casa d’aste Christie’s, con l’attribuzione a Urbino e una datazione agli anni attorno al 1545.

  • COPPAUrbino o Ducato di Urbino, 1540 circa Maiolica decorata in...
    Lotto 42

    COPPA
    Urbino o Ducato di Urbino, 1540 circa
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, giallo-arancio, blu, turchino, verde, bruno di manganese e bianco
    alt cm 4,5; diam. cm 26,5; diam. piede cm 12,5
     
    Sotto il piede, iscrizione dipinta in blu “L”, e, più in basso, come a seguito di un ripensamento, “La Visione di Jacob
     
    Intatta; lievi sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in yellow, yellowy orange, blue, turquoise, green, manganese, and white
    H. 4.5 cm; diam. 26.5 cm; foot diam. 12.5 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘L’ and further down ‘La Visione di Jacob’
     
    In very good condition; minor chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Coppa con ampio cavetto, bordo rilevato e orlo appena svasato, arrotondato e listato in giallo. Il piede è basso e ad anello, con orlo arrotondato. Il decoro è realizzato con colori tenui, molto diluiti, e ritocchi sottili a punta di pennello estremamente curati a sottolineare i lineamenti, i capelli con riccioli, i piedi, le mani e i contorni degli occhi lumeggiati in bianco. Tratti sottili rimarcano anche alcuni dettagli del paesaggio.
    La scena riproduce il passo della Bibbia (Genesi 28, 10-18) che narra come Giacobbe, in viaggio per Betsabea, stesse dirigendosi verso Carran. Fermatosi per trascorrere la notte, prese una pietra e la pose come guanciale. Fece quindi un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa e il Signore gli diceva che la terra su cui si era coricato sarebbe stata della sua discendenza. Allora Giacobbe, destatosi dal sonno, riconobbe quel luogo come la sua patria, si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità.
    La coppa, decorata sull’intera superficie, era stata attribuita a una bottega faentina vicina a Baldassare Manara. Oggi non ci pare che quest’attribuzione possa essere ancora ritenuta valida. La disposizione del decoro e le modalità compositive e stilistiche fanno pensare piuttosto che si tratti di un’opera di bottega marchigiana.
    Si tratta di una foggia variamente utilizzata in tutto il ducato, e molte sono le affinità con opere pesaresi. A questo proposito colpisce la somiglianza con la coppa con Vulcano e Venere attribuita alla bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce conservata alla Galleria Estense di Modena, in cui si nota la presenza di rami delineati in bruno di manganese e di un volo di uccelli che ricordano quelli presenti sul nostro esemplare. Ci pare poi interessante anche il confronto con una coppa con Gesù nel Giardino degli Ulivi presente nel 1974 nella collezione del Museo di Cluny a Parigi, in cui ci sembra di poter ravvisare qualche affinità con l’oggetto in esame: la coppa non ha attribuzione, ma viene assegnata a un arco cronologico attorno alla metà del secolo XVI.
    Altro confronto può essere fatto con un piatto raffigurante la morte di Narciso e conservato al Museo di Philadelfia ascritto ad area metaurense e datato tra gli anni 1530 e 1540. Sono molto simili il modo di rendere i volti rivolti verso l’alto, in cui il naso diventa un segno triangolare, le mani dalle dita allungate, alcune sproporzioni nel rappresentazione di spalle delle figure, la presenza di grossi blocchi di pietra nel paesaggio e di sottili steccati realizzati con un leggero tratto, il paesaggio con casette dal tetto rosso unite tra loro da ponti sottili, e la presenza di stradicciole dall’andamento sinuoso coperte da c

  • TONDINOUrbino, bottega di Guido di Merlino, “1543” Maiolica...
    Lotto 43

    TONDINO
    Urbino, bottega di Guido di Merlino, “1543”
     
    Maiolica decorata in policromia con blu, verde, arancio, giallo-arancio, bianco di stagno e bruno di manganese
    alt. cm 5,2; diam. cm 23,9; diam. piede cm 8
    Sul retro iscrizione “del porcho Cali/ donio 1543“ (la data in cartiglio)
     
    Felatura in basso a sinistra con incollatura di una piccola porzione; sbeccature all’orlo; segni di usura al piede
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in blue, green, orange, yellowy orange, tin white, and manganese
    H. 5.2 cm; diam. 23.9 cm; foot diam. 8 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘del porcho Cali//donio 1543’ (the date in a cartouche)
     
    Hairline crack at 7 o’clock with a small part reglued; chips to rim; wear to foot
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto, che presenta un profondo cavetto e una larga tesa appena inclinata, poggia su un piede basso privo di anello: questa forma è generalmente definita “tondino”.
    La decorazione istoriata raffigura Meleagro, re dell’Etolia, mentre, insieme ai più celebri cacciatori, uccide il cinghiale Calidonio inviato da Artemide per distruggere i raccolti: la dea aveva inflitto questo castigo per essere stata dimenticata dal re nei sacrifici agli dèi dell’Olimpo.
    La scena è racchiusa tra un albero e una rupe, che fanno da quinte a un paesaggio lacustre con alte colline rocciose e piccoli borghi. A sinistra la dea cacciatrice assiste all’uccisione del feroce animale, posto al centro della scena mentre azzanna un cacciatore a terra. Tutt’intorno i cacciatori, tra i quali Atalanta, l’amata di Meleagro, colpiscono con animosità il cinghiale. Al centro della tesa, in alto, uno stemma gentilizio non ancora identificato è come appeso a un ramo.
    Il mito è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Met. VIII, 260-545): il soggetto ebbe molto successo nel corso del ’500 e venne spesso utilizzato dai pittori urbinati per le loro decorazioni, ma la stampa utilizzata dall’autore come riferimento iconografico del decoro non è stata ancora identificata.
    Il piatto trova un confronto diretto nel lotto 44 di questo catalogo, sia per lo stile pittorico sia per la presenza di uno stemma gentilizio simile, ma non uguale. Anche lo stemma, per il momento, non è ancora stato individuato.
    Le caratteristiche tecniche vedono uno smalto grasso uniformemente distribuito, mentre sul retro l’orlo, l’attacco del cavetto e la bordura del piede sono sottolineati di giallo. Sul fronte si osserva l’uso del verde in tutte le gradazioni, l’impiego dell’arancio soprattutto nelle vesti delle figure, e i tronchi scuri lumeggiati da tocchi di bianco, tecnica questa utilizzata con la stessa finalità anche nei volti, nelle armature e per marcare le onde del ruscello. Il modo di delineare le gambe delle figure – caratterizzate da polpacci grossi e muscolosi, da piedi piccoli e sottili, nonché da ginocchia rigonfie – e la capacità di porre prospetticamente i gruppi di personaggi, ci portano verso un pittore capace, in grado di dominare con finezza la materia.
    L’accostamento con alcuni esemplari dalle caratteristiche stilistiche simili è molto utile: il raffronto fra l’espressione del volto di Diana e quella dei visi delle figure delineate in un piatto della raccolta del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, nonché la somiglianza con altri esemplari firmati, ci avevano suggerito una possibile a Francesco Durantino, proprio agli inizi della sua collaborazione con

  • TONDINOUrbino, bottega di Guido di Merlino, “1543” Maiolica...
    Lotto 44

    TONDINO
    Urbino, bottega di Guido di Merlino, “1543”
     
    Maiolica decorata in policromia in blu, verde, arancio, giallo-arancio, bianco di stagno e bruno di manganese
    alt. cm 5,2; diam. cm 23,9; diam. piede cm 8
    Sul retro iscrizione “di ioue mutato/ in Toro 1543” (la data in cartiglio)
    Etichetta con numero “30” stampato; coppia di etichette dell’antiquario “Bossi et Fils, Genes-Nice”;
     
    Intatto, salvo lievi sbeccature all’orlo e segni di usura al piede
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in blue, green, orange, yellowy orange, tin white, and manganese
    H. 5.2 cm; diam. 23.9 cm; foot diam. 8 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘di ioue mutato/ in Toro 1543’ (the date in a cartouche)
    Printed label ‘30’; two antique dealer’s printed labels ‘Bossi et Fils, Genes-Nice’
     
    In very good condition, with the exception of some minor chips to rim and some wear to foot
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto, che presenta un profondo cavetto e una larga tesa appena inclinata, poggia su un piede basso privo di anello: questa forma è generalmente definita “tondino”.
    La scena è inserita in un paesaggio roccioso con un albero e una rupe a fare da quinte. In basso, al centro della tesa, Europa, colpita dalla bellezza e dalla mansuetudine di un toro bianco comparso nella mandria del padre, vi monta a cavalcioni, voltandosi a guardare verso una figura, probabilmente Mercurio in veste di pastore o il padre Agenore. Sul lato destro tre fanciulle, le amiche con le quale era solita accompagnarsi, assistono alla scena. Al centro è raffigurata la seconda parte della narrazione, con Europa che si allontana nel mare a cavallo del toro in un paesaggio ricco di porti e insenature. Al centro della tesa, in alto, uno stemma gentilizio non identificato e molto simile a quello presentato al lotto 43 di questo catalogo, sembra appeso ad un ramo. Sul retro, orlato di cerchi concentrici gialli, al centro del piede è delineata in blu la scritta “di ioue mutato/ in Toro 1543” con la data inserita in un cartiglio.
    Il soggetto del Ratto di Europa, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Ov., Met. II, 858-875), fu uno dei temi maggiormente utilizzati nella maiolica istoriata grazie alla diffusione delle incisioni con questo soggetto. Si vedano ad esempio i piatti conservati nei Musei Civici di Pesaro, e in modo particolare quello attribuito a Sforza di Marcantonio e datato 1549 come esempio dell’utilizzo delle fonti iconografiche nella maiolica urbinate.
    Un oggetto che interpreta il mito capovolgendo la prospettiva, con modalità tecniche e decorative molto simili al piatto in esame, probabilmente dovute ad una scelta iconografica simile, è una coppa conservata ancora nei Musei Civici di Pesaro e attribuita al “Pittore del Pianeta Venere”, vicino a Lanfranco delle Gabicce, anch’essa con la protagonista seduta di spalle.
    Il confronto diretto con il piatto presentato al lotto 43 di questo stesso catalogo ci fa pensare ad un'opera della medesima bottega, ma alla mano di due pittori, anche per la presenza di uno stemma gentilizio simile ma non uguale. Una prima ipotesi attributiva a Francesco Durantino nella bottega di Guido di Merlino è da respingere, anche se alcuni caratteri stilistici del pittore si intuiscono al centro del piatto.
    Si veda per completezza il confronto stilistico con altri pezzi affini assegnati allo stesso artista: un piatto con alcune varianti nella scena, sormontato da uno stemma non identificato e d

  • PIATTOPesaro, bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce (nei modi del...
    Lotto 45

    PIATTO
    Pesaro, bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce (nei modi del “Pittore del Pianeta Venere”), “1545”
     
    Maiolica decorata in policromia con blu, verde, arancio, giallo-arancio, bianco di stagno e bruno di manganese su fondo di smalto corposo; i colori sono stesi con abbondanza
    alt. cm 2,8; diam. cm 23; diam. piede cm 8,9
    Sul retro, sotto il piede, iscrizione in blu “orfeo 1545
     
    Intatto
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, covered by a rich glaze and painted in blue, green, orange, yellowy orange, tin white, and manganese, with lavishly applied colours
    H. 2.8 cm; diam. 23 cm; foot diam. 8.9 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘orfeo 1545’
     
    In very good condition
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto ha un cavetto largo e poco profondo, un’ampia tesa piana poco obliqua, orlo arrotondato e piede basso ad anello, al centro del quale è leggibile la scritta “Orfeo 1545”. Il retro è orlato da tre anelli gialli concentrici.
    Al centro del cavetto il protagonista, Orfeo, suona la lira da gamba con un archetto; tutt’attorno sono raffigurate le creature dei boschi, reali e fantastiche, mentre si avvicinano a Orfeo, incantate dalla musica. La figura principale è incorniciata da una roccia voluminosa dall’insolita forma ramificata; alle sue spalle si apre sul fondo un paesaggio lacustre con alte montagne a cuspide e piccoli paesini.
    Orfeo è figlio della musa Calliope e di Eagro, re della Tracia, regione nota fin dall’antichità per l’esistenza di sciamani capaci di provocare uno stato di trance per mezzo della musica e in grado di fare da tramite tra il regno dei vivi e quello dei morti. Il giovane è rappresentato nell’atto di incantare gli animali secondo un’iconografia che ha derivazioni antiche e ricorre in numerose versioni diverse. Le modalità pittoriche sono alquanto corrive e molto legate al tratto, mentre le caratteristiche fisiognomiche sono ben precise e riconoscibili: occhi con pupilla a punta di spillo, naso marcato solo alle narici, bocca leggermente aperta, mento piccolo; gli animali hanno musi allungati dallo sguardo antropomorfo.
    La disposizione della scena prevede la consueta presenza di un paesaggio lacustre alle spalle della rappresentazione principale. Anche in questo caso il paesaggio ha connotazioni ben precise, sia nelle alte montagne dal profilo acuminato, a torre, sia nei paesini, caratterizzati da alte torri e tetti acuti e spioventi, colorati di un rosso intenso. Prevale il disegno: le campiture di colore sono stese a strati, con parti che debordano dall’orlo giallo, come si osserva per esempio nella zolla erbosa in basso a destra. Si scorge tuttavia un sapiente uso del bianco di stagno nelle lumeggiature utilizzate a sottolineare i contorni dei volti o in alcuni dettagli minuti, quali la sottile linea che orla il manto di Orfeo o i piccoli fiori che scendono dalla roccia.
    I confronti stilistici più prossimi si riscontrano in ambito pesarese, come ad esempio nel piatto datato 1545 del British Museum di Londra con Orfeo che riceve la notizia della morte di Euridice, attribuito alla bottega pesarese di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Un confronto a nostro giudizio più pertinente è con un piatto su cui è rappresentata “la morte di Procri”, conservato nella collezione della Cassa di Risparmio di Perugia, anch’esso datato 1545 e attribuito alla mano del “Pittore del Pianeta Venere”, attivo probabilmente nella bottega pesarese di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Il piatto di Perugia mostra molte ca

  • COPPADucato di Urbino o Urbino, “1549” Maiolica decorata in...
    Lotto 46

    COPPA
    Ducato di Urbino o Urbino, “1549”
     
    Maiolica decorata in policromia con giallo, ocra, arancio, turchino, blu, verde e bruno di manganese; sbavature di verde ramina sul retro
    alt. cm 8,8; diam. cm 32,4; diam. piede cm 12,9
    Sul retro, sotto il piede iscrizione “Ovidio narra/ del parto de Mirra. 1549
    Sul retro, sotto il piede parte di cartellino con manoscritto il numero “5386
     
    Rotture della tesa in alto, felature e incollature stabilizzate con restauro archeologico
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in yellow, ochre, orange, turquoise, blue, green, and manganese; on the back, remains of green colour
    H. 8.8 cm; diam. 32.4 cm; foot diam. 12.9 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘Ovidio narra/ del parto de Mirra. 1549’
    On the back, beneath the base, remains of a hand-written paper tag ‘5386’
     
    Cracks, hairline cracks, and reglued damages, consolidated using archaeological restoration
     
    An export licence is available for this lot
     
    La coppa poggia su un basso piede ad anello poco svasato, listato in giallo sulla parte esterna; il cavetto è ampio, concavo e ha un bordo obliquo appena rilevato, con labbro arrotondato. Sul retro, al centro del piede, è visibile in corsivo la scritta “Ovidio Narra/ del parto de Mirra. 1549”.
    Sul fronte la decorazione si sviluppa su tutta la superficie della coppa: in basso a sinistra, davanti ad architetture rinascimentali, Cinira, un cipriota nativo di Pafo, insegue la figlia Mirra per ucciderla, dopo aver scoperto che la stessa, aiutata dalla nutrice Lucina, qui raffigurata mentre esce dal palazzo sorreggendo una fiaccola, l’ha sedotto con l’inganno. Al centro della scena, inserito in un paesaggio lacustre con montagne rocciose e paesini, è appresentato il soggetto principale della narrazione: la nascita di Adone o, come recita la scritta sul retro, “il parto di Mirra”: Mirra, infatti, trasformata in albero per sfuggire alla vendetta del padre, partorisce Adone tra le braccia di Lucina e delle Naiadi. Adone è quindi ritratto, in primo piano a sinistra, mentre riposa con Venere all’ombra di un albero, a raffigurare un’altra parte del mito.
    Il cielo è reso con pennellate larghe e diluite, mentre il paesaggio è caratterizzato da diverse colline; le figure hanno corpi massicci e muscolosi, con polpacci arrotondati, piedi lunghi e sottili e tratti fisiognomici ben marcati; gli elementi architettonici sono realizzati con cura.
    La decorazione istoriata presenta una narrazione simultanea di più episodi del mito narrato, quello di Mirra e Cinira (Ov., Met., X, 298-502) e quello di Venere e Adone (Ov., Met., X, 503-559; 681-739). Le fonti incisorie del piatto, non ancora identificate, sembrano essere diverse, ma comunque, almeno per l’episodio del parto, sono probabilmente derivate dalle versioni in volgare del testo di Ovidio.
    Il soggetto ebbe un buon successo nel ’500 e lo troviamo riprodotto con diverse interpretazioni in numerose opere, come ad esempio nella coppa con Cinira e Mirra del Victoria and Albert Museum, attribuita al “Pittore del servizio della Rovere” e databile al 1540, che raffigura la stessa scena con modalità stilistiche scenografiche meno pacate.
    In base al confronto stilistico con alcune opere coeve e concentrando la ricerca nell’ambito urbinate, ci pare di poter attribuire la coppa alla bottega dei Fontana e nella fase iniziale di attività, cioè al periodo in cui, sotto la guida di Guido Durantino, vi lavorarono numerosi pittori.
    Il

  • COPPA O "SCUDELLA"Pesaro, Sforza di Marcantonio,...
    Lotto 47

    COPPA O "SCUDELLA"
    Pesaro, Sforza di Marcantonio, “1551”
     
    Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, turchino, blu, verde ramina, bruno di manganese nei toni del nero e del marrone e bianco
    alt. cm 4,2; diam. cm 22,6; diam. piede cm 10
    Sul retro, sotto il piede, iscrizione “De Alcione la vision/ tremenda: e vera 1551
     
    Intatto, salvo lievi sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in orange, yellow, turquoise, blue, copper green, blackish and brownish manganese, and white
    H. 4.2 cm; diam. 22.1 cm; foot diam. 10 cm
    On the back, beneath the base, inscription in blue ‘De Alcione la vision / tremenda: e vera 1551’
     
    In very good condition, with the exception of some minor chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    La coppa ha ampio cavetto e tesa breve molto alta con orlo aggettante. Il piede è basso, ad anello e con profilo concavo. Il retro del piatto non presenta decorazioni, salvo la scritta corsiva in blu di cobalto all’interno del piede.
    Sul fronte è raffigurato il momento in cui Alcione, distesa sul letto posto al margine destro del piatto, vede in sogno la morte del marito sotto gli occhi della dea Diana, sua acerrima nemica; sul lato sinistro si sviluppa la scena che mostra il naufragio di Ceice, in un paesaggio marino con un porto sullo sfondo. In alto, seduta su una corona di nuvole a chiocciola, la divinità ostile è raffigurata accompagnata da un pavone, suo simbolo distintivo.
    Una mattina, durante una passeggiata nel bosco, la giovane Alcione si distese sull'erba soffice per asciugarsi al sole. La sua bellezza attirò i molti abitatori del bosco, che la scambiarono per Diana. Alcione, mossa da vanità, accettò gli elogi senza rivelare chi fosse veramente, e non lo fece neppure dopo la comparsa della vera dea, evitando di chiarire l’equivoco. La dea scatenò allora la sua ira implacabile, inviando sciagure al popolo di Trascina. Ceice, sposo di Alcione, per placare l’ira della dea andò quindi a interrogare l’oracolo di Apollo. Tre mesi dopo la partenza del marito apparve in sogno ad Alcione un messaggero alato, Morfeo, che le annunziò la morte dello sposo avvenuta tra le onde, durante la traversata. Alcione, svegliatasi di soprassalto, corse al mare e salì sullo scoglio più alto per scrutare lontano: ad un tratto le parve di veder galleggiare un corpo, e disperata si gettò in mare. In quello stesso momento Giove si mosse a pietà e, proprio mentre Alcione si lanciava nel vuoto, le donò due ali che le permisero di librarsi dolcemente nell’aria. Come per incanto, spuntarono due ali anche sul corpo galleggiante di Ceice, che fu visto sollevarsi dalle acque e andare incontro alla sua sposa. Fu così che nacquero nel mondo gli alcioni, uccelli che con il privilegio di fare il nido sulle stesse onde del mare.
    Il soggetto, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Ov., Met. XI, vv. 592-749), non è tra quelli più frequentemente riprodotti nelle opere in maiolica, ma si conosce tuttavia un bellissimo piatto con il medesimo soggetto e la stessa frase dipinto da Francesco Xanto Avelli.
    La forma e le caratteristiche stilistiche del decoro, quali l’attenzione nella resa dei particolari architettonici – come i vetri delle finestre, i mattoni, il cornicione e la cupola sul letto a baldacchino – e la cromia, con il sapiente uso delle lumeggiature bianche, ci portano a pensare ad una buona mano e comunque ad una bottega importante in ambito urbinate o nei confini del Ducato.
    La forma è attestata come

  • PIATTOPesaro, “1553”  Maiolica decorata a policromia in...
    Lotto 48

    PIATTO
    Pesaro, “1553”
     
    Maiolica decorata a policromia in turchino, verde, rosso ferro, arancio, ocra, bianco e bruno di manganese nei toni del nero e del marrone
    alt. cm 2,6; diam. cm 22,3; diam. piede cm 9,5
    Sul retro, sotto il piede in caratteri corsivi in blu di cobalto, una scritta poco leggibile con alternanza di lettere e punti “N[.]rc[Â…]s[..](?)alf[..][..]n / f[..](?)[..]t [..]cch[..][..](?) [Â…]ns[.]s[..][..] / 1553
    Sul retro, sotto il piede etichetta rotonda manoscritta “FL40/11 (4)”; altra etichetta con scritta a mano “8/842/£100
     
    Intatto; lievi sbeccature all’orlo
     
    Corredato da attestato di libera circolazione
     
    Earthenware, painted in turquoise, green, iron red, orange, ochre, white, and blackish and brownish manganese
    H. 2.6 cm; diam. 22.3 cm; foot diam. 9.5 cm
    On the back, beneath the base, hardly-readable inscription in cobalt blue (with an alternation of letters and dots): ‘N[.]rc[Â…]s[..](?)alf[..][..]n / f[..](?)[..]t [..]cch[..][..](?) [Â…]ns[.]s[..][..] / 1553’
    Round hand-written label ‘FL40/11 (4)’; hand-written label ‘8/842/£100’
     
    In very good condition; minor chips to rim
     
    An export licence is available for this lot
     
    Il piatto, poggiante su un anello appena accennato, presenta un cavetto poco profondo, una larga tesa orizzontale e un orlo arrotondato listato di giallo. La superficie è interamente smaltata con abbondanza di materia interamente occupata dalla decorazione.
    Sul retro, privo di decori, si legge una scritta in caratteri corsivi delineati in blu di cobalto, che vede alternare lettere e punti, utilizzati al posto delle vocali: “N[.]rc[Â…]s[..](?)alf[..][..]n / f[..](?)[..]t [..]cch[..][..](?) [Â…]ns[.]s[..][..] / 1553”. Ne proponiamo la lettura come segue: “Narcise al fon fecet Ecco in saso 1553”.
    Al centro della composizione campeggia un’alta roccia da cui sembra emergere una fanciulla con gli arti che si trasformano in pietra; ai suoi piedi è raffigurato un giovane accucciato nell’atto di rimirarsi in uno specchio d’acqua. Sullo sfondo si scorge, parzialmente coperto da un albero, un paesaggio lacustre con paesini e montagne dal profilo arrotondato.
    Protagonista del mito narrato da Ovidio è Narciso, figlio di Cefiso e della ninfa Liriope; alla nascita del bimbo ella aveva consultato il profeta Tiresia, il quale predisse che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia “se non avesse mai conosciuto se stesso”. Il giovane era così bello che chiunque lo vedesse s’innamorava di lui, ma ne veniva respinto. Un giorno la ninfa Eco lo seguì furtivamente, desiderosa di rivolgergli la parola, ma non potendo attirarne l’attenzione in altro modo, corse ad abbracciare il bel giovane, il quale però l’allontanò immediatamente in malo modo. La ninfa, delusa, trascorse il resto della sua vita in valli solitarie, finché di lei rimase soltanto la voce. Nemesi, uditi i suoi lamenti, decise di punire Narciso: il ragazzo, imbattutosi in una pozza d’acqua profonda, si accucciò su di essa per bere, ma non appena, per la prima volta nella vita, vide la propria immagine riflessa se ne innamorò perdutamente. Solo dopo un po' si accorse che quell’immagine riflessa gli apparteneva e, rendendosi conto che si trattava di un amore impossibile, si lasciò morire struggendosi invano. Si compiva così la profezia di Tiresia.
    In questo piatto, come pure in quello che segue in questo c

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  • 28 ottobre 2014 ore 17:00 Sessione Unica - lotti 1 - 62 (1 - 62)